L'immagine che più mi rappresenta, in questo momento, sono io che guardo una spaventosa tempesta distruttrice che ha già fatto fuori tutto quello che ha incontrato e si dirige verso di me che la guardo, immobile un po' per scelta, un po' per impotenza.
So che quando si riverserà su di me ne farà brandelli ma non posso impedirlo e chissà, forse non voglio.
Ho cominciato a stare male verso i 14 anni, facevo la prima liceo.
Non so cosa fosse ma non volevo andare a scuola perché non mi sentivo a mio agio con i miei compagni di classe, preferivo stare a casa, da sola, a pensare alle mie cose o a letto.
Ricordo che con le lacrime che mi rigavano il volto me ne stavo seduta sul pavimento del bagno dopo aver vomitato alle 7e mezza mentre mia madre mi urlava di sbrigarmi minacciandomi di trascinarmi a scuola per i capelli.
Non era malessere per lei, ignoranza.
Per lei stavi male solo se c'era del sangue, o se il mio vomito avesse contenuto del cibo. Ma a lei non hanno mai detto che l'anima non sanguina e nel mio vomito non c'era niente.
Ho iniziato ad andare da una psicologa a 15 anni.
Non so dire se fosse depressione perché la psicologa con me non ha mai usato quella parola però io stavo così, la maggior parte del tempo.
Poi un bel giorno è sparito tutto, dal giorno alla notte, come se non fosse mai accaduto.
Ripresi a frequentare la scuola con assiduità, sentendomi persino contenta qualche volta.
Ero contenta perché non sapevo che in realtà quel malessere non era sparito per niente. Perché se le cose non le affronti queste prima o poi tornano a chiederti il conto, non si scappa.
Ricominciò tutto verso i 19 anni. O erano i 20. Facevo giurisprudenza e la detestavo con tutta me stessa.
Ripresi a non voler frequentare e a stare sempre sulle mie, muta e silenziosa. Mi allontanai da quelle poche amicizie che non se n'erano già andate (non per colpa del mio malessere ma per cattiveria credo, o perché il loro affetto nei miei confronti era finito) perché volevo stare da sola. Mi faceva stare malissimo stare da sola ma era solo questo che volevo.
Le cose degenerarono fino al punto in cui per dormire avevo bisogno dei sonniferi perché se stavo sveglia mi venivano le crisi di pianto e singhiozzo, perché pensavo a quanto forte fosse il mio malessere.
Un giorno mi trovai a pensare che se fosse bastato saltare giù dalla finestra per stare bene, io l'avrei fatto. Fu un sollievo quel pensiero, un sollievo folle e assurdo ma pensare alla morte come ad una via di fuga mi faceva stare bene. Non sarebbe stato per sempre, potevo morire e potevo essere io a causarlo.
Folle.
Quanto male dovevo stare per pensare con piacere alla morte?
Capivo benissimo che non poteva andare e così feci qualcosa di inaspettato rivoluzionando la mia vita.
Una nuova facoltà, un percorso sportivo, apertura verso il prossimo, tutto da sola e stavo bene.
So bene quanto la speranza sia a doppio taglio e quanto la fortuna sia una componente importante nella vita ma io credevo, avevo fede nel domani, nel futuro, in quello che sarebbe arrivato.
Sì arrivato, perché purtroppo non tutto puoi costruirtelo da solo, per certe cose ci vuole fortuna, l'ho imparato col tempo.
Avevo stretto amicizie, intrecciato conoscenze, faticavo ma niente di insopportabile perché mi piaceva la mia vita e mi piacevo io.
Tutto sereno fino a quando qualcuno non mi ha dimostrato quanto crudele possa essere l'animo umano, quanto menefreghista sia il prossimo,quanto non ci sia più senso della misura, di porre fine ad un gioco crudele che non diverte nessuno. Ho capito quanto la sfortuna fosse parte di me. E allora la speranza si è frantumata e con lei anche una parte di me.
Adesso piango perché non voglio andare in facoltà domani ma so di doverlo fare perché allo stesso modo so cosa significherebbe non andare. So cosa verrà dopo perché è un film che ho già visto e che pensavo di aver buttato via.
Non ho più voglia di parlare con le persone a me vicine, sono contenta al pensiero che domani le mie colleghe non ci saranno e io starò da sola tutto il tempo.
Sta succedendo di nuovo tutto, lo so.
Mi sento in una gabbia da cui non so uscire, mi sento morire ogni giorno di più ma questa volta sono anche spaventata perché le ho già provate tutte e sono finita qui, perché mi sto rassegnando davanti ai fatti, perché mi sto spegnendo e non so che fare... Non so che fare...
Non so perché ho detto tutte queste cose ma mi sento veramente a pezzi.