Se l'avere caratteristiche differenti dalla comunità non comporta fattori positivi a lungo termine per se stessi o per gli altri, allora non è nulla per cui esserne orgogliosi o ritenersi fortunati.
La verità è questa.
Io non posso avvicinarmi a lei, a ciò che sogno, perché siamo differenti. E perché siamo differenti?
Perché non traggo benessere, n'è sono attratto dalle stesse dinamiche che accumunano in gran parte tutti gli altri a livello sociale, anzi spesso in simili contesti mi sento a disagio al punto da evitare il più possibile di finirci in mezzo. E di chi è la colpa?
Non di certo mia.
Tenersi lontani dalla comunità non è il modo ideale per sviluppare al meglio se stessi e il modo ideale per ammettere al mondo che qualcuno è responsabile dell'esperimento fallito quale rappresenti.
Dove sono altrimenti i miei seguaci? Quelli che prendono ispirazione da me? Quelli che vedono nel mio vivere una valida alternativa alla comune e tipica esistenza umana?
Se qualcuno continua a mantenere un determinato status quo, contribuisce solo ad alimentare l'illusione o la menzogna che tutto sia corretto nel modo in cui si svolge e manifesta, nel modo in cui ci si è abituati con il tempo, convinti che fosse adeguato ma sempre accompagnato da un'approvazione minima, praticamente nulla.
Se sorridi al bambino che imbratta un edificio scolastico causando dei danni materiali dai la tua approvazione, fai intendere che non c'è nulla di male in quello che hai appena fatto, non si può essere così ciechi.
Io ho vissuto in passato con persone che hanno giustificato il mio essere differente forse per non ammettere di aver sbagliato nella formazione dell'individuo, se sai che per vivere bene in questo mondo (non isolato in una stazione artica) l'uomo deve essere al meglio integrato nella comunità, cerchi di farlo accettare il prima possibile, lo introduci in vari contesti sociali, non lo tieni in disparte favorendo l'espansione incontrollata della sua interiorità.