Sfogo esistenziale

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Sfogo esistenziale

Messaggioda Merope » 13/07/2017, 9:04



Ciao ragazzi.
Oggi mi sono svegliata con un urgente bisogno di scrivere, di raccontare, di sfogarmi.
E vorrei condividere con voi quanto ho scritto, so che questo è l'unico posto sicuro dove confidarsi ed essere compresi.
(spero sia la sezione giusta)

Ho iniziato a tagliarmi che avevo dodici anni.
Non ricordo la prima volta. Non ricordo perchè lo feci. Ma da lì in poi divenne una dipendenza, la prima forse.
Uno si può chiedere “dodici anni? E che problemi avrai mai avuto a quell'età?”.
E potrei rispondere “nessuno”. Perchè in apparenza che problemi avevo? Nessuno.
Una ragazzina normale con una famiglia normale e una vita normale.
Ma se si guarda più attentamente, si scorgono dei dettagli microscopici, che forse cambiano l'immagine d'insieme.
Se si guarda attentamente si può vedere un'angoscia, un senso di inadeguatezza, un terrore. Ci ho riflettuto molte volte.
Avevo dodici anni e già non riuscivo ad affrontare la vita. Perchè i miei genitori mi hanno amata male, a tratti, facendomi precipitare nell'abisso dell'eterno-bisogno-di-amore.
Perchè io mi sentivo (sento) diversa da tutti gli altri. Odiavo (odio) la gente.
Ero cresciuta in un ambiente diverso, con una mentalità diversa. Ero cresciuta nei boschi, nei campi, nei frutteti. Correvo scalza sui prati, mi arrampicavo incima alle betulle (le betulle), ero un pirata, un esploratore, una nativa americana, ero una guerriera. Parlavo con gli animali, con gli alberi, con le nuvole. Abitavo un mondo bellissimo. Per riempire il vuoto del mio cuore, così affamato di attenzioni, di amore, di felicità, mi ero inventata una dimensione tutta mia, dove regnavo senza drammi. Certo, ogni tanto interagivo con persone esterne dal mio regno magico, giocavo con qualche bambina (sempre un po' bizzarre le mie amiche, una è diventata tossicodipendente irrecuperabile, una oltre che drogata fa la prostituta, e una dopo vari anni di tansessualità ha deciso di tornare etero e smetterla con le messe nere); trasportavo il mio impero luminoso nelle viuzze della città e permettevo a pochi eletti di entrarci. Erano anni meravigliosi.
Ma non immaginavo che la vita sarebbe stato questo: rinunciare alla sicurezza e lanciarsi in un mondo di incomprensioni e cattiveria. Non lo sapevo. Ero convinta di poter vivere così per sempre.
Invece quando sono stata obbligata a frequentare la scuola (elementare poi media), è stato atroce.
Come rinchiudere un animale selvatico in una gabbia insieme a stupide bestie addomesticate.
Mi annusavano, mi hanno sempre annusata, e percepivano subito che ero diversa.
Puzzavo di strano. Era l'odore della libertà, della terra.
Già alle elementari si presagiva un futuro funesto, ma chi poteva saperlo?
Che quei bisbigli alle mie spalle sarebbero diventati tempeste di lame affilate che mi avrebbero squarciato l'anima?
Ero innocente, ero ingenua, ero felice. Arrabbiata, anche, perchè non mi piaceva sentirmi così diversa. Avrei voluto somigliare a quelle ragazzine sempre curate, sempre carine, raffinate, che giocavano con le bambole e che tutti amavano.
Invece io avevo sempre un po' di fango addosso, qualche rametto incastrato nei miei capelli a cespuglio, e quegli occhi da tigre indomabile.
Ma ero così fragile.
E alle medie, con le turbolenze ormonali, con il bullismo (di ragazzini e professori), tutto precipitò.
Non volevo crescere. Non volevo niente di quello che stava accadendo. E quanto ho sopportato!
Il gruppetto di piccole prostitute perfide che ogni giorno trovavano il modo di umiliarmi, di deridermi.
Per come mi vestivo (grazie mamma), per come ero fatta, per quello che dicevo.
E quel giorno che lessi sul diario delle megastrambe secchione (le uniche che consideravo più simili a me, data la loro emarginazione sociale) “è strana”.
E' STRANA.
Come una stilettata in pieno petto. Una doccia fredda. Una caduta improvvisa.
Erano altri tempi, esistevano solo gli sms. Me ne mandavano così tanti che il mio piccolo samsung andava in tilt. “tr*** tr*** tr***”. “strana strana strana”. Mi telefonavano a casa.
I miei ignari di tutto, completamente sordi, ciechi, muti, inutili.
E i professori, i maltrattamenti pubblici, le umiliazioni così sottili ma terrificanti che la notte piangevo e sognavo di morire.
E mio padre che mi aveva praticamente ignorato da quando ero nata, improvvisamente con la sua ingombrante presenza dettava ordini, regole, sfide, schiaffi. Ma chi sei, mi chiedevo.
Chi è questo uomo così potente che mi schiaccia con la sua voce? Non ti conosco.
Quanto avevo? Undici? Dodici? Tredici?
Quando per sbaglio lessi quel messaggio.
“Scappa da lavoro e vieni a riempirmi di baci”.
Era così, giusto? Lo ricordo bene? Che mi piegasti il braccio dietro la schiena in una morsa di dominazione e mi sussurrasti “la prossima volta fatti i cazzi tua o ti ammazzo”.
Adorabile. Quasi impossibile conciliare questa immagine straziante con l'amorevole simpaticone padre che trovo ogni volta che torno a casa.
Così, iniziai a tagliarmi. Mi ingegnai, trovai una lametta, e zac. Zac zac zac.
Che sensazione meravigliosa. La pelle che cedeva in un movimento quasi voluttuoso, e il sangue con quel colore intenso che piano piano colava, a piccole gocce, con il suo odore pungente, tenero.
Che meraviglia. Ogni volta che ero arrabbiata, che mi prendeva quella terribile voglia di esplodere, quando stavo per disintegrarmi, quando sentivo il cuore cedere e le lacrime trafiggermi gli occhi, zac. Zac zac zac. E tutto era più semplice.
Il mio piccolo sporco segreto, lo definivo così.
Ho smesso ufficialmente verso i 19 anni. Ho avuto svariate ricadute negli anni.
Ma si guarisce mai? Quanto male mi sono fatta? Non mi taglio più, ma quanto male mi faccio?
Alle superiori fu bello, all'inizio. Avevo un'immagine completamente distorta di me, ero succube di colei che avevo eletto a Dea indiscussa, la perfetta, la bellissima e profumata "migliore amica"
Quanto la odiavo (amavo).
Ma anche se ormai convivevo con la mia stranezza, ho vissuto anni quasi normali.
Apparte che quando mia madre scoprì del mio piccolo sporco segreto, si comportò in modo eccelso.
(rabbia, violenza, urla, minacce)
I controlli serali. “Spogliati”. E io che tremavo con la mia pelle bianca e dilaniata.
La psicologa inutile. “E' una moda, niente di serio”.
Nessuno che abbia mai capito quanto dolore ci fosse dietro.
Quante difficoltà, quanti strazianti pensieri, quanta sofferenza.
Il mio piccolo sporco inferno.
Che anni sprecati, inutili, sterili. Pieni di estraneità.
La mia innocenza strappata via, ma già nell'anima ero corrotta da anni.
Fantasticavo di una prima volta dolce, sensuale, romantica.
Invece mi violentò in macchina mentre ero mezza incosciente dopo aver bevuto due litri di vino ed ebbe anche la forza di dirmi “scopi come mia nonna”. Ero vergine, minorenne, e patetica.
Ma tutto sfuma, svanisce, si dilegua, in confronto a Lui. Il grande amore. L'unico amore. LUI.
Una mattina mi travolse per le scale. Mi travolse il cuore.
In quel periodo non ne potevo più di essere nessuno. Iniziai a fumare erba, ogni tanto. Per cambiare, per sentirmi diversa.
E poi la gente smette misteriosamente di bullizzarti quando hai amici poco raccomandabili ed entri nel giro dei “ribelli” (ahah).
Era il 2009. Furono anni di delirio.
Andrea. L'amore. Il dolore. Le droghe. La malattia. La chemio. La pazzia. Il panico. L'inferno.
Ho toccato il fondo. Ci ho vissuto qualche anno, laggiù. Schifo. Ribrezzo. Ripugnanza. Disgusto.
E poi il ritorno in superficie. Lento, terribile. Con la puzza di marcio addosso che non se ne va.
Non se ne andrà mai.
(Lui era fidanzato, diventammo amici, uscivamo in segreto a fumare.
Ero così innamorata che non mi accorgevo di quanto mi stesse usando.
Si divertiva con me, come il gatto col topo, prima di sbranarlo. Quanti momenti sospesi, quanti baci non dati, le carezze proibite e tutto segreto, nessuno sapeva, nessuno saprà mai cosa c'era fra noi. Il mio povero cuore ne è uscito a brandelli.
Nel 2011 si ammalò. Smise di venire a scuola. Avevamo smesso di parlarci già da un po', perchè io ero pazza e ingestibile e lui si era stancato di me. Crollai, quando scoprii che aveva un tumore. Iniziò la chemio. Perse i suoi meravigliosi capelli.
Per me fu troppo. Iniziai a soffrire di attacchi di panico, persi completamente la testa dal terrore.
Iniziai a drogarmi con qualsiasi cosa. Lui si mise con la mia migliore amica. Non ebbi mai il coraggio di andarlo a trovare.
Ma finì bene, guarì. Io no. Io non guarirò mai. Non ci parliamo da cinque anni.)
Diventai dipendente da diverse cose (cocaina ed ecstasy prevalentemente), quasi ogni giorno mi distruggevo.
Sono stata fortunata, le mie capacità intellettive sono rimaste intatte per miracolo.
Ma non ho potuto evitare la depressione, la pazzia e i desideri suicidi. Ero così egoista, chiusa nei miei stupidi, inutili problemi.
E poi ci sono stati gli anni in un'altra città, a crescere, a cambiare, a ricadere nelle trappole del mio spirito insulso.
Anni sereni. Con segreti sparsi, vite nascoste. Voragini che ogni tanto si aprivano e mi risucchiavano, lasciandomi inerme.
L'inadeguatezza perenne. E poi la solitudine. Un dolore inesorabile, inaffrontabile, denso.
E la morte, il suicidio, l'orrore. Le colpe imperdonabili.
L'alcolismo.
Il 30 maggio mio cugino di 22 anni si è impiccato a un albero, in giardino.
Arrivai a casa sua 3 ore dopo. Il suo corpo freddo era stato trasportato sul letto, mia nonna gli aveva messo un completo nero e continuava a dire "com'è bello, com'è bello, sembra uno sposo".
Orrore, è la parola che spiega tutto di quel giorno. Orrore.
Era come un fratello per me, ma nel mio cuore crudele non c'era spazio per gli altri, e non ho fatto niente.
Sapevo, e non ho detto niente. Sapevo che soffriva, che aveva problemi peggiori dei miei (lui non riusciva a smettere con le droghe, con la rabbia, con il dolore) ma sono stata zitta. Zitta e inutile. Ero arrabbiata con lui, invidiosa. Perchè tutti si preoccupavano, gli stavano dietro, erano gentili e comprensivi. Con me non lo sono mai stati. Io mi sono dovuta salvare da sola.
Ma spesso fantasticavo di prenderlo e portarlo via con me, fuggire, salvarci insieme.
Io avevo vissuto le stesse cose, ma ne ero uscita.
Avrei potuto salvarlo.
Da quando è successo la mia solitudine è diventata totale. Non ho avuto nessuno accanto.
Sono rimasta sola, ad affrontare tutto. Non ho più fiducia nelle persone.
Un abisso mi separa da tutti gli altri.
Una voragine di orrore.
Non riesco a smettere di bere. L'ubriacatezza è diventata la mia condizione standard.
Continuo a dirmi che dovevo morire io, non lui.
Vado avanti per inerzia. Vorrei vivere. Io amo la vita, nonostante tutto.
Per questo non sono mai riuscita ad ammazzarmi. Vorrei vivere, con tutta me stessa.
Ma ho questi macigni sul cuore che mi fanno affondare. I giorni passano, più che andare avanti cado.
Cado. Sprofondo. Inesorabilmente.
Fortuna che se fingi di sorridere va tutto bene.


Grazie per aver letto.
Avevo bisogno di sfogarmi.
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Messaggioda Maura » 13/07/2017, 9:20



Vorrei abbracciarti.
Solo un abbraccio senza dirti nulla.
  • 2

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Messaggioda A.M. » 13/07/2017, 9:26



Ciao, ho letto quello che hai scritto e credo che tu sia una persona profondamente sensibile ed originale. Mi dispiace tutto quello che hai vissuto. Anche io scrivo da Siena. Se ti fa piacere prendere un caffé e fare due chiacchiere io ci sono. (Ti ho inviato l'amicizia).
  • 1

A.M.
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Messaggioda Identità » 13/07/2017, 15:09



mi hai commosso tanto, sarà perchè ho percepito molto di me nelle tue parole ...
mi son immedesimato tantissimo nella tua vita e nelle tue sofferenze ..
se ti vanno due chiacchiere...mi farebbe molto piacere.
  • 0

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...nemmeno oggi lui è qua. Spero tanto che se ne andrà
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