Meditanti cercansi

Un appello ai praticanti di meditazione

Questo forum raccoglie sondaggi e attività che si vogliono condividere tra gli utenti.
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Re: Meditanti cercansi

Messaggioda Maura » 18/08/2017, 9:40



Adrien ha scritto:
Trascendentale ma come autodidatta, ma appena rientro voglio informarmi per un corso ad un centro vicino da me


Quindi senti adatto a te quel metodo, la ripetizione di un mantra? Riesci a concentrarti così?


Riesco a svuotare la mente, il che è tanto.
Ma voglio approfondire con qualcuno che ne capisce più di me


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Re: Meditanti cercansi

Messaggioda Ātman » 18/08/2017, 10:21



Maura ha scritto:Riesco a svuotare la mente, il che è tanto.
Ma voglio approfondire con qualcuno che ne capisce più di me


Fai bene a rivolgerti a una persona competente. Per quanto mi riguarda, l'uso di mantra è stato solo marginale, e comunque in unione ad altri metodi. Se lo utilizzavo da solo non mi dava grandi risultati: mi accorgevo che il chiacchiericcio mentale proseguiva in parallelo con la ripetizione del mantra, o comunque ne uscivo con una emicrania. :rolleyes:

Nella varie tradizioni spirituali è comunque uno dei metodi più antichi e considerati. Certo acquista più valore se unisce mente e cuore, come quando entra in gioco la devozione verso una qualche forma dell'Assoluto.
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Messaggioda Ātman » 18/08/2017, 10:26



Georgiana Spencer ha scritto:A me interessa moltissimo. Io utilizzo vari mantra, specie quelli dedicati a Shiva.
Ho frequentato un tempio hare krishna quando vivevo a Londra e ora devo dire che il mio stato interiore é ancora più propenso alla meditazione perchè ho raggiunto il distacco, non so capisci a cosa mi ruferisco.


La tradizione shivaita è affascinante da approfondire, può offrire livelli speculativi molto elevati, come quelli presenti nello shivaismo del Kashmir.

Il vero distacco è molto, molto difficile da raggiungere. Quando accade non c'è più un "io" che può vantarsi di averlo raggiunto.
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Messaggioda Ensō » 18/08/2017, 14:09



Adrien ha scritto:
Ensō ha scritto:Ciao Adrien,

io pratico la meditazione Zen. :)


Puro shikantaza o hai utilizzato anche i koan?


Sì, shikantaza, per i koan credo sia necessario essere seguiti da un maestro che abbia ricevuto un lignaggio.
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Messaggioda Ātman » 18/08/2017, 16:26



Ensō ha scritto:
Sì, shikantaza, per i koan credo sia necessario essere seguiti da un maestro che abbia ricevuto un lignaggio.


Credo che il vero senso e valore dei koan - e di altri metodi - sia stato espresso bene da Ken Wilber nel capitolo finale del suo "Lo spettro della coscienza", al quale ti rimando se non lo conosci già.
Quello che è paradossale, per un insegnamento che voleva essere anticonvenzionale e non ortodosso come lo Zen, è che nel corso dei secoli si sia creata una serie di domande e risposte standardizzate, che a quanto pare viene tuttora presa come riferimento negli attuali monasteri zen. L'adepto deve fornire esattamente la risposta riportata dai "manuali". Una nuova "sacra scrittura" per una tradizione che voleva allontanarsi da qualunque testo sacro e mirare all'essenza... Paradossale, no? :rolleyes:
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Messaggioda Ensō » 19/08/2017, 4:04



Caro Adrien,

più parliamo di Zen e più ci allontaniamo dal concetto stesso di Zen. :)
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Messaggioda Ātman » 20/08/2017, 9:33



Qualche accenno sul processo della meditazione, da un saggio della psicologa transpersonale Laura Boggio Gilot:

Fondamento del processo di meditazione è la pratica di autosservazione. L’autosservazione meditativa è assai diversa dall’autosservazione praticata nell’ordinaria consapevolezza e quindi dall’introspezione psicoterapica.

Nell’ordinaria consapevolezza l’osservazione è realizzata attraverso i filtri dei contenuti mentali con cui il soggetto percipiente è identificato: tali filtri sono il contesto dalla cui prospettiva è investigata e interpretata la realtà esterna ed interna. Nell’autosservazione questi filtri soggettivi diventano oggetti di osservazione: da contesto osservante diventano contenuti osservati e riconosciuti nella loro natura distinti dall’osservatore. La conoscenza di noi stessi richiede che noi guardiamo la realtà interiore liberi dai filtri soggettivi riempiti di sistemi di identificazione e di difese che ci fanno vedere solo ciò che possiamo o vogliamo vedere.

L’oggettivazione dei filtri percettivi produce un ampliamento della percezione che possiamo esemplificare con una metafora: se una foglia copre un occhio la visione dell’occhio sarà completamente oscurata e la foglia non sarà percepibile in se stessa, viceversa se la foglia è allontanata dall’occhio, questo è liberato dalla sua ostruzione e può riconoscere sia la foglia per quello che è, sia lo spazio che la foglia copriva. Come la foglia, anche i filtri percettivi rendono inconsapevoli sia della loro natura velante, sia di ciò che è velato. Dalla prospettiva meditativa, la coscienza ordinaria che è identificata con i contenuti mentali è una condizione di grave inconsapevolezza, che per irrealtà e deformazione proiettiva non è molto dissimile dalla nostra concezione della psicosi.

Il processo di autosservazione, che intende liberare la coscienza dai suoi filtri velanti, richiede come precondizione lo sviluppo di un’attenzione interiorizzata che è del tutto diversa dall’attenzione ordinaria, per grado di concentrazione, orientamento della direzione e qualità dell’osservazione.
Il fine della meditazione non giace nella ricerca di effetti o di esperienze clamorose, ma nella continua esperienza di un’attenzione assorta e concentrata che è inclusiva di ogni oggetto che appaia nel campo di osservazione. Il meditante attento resiste al tentativo di sfuggire le cose spiacevoli e di attaccarsi a quelle piacevoli, e osserva con equanimità tutto ciò che appare, accettando e rendendo oggetto di osservazione anche le reazioni e le resistenze prodotte dal riconoscimento di aspetti spiacevoli di se stessi e della realtà.

La pratica è distinta in fasi di progressivo approfondimento:

- nella prima fase si insegna a rivolgere l’attenzione agli oggetti semplici della percezione interiore, ovvero ai contenuti mentali così come fluiscono nel campo della coscienza: sensazioni, emozioni e pensieri che fluttuano e interagiscono nel campo della coscienza. In questa fase il meditante ha l’opportunità di comprendere la relazione tra sensazioni, emozioni e pensieri ed il ruolo del pensiero negativo nel costruire emozioni dolorose; inoltre, diventa poi consapevole delle resistenze all’osservazione, che evidenziano i meccanismi difensivi dell’io;

- in una seconda fase, il meditante è istruito a passare dall’osservazione degli oggetti semplici (sensazioni, emozioni e pensieri) all’osservazione del soggetto osservatore: in questa fase il focus dell’attenzione è arretrato e concentrato su colui che sperimenta il flusso mentale, non più sul flusso mentale in sé. Il vedente si distingue così dal visto, come uno spettatore da uno spettacolo […] Emerge così la natura delle autorappresentazioni e subpersonalità che come personaggi interiori dividono il campo della mente e costruiscono una folta trama di processi mentali. […]

Quando la coscienza si è sufficientemente allenata ad osservare i contenuti mentali e a scrutinare il processo percettivo, si può realizzare uno stato meditativo più profondo, in cui, ormai distinta dalla mente, la coscienza è in grado di riposare in se stessa senza essere coinvolta nel flusso mentale. Si realizza allora quello stato di serena e indisturbata centralità senza definiti confini, che può delinearsi come un posizione sintetica e integrativa, liberata sia dalla scompostezza dolorosa dei contenuti mentali, sia dalla prigionia che essi determinano e, perciò, in grado di operare su di essi."


O per dirla in altri termini:

Il segreto sta nella stessa attenzione che osserva la mente. Tutto ciò che si presenta alla mente cessa anche. Quando l’attenzione, che è il seme di ogni atto conscio della mente, improvvisamente si volge a se stessa, ci si trova al punto zero dell’esperienza. Quel punto zero è chiamato lo stato di Presenza. La meditazione negativa riguarda solo l’oggetto, l’osservato, mentre la meditazione positiva è rivolta sempre a quel “luogo” misterioso da cui sorge l’osservazione. Il soggetto, che costituisce l’essenza della meditazione, non è l’ego ma la primordiale esperienza diretta di ciò-che-è [isness].

Lo stato di Presenza riconosce direttamente se stesso senza l’intervento della mente. Possiamo definirlo il centro di coscienza, che precede sempre le sue espressioni fenomeniche. Da chiunque sia completamente aderente allo stato di Presenza è sperimentato in ogni momento come un flusso incessante di consapevolezza autocognitiva.


https://www.meditare.it/wp/risorse/oltr ... z-kristof/

E da lì si può andare oltre...
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Messaggioda Masquerade » 21/08/2017, 12:44



Argomento che mi interessa tanto.
Non sono un'esperta di tecniche meditative. Il mio approccio è stato piuttosto casuale. Un allenamento alla meditazione iniziato con un breve corso di training autogeno e poi ampliato con esercizi di meditazione durante due corsi di reiki.
Non ho approfondito con altre tecniche, ma devo dire che ho concentrato molto tempo su quelle apprese e ne ho visto i risultati.
Ho imparato molto su me stessa ed anche sulle mie potenzialità.
Ho imparato a reagire in determinati eventi che un tempo mi avrebbero messa facilmente ko.
A dire il vero ne ho visto i risultati anche con un accertamento medico fatto pochi mesi fa. Un elettroencefalogramma in privazione di sonno ha rilevato un'attività insolita di onde theta, che, a quanto pare, è riscontrata proprio in chi fa meditazione.
Oggi ne faccio meno, secondo il bisogno, ma all'inizio è stato necessario un esercizio costante.
So che molti non ci credono, ma la stessa psicoterapia oggi punta molto su tecniche meditative che, a lungo andare, aiutano tanto.
Io la consiglierei sempre. Durante un corso di psicobioenergetica ho provato anche la meditazione con il mantra. E devo dire che, seppur scettica, mi ha sorpresa molto, anche se non ho più avuto modo di riprovarci.
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Messaggioda Ātman » 21/08/2017, 13:24



Durante un corso di psicobioenergetica ho provato anche la meditazione con il mantra. E devo dire che, seppur scettica, mi ha sorpresa molto, anche se non ho più avuto modo di riprovarci.


Ne approfitto per precisare, onde evitare malintesi, di non aver mai criticato la tecnica o chi ne fa uso. Io stesso l'ho utilizzata in alcune occasioni, associata ad altri metodi per concentrarmi meglio, ma evidentemente non era un metodo che riuscivo a usare con continuità. Per chi riesce invece a praticare con costanza può essere la via più diretta, ed è giustamente apprezzata in tante tradizioni: penso all'esicasmo nel cristianesimo ortodosso, o al sufismo islamico (dove viene definito dhikr), per non parlare di tutto il repertorio di mantra del Buddhismo tibetano e del Tantrismo in genere. E, nonostante il grande successo di scuole come lo Zen in Estremo Oriente, formule mantriche sono approdate anche lì, e spesso gli stessi monaci zen non disdegnavano di usarle...
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Messaggioda Ātman » 30/08/2017, 10:33



Un interessante articolo su psicologia e meditazione:

http://www.gianfrancobertagni.it/materi ... olezza.pdf

Ne riporto qualche brano:

Immaginiamo, in una bella giornata primaverile, di stenderci su un
prato a guardare il cielo. La prima cosa che catturerà la nostra
attenzione, sarà il volo e il canto degli uccelli. Analogamente,
guardando il cielo della mente, la prima cosa che noteremo saranno
i suoi contenuti più evidenti: pensieri, percezioni, ricordi,
immagini, emozioni, che come uccelli attraversano il nostro spazio
mentale, catturando l'attenzione.

Ma, continuando a guardare il cielo, ben presto ci rendiamo conto
che i colori, le luci e le ombre dell'intero paesaggio possono
variare per via delle nuvole, le quali determinano il tono
generale della giornata: in alcuni momenti tutto è luminoso e
inondato di sole, in altri l'atmosfera si oscura e si fa cupa.
Parallelamente, nell'osservare la mente ci si accorge che il
flusso continuo dei suoi contenuti è, per dir così, 'colorato' da
un tono affettivo fondamentale, che - come le nuvole - incupisce o
rasserena il nostro umore.

Guardando ancora più attentamente, scopriamo che le nuvole sono
mosse da qualcosa di invisibile, ossia il vento, così come gli
umori della psiche sono mossi da pulsioni inconsce. Si tratta di
forze invisibili alla coscienza, ma individuabili in base ai
cambiamenti che operano sulla superficie della mente conscia,
proprio come si può dedurre la direzione del vento, di per sé
invisibile, in base agli spostamenti delle nuvole.

Infine, osservando con uno sguardo ancora più vasto e profondo,
possiamo accorgerci che tutto il fantasmagorico gioco degli
uccelli, delle nuvole e del vento avviene nel grande spazio del
cielo, che resta sempre uguale a sé stesso e si trova sopra, sotto
e anche dentro di noi, perché in definitiva viviamo su un pianeta
sospeso nello spazio e noi stessi siamo, in qualche modo, fatti di
spazio. Allo stesso modo, osservando i mutevoli contenuti della
mente conscia e inconscia, può capitare di scorgere, al di là di
essi, il vasto sfondo di consapevolezza vuota ed aperta che li
ospita e li illumina.

Alla luce della metafora del cielo, potremmo dunque asserire che
la consapevolezza psicoterapeutica e la consapevolezza meditativa
prestano attenzione alle stesse cose (uccelli, nuvole, vento e
cielo), perché la mente è il comune campo d'investigazione per
entrambe le discipline: però la psicologia del profondo è più
interessata ai contenuti mentali (= uccelli, nuvole, vento),
mentre invece la meditazione è più interessata allo sfondo
transpersonale della pura consapevolezza (= il cielo).

Ciò non toglie che, durante il processo meditativo, si possa
verificare lo scioglimento di qualche nodo psicopatologico, o che,
nel mezzo di una psicoterapia - nel momento in cui ci s'imbatte
nei temi cruciali del destino, della sofferenza, della morte, del
proprio unico piccolo io che si confronta con i grandi misteri
dell'esistenza e con gli universali interrogativi che travagliano
l'umanità intera - possano aprirsi sprazzi e barlumi attraverso
cui, d'un tratto, s'intravvede la vastità infinita del cielo
dietro le nubi (ossia un'apertura al transpersonale), anche se non
è questo lo scopo primario della psicoterapia, così come non lo è
della meditazione la guarigione da una psicopatologia.


Occhio però a praticare meditazione se si soffre di gravi psicopatologie:

Nella pratica meditativa della consapevolezza fin
dall'inizio è richiesta la capacità d'instaurare dentro di sé
un'interazione bipolare fra polo osservante e polo sperimentante
e ciò esige la presenza di un io già sufficientemente integrato
ad un livello minimo di sanità di base.

Un paziente borderline, per esempio, la cui patologia comprende
una seria diffusione dell'identità, per molto tempo sarà costretto in terapia
a delegare in gran parte all'analista il polo osservante,
finché una maggiore integrazione dell'io
non gli permetterà di assumerlo su di sé. In casi come
questo, intraprendere un cammino meditativo (che richiede, come si
è visto, un livello minimo di sanità mentale, capace di instaurare
fin dall'inizio dentro di sé un polo osservante che non sia
completamente coinvolto nei meccanismi psicopatologici) sarebbe
non solo inefficace, ma anche controproducente o addirittura
pericoloso: se manca un punto d'osservazione
esterno alla propria patologia, la meditazione non è più tale, ma
si trasforma essa stessa in un'espressione patologica.

Allora un meditante che soffra, per esempio, di una diffusione
d'identità accompagnata da difese schizoidi (che gli conferiscono
un fallace senso di impassibilità, freddezza ed estraniazione da
ogni legame affettivo, accompagnate talora da esperienze di
spersonalizzazione) s'illuderà di essere molto avanti sul cammino
verso il trascendimento dell'io e verso un male inteso distacco
dalle cose del mondo, usando in realtà la meditazione per
rafforzare la propria patologia.

È dunque di cruciale importanza comprendere che la meditazione
non è una psicoterapia. Accade di frequente che persone sofferenti
di ansia o angoscia si rivolgano alla meditazione per cercare un
sollievo al proprio disagio. Ma, se la loro vita è troppo
disordinata, se la loro psiche è troppo squilibrata, meditare non
li farà stare meglio e in molti casi aumenterà anzi la percezione
della propria ansia: la consapevolezza meditativa, infatti, agisce
come uno specchio - a volte impietoso - che riflette la nostra
situazione così com'è, senza condanne né assoluzioni. Se ci sono
aree della nostra vita e della nostra psiche dove è necessario
mettere ordine, lo specchio della meditazione smaschererà le
nostre illusioni e difese a riguardo.

Per queste ragioni, in genere chi abbia una situazione di vita
particolarmente problematica, disarmonica, conflittuale o
squilibrata viene vivamente sconsigliato di partecipare a lunghi
ritiri di meditazione intensiva. Troppo spesso i ritiri di
meditazione vengono usati come alibi per non affrontare i propri
problemi e compensarli attraverso l'assunzione di false identità.

Dunque, l'utilizzo improprio della meditazione come psicoterapia
da parte di persone con gravi turbe psichiche e carenze evolutive
dell'io non solo è per lo più inefficace, ma può anche risultare
controproducente o persino pericoloso per l'equilibrio psichico.
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