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Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:06



MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO

Il cardine del sistema circolatorio è il cuore, che "pompa" il sangue che, a sua volta, convoglia le sostanze necessarie al nutrimento e quindi al funzionamento di tutto l'organismo. Un sistema complesso che può "incepparsi" in vari modi, attraverso il malfunzionamento della pompa centrale o una disfunzione dei vasi sanguigni, o ancora a causa della fragilità di un'arteria o un suo irrigidimento e la conseguente incapacità di assorbire l'aumento della pressione sanguigna. Sono questi meccanismi a determinare una malattia del sistema circolatorio.

Arteriosclerosi
La parola chiave dell'arteriosclerosi è "endotelio", la sottile e delicata pellicola che riveste la parete interna dei vasi sanguigni ed è a diretto contatto con il flusso ematico. E' grazie alle sue caratteristiche che il sangue resta fluido e non coagula come quando fuoriesce da una ferita.L'arteriosclerosi ha inizio quando l'endotelio viene, in qualche modo, danneggiato.

L'arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori
Quando la malattia interessa i vasi che portano il sangue alle gambe, alle volte, si hanno una serie di disturbi, più o meno invalidanti, il più caratteristico dei quali è la claudicatio intermittens. I medici chiamano questa condizione arteriopatia ostruttiva periferica (AOP).

Bradicardia
Che cos'è? La bradicardia sinusale è, la diminuzione della frequenza cardiaca (tra 40 e 60 battiti al minuto).

Palpitazioni
La palpitazione o cardiopalmo è la sensazione soggettiva suscitata da una aritmia cardiaca, cioè l'aumento improvviso e repentino della frequenza del battito cardiaco.

Le cardiopatie congenite
Con la denominazione di cardiopatie congenite si definiscono tutti quei difetti più o meno gravi del cuore che si manifestano alla nascita e sono tra i più frequenti: riguardano 8 casi ogni 1000 nati.

Il Colesterolo
Una serie di studi epidemiologici hanno messo in evidenza la correlazione tra i valori del colesterolo nel plasma ed eventi ischemici cardiovascolari; dagli stessi studi è emerso inoltre che vari fattori di rischio, tra cui fumo, diabete e obesità, si potenziano a vicenda, per cui tanto più numerosi sono i fattori di rischio in un singolo individuo, tanto maggiore sarà la probabilità di morte per cause cardiovascolari.

Il colesterolo: le terapie
L'ipercolesterolemia è un importante predittore di rischio cardiovascolare unitamente ad altri fattori più o meno importanti. La sola dieta, se i valori di colesterolo sono al di là un certo valore, non è efficace, tantomeno i vari integratori in commercio. La terapia farmacologica, in molti casi, è d’obbligo e i farmaci più efficaci ed utilizzati per la riduzione del colesterolo sono le Statine, di cui esistono diversi tipi in commercio.

Extrasistole
L'extrasistole è, una aritmia cardiaca, cioè la contrazione prematura del cuore o di una sua parte, che altera la successione regolare dei battiti.

La Fibrillazione atriale
La fibrillazione atriale è un'aritmia cardiaca, un tipo di tachicardia caratterizzato da un numero di battiti, teorico, compreso tra i 300 e 600 al minuto. Si tratta di una patologia relativamente diffusa (in Italia ne soffrono circa mezzo milione di persone) che colpisce in prevalenza la popolazione anziana, gli ultrasettantenni, e che si protrae per un certo periodo di tempo, può provocare un ictus o danni al muscolo cardiaco.

Insufficienza cardiaca: Identikit dello scompenso cardiaco
L'insufficienza cardiaca è uno stato fisiopatologico nel quale il cuore non riesce a pompare il sangue in quantità adeguata alle richieste metaboliche dei tessuti oppure può farlo solo con 'pressioni riempimento' sanguigno elevate.

Insufficienza cardiaca: Perchè il cuore si scompensa
Lo scompenso è una malattia a carattere progressivo in cui si verifica un deterioramento della struttura e della funzione cardiaca.

Insufficienza cardiaca, scompenso cardiaco, diagnosi
Dal momento che lo scompenso cardiaco sta diventando uno dei problemi più importanti della medicina moderna, la diagnosi, corretta e precoce, è un fase fondamentale nella parabola evolutiva della malattia.

Varici
Semplici inestetismi o vera e propria malattia, le varici rappresentano ancor oggi un serio problema sanitario e sociale. Molto frequenti specie nel sesso femminile, si stima che una donna su dieci tra i 30 e 60 anni presenti questa patologia, le varici sono dilatazioni venose che per lo più colpiscono gli arti inferiori, gambe e cosce.

Ipertensione
L'ipertensione arteriosa è una condizione morbosa caratterizzata da un aumento dei valori della pressione arteriosa sistolica o massima (rilevabile durante la sistole che è la fase di contrazione del cuore) e della pressione diastolica o minima (determinata dalla fase di riposo o rilasciamento del muscolo cardiaco).

L'ipertensione arteriosa resistente
I valori della pressione arteriosa cambiano con l’età e tendono a modificarsi non solo con l’avanzare degli anni ma anche nel corso della giornata: in genere sono più alti al risveglio e diminuiscono durante il giorno e possono variare a causa di sollecitazioni fisiche ed emotive.

Ipotensione
Per ipotensione si intende quella condizione caratterizzata da valori della pressione sanguigna inferiori alla normalità. L'ipotensione può manifestarsi in conseguenza di altre patologie, per esempio in presenza di uno scompenso cardiaco, di insufficienza dei surreni, di denutrizione e di disidratazione.

Pericardite
La pericardite è un processo infiammatorio che coinvolge la guaina fibrosa che riveste il cuore, detta 'pericardio'.I sintomi possono ricordare quelli di un attacco cardiaco ed includono, dolore toracico ed alterazioni del ritmo cardiaco. La causa è sconosciuta o dovuta ad infezioni virali ma il decorso è sovente benigno ed autolimitantesi, con un trattamento per il quale può essere sufficiente la sola aspirina.

Tachicardia
La tachicardia è, l'aumento della frequenza dei battiti cardiaci oltre il normale valore, dovuta ad aumento del ritmo sinusale.

Aritmie cardiache
Con il termine aritmie si intendono le alterazioni del regolare ritmo e della frequenza delle pulsazioni cardiache. Il ritmo cardiaco normale ha origine nel nodo senoatriale ed è definito ritmo sinusale.

Infarto
La cardiopatia ischemica nelle sue forme (angina pectoris, infarto acuto del miocardio) rappresenta la prima causa di ricoveri nella maggior parte dei paesi industrializzati.




L'apparato circolatorio è l'apparato del corpo umano deputato al corretto funzionamento della circolazione sanguigna, ed è composto da una pompa, cioè il cuore, che è l'organo più importante di questo sistema, e da una serie di tubi che raggiungono ogni area ed ogni organo del corpo, cioè i vasi sanguigni, distinti in arterie, vene, capillari e linfatici.
La circolazione del sangue è fondamentale per l'organismo poiché è tramite essa che ad ogni singola cellula del corpo vengono forniti ossigeno e sostanze nutritive, quindi aminoacidi, zuccheri e grassi. Viene resa possibile dall'azione del cuore, che è un muscolo cavo che attraverso le sue contrazioni, spontanee e ritmiche, fa circolare il sangue in due differenti circuiti, quello polmonare o piccola circolazione, e quello sistemico o grande circolazione.

Attraverso la piccola circolazione il sangue venoso, quindi che trasporta anidride carbonica, viene pompato dal cuore verso i polmoni, dove si scarica, si purifica, carica ossigeno e poi torna al cuore. Da qui riparte per la grande circolazione, cioè viene immesso nelle arterie e raggiunge ogni parte dell'organismo, dove cede l'ossigeno e prende l'anidride carbonica. A questo punto torna verso il cuore attraverso le vene, rientra nel circuito polmonare e ricomincia da capo il suo viaggio.
Sangue venoso e sangue arterioso non entrano in contatto: il cuore infatti, sezionato in senso longitudinale, appare nettamente distinto in due aree, divise da un setto verticale. La parte destra viene chiamata cuore venoso, perché qui passa il sangue venoso, quella sinistra è il cuore arterioso, dove circola il sangue arterioso. Se invece lo si considera rispetto alla parte superiore e inferiore, si vedrà che sopra ci sono due cavità chiamate atri, e sotto altre due cavità chiamate ventricoli.

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Posizione del cuore rispettoagli altri organi adiacenti

Il cuore si trova nella parte del torace chiamata mediastino, cioè la cavità situata tra i polmoni.
Il cosiddetto pericardio è composto da epicardio, un foglietto che aderisce perfettamente al muscolo cardiaco, e dal pericardio propriamente detto, un altro foglietto che lo circonda creando una sorta di cavità in cui il cuore può contrarsi liberamente. La parete della cavità è a sua volta coperta da una membrana, denominata endocardio.
Per quanto riguarda la forma, può ricordare vagamente un cono rovesciato, con la base in alto e la punta in basso a sinistra. Le dimensioni variano da persona a persona e in base al riempimento; in media, per quanto riguarda un uomo adulto, si parla di 13 centimetri in senso longitudinale, quindi dall'apice alla parte superiore, e 11 centimetri in senso trasversale, mentre lo spessore nella direzione che va dalla spina dorsale allo sterno è di massimo 8 centimetri. Nelle donne è lievemente più piccolo. Anche nel peso non c'è un valore standard: il peso medio è di circa 300 grammi, ma può variare fra 280 e 340 in un maschio adulto e fra 230 e 280 grammi in una femmina adulta. Le cavità rilasciate possono contenere quasi 500 millilitri di sangue.

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Il cuore è dunque non solo sezionabile longitudinalmente in una parte destra e sinistra, ma anche trasversalmente: il solco detto coronario o atrioventricolare separa la parte superiore, composta da due atri, uno destro e uno sinistro, e la parte inferiore, con i due ventricoli. Gli atri sono separati tra loro dal solco interatriale, i ventricoli sono divisi da due solchi, uno anteriore e uno posteriore, detti interventricolari.

Per quanto riguarda l'esterno, si riconoscono una faccia anteriore o sternocostale, una posteroinferiore o diaframmatica, una base e un apice. La base è composta dalla faccia posterosuperiore degli atri, all'altezza delle vertebre toraciche 5°-8°, ed è in rapporto con aorta discendente ed esofago. L'orifizio di sbocco di vena cava superiore ed inferiore è in corrispondenza dell'atrio destro, quello delle vene polmonari di destra e sinistra è invece in corrispondenza dell'atrio sinistro.

La punta bassa del cuore, ossia l'apice, corrisponde al verticolo sinistro ed è in rapporto col polmone sinistro all'altezza del quinto spazio intercostale. La parte destra e quella sinistra del cuore non sono in comunicazione, ma all'interno di ogni parte comunicano fra loro le due cavità corrispondenti: atrio e ventricolo sono in comunicazione tramite l'orifizio atrioventricolare, sia a destra sia a sinistra. Quindi ci sono due orifizi, che regolano il passaggio del sangue e ne bloccano il reflusso. La valvola dell'orfizio atrioventricolare destro si chiama tricuspide (ossia ha tre cuspidi, tre lembi a punta), quella dell'orifizio atrioventricolare sinistro è la valvola mitrale, che ha due cuspidi. I muscoli papillari sono strutture colonnari che si trovano nei ventricoli e che collegano apice e pareti dei ventricoli ai lembi delle valvole, a cui sono fissati tramite i tendini detti corde tendinee.
Nei ventricoli ci sono anche i forami arteriosi: a destra quello per l'arteria polmonare, a sinistra quello per l'aorta. Anche gli osti arteriosi hanno delle valvole, dette semilunari perché ognuna è formata da tre lembi semilunari.

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L'aia cardiaca è l'area della parete toracica anteriore in cui si trova il cuore, la cui rappresentazione è utile durante l'esame obiettivo per valutare se morfologia e fisiologia del cuore sono nella norma. La percussione infatti può rendere l'idea delle dimensioni e con l'ascultazione si valutano i toni cardiaci, cioè i rumori prodotti dal flusso del sangue attraverso gli osti cardiaci. L'ascultazione si fa su punti specifici, chiamati focolai di ascoltazione, che sono quattro. Il primo è il focolaio mitralico: il rumore è conseguente alla contrazione del ventricolo sinistro, e si ascolta nella regione chiamata itto della punta, che corrisponde all'apice del cuore, nel quinto spazio intercostale.

Il secondo è il focolaio tricuspidale, il cui rumore corrisponde alla contrazione del ventricolo destro, e si ascolta nel quinto spazio intercostale destro, vicino allo sterno. Poi c'è il focolaio polmonare, nel secondo spazio intercostale sinistro presso lo sterno, dove si apprezza principalmente il rumore dovuto all'attività dell'arteria polmonare. Infine il focolaio aortico, all'estremo costale del secondo spazio intercostale destro, permette di ascoltare il rumore causato dall'attività aortica. Quindi l'aia cardiaca permette di individuare i punti che corrispondono agli osti arteriosi, polmonare e aortiso, e venosi, orifizi atrioventricolari destro e sinistro.


Fisiologia

Il cuore funziona come una pompa, permettendo la circolazione del sangue, e questo avviene grazie al fatto che si contrae spontaneamente e ritmicamente. Questo movimento continuo è generato da stimoli elettrici che nascono proprio all'interno del cuore, nel tessuto o sistema di conduzione. Questa parte del cuore è formata da fibre muscolari il cui compito non è quello di contrarsi: trasmettono gli stimoli elettrici che fanno sì che si contragga il cuore.
Lo stimolo elettrico vero e proprio nasce in una parte del cuore, nell'atrio destro in corrispondenza della vena cava superiore, chiamato nodo del seno. Ha questo nome poiché è composto da un insieme di elementi muscolari disposti a nodo, o a gomitolo. Lo stimolo elettrico qui prodotto si trasmette al tessuto muscolare dell'atrio, che si attiva e si contrae; quindi interessa il nodo atrio-ventricolare, nel setto interatriale, dove parte un nuovo impulso elettrico. Questo viaggia attraverso fibre specifiche, nel setto interventricolare, che fanno parte del cosiddetto fascio di His, il quale si divide in due branche, a destra e a sinistra, che formano la rete di Purkinje sotto l'endocardio ventricolare. Il ritmo che il nodo del seno dà al cuore è detto sinusale; il ritmo sinusale è pari a una frequenza cardiaca, in condizioni normali, tra circa 70 e 75 battiti al minuto. Gli altri centri esistenti in grado di far contrarre il cuore seguendo una specifica frequenza, quindi capaci di automatismo, determinano una frequenza minore.

La variazione della frequenza cardiaca può essere causata da vari fattori che influenzano l'attività del nodo del seno; così come il sistema nervoso simpatico la accelera, il sistema nervoso parasimpatico la rallenta. Le correnti prodotte dalla propagazione degli stimoli elettrici possono essere registrate con un elettrocardiogramma.

Tutta questa attività di trasmissione degli stimoli elettrici e contrazione serve a far sì che il cuore mantenga la sua funzione di pompa aspirante e premente, la cui energia è fornita dalla sua stessa contrazione. Questo lavoro serve a far funzionare la circolazione sanguigna all'interno di vene, arterie e capillari, e si parla di un volume di traffico di circa cinque litri di sangue al minuto, in condizioni normali. Se ci si sottopone a uno sforzo fisico particolarmente intenso, il cuore può arrivare a pompare fino a venti litri di sangue al minuto.

Tutto il lavoro che il cuore compie contraendosi e rilasciandosi è un ciclo che si chiama rivoluzione cardiaca; le due fasi che si susseguono senza sosta sono dette rispettivamente sistole, cioè la fase di contrazione, e diastole, la fase di rilasciamento. La capacità di pompare è dovuta alla parete muscolare e al sistema vascolare: il cuore contraendosi crea pressione sul sangue che si trova nelle cavità cardiache, che tramite le valvole viene spinto nell'aorta e nel tronco polmonare, i due grandi tronchi che si originano dal miocardio. Le valvole assicurano che il sangue possa procedere solo in una direzione. Il sangue che proviene dalla periferia del corpo si raccoglie nell'atrio destro, quello che arriva dai polmoni nell'atrio sinistro. Dagli atri il sangue passa ai ventricoli, che svolgono la vera funzione di pompa, poiché si contraggono creando una pressione più alta e spingendo così il sangue nell'aorta o nel tronco polmonare. I ventricoli sono più sviluppati degli atri, e hanno uno spessore molto maggiore; mentre gli atri lavorano a pressioni molto basse, i ventricoli sviluppano pressioni molto più alte.

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Come visto, alla base della circolazione c'è il concetto di pressione: se nelle arterie il sangue procede grazie direttamente alla spinta cardiaca, in vene e capillari il sangue scorre grazie alla differenza di pressione tra questi vasi e gli atri che hanno una pressione bassissima, quasi nulla. La pressione dipende anche dalle pareti dei vasi che si contraggono, dalla quantità di sangue in circolo, e anche dalla contrazione dei muscoli scheletrici, che aiuta il ritorno venoso.
Quando si parla di misurare la pressione arteriosa, si intende la misura della pressione che c'è nel sistema circolatorio. Si parla di massima e minima perché la massima corrisponde alla fase sistolica e la minima a quella diastolica. Da qui si può capire l'importanza della pressione e la sua misurazione. Un calo di pressione può portare anche alla perdita di conoscenza perché se dalla pressione dipende la circolazione del sangue, una riduzione notevole comporterà un impedimento della corretta circolazione fino al cervello: questo determina la perdita di coscienza, e in casi estremi si può arrivare al collasso cardiocircolatorio e alla morte.

Arterie e vene
Le arterie sono i vasi sanguigni che si diramano dal cuore fino alla periferia dell'organismo. Se in partenza hanno un diametro che può arrivare fino a 25-30 millimetri, più si allontanano dal cuore più si ramificano, diminuiscono di grandezza e diventano le cosiddette arteriole, con un diametro medio di 0,2 millimetri. Le arteriole a loro volta si ramificano in vasi ancora più piccoli, i capillari arteriosi, che hanno un diametro tra 7 e 30 micron (1 micron equivale a un millesimo di millimetro). I capillari arteriosi sboccano nei capillari venosi e nelle vene. Le vene compiono il percorso inverso delle arterie: vanno dalla periferia al cuore. Se le arterie infatti portano alle cellule sangue ossigenato, il compito delle vene è quello di riportare indietro, verso il cuore, il sangue che ha ceduto l'ossigeno e le sostanze nutritive, e si è caricato in cambio dei rifiuti, tra sostanze e gas come anidride carbonica.

Come abbiamo visto, il cuore può idealmente essere suddiviso in cuore destro e sinistro: è il cuore destro che raccoglie il sangue venoso dal corpo e lo pompa nei polmoni.
Il percorso è il seguente: il sangue "sporco", che viene dalla periferia del corpo, arriva a confluire nelle vene cave superiore ed inferiore, da qui entra nell'atrio destro, viene spinto nel ventricolo destro, immesso nell'arteria polmonare, che lo porta ai polmoni per ossigenarsi. Il cuore destro quindi raccoglie e spinge solo sangue venoso, che contiene anidride carbonica. Questo processo si chiama piccola circolazione, cioè la circolazione che riguarda il sangue venoso raccolto nel cuore destro che arriva ai polmoni, viene ossigenato negli alveoli polmonari e viene riportato al cuore, stavolta alla parte sinistra. Della piccola circolazione fanno parte il tronco polmonare che parte dal ventricolo destro, e si divide in arteria polmonare destra e sinistra (ognuna raggiunge il polmone corrispondente); e le vene polmonari, che portano il sangue purificato nei polmoni nell'atrio sinistro. Da qui il sangue passa al ventricolo sinistro e viene pompato verso il corpo tramite l'arteria chiamata aorta. Il cuore sinistro quindi contiene solo sangue ossigenato, destinato ad arrivare a tutte le cellule del corpo: il viaggio del sangue verso il corpo è la cosiddetta grande circolazione.

L'aorta, il tronco da cui poi si diramano tutte le arterie della grande circolazione, parte dal ventricolo sinistro, scende lungo la colonna vertebrale, percorre cavità toracica e addominale, al livello della quarta vertebra lombare termina, diramandosi nelle arterie iliache. L'aorta viene suddivisa in tre porzioni: aorta ascendente, tra cuore e metà sterno, da cui partono le coronarie; arco dell'aorta e infine aorta discendente, che comprende aorta toracica e aorta addominale.

Naturalmente il cuore oltre a pompare il sangue ne è a sua volta irrorato, e ha anzi delle pareti muscolari altamente vascolarizzate, nel caso debba far fronte ad un aumentato fabbisogno energetico, ad esempio per uno sforzo intenso. Le arterie che irrorano il cuore sono dette coronarie e si formano all'origine dell'aorta ascendente, nei seni aortici di Valsalva. Le due coronarie originarie, la destra e la sinistra, si ramificano in vasi che diventano sempre più piccoli e raggiungono tutte le parti del cuore. La coronaria sinistra inizia con un tratto che è detto tronco comune, e poi si dirama in ramo interventricolare anteriore e ramo circonflesso. Orientativamente si può dire che questi rami portano sangue alla parte sinistra del cuore, mentre la destra è irrorata dalla coronaria destra.
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Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:16



ARITMIE CARDIACHE
Cosa sono

Con il termine aritmie si intendono le alterazioni del regolare ritmo e della frequenza delle pulsazioni cardiache. Il ritmo cardiaco normale ha origine nel nodo senoatriale ed è definito ritmo sinusale.

Consideriamo aritmie cardiache:

Palpitazioni
Tachicardia sinusale e parossistica
Bradicardia sinusale
Extrasistole


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PALPITAZIONI (CARDIOPALMO)

Che cos'è

La palpitazione o cardiopalmo è la sensazione soggettiva suscitata da una aritmia cardiaca, cioè l'aumento improvviso e repentino della frequenza del battito cardiaco. Viene comunemente riferita come sensazione di cuore in gola. Può essere espressione di malattie cardiache o semplicemente riflettere situazioni di stress psichico. Generalmente insorge nelle persone soggette a una violenta tensione o ad ansietà e non è per forza indice di una patologia cardiaca, è spesso l'espressione di una condizione di emotività eccessiva.


TACHICARDIA

TACHICARDIA SINUSALE

La tachicardia è, l'aumento della frequenza dei battiti cardiaci oltre il normale valore, dovuta ad aumento del ritmo sinusale. Emozioni, esercizio fisico, ipertiroidismo, abuso di caffè, fumo, anemia, febbre, ipotensione, nevrosi cardiaca, farmaci possono provocare l'insorgere di tachicardia sinusale; questa può essere asintomatica, oppure dare cardiopalmo. L'inizio e la scomparsa sono sempre graduali, mai improvvisi. La terapia è legata alla causa che determina la comparsa di tachicardia.

TACHICARDIA PAROSSISTICA

La tachicardia parossistica è, una aritmia cardiaca, determinata dalla stimolazione anomala di un centro generante impulsi, che si sostituisce al nodo senoatriale, ed assume il comando del ritmo cardiaco per un tempo più o meno lungo.
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La frequenza cardiaca può variare tra 120 e 200 battiti al minuto, secondo la localizzazione di questo centro anomalo. Le cause sono diverse: lesioni organiche del cuore (ischemia, miocarditi reumatica o ipertensiva..., intossicazioni farmacologiche, intossicazioni voluttuarie (fumo, alcool), riflessi gastrocardiaci (meteorismo, aerofagia), a volte è definita funzionale. Gli attacchi tachicardici presentano diversa durata e possono accompagnarsi ad ansia, sudorazione, ipotensione, sensazione di cardiopalmo. La terapia è fondata sull'uso di farmaci antiaritmici e sulla ricerca e cura della condizione patologica di base, da effettuarsi in ambiente specialistico.

BRADICARDIA
Che cos'è

La bradicardia sinusale è, la diminuzione della frequenza cardiaca (tra 40 e 60 battiti al minuto).

Cause

Può essere fisiologica oppure manifestarsi in conseguenza di ipertensione endocranica, emorragia imponente, intossicazione farmacologica, blocco di conduzione atrio-ventricolare.
Una modesta bradicardia è asintomatica, nei casi più gravi si accompagna a perdita di coscienza e convulsioni.
Nelle forme gravi di bradicardia, dovute a grave blocco della conduzione atrio-ventricolare diventa necessario applicare al paziente un pace maker.

EXTRASISTOLE
Che cos'è

L'extrasistole è, una aritmia cardiaca, cioè la contrazione prematura del cuore o di una sua parte, che altera la successione regolare dei battiti. Il soggetto avverte una strana sensazione in corrispondenza della regione cardiaca, come un improvviso rallentamento del battito cardiaco, di un battito mancato, di un colpo al petto o di un nodo alla gola. Tra questa contrazione prematura e il successivo battito intercorre una pausa leggermente più lunga, che suscita la sensazione di arresto del cuore. Le exttrasistole possono avere una durata diversa, essere del tutto asintomatiche o essere accompagnate da ansia e sudorazione.
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Si distinguono extrasistoli sopra-ventricolari e ventricolari. Le prime sono spesso asintomatiche e benigne. Le seconde richiedono attenta valutazione da parte del medico.

Cause

Le cause dell'extrasistole sono molteplici: la stanchezza eccessiva, il nervosismo, l'irritabilità, alcune infezioni, l'abuso di medicinali inutili, il fumo esagerato, alterazioni elettrolitiche (ipopotassiemia), oppure possono essere l'espressione di una patologia cardiaca.

PALPITAZIONI (CARDIOPALMO)

Che cos'è

La palpitazione o cardiopalmo è la sensazione soggettiva suscitata da una aritmia cardiaca, cioè l'aumento improvviso e repentino della frequenza del battito cardiaco. Viene comunemente riferita come sensazione di cuore in gola. Può essere espressione di malattie cardiache o semplicemente riflettere situazioni di stress psichico. Generalmente insorge nelle persone soggette a una violenta tensione o ad ansietà e non è per forza indice di una patologia cardiaca, è spesso l'espressione di una condizione di emotività eccessiva.

TACHICARDIA SINUSALE

La tachicardia è, l'aumento della frequenza dei battiti cardiaci oltre il normale valore, dovuta ad aumento del ritmo sinusale. Emozioni, esercizio fisico, ipertiroidismo, abuso di caffè, fumo, anemia, febbre, ipotensione, nevrosi cardiaca, farmaci possono provocare l'insorgere di tachicardia sinusale; questa può essere asintomatica, oppure dare cardiopalmo. L'inizio e la scomparsa sono sempre graduali, mai improvvisi. La terapia è legata alla causa che determina la comparsa di tachicardia.

TACHICARDIA PAROSSISTICA

La tachicardia parossistica è, una aritmia cardiaca, determinata dalla stimolazione anomala di un centro generante impulsi, che si sostituisce al nodo senoatriale, ed assume il comando del ritmo cardiaco per un tempo più o meno lungo.

La frequenza cardiaca può variare tra 120 e 200 battiti al minuto, secondo la localizzazione di questo centro anomalo. Le cause sono diverse: lesioni organiche del cuore (ischemia, miocarditi reumatica o ipertensiva..., intossicazioni farmacologiche, intossicazioni voluttuarie (fumo, alcool), riflessi gastrocardiaci (meteorismo, aerofagia), a volte è definita funzionale. Gli attacchi tachicardici presentano diversa durata e possono accompagnarsi ad ansia, sudorazione, ipotensione, sensazione di cardiopalmo. La terapia è fondata sull'uso di farmaci antiaritmici e sulla ricerca e cura della condizione patologica di base, da effettuarsi in ambiente specialistico.
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Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:21



La cardiopatia ischemica:
l'ANGINA PECTORIS e l'INFARTO MIOCARDICO

La cardiopatia ischemica è un termine che individua più situazioni patologiche che hanno in comune l’eziologia (cioè la causa): insufficiente apporto di ossigeno al cuore rispetto al fabbisogno. La cardiopatia ischemica nelle sue forme (angina pectoris, infarto acuto del miocardio) rappresenta la prima causa di ricoveri nella maggior parte dei paesi industrializzati.

Fattori di rischio sono: l’aterosclerosi, l’ipertensione arteriosa, la familiarità, il fumo, l’obesità, alcune patologie croniche come il diabete, la sedentarietà.

L’aterosclerosi è una malattia che colpisce essenzialmente la parete delle arterie, per deposizione di grassi nello spessore della parete, formando la cosiddetta placca aterosclerotica, con conseguente riduzione del calibro del vaso e del flusso sanguigno. Le sedi maggiormente colpite sono l’aorta e i suoi rami principali, i vasi del circolo cerebrali e degli arti inferiori, ma soprattutto delle coronarie. L’aterosclerosi delle arterie coronarie rappresenta la causa più comune di ischemia (ridotto apporto di sangue) miocardica. E’ nota ormai da tempo lo stretto rapporto fra aterosclerosi e ipercolesterolemia. Le lesioni alla parete dei vasi che provocano la formazione delle placche aterosclerotiche predispongono alla trombosi, cioè alla formazione di masse solide nei vaso, o nel cuore, da costituenti del sangue, principalmente piastrine.

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Angina pectoris

E’ una sindrome clinica che deriva da una ischemia miocardica transitoria. Ciò significa che arriva un ridotto flusso sanguigno al muscolo cardiaco, per un breve periodo di tempo (dell’ordine di pochi minuti). Si noti che proprio per la breve durata dell’ischemia, a differenza dell’infarto, non si instaura un danno miocardico permanente. Il sintomo fondamentale è un dolore (angina significa dolore) retrosternale oppressivo e costrittivo, di breve durata, tipicamente precipitato dallo sforzo ed alleviato dal riposo e dall’assunzione di nitrati. L’angina viene diversamente classificata sulla base di diversi criteri che possono considerare o le cause di insorgenza o la modalità di presentazione, oppure la sua evoluzione.

CLASSIFICAZIONE dell’angina secondo: CRITERI FISIOPATOLOGICI

Angina primaria
Ischemia miocardica primitiva legata a cambiamenti del calibro vascolare delle coronarie.Questi cambiamenti possono insorgere in un vaso sano (angina primaria di Prinzmetal) per una contrazione delle cellule muscolari delle pareti dei vasi, ma più spesso sono dovuti a spasmi transitori di un vaso coronarico in presenza di placche aterosclerotiche che riducono il calibro del vaso.

Angina secondaria
Ischemia miocardica legata ad un aumento della richiesta del flusso sanguigno al cuore, in presenza di stenosi coronariche emodinamicamente significative. Ad esempio, durante uno sforzo fisico il cuore ha bisogno di maggiore irrorazione, questo perché al cuore è richiesto più lavoro e perciò ha bisogno di più ossigeno e sostanze nutritive. In presenza di un restringimento (stenosi) del lume, causato ad esempio da una placca aterosclerotica, si ha un flusso sanguigno ridotto che causa la comparsa di angina.

CLASIFICAZIONE dell’angina secondo: CRITERI DESCRITTIVI

Angina spontanea
È un’angina primaria in cui il paziente lamenta angina a riposo, senza una causa scatenante.

Angina da sforzo
Angina secondaria che insorge dopo un determinato sforzo fisico.

Angina mista
Il paziente lamenta angina che compare sia a riposo che dopo sforzo.

CLASSIFICAZIONE dell’angina secondo: CRITERI CLINICI-PROGNOSTICI

Angina stabile
Forma cronica dell’angina. Caratteristica è la stabilità del quadro clinico: il paziente lamenta sempre la stessa modalità di insorgenza dei disturbi, con scarsa evolutività.

Angina instabile
Rappresenta alcuni tipi di angina che tendono ad evolvere verso l’infarto miocardico.

Sintomi

Il paziente lamenta un dolore toracico retrosternale (al petto), che viene descritto come oppressivo o costrittivo. Il dolore può essere irradiato al collo, alle spalle, alla mandibola, all’arto superiore sinistro. La durata è variabile, dell’ordine di pochi minuti (da 1 a 20 minuti). Il paziente si "ferma" per paura di aumentare il dolore. Ci può essere un fattore scatenante, l’esercizio fisico, il freddo, un pasto abbondante, un’emozione importante, l’atto sessuale. Spesso i disturbi sono descritti in maniera vaga e il paziente può lamentare dei disturbi legati a "cattiva digestione". Caratteristicamente questo dolore regredisce in seguito alla somministrazione di Trinitrina, una sostanza che provoca vasodilatazione, in particolare a livello delle coronarie.

La gravità del sintomo è proporzionale alla durata del dolore. Nella valutazione del paziente affetto da angina pectoris si prende in considerazione il grado di limitazione funzionale indotto dalla malattia. L’angina è grave quando il paziente ha dolore per ogni minimo sforzo effettuato.@@MPU@@@

Diagnosi

La diagnosi è clinica e si basa sulle caratteristiche peculiari del sintomo. In urgenza il primo esame strumentale che deve essere eseguito è l’elettrocardiogramma. Vengono quindi eseguiti esami più complicati: elettrocardiogramma da sforzo, l’elettrocardiogramma dinamico, l’ecocardiogramma. I livelli del lavoro cardiaco, della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, necessari per scatenare l’attacco anginoso in un determinato paziente, possono essere riprodotti nello stesso paziente con l'elettrocardiogramma da sforzo. Lo sforzo fisico può infatti essere progressivamente incrementato. La determinazione della risposta cardiovascolare allo sforzo è un mezzo importante per la diagnosi e lo studio dei pazienti con possibile malattia coronarica. Il monitoraggio continuo dell’elettrocardiogramma, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e la loro risposta a carichi di lavoro crescenti, permettono di valutare la soglia di tolleranza che il paziente ha senza sviluppare ischemia. Se questo esame risultasse dubbio, è bene sottoporre il paziente ad una scintigrafia miocardica, oppure ad un "ecocardio-stress". L’ecocardiogramma può evidenziare alterazioni transitorie della cinesi (motilità) cardiaca che si verificano spontaneamente o dopo stimolo farmacologico con sostanze che "stressano" il cuore, o dopo esercizio fisico.

Prognosi

I rischi maggiori sono la morte improvvisa e l’infarto miocardico. La severità dei sintomi, l’età, l’estensione della malattia coronarica e una ridotta funzione ventricolare influenzano negativamente la prognosi.

Terapia

Il paziente deve seguire alcune norme igieniche di vita: abolizione del fumo se presente, controllo di una eventuale ipertensione arteriosa (aumenta il lavoro cardiaco), dieta ipolipidica in modo da mantenere controllati i grassi presenti nel sangue, calo ponderale se è presente obesità. Una moderata attività fisica è consigliata in quanto migliora le richieste di ossigeno al cuore. La terapia farmacologica dell’attacco anginoso è la somministrazione di nitrati per via orale. I pazienti che soffrono di angina pectoris devono sempre portare con sé le compresse di nitroglicerina.

I nitroderivati sono dei vasodilatatori coronarici. La loro azione consiste nel provocare dilatazione soprattutto a livello del distretto venoso, diminuendo così il ritorno venoso al cuore. Esistono dei nitrati ad azione prolungata. Sono spesso utilizzati i cerotti per applicazioni cutanee, con effetto terapeutico prolungato di circa 18 ore.

Si utilizzano altre due classi di farmaci: i calcio antagonisti ed i beta bloccanti .Lo scopo di queste terapie è di diminuire il consumo di ossigeno ed un aumento del flusso coronarico. Ciò che determina il consumo di ossigeno miocardico è la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e la contrattilità.I calcioantagonisti agiscono provocando vasodilatazione, prevalentemente a livello del distretto arterioso, dilatano inoltre le coronarie. I beta bloccanti riducono la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la contrattilità cardiaca, quindi anche il consumo di ossigeno.

Poiché l’eziologia comune dell’angina è l’aterosclerosi, viene impostata una terapia antiaggregante con Aspirina .

Qualora la coronarografia mostri dei danni alle coronarie è bene intervenire mediante procedure chirurgiche, quali l’angioplastica coronarica o mediante l’innesto di by-pass aorto-coronarici .

L’angioplastica è una procedura che permette, attraverso un catetere, di raggiungere le lesioni coronariche. Il catetere è provvisto di un palloncino che, gonfiato, dilata il vaso ristretto dalla placca aterosclerotica. Se il vaso coronarico non può essere dilatato mediante la tecnica dell’angioplastica si consiglia l’esecuzione del bypass chirurgico coronarico. Il bypass è un ponte, costituito solitamente da una vena prelevata dalla gamba (vena safena) del paziente ed inserita con un’estremità all’aorta e con l’altra alla coronaria dopo l’ostruzione.

Infarto miocardico

L’infarto miocardico è dovuto ad un’ischemia (ridotto apporto di sangue) acuta che dura un intervallo di tempo superiore ai venti minuti, che provoca un danno permanente al cuore.

(vedi "il cuore " per i riferimenti anatomici e fisiologici)

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Viene detto transmurale , quando si instaura un danno anatomico che interessa l’intero spessore della parete miocardica. In questo caso avviene a seguito di una trombosi o di un vasospasmo che determinano l’occlusione totale di un ramo coronarico, sempre in presenza di una lesione aterosclerotica. Viene detto intramurale quando si ha l’interessamento solo di uno strato subendocardico. Consegue frequentemente a subocclusione od occlusione totale di un ramo coronarico, in presenza di circolo collaterale. Nel giro di poche settimane la zona infartuata (si immagini una zona di tessuto miocardico morta, necrotizzata) si trasforma in una cicatrice fibrosa. Se l’infarto è piccolo il cuore mantiene le restanti pareti inalterate, e la cinesi viene conservata. Se l’infarto è esteso, il cuore ha perso una parte della capacità contrattile, e può apparire alterato anche nelle zone non infartuate. La cicatrice fibrosa è più sottile del restante miocardio, rimane acinetica (non si contrae) se la cicatrice è estesa oppure discinetica, cioè presenta una espansione durante la sistole. Questa estroflessione può dare luogo, nel corso di mesi o anni, ad un aneurisma (dilatazione) del ventricolo. La sede di lesione dipende dalla coronaria occlusa, quanto più prossimale è l’occlusione, cioè quanto più vicina è all’origine, tanto più estesa è la necrosi miocardica.

Sintomi

Nella maggior parte dei pazienti, l’infarto è la prima manifestazione della cardiopatia ischemica. Si manifesta più frequentemente nelle prime ore del mattino: il paziente lamenta un dolore simile al dolore dell’angina, ma più acuto e durevole (alcune ore). Il dolore non regredisce con il riposo, il paziente è agitato, cerca delle posizioni per calmare il dolore, non regredisce con il riposo. Il dolore è spesso associato ad astenia, nausea e vomito, sudorazione fredda.

Purtoppo non sempre è presente il dolore: l’infarto può essere silente. Ciò avviene, ad esempio, nei pazienti affetti da diabete mellito e negli anziani. Il riscontro avviene occasionalmente ad un controllo elettrocardiografico. Gli anziani possono presentare come unico sintomo la dispnea, cioè difficoltà a respirare. Alcuni pazienti interpretano e descrivono il dolore toracico come "maldigestione". All’esame obiettivo il paziente è pallido, sudato, aritmico (il ritmo sinusale non è regolare per la presenza di extrasistoli). Nei casi gravi può essere complicato da shock cardiogeno. I sintomi dello shock sono: ipotensione, ipotermia e cianosi periferica (le estremità sono bluastre a causa della stasi venosa), confusione mentale ed oliguria (diminuzione della diuresi).

La diagnosi

E'essenzialmente elettrocardiografica. E' indispensabile eseguire in urgenza un elettrocardiogramma. Le alterazioni interesseranno il tratto ST, l’onda T e l’onda Q. L’elettrocardiogramma si modificherà nel tempo con il ridursi della lesione ischemica. L’ecocardiogramma permette di definire l’esatta localizzazione dell’infarto, visualizzando le zone di alterata cinesi.

Gli esami del sangue sono importantissimi perché durante l’infarto il cuore libera degli enzimi dalle cellule miocardiche. Gli enzimi dosati nella diagnosi sono: CPK (creatinfosfochinasi), con il dosaggio della frazione di questi enzimi di origine miocardica, SGOT (transaminasi glutammico-ossalacetico), LDH (latticodeidrogenasi). Recentemente vengono dosati altri enzimi.

La scintigrafia miocardica viene utilizzata nella valutazione postinfartuale. Questa metodica serve ad individuare pazienti con ischemia residua postinfartuale, a rischio perciò di sviluppare ulteriori eventi ischemici.

Complicanze

Aritmie Nella fase acuta dell’infarto possono insorgere tutti i tipi di aritmie, dato che il cuore non pompa con un ritmo regolare. Le aritmie possono perciò peggiorare la funzione cardiaca, già compromessa, e possono provocare un aumento della zona infartuata, per deficit della vascolarizzazione cardiaca ed aumento del consumo di ossigeno. Fra le aritmie ricordiamo il blocco-atrioventricolare che consegue all’interessamento delle strutture del tessuto di conduzione. Le manifestazioni elettrocardiografiche sono varie e dipendono dalla gravità e dall’area interessata.

Bradicardia sinusale L’infarto è frequentemente complicato da bradicardia sinusale, condizione in cui la frequenza cardiaca scende al di sotto di 60 battiti al minuto. Quando la frequenza è molto bassa la pompa cardiaca è insufficiente. Se la frequenza scende al di sotto dei 40 battiti al minuto è necessario instaurare un trattamento d’urgenza in ambito ospedaliero. Può infatti insorgere ipotensione arteriosa e arresto cardiaco, oppure il quadro elettrocardiografico può evolvere verso la fibrillazione ventricolare. Complicanza temibile è infatti l’evoluzione verso aritmie pericolose per la sopravvivenza: la tachicardia ventricolare e la fibrillazione ventricolare.

Si capisce il motivo per cui tutte le aritmie, per la loro pericolosità, richiedono il trattamento in ambito ospedaliero.

Fibrillazione ventricolare
La fibrillazione ventricolare è un’emergenza che richiede manovre di rianimazione cardiaca: il ventricolo pompa in maniera caotica, con una frequenza elevata (400 battiti al minuto), la contrazione non è efficace, il cuore pur contraendosi non riesce a pompare il sangue in periferia. Ne instaura il quadro di arresto cardiaco. Il paziente può salvarsi solo se prontamente assistito mediante le manovre di rianimazione. Ecco perché risulta fondamentale una corretta educazione sanitaria che addestri la popolazione a riconoscerne i sintomi di un attacco coronarico. Negli Stati Uniti vengono eseguiti frequenti corsi di formazione di base di rianimazione cardio-polmonare aperto a tutti i cittadini. Sull’esempio americano esistono corsi di formazione per volontari anche in Italia.

Scompenso cardiaco e shock
Quando la funzione di pompa del cuore è compromessa si instaura il quadro dello scompenso cardiaco. Per chiarire il significato si immagini il cuore che non pompa (la condizione più estrema): il sangue venoso che arriva dalla periferia all’atrio destro non viene spinto al polmone per ossigenarsi e si ha quindi una congestione delle vene. D’altra parte, a livello del polmone si avrà un quadro di congestione venosa dovuta al fatto che il ventricolo sinistro non riesce a contrarsi efficacemente e quindi a spingere il sangue nell’aorta ed ai tessuti.I sintomi e i segni dipendono dalla gravità del quadro clinico e dal tempo d’insorgenza. I principali consistono in: dispnea (fatica a respirare), rumori polmonari (dovuti alla stasi venosa), alterazioni della pressione arteriosa.

Shock cardiogeno
È la condizione estrema. Può essere il quadro di esordio oppure la fase terminale di uno scompenso cardiaco in rapido peggioramento. Consegue ad una perdita di tessuto muscolare cardiaco di almeno il 40 % del totale. Il cuore pompa una quantità di sangue che è insufficiente a mantenere la funzione degli organo vitali. Il paziente è in stato confusionale, la cute è fredda e sudata e presenta delle zone cutanee cianotiche (di colorito bluastro per la stasi venosa). La pressione arteriosa è bassa o addirittura non misurabile, i polsi arteriosi sono difficilmente prendibili. Si ha contrazione della diuresi. Infine, sopraggiunge l’arresto cardiaco. Lo shock cardiogeno può anche essere conseguente ed una ipovolemia (riduzione del volume di sangue), cioè il paziente può perdere liquidi a causa di episodi di vomito, sudorazione profusa, e meccanismi di compenso attuati dall’organismo quali la vasodilatazione. In questo caso il quadro è risolvibile mediante l’infusione di liquidi.

Altre complicanze sono dovute alla necrosi di determinate aree cardiache. Si può avere la perforazione del setto interventricolare, che separa i due ventricoli, o ancora la rottura della parete libera del ventricolo sinistro. Quest’ultima evenienza è rapidamente mortale. Si può avere rottura o malfunzionamento dei muscoli papillari, che sono i muscoli che collegano le pareti dei ventricoli ai lembi delle valvole atrioventricolari. La terapia di queste complicanze è chiaramente chirurgica. I pazienti sopravvissuti ad un infarto presentano spesso un aneurisma delle pareti ventricolari, dovuto all’alterazione della cinesi, più esattamente a discinesia, cioè la parete del ventricolo invece di contrarsi durante la sistole si estroflette. Ciò comporta una maggiore probabilità di aritmie, e soprattutto si formano più facilmente dei trombi, formazioni solide, che possono andare in circolo (emboli).

Terapia

Il trattamento ha lo scopo di alleviare la sofferenza del paziente, di ridurre il lavoro cardiaco, di prevenire o risolvere le complicanze.

Dal momento che circa il 50 % dei decessi avviene nelle prime ore di insorgenza, è ovvio che una diagnosi precoce è essenziale. Spesso ne è responsabile l’atteggiamento dello stesso paziente che non è consapevole di avere dei sintomi potenzialmente letali. Il pericolo più immediato è rappresentato dall’insorgenza di aritmie pericolose. Il trattamento deve essere immediato.

Il 118, istituzione ormai nota in tutta Italia, è composto da un Anestesista ed un infermiere professionale. Quando giunge la chiamata d’aiuto, in tempi brevissimi, riescono a raggiungere il paziente e ad iniziare le manovre di rianimazione cardio-polmonare. Il ritmo cardiaco viene stabilizzato mediante la somministrazione dei farmaci adeguati, quindi il paziente viene trasportato in ospedale. La bradicardia viene trattata con atropina , un farmaco parasimpaticolitico, che inibisce il tono vagale, responsabile appunto dalla bradicardia. L’extrasistoli ventricolari con xilocaina , un farmaco antiaritmico. Questi farmaci vengono somministrati in vena. In presenza di fibrillazione ventricolare si cerca di ripristinare il ritmo con il defibrillatore, apparecchio che impartisce al cuore delle scosse elettriche, al fine di ottenere una cardioversione elettrica. Per alleviare il dolore viene utilizzata la morfina , potente analgesico. La terapia di shock ipovolemico si basa sull’infusione di liquidi, ad esempio di soluzione fisiologica.

Una volta giunto in ospedale, il paziente viene immediatamente trasportato in un reparto di unità di cura coronarica (UCC). Queste aree di terapia intensiva consentono l’osservazione clinica continua, il monitoraggio elettrocardiografico, un intervento immediato in caso di complicanze.

La mortalità è proporzionale all’area di necrosi: tale area può essere ridotta con la terapia fibrinolitica. Recentemente viene eseguita la trombolisi, tecnica che utilizza farmaci trombolitici in infusione venosa, mediante la quale si ottiene la lisi del trombo coronarico e la riduzione della dimensione dell’infarto. I farmaci trombolitici impiegati più comunemente sono: la streptochinasi , l’urochinasi, l’attivatore del plasminogeno. L’efficacia della trombolisi per via sistemica nel ridurre la mortalità e nel limitare l’estensione dell’infarto è stata ormai dimostrata da molti studi lavori scientifici. In associazione è sicuramente utile l’aspirina : si è dimostrata una diminuzione della mortalità se somministrata fin dalle prime ore.

L’estensione della necrosi è limitata da altri interventi farmacologici che hanno come scopo quello di proteggere il miocardio che ha subito l’ischemia:

Il postinfarto

Una volta dimesso e superato il periodo di riabilitazione, il paziente è tenuto a sottoporsi a controllo periodici strumentali:

elettrocardiogramma, per valutare la presenza di aritmie o la comparsa di ischemia silente
elettrocardiogramma da sforzo, per valutare l’ischemia residua
ecocardiogramma, per valutare la contrattilità cardiaca e quindi la funzione di pompa del ventricolo sinistro.

La terapia cronica dipenderà dalle complicanze residue. La terapia a scopo preventivo utilizza gli antiaggreganti (aspirina), ed i betabloccanti.

I pazienti senza aritmie importanti, con buona funzione di pompa e che non presentano ischemia residua, possono riprendere a condurre una vita normale, senza particolari limitazioni. Dovranno però seguire alcune norme di igiene di vita: abolizione del fumo, dieta ipolipidica per mantenere un profilo lipidico ottimale, mantenere un peso normale, condurre una attività fisica costante, ad esempio fare lunghe passeggiate a piedi oppure mediante l’utilizzare della cyclette da casa. Sarà anche importante limitare gli stress psico-fisici.
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IL CUORE

Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:31



INSUFFICIENZA CARDIACA
Identikit dello scompenso cardiaco


A cura di Vincenzo Trani
Parte I | Parte II | Parte III

Il termine 'insufficienza cardiaca' comprende molteplici connotazioni patologiche e svariate presentazioni cliniche. E' una sindrome clinica nella quale alterazioni strutturali e funzionali del cuore portano a fenomeni secondari primo fra tutti la "dispnea", ovvero al mancanza o carenza di respiro in seguito a lievi sforzi fisici.

Il cuore malato e l'epicentro della sindrome

Lo Scompenso Cardiaco viene diagnosticato al letto del malato o in ambulatorio, sulla base della combinazione di un'attenta raccolta durante l'anamnesi, volta a rilevare:

la mancanza di respiro
astenia
una ritenzione di liquidi

è frutto di un accurato esame obiettivo che mira al riscontro di arti congesti ed edematosi, giugulari turgide, tachipnea, "ritmo di galoppo" cardiaco.

Spesso intercorre un rilevante lasso di tempo tra l'instaurarsi delle alterazioni della struttura o delle funzioni del cuore e le manifestazioni cliniche dello scompenso. Queste si possono osservare settimane, mesi o anche anni più tardi.

Compenso e scompenso

Il mantenimento della sufficienza in condizioni di insufficienza cardiaca costituisce lo stato di compenso. Quando il limite della possibilità di tale compenso viene oltrepassato vi è lo scompenso.

L' insufficienza cardiaca è uno stato fisiopatologico nel quale il cuore non riesce a pompare il sangue in quantità adeguata alle richieste metaboliche dei tessuti oppure può farlo solo con "pressioni riempimento" sanguigno elevate.

Quando una parte del ventricolo viene persa si verifica lentamente un aumento del volume, presumibilmente in risposta l'elevato ritorno venoso. Il cuore reagisce ad ogni aggressione attraverso diversi fattori di adattamento tratti a far fronte a un deficit di contrattilità o ad un eccessivo carico ventricolare al fine di mantenere una portata cardiaca sufficiente.

Funzione meccanica del cuore

Il cuore agisce come una pompa valvolare. Si alternano due fasi:

la sistole, fase di contrazione e fase di gittata
la diastole, fase di rilasciamento e fase di riempimento.

Immagine


Fase di contrazione
La sistole ha inizio con la fase di contrazione in cui tutte le valvole cardiache sono chiuse. Si contrae la muscolatura ventricolare esercitando una pressione sul volume sanguigno del ventricolo. La pressione del ventricolo aumenta sino a superare quella dell'aorta e dell'arteria polmonare. Il ventricolo destro deve superare la pressione diastolica dell'arteria polmonare che è pari a 15mmHg, mentre quello sinistro quella dell'aorta che equivale a 80 mmHg. Per questa ragione la fase di contrazione termina prima a destra che a sinistra.

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di gittata sistolica
Dopo che la pressione nel ventricolo ha superato i valori diastolici nel tronco polmonare e nell'aorta, le valvole semilunari si aprono e ha inizio la fase di gittata. Normalmente i due ventricoli immettono nelle arterie solo la metà del proprio contenuto, ma in caso di sforzo fisico esso può aumentare.

Fase di rilasciamento
La diastole ha inizio con la fase di rilasciamento: la muscolatura della parete ventricolare perde la propria tensione, la pressione ventricolare si abbassa al di sotto di quella presente nell'aorta o nell'arteria polmonare. Le valvole semilunari si richiudono.

Fase di riempimento
Essendo la muscolatura cardiaca completamente rilasciata, la pressione ventricolare è inferiore a quella atriale, le valvole a lembi si aprono e ha inizio la fase di riempimento ventricolare che termina con una nuova sistole.

Cardiaca

Per efficienza funzionale del muscolo cardiaco si intende la sua capacità di adeguare la portata alle esigenze dell'organismo.

L'efficienza cardiaca dipende dalla portata cardiaca, che è l'espressione emodinamica della funzione meccanica del cuore e della quantità di sangue che ciascuno dei due ventricoli è in grado di spingere nella circolazione arteriosa che dista a valle. Essa ha la funzione di assicurare un adeguato apporto di sangue e quindi di ossigeno ai tessuti e dipende a sua volta da quattro parametri fondamentali che la condizionano e la determinano:

il precarico la quantità di sangue che giunge nel ventricolo, per esser poi distribuita in circolo all'organismo e che è correlata al volume diastolico ventricolare e alla sua compliance (distensibilità).
il post carico che rappresenta l'ostacolo allo svuotamento del ventricolo ed è pertanto funzione delle resistenze periferiche opposte dai vasi sanguigni.
la contrattilità o stato "inotropo" cioè la capacità del muscolo cardiaco di mantenere un'adeguata funzione meccanica o di pompa. Fibre miocardiche normali rispondono ad ogni stiramento diastolico (riempimento ventricolare) con un aumento della forza contrattile fino ad una soglia massima di efficienza (riserva miocardica) al di là della quale vi è una diminuzione progressiva della forza contrattile. Se si instaura un deficit di contrattilità a parità di distensione distolica la risposta di gittata si riduce, aumenta il residuo sistolico che sommandosi al ritorno venoso, determina un aumento di precarico e provoca a sua volta una maggiore distensione diastolica e quindi una maggiore risposta di gittata.
la frequenza cardiaca che rappresenta il numero di volte in cui il cuore si contrae in un minuto. Un aumento della frequenza aumenta la portata cardiaca. Per ogni diminuzione della pressione sistemica il primo e fondamentale meccanismo di compenso è l'aumento della frequenza cardiaca al fine di mantenere una portata sistemica sufficiente.

Il Cuore non è in definitiva una struttura statica ma un articolato sistema pluri-camerale in continuo movimento in cui le camere atriali, ventricolari e i grossi vasi si muovono in "opposizione di fase". Durante la sitole, la trasmissione di energia cinetica al sangue contenuto nel ventricolo determina uno spostamento caudale della camera ventricolare, il cui ritorno elastico causando una rapida risalita craniale del ventricolo verso l'atrio determina una facilitazione del flusso atrioventricolare diastolico.

Perchè il cuore si scompensa

A cura di Vincenzo Trani

Il cuore reagisce ad ogni aggressione attraverso diversi fattori di adattamento, atti a far fronte a un deficit di contrattilità o ad un eccessivo carico ventricolare, al fine di mantenere una portata cardiaca sufficiente. Lo scompenso è una malattia a carattere progressivo in cui si verifica un deterioramento della struttura e della funzione cardiaca. I fini meccanismi di compenso per ovviare a cio' sono rappresentati fondamentalmente dall'ipertrofia miocardica (con o senza dilatazione) con conseguente aumento del tessuto contrattile e da una serie di attività neuroendocrine nelle quali un aumento di secrezione di catecolamine (adrenalina e noradrenalina) tentano di aumentarne la contrattilità e quindi l' efficienza.

Questo processo è noto come rimodellamento e può anche essere fisiologico (atleti), generato da stimoli postivi (l'allenamento cardiovascolare), ma diviene patologico quando si innesca a seguito di stimoli negativi, con cambiamenti, modificazioni molecolari e cellulari che comprendono l'aumento della massa miocardica associato all'ipertrofia dei singoli miociti (unità funzionale, cellule che costituiscono il cuore) fino all' apoptosi (morte cellulare).

Si parla pertanto di rimodellamento ventricolare quando si fa riferimento alle modificazioni cui va incontro il cuore a seguito degli stimoli negativi di cui sopra. L'ipertrofia è quindi l'evento centrale del rimodellamento secondario al sovraccarico emodinamico ed è rappresentato dall' aumento della massa miocardica associato a modificazioni della forma del ventricolo.

Le caratteristiche dell'ipertrofia variano a seconda dello stimolo: se si tratta di puro sovraccarico sistolico l'aumento dello stress sistolico di parete causa un aumento in senso parallelo dei sarcomeri e un allargamento dei miociti (ipertrofia concentrica); se si tratta di un sovvraccarico diastolico vi è un aumento in serie e un allungamento del miociti (ipertrofia eccentrica). In clinica spesso le due forme coesistono.

Naturalmente per arrivare a generare tali alterazioni strutturali è necessaria un cascata di eventi che cercheremo di riassumere qui di seguito e che sono rappresentati da:

Stress meccanico
L' ipertrofia miocardica può esser considerata un meccanismo di adattamento per il quale ad ogni aumento stabile del carico emodinamico si assiste ad un accrescimento delle cellule con incremento della massa miocardica. Il più comune stimolo all' ipertrofia ed al rimodellamento è il "sovraccarico emodinamico" e l'aumento stabile della tensione parietale (esercitata dal sangue) è l'evento iniziale alla proliferazione.
Sistema nervoso simpatico e l'attivazione neurormonale
Rappresenta un fattore fondamentale nella genesi e progressione dell' insufficienza cardiaca.

Inizialmente tali meccanismi hanno funzione compensatoria, destinata al mantenimento di un'adeguata perfusione degli organi vitali, ma a lungo andare condizionano una serie di anomalie fisiopatologiche deleterie.

I principali mediatori responsabili sono:

Il sistema renina-angiotensina-aldosterone
Endotelina
Fattori di crescita
Stress ossidativo
Citochine infiammatorie
Ossido Nitrico


Tutti questi mediatori contribuiscono alla progressione dello scompenso attraverso azioni di vasocostrizione periferica, ritenzione idrosalina (con ipertrofia ed iperplasia delle cellule), altri hanno effetti tossici se in eccesso a livello miocardico, favorendo processi degenerativi cellulari.

Conseguenze fisiopatologiche

Ritenzione Idrosalina
E' dovuta, come accennato, alla modificazione dell'emodinamica renale, associata e dipendente dall'attivazione neurormonale. Ne deriva una ridistribuzione della portata cardiaca favorendo i distretti cerebrovascolare e coronarico (organi vitali) a scapito di altri come quello muscolo scheletrico, epatosplancnico e renale. Si determina un calo del flusso renale che per esser contrastato porta ad attivazione di meccanismi di autoregolazione per evitare un deterioramento della funzione renale. La conseguenza è un aumento del riassorbimento del sodio e di conseguenza dell'acqua. La ritenzione idrosalina è alla base della formazione dell'edema e comporta a livello cardiaco un aumento del precarico. A lungo andare il VTD (volume telediastolico) cardiaco del ventricolo sinistro raggiunge valori per cui ad un suo ulteriore aumento non sia hanno più modificazioni della funzione sistolica ma aumento dello stress parietale del postcarico e quindi del consumo miocardico di ossigeno.

Riduzione della tolleranza allo sforzo
E' uno dei sintomi fondamentali ed è conseguenza dello scarso incremento della portata cardiaca e dell' eccessivo aumento delle pressioni di riempimento e quindi di circolo polmonare. Si determina un deficit di tipo ostruttivo e/o restrittivo con aumentata reattività bronchiale.

Sintomi e Segni principali di scompenso cardiaco

Nello scompenso "cronico" in particolare nella sua fase avanzata, si realizza una complessa sindrome disventilatoria . Il sintomo fondamentale è la "dispnea" i segni sono l'iperventilazione da sforzo e poi a riposo e le "disritmie respiratorie" ovvero le alterazioni del ritmo ventilatorio. A prescindere dalla sensazione di "fame d'aria" la riduzione dell'attività respiratoria è accompagnata da una riduzione della saturazione di O2 e quindi da brevi e ricorrenti episodi di ipossia. L' ipossia può costituire un fattore di progressione dello scompenso e di rischio per morte improvvisa (aritmie ventricolari). Ipopnea ed iperpnea creano ipossie e malessere, nel primo caso con aumenti della pressione arteriosa polmonare e sistemica nel secondo con un incremento dell' attività simpatica. Tutto questo può' favorire episodi di aritmie cardiache e ischemia miocardica transitoria. La Dispnea dunque, riferita come affanno, mancanza di respiro, respiro corto, mancanza di fiato, può presentarsi in diverse occasioni ed in modi diversi, dopo sforzo, di notte, in modo parossistico, in modo acuto. L' intensità della dispnea avvertita in concomitanza agli sforzi fisici rappresenta il criterio di classificazione della gravità dello Scompenso Cardiaco. E' buona regola per il clinico soffermarsi a interrogare il pz sulla precisa modalità e circostanza in cui essa compare.

Una particolare forma di dispnea è l' Ortopnea, con tale termine si intende quella dispnea che insorge quando il paziente assume la posizione clinostatica (supina), al momento di coricarsi e che scompare non appena il paziente si siede sul letto o assume posizione ortostatica. Tali pazienti sono obbligati a decombere con due o più cuscini sotto la testa. La posizione clinostatica favorisce l'accumulo di sangue nel compartimento toracico per la minore stasi di liquidi nell'addome e nelle estremità inferiori. Aumenta così il precarico ed il ritorno venoso al cuore e se il ventricolo sinistro non è in grado, poichè insufficiente, di espellere tutto il sangue proveniente da un ventricolo destro ancora ben funzionante, si realizza una condizione di congestione polmonare.

Cardiopatie da cui può dipendere lo scompenso

Alterazioni dirette come la Cardiopatia Ischemica e le miocardiopatie flogistiche o legate a malattie sistemiche.
Sovraccarichi di pressione conseguenti ad un ostacolo all'efflusso del ventricolo sn o dx situato a livello valvolare. Rientrano l'ipertensione arteriosa e l'ipertensione polmonare.
Sovraccariche di volume per insufficienza valvolare aortica, mitralica o tricuspidale o difetti cardiaci o dei grossi vasi, anche congeniti.
Ostacoli all 'efflusso atrio/ventricolare per stenosi valvolari o deficit di compliance (Cardiomiopatia ipertrofica o restrittiva) o impedimento al rilassamento diastolico per ostacolo estrinseco (versamento pericardico, pericardite costrittiva).

Queste sono tutte cause predisponenti che non implicano la presenza e si possono evitare con farmaco terapie mirate. Le cause invece precipitanti sono rappresentate dall' esaurimento nel tempo dei meccanismi spontanei di compenso per l'aggravarsi della malattia di base. Anche le dilatazioni ventricolari irreversibili, evoluzione dei sovraccarichi cronici di pressione (stenosi aortica e polmonare ed ipertensione grave). Qui il perdurare dell' ostacolo all'efflusso provoca alterazioni morfologiche e funzionali del miocardio ventricolare che col tempo vanificano il meccanismo di compenso rappresentato dall' ipertrofia miocardica con conseguente dilatazione. Analogamente ma anche più lentamente si arriva a ciò anche per sovraccarichi cronici di volume. Nei suddetti casi lo "scompenso cardiaco cronico" è l'espressione clinica del raggiungimento del livello soglia nell' evoluzione naturale della cardiopatia di base.

In altri casi fattori scatenanti possono provocare crisi di scompenso acuto che complicano il decorso cronico della malattia di bassa ancora potenzialmente reversibile dopo rimozione dell' evento scatenante (un episodio microebolico polmonare, o una flogosi acuto bronco-polmonare, o una broncopolmonite).

Dal momento che lo Scompenso Cardiaco sta diventando uno dei problemi più importanti della Medicina moderna, la diagnosi, corretta e precoce, è un fase fondamentale nella parabola evolutiva della malattia. La sua evoluzione infatti comporta, nella maggior parte dei casi, l'exitus, attraverso una progressiva intensificazione dei segni e dei sintomi. E' quindi importante arrivare alla diagnosi in tempi rapidi, in modo da intervenire per prevenire e rallentare l' evoluzione della malattia.

La diagnosi si poggia sulla valutazione clinica, la storia clinica, l'esame fisico ed appropriate indagini strumentali.

Il quadro Classico, dispnea da sforzo, astenia, III tono cardiaco, rantoli polmonari ed edema in realtà non è sempre facilmente riscontrabile nella pratica clinica, perciò il corretto inquadramento diagnostico richiede dati obiettivi ottenibili solo con indagini strumentali.

Aspetti Clinici

Dispnea
Difficoltà di respiro, affanno, fiato corto. Può presentarsi in diverse occasioni ed in modi diversi, dopo sforzo, di notte, in modo parossistico e acuto.
Ortopnea
E' quella forma di dispnea che compare non appena il paziente assume la posizione supina al momento di coricarsi e che scompare non appena si siede sul letto si solleva in piedi. Tali pazienti sono abituati a decombere e quindi a dormire con due o più cuscini sotto la testa. Si verifica per l'accumulo di sangue favorito dalla posizione declive nel compartimento toracico, con fisiologico aumento del precarico e del ritorno venoso che in un cuore con un ventricolo sinistro insufficiente e che non riesce a espellere tutto il sangue, realizza un quadro di congestione polmonare.
Cianosi
Compare in seguito alla riduzione del contenuto di ossigeno nel sangue venoso, conseguenza dell' aumentata estrazione da parte dei tessuti che ricevono un basso flusso ematico; si riconosce per la classica colorazione bluastra della cute e delle mucose (estremità delle dita, labbra).
Astenia
Si manifesta come stanchezza o facile esauribilità muscolare, è disgiunta dalla dispnea e provoca una riduzione più o meno rilevante della qualità di vita. E' importante saperla riconoscere poiché può essere la prima espressione dello scompenso. E' comunque un sintomo specifico che può anche esser presente in altre patologie (Miopatie, stato anemico ed altre ancora).
Nicturia
E' un segno abbastanza precoce, difatti la posizione supina che durante il riposo notturno viene mantenuta per ore, consente un'aumentata perfusione renale con conseguente incremento della diuresi. E' importante comunque valorizzarla quando è di insorgenza recente o quando la quantità di urine emessa durante la notte è uguale o superiore a quelle emesse di giorno.
Edemi
Sono una delle manifestazioni classiche, principali e più note dello scompenso cardiaco. Si possono osservare agli arti inferiori se il soggetto conduce vita attiva o alla regione sacrale se costretto a letto da tempo. Sono riscontrabili soprattutto alla sera, a livello perimalleolare o pretibiale ed hanno la caratteristica di esser simmetrici. Sono solitamente improntabili, difatti dopo la digitopressione rimane per un certo tempo una fovea (solco o fossetta).
La causa è la riduzione della gittata cardiaca per l'alterato riempimento ventricolare o per l'incompleto svuotamento che comporta una serie di risposte neuro-ormonali che portano a ritenzione idrosalina.
Non può esser presente nelle fasi iniziali di scompenso, dal momento che il liquido accumulatosi nello spazio extracellulare deve raggiungere almeno un volume di 5 litri. Frequenti ed attenti controlli del peso corporeo sono indispensabili per valutare l'efficacia del trattamento medico.
E' importante non confonderlo con il rigonfiamento delle gambe da insufficienza venosa, presente in molte donne che non ha niente a che fare con un quadro di scompenso cardiaco.
Epatomegalia
La congestione epatica insorge prima della comparsa degli edemi e può persistere anche dopo la scomparsa degli altri segni di scompenso. L'epatomegalia è molle e dolente nelle fasi iniziali dello scompenso, col persistere della congestione, può incorrere in evoluzione fibrosa e divenire più dura. La congestione cronica e l'ipossia degli epatociti possono comportare la comparsa di ittero od aumento delle transaminasi.
Rantoli polmonari
Sono rilevabili all' auscultazione cardiaca attraverso lo stetoscopio e sono espressione dell'accumulo di trasudato negli alveoli polmonari. Sono riscontrabili principalmente alle basi dove si accumulano per effetto della gravità, il loro riscontro ai campi medi polmonari è indice di uno scompenso cardiaco di discreta entità. la loro assenza non esclude la presenza di aumentata pressione capillare polmonare, possono accompagnarsi se concomita congestione bronchiale a broncospasmo.
Reperti cardiaci
Nelle forme più avanzate di scompenso il polso può apparire piccolo per la riduzione della gittata sistolica. Un' alterazione caratteristica importante è il polso alternante che si presenta con battiti di diversa ampiezza in relazione all'alternanza della forza contrattile dovuta all'alternanza della pressione telediastolica ventricolare sinistra.
Nello scompenso possono inoltre esser presenti toni cardiaci aggiunti, come il terzo tono che all'auscultazione si manifesta ed è definito come "galoppo" protodiastolico, per la caratteristica acustica che assume, quale espressione di un incremento della pressione telediastolica ventricolare.
In altre occasioni può esser presente un quarto tono (galoppo telediastolico), legato ad una più energica contrazione atriale.
Turgore delle giugulari
L' ipertensione venosa sistemica è una spia dell'entità della ritenzione idrica. Un parametro utile per valutare la pressione in atrio destro e di conseguenza l'entità della ritenzione è fornito dall'osservazione delle vene giugulari Se nelle sezioni di destra (in atrio) vi è un pressione aumentata, conseguenza del sovraccarico ventricolare sinistro che si ripercuote a monte, le vene giugulari rimangono distese e pulsanti. Stati subclinici o di insufficienza ventricolare destra possono essere rilevati con la ricerca del reflusso epatogiugulare, attraverso al compressione del quadrante addominale superiore destro, si noterà se il ventricolo destro non sarà in grado di ricevere o espellere il transitorio aumento del ritorno venoso dovuto al provocato svuotamento del fegato congesto. La positività di tale segno è dunque indicativa di un' elevata pressione capillare polmonare.

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Edema polmonare acuto

E' il quadro più drammatico dello scompenso cardiaco e merita una citazione a parte. Compare più frequentemente di notte, sovente in pazienti con cardiopatia nota, ma anche in individui senza precedenti di malattia cardiaca.
All'origine vi possono essere differenti cause come un'embolia polmonare, una grave aritmia, la rottura di una corda tendinea valvolare, un infarto miocardico acuto, una puntata ipertensiva.
Il quadro di esordio è caratteristico, il paziente è in preda ad un grave stato di agitazione, appare pallido, sudato con la cute fredda e tende a rimanere seduto sul letto. La dispnea e la polipnea sono gli aspetti più eclatanti, ai campi polmonari sono udibili rantoli crepitanti diffusi udibili anche senza l'ausilio di stetoscopio, man mano che il quadro si evolve e si aggrava, il che può accadere anche in pochi minuti e condurre a morte per congestione polmonare massiva conseguenza della grave compromissione della funzione ventricolare sinistra per le cause sopra descritte (cardiopatia ischemica, cardiomiopatie, ecc).

Indagini Strumentali

Esami di laboratorio
Sono indispensabili in fase di inquadramento diagnostico, sebbene il loro apporto sia quasi nullo per la diagnosi di scompenso, consentono di dirimere taluni dubbi nella diagnostica differenziale con altre patologie e nell' inviduazione dei fattori precipitanti una volta fatta la diagnosi con altri mezzi. Tra di essi l'esame emocromocitometrico per evidenziare stati anemici in grado di simulare o far precipitare un quadro di scompenso. La funzionalità renale e gli elettroliti (azotemia, creatinina, sodio, potassio, osmolarità) dal momento che il sovraccarico di volume plasmatico può esaltare o simulare il quadro di scompenso. La funzionalità epatica (transaminasi, bilirubina, gamma GT) considerando che in uno scompenso congestizio possono aumentare alcuni di tali indici.
Elettrocardiogramma
In presenza di scompenso cardiaco il tracciato non è sovente alterato, si possono però evidenziare anomalie che di per sé possono far precipitare uno scompenso cardiaco, come le aritmie iper od ipocinetiche (fibrillazione atriale, blocchi AV ed altre ancora). Od ancora il riscontro di alterazioni di tipo ischemico che possono segnalare la presenza di una coronaropatia che può innescare un quadro di scompenso cardiaco.
Rx torace
Anche se la lettura di una radiografia toracica è un dato soggettivo, essa rappresenta un'indagine indispensabile in fase di diagnosi dal momento che la sola clinica può mascherare uno scompenso cardiaco latente. Difatti la "stasi polmonare" si può evidenziare prima della comparsa dei segni clinici. Essa consente di valutare le dimensioni e la morfologia dell' ombra cardiaca, la congestione polmonare e la presenza di patologie polmonari
Ecocardiogramma (Ecocolor doppler cardiaco)
Rappresenta un supporto indispensabile per un' accurata diagnosi, il suo ruolo non si limita alla sola valutazione della funzione sistolica e distolica ma comprende lo studio della morfologia e della volumetria, della cinesi segmentaria del ventricolo, della funzione delle valvole e delle pressioni polmonari, nonché della presenza di fonti emboligene.
Emoganalisi
E' in grado, attraverso un prelievo arterioso, che si effettua solitamente da un' arteria radiale, di evidenziare i principali parametri ematici, testimoni degli scambi respiratori, fornendo al clinico dati sufficienti a stabilire alterazioni della dinamica respiratoria.
Test da sforzo e TDS cardiopolmonare
Il primo quello tradizionale consente di valutare la capacità funzionale cardiaca sulla base del tempo di esercizio o dello sforzo e quindi, della potenza massima raggiunto. Il paziente viene sottoposto ad un lavoro progressivamente crescente fino all' esaurimento con comparsa di dispnea. Il test cardiopolmonare invece offre dati più precisi e dettagliati che esprimono la risposta ventilatoria, metabolica ed emodinamica, fornendo una valutazione complessiva del sistema cardiovascolare e dell' apparato respiratorio e del distretto muscolare.
Studio Coronarografico
Rientra fra le indagini invasive di solito comunque non richieste in prima istanza per la diagnosi di scompenso cardiaco, ma volte a meglio definire una causa di scompenso potenziale tereversibile. E' indicata quando lo scompenso si accompagna ad angina e ad alterazioni della contrattilità segmentaria all'ecocardiogramma o comunque quando sono presenti sintomi e segno di scompenso cardiaco senza che si riesca a definire una causa che in questo caso potrebbe nascondere una coronaropatia latente, pur in assenza di rossolane alterazioni della cinetica regionale all'ecocardiogramma.

Indagini Strumentali

Conclusioni

La diagnosi precoce è il mezzo più importante per affrontare il dilagare di tale patologia

Il riconoscimento dei primi segnali o segni e sintomi clinici da parte del pz unita ad un attenta valutazione clinica da parte del medico, ha un ruolo prioritario e deve sempre essere affiancata ad un dato strumentale.

Gli accertamenti di I livello, peraltro non invasivi, sono di per sè sufficienti a definire una prima diagnosi. Solo per casi dubbi è giustificato il ricorso a metodiche più' invasive. Non va comunque dimenticato che i dati strumentali ed i segni e sintomi clinici vanno interpretati nel contesto clinico.
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IL CUORE

Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:32



I FARMACI PER IL SISTEMA CARDIOVASCOLARE


A cura del Dott. Vincenzo Trani

Le categorie principali in cui vengono generalmente suddivisi i farmaci per il sistema cardiovascolare sono quattro:

- Farmaci per l’ipertensione arteriosa
- Farmaci per lo scompenso cardiaco
- Farmaci per la cardiopatia ischemica
- Farmaci per le turbe del ritmo cardiaco

Farmaci per l’ipertensione arteriosa

I farmaci antipertensivi sono così classificati:

1) Diuretici


Consentono di incrementare l'eliminazione renale di sodio e di acqua, cioè della produzione di urina.
Quasi tutti i diuretici agiscono inibendo il riassorbimento di sodio e/o di cloro in uno dei segmenti del nefrone, e incrementando conseguentemente l'escrezione urinaria di cloruro di sodio e acqua.
Vengono suddivisi in diverse categorie e i più noti sono:
- Diuretici Tiazidici
Idroclorotiazide ed Amiloride (Moduretic)
- Diuretici dell'ansa
Furosemide (Lasix)
- Risparmiatori di Potassio
Spironolattone (Aldactone)
Benefici: discreto controllo della pressione, se associati ad altre categorie di farmaci.
Effetti collaterali: eccessiva diminuzione o incremento di potassio nel sangue con rischio di gravi aritmie, necessitano pertanto di frequente monitoraggio elettrolitico (Na+ e K+).

2) Agonisti
selettivi dei recettori
alfa2-adrenergici


- Clonidina (Catapresan)
- Alfa metil dopa (il più sicuro in Gravidanza)

La stimolazione di alcuni recettori cerebrali (alfa adrenergici) con conseguente rilassamento dei vasi sanguigni in altri distretti del corpo, determina il suo effetto antipertensivo. Nel centro vasomotorio inibisce la produzione di norepinefrina, abbassando così i livelli del flusso simpatico e facendo in modo che prevalga l'attività parasimpatica.
Benefici: la clonidina è l’ unico antipertensivo disponibile in cerotti da mettere una volta a settimana.
Effetti collaterali: possono dare sonnolenza.

3) Alfa bloccanti
(anche detti agente bloccanti alfa adrenergici)


- Doxazosina (Cardura)

Sono costituiti da una varietà di molecole che bloccano il recettore adrenergico nelle arterie e nella muscolatura liscia, con conseguente rilassamento dei vasi sanguigni.
Benefici: sono utili anche nel’ ipertria prostatica benigna.
Effetti collaterali: possono dare ipotensione ortostatica.

4) Ace Inibitori


- Enalapril (Enapren)
- Ramipril (Triatec)
- Perindopril (Procaptan)
- Altri

Il meccanismo d'azione degli ACE-inibitori si basa sull'inibizione dell'enzima di conversione dell'angiotensina. Nell'organismo, quest'enzima è un vasocostrittore.
L'inibizione dell'enzima di conversione dell'angiotensina ha come conseguenza una diminuzione della concentrazione dell'angiotensina-II in corrispondenza dei recettori per l'angiotensina (AT1 e AT2). A ciò consegue in primo luogo la caduta del tono dei vasi sanguigni e la diminuzione della pressione arteriosa. Inoltre, la riduzione dei livelli di angiotensina-II porta a una diminuzione della liberazione di aldosterone dalla corteccia surrenale e, quindi, influisce sul bilancio idrico.
Nelle malattie renali, quali la nefropatia diabetica, gli ACE-inibitori portano a una diminuita eliminazione di proteine (proteinuria) ed impediscono, almeno in parte, la progressione della malattia (nefroprotezione).
Benefici: se usati ad hoc possono migliorare la funzone renale soprattutto nei diabetici, riducono col tempo la disfunzione del ventricolo sinistro.
Effetti collaterali: tosse; in talune situazioni possono aggravare un’insufficienza renale preesistente.

5) Sartani


- Losartan
- Valsartan
- Irbesartan (Aprovel)
- Candesartan (Blopress)
- Telmisartan (Micardis)
- Olmesartan (Olpress)
- Altri

Antagonizzano i recettori dell'angiotensina II ( AT1 ) a livello del sistema renina-angiotensina.
Il meccanismo d’azione è simile a quello degli Ace Inibitori, ma differenza di questi non sembrano causare tosse secca persistente.
Gli antagonisti del recettore AT1 non dovrebbero essere somministrati durante il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza e dovrebbero essere sospesi qualora si accerti una gravidanza.
Benefici: possono migliorare la funzione renale, soprattutto nei diabetici, migliorano la compliance (elasticità) del ventricolo sinistro, riducendo i segni di ipertrofia.
Effetti collaterali: ipotensione.

6) Beta
bloccanti


- Atenololo (Tenormin)
- Carvedilolo (Dilatrend)
- Bisoprololo (Condor)
- Nebivololo (Nebilox)
- Altri

I betabloccanti inibiscono i recettori beta del sistema adrenergico, sono antipertensivi efficaci, ma il loro meccanismo d’azione non è chiaro.
I betabloccanti riducono la gittata cardiaca, alterano la sensibilità riflessa barocettiva e bloccano gli adrenorecettori periferici; alcuni deprimono la secrezione di renina.
È anche possibile che un effetto centrale spieghi il loro meccanismo d’azione.
La pressione arteriosa di solito può essere controllata con pochi effetti collaterali.
Benefici: migliorano la classe “NYHA” (definisce la gravità di una insufficienza cardiaca).
Effetti collaterali: eccessiva bradicardizzazione (rallentamento della frequenza cardiaca).

7) Calcio antagonisti


- Amlodipina (Norvasc)
- Barnidipina (Vasexten)
- Nifedipina (Adalat)
- Lercanidipina (Lercadip)

Interferiscono con il flusso di ioni calcio verso l’interno delle cellule attraverso i canali lenti della membrana plasmatica. e il tono vascolare coronarico o sistemico può essere diminuito.
Benefici: migliorano il flusso coronario e ne prevengono il vasospasmo.
Effetti collaterali: possono provocare edemi declivi e dare segni di scompenso cardiaco (debole effetto inotropo negativo).

Farmaci per lo scompenso cardiaco

Una insufficiente forza di contrazione del cuore è una delle più importanti conseguenze di coloro che hanno subito uno o più infarti miocardici, gli anziani o i portatori di cardiomiopatie primitive.
Se non viene trattato adeguatamente crea sintomi e segni ingravescenti di insufficienza cardiaca e può diventare letale nell’arco di pochi anni.

I farmaci più utilizzati sono:



Fase acuta
- Diuretici (furosemide, acido etacrinico) che riducono i segni di congestione e quindi di sovraccarico emodinamico.
- Vasodilatatori (nitroglicerina) riducono il pre ed il post carico ovvero migliorano l’afflusso di sangue al cuore favorendo una maggiore elasticità del muscolo cardiaco, vengono a ridursi i segni di congestione e sovraccarico.
- Catecolamine (noradrenalina, dobutamina, dopamina)
- Inbitori delle fosfodiesterasi (enoximone e milrinone)
- Digitale

Queste ultime 3 categorie agiscono attraverso un miglioramento dell’inotropismo cardiaco ovvero della forza di contrazione del cuore, favoriscono così la ripresa della diuresi, la riduzione degli edemi, la scomparsa della dispnea, la riduzione della stasi venosa e quindi dei segni di scompenso.

Benefici: rapido miglioramento dei segni di shock cardiogeno.
Effetti collaterali: possono indurre aritmie ventricolari, anche gravi.

Fase cronica
- Diuretici (riducono la congestione)
- Digitale (aumentano la forza di contrazione del cuore)
- Ace Iinibitori (riducono il pre-ed il post-carico)
- Sartani (analogo meccanismo)
- Nitrati (vasodilatatori per ridurre il pre-carico)
- Beta-bloccanti (riducono la down regulation beta recettoriale

Questi ultimi proteggono il cuore dagli effetti catecolaminergici tossici, portando alla downregulation dei recettori beta. In passato erano controindicati nella insufficienza cardiaca per i loro effetti inotropo negativi, ma da diversi studi si è rilevato che i betabloccanti senza attività simpaticomimetica intrinseca migliorano l'insufficienza cardiaca e ne riducono la mortalità del 65%

Farmaci per la cardiopatia ischemica

Nell’attacco di angina il dolore è l’espressione di un insufficiente apporto di ossigeno al miocardio, causata da aterosclerosi a livello delle coronarie, i vasi responsabili dell’apporto di sangue al miocardio.

Farmaci antianginosi od antischemici
- Nitrati: azione prevalente sui vasi di capacitanza, provocano vasodilatazione venosa ed arteriosa.
Nitroglicerina (Minitran cerotti transdermici)
- Bloccanti dei canali del calcio: azione prevalente sui vasi di resistenza, meccanismo di vasodilatazione ed antispasmo coronario.
Verapamil (Isoptin)
Diltiazem (Dilzene)
- Beta-bloccanti: riducono l’attività “simpatica” del cuore, esercitano azione antischemica attraverso una diminuzione del consumo di ossigeno
Bisoprololo (Concor)
Metoprololo (Lopresor)
Carvedilolo (Dilatrend)

Benefici: migliorano direttamente ed indirettamente il flusso coronario.
Effetti collaterali: i nitrati provocano cefalea e talora ipotensione.

Farmaci per i disturbi del ritmo cardiaco

Sono utilizzati nella terapia delle turbe di formazione e conduzione dell’impulso elettrico nel cuore.

Quattro le categorie principali:

1)


Antiaritmici che bloccano i canali del sodio (classe I)
- Chinidina
- Lidocaina
- Propafenone e flecainide (Rytmonorm ed Almarytm)
- Altri
Alcuni sono utilizzati per le aritmie sopraventricolari, altri per quelle ventricolari.
Benefici: possono risolvere anche nel giro di pochi minuti anche gravia aritmie.
Effetti collaterali: possono indurre a loro volta aritmie ventricolari anche gravi

2)


Antiaritmici che bloccano i recettori β (classe II)
- Esmololo
- Sotalolo (effetti anche di Classe III)
Attenuano gli effetti del sistema simpatico sull’automaticità e sul sistema di conduzione del cuore.
- Atenololo
- Metoprololo
- Carvedilolo
Utili nel controllo del cronotropismo (ovvero della frequenza cardiaca) delle aritmie sopraventricolari.

3)


Antiaritmici che bloccano i canali del potassio (classe III)
- Amiodarone (effetti anche di Classe I, II e IV)
- Sotalolo
Utili, tra l’altro anche nelle aritmie sopraventricolari e ventricolari.
Benefici: possono risolvere in poco tempo aritmie anche gravi.
Effetti colaterali: l’Amiodarone può risultare tossico per la tiroide; il Sotalolo puo avere effetto proaritmico.

4)


Antiaritmici che bloccano i canali del calcio (classe IV) i Ca antagonisti
- Verapamil
- Diltiazem
Agiscono sulle cellule miocardiche, sulle cellule specializzate del sistema di conduzione del cuore e sulle cellule della muscolatura liscia vascolare. In questo modo, la contrattilità miocardica può essere ridotta, la formazione e la propagazione dell’impulso elettrico all’interno del cuore possono essere depresse.
D’ausilio nel controllo del cronotropismo per le aritmie sopraventricolari.
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IL CUORE

Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:35



LA TERAPIA OMEOPATICA PER L'IPERTENSIONE
A cura di Marta Chiappetta

L’ipertensione è un disturbo della circolazione sanguigna. La pressione è data dalla forza con cui il sangue viene spinto verso le pareti delle arterie (pressione arteriosa).
Il cuore, attraverso le sue pulsazioni, spinge il flusso sanguigno attraverso tutto il corpo. La pressione si considera normale tra i 140 mm Hg di (sistolica) e 85 mm Hg di (diastolica). Questi valori possono oscillare in determinati momenti in base ad alcuni fattori, ad esempio se il corpo è in attività.

Circa il 25-30% della popolazione soffre di ipertensione; la patologia colpisce maggiormente gli anziani. Nel 90% dei casi l’ipertensione è asintomatica e può essere primaria (o essenziale) e secondaria.
L’ipertensione si definisce secondaria quando è scatenata da specifici fattori o patologie:
- cause endocrine;
- disturbi ormonali;
- malattie renali;
- patologie congenite.

Nell’ipertensione essenziale non ci sono patologie o cause scatenanti specifiche ma esistono determinati fattori che aggravano la patologia: l’abuso di sale (contenuto in molti alimenti), fumo, alcol, liquirizia. Anche alcuni farmaci come la pillola anticoncezionale e i cortisonici possono generare problematiche ipertensive.
Tutti questi fattori sono importanti concause della malattia ma soprattutto vi è da considerare lo stile di vita: una vita stressante, sedentaria o al contrario eccessivamente iperattiva, associata a un’alimentazione sbagliata o a problemi di obesità, così come gli stress emotivi, le ansie e le preoccupazioni agiscono fortemente sulle oscillazioni della pressione.
Nella maggior parte dei casi l’ipertensione è asintomatica; il paziente scopre di essere iperteso solo quando si sottopone ad una visita medica. Anzi, paradossalmente, avverte un accentuato vigore fisico che può trarre in inganno poiché si tratta di una falsa energia legata all’innalzamento dei valori pressori.
I sintomi si manifestano solo quando l’ipertensione si aggrava; in questo caso può comparire una forte cefalea pulsante, soprattutto al mattino così come vertigini, debolezza, sudorazione, arrossamento degli occhi, emorragie nasali.
L’ipertensione di per sé non è una patologia mortale ma è la causa di disturbi alla circolazione celebrale, di gravi patologie renali e cardiache.

In campo omeopatico ci sono molti rimedi in grado di agire sull’ipertensione. Spesso vengono associati alla terapia allopatica e hanno una funzione di sostegno.
Nell’anamnesi del paziente in cura omeopatica viene riservata particolare attenzione allo stile di vita che conduce, alle abitudini alimentari, alla vita sociale e relazionale, uso di farmaci e droghe. Come per le altre patologie, il rimedio d’elezione sarà quello che rispecchia la totalità dei sintomi.

Nux vomica è indicata quando il paziente è un gran fumatore, tende ad abusare di alcol e cibi pesanti. Ha un aumento evidente di colesterolo e trigliceridi nel sangue.
Conduce una vita stressante e iperattiva, è collerico, sedentario, soffre d’insonnia. Possono associarsi disturbi di stomaco, acidità gastrica, stipsi.

Baryta carbonica si prescrive nei casi di ipertensione degli anziani che lamentano perdita della memoria e del senso di orientamento, ansie e paure forti, soprattutto quella di non guarire dalle malattie. È utile nel trattamento dei soggetti con arteriosclerosi. Sintomi concomitanti sono cefalee, paralisi omolaterale, sudorazione, forti vertigini, acufeni.

Aurum metallicum è uno dei più importanti rimedi dell’ipertensione perché presenta grossa parte dei sintomi emotivi spesso alla base di questa patologia. Aurum è un collerico, ipersensibile a tutti gli stimoli (fisici e psichici). Soffre di forti crisi depressive, ha pensieri suicidi. Durante le crisi presenta un viso rosso e congestionato, forti palpitazioni, gonfiore gastrico,vampate di calore al capo. Caratteristica è la sensazione che il cuore si fermi all’improvviso.

L’ansiolitico per eccellenza, Ignatia amara, è certamente indicato quando lo stato emotivo che alterna momenti di tristezza e di euforia fa oscillare continuamente la pressione. Sono presenti sintomi tipici quali senso di oppressione, gonfiore gastrico, nausea, tremori e contrazioni. È utile in caso di profondi stress emotivi, traumi affettivi, delusioni sentimentali o lavorative.

Le crisi ipertensive sono spesso violente e improvvise: in questo caso si prescrive Aconitum napellus, il rimedio degli stati acuti. Aconitum rappresenta la classica crisi ipertensiva. Ha il viso congestionato, un’ansia fortissima, agitazione e paura della morte, palpitazioni, formicolii e intorpidimento, senso di oppressione, fitte toraciche.

Pubblicità
Un rimedio simile ad aconitum nella forma acuta è Glonoinum. È utile nei disordini circolatori improvvisi, quando le crisi violente sono accompagnate da tachicardia, vertigini, cefalea fortissima che migliora premendo il capo. Il paziente è confuso, fortemente spaventato.

Sulphur cura una forma di ipertensione spasmodica che alterna altri sintomi oltre all’ipertensione, come ad esempio problemi cutanei o asma. È indicato per le persone robuste, calorose che soffrono di gonfiore addominale e pesantezza delle gambe.

I disturbi ormonali ed emotivi che caratterizzano la menopausa causano spesso ipertensione nel sesso femminile. In questi casi Lachesis si prescrive alle donne calorose, molto loquaci, eccitate, ansiose, fortemente gelose. Le pazienti presentano spesso problemi cardiaci e durante le crisi hanno forti vampate di calore, palpitazioni, tensione al torace.

Tutti i rimedi vanno assunti nelle diluizioni dalla 5 alla 30 CH. Nel trattamento dell’ipertensione spesso risultano utili le diluizioni più basse per la fase acuta e quelle più alte per un’azione psichica più profonda e mirata.

Bibliografia
Brandl A., Omeopatia pocket, CIC Edizioni Internazionali, Roma , 2006
Hodgson S.S., Il medico in famiglia, Grandmelò, Roma , 1996
Bressan P., Gamacchio R.C., Manuale pratico di omeopatia, Giunti 2009
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IL CUORE

Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:37



LA FIBRILLAZIONE ATRIALE
A cura di Vincenzo Trani


La fibrillazione atriale è un’aritmia cardiaca, un tipo di tachicardia caratterizzato da un numero di battiti, teorico, compreso tra i 300 e 600 al minuto.
In condizioni normali, a riposo, il ritmo cardiaco, definito “sinusale” è solitamente di 60-80 pulsazioni al minuto. In caso di FA, la frequenza degli impulsi atriali (sede di origine del segnapassi cardiaco) può variare tra 300 e 600 battiti al minuto (bpm).
I tanti impulsi provenienti dagli atrii tentano di seguire il “circuito” elettrico che li porta ai ventricoli (responsabili dell’espulsione del sangue che passerà in circolo). Fortunatamente, il nodo atrioventricolare (struttura che segna il confine tra le due camere) limita il numero di segnali che raggiungono effettivamente le camere ventricolari, così che il cuore si contrae solitamente ad una frequenza compresa mediamente fra i 100 e 200 bpm.

La FA accelerando la funzionalità cardiaca, riduce l’efficienza della pompa cardiaca. Come in altre forme di aritmia, la FA può di conseguenza impedire al cuore di inviare la quantità di sangue e di ossigeno sufficiente a soddisfare i bisogni dell’organismo. La FA è una patologia relativamente diffusa (in Italia ne soffrono circa mezzo milione di persone) che colpisce in prevalenza la popolazione anziana, gli ultrasettantenni. A differenza della fibrillazione ventricolare, la fibrillazione atriale non è considerata letale. Tuttavia, se la FA si protrae per un certo periodo di tempo, può provocare un ictus o danni al muscolo cardiaco. Le probabilità di insorgenza di ictus nelle persone con FA è circa cinque volte superiore rispetto alla popolazione normale.

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Sintomi

Solitamente chi è colpito da fibrillazione atriale riferisce l’improvvisa insorgenza di battiti irregolari, accelerati, palpitazioni, cardiopalmo aritmico, talvolta alternati a battiti più rallentati.
Il cuore diviene così incapace di adattarsi, come di solito accade, alle diverse e fisiologiche situazioni quotidiane in cui si trova. Il normale rallentamento del battito del cuore durante il sonno, le sue accelerazioni durante gli sforzi fisici, le emozioni, possono venire meno e questo si traduce in sensazione di debolezza, di mancanza di respiro, di cuore in gola, di vertigine.
Alcuni pazienti, al contrario, non avvertono disturbi, soprattutto i più giovani: questi possono continuare a condurre una vita normale, senza disturbi; addirittura può capitare che anche per parecchi mesi non si accorgano di nulla. Questi pazienti sono svantaggiati perché giungono dal medico in ritardo, riducendo le possibilità di far ripristinare il normale ritmo del cuore, che per non creare conseguenze deve avvenire entro 48-72 ore (è questo il tempo medio utile, entro il quale l’aritmia deve essere corretta, prima che il rischio di formare trombi e quindi emboli, cominci a diventare elevato).

Cause

L’eziologia è solitamente da ricondurre all'invecchiamento del cuore e al progressivo ingrandimento dell'atrio sinistro, dal momento che la regione interessata dal disturbo contiene anche il "centro del ritmo", il segnapassi, che genera il battito cardiaco.
La fibrillazione atriale è pertanto comune nei soggetti anziani, perché le modificazioni del cuore che avvengono con l’invecchiamento ne facilitano l’insorgenza. Difatti le cause più frequenti di fibrillazione atriale sono le malattie delle valvole cardiache (degenerative e non), lo scompenso cardiaco, la cardiopatia ischemica, l’ipertensione arteriosa, le malattie polmonari, le malattie della tiroide, ecc.
Quando non si riesce a trovare la vera causa della fibrillazione atriale: in questo caso l’aritmia viene chiamata "idiopatica". In questi soggetti si possono riscontrare talvolta fattori che possono facilitare lo scatenamento della fibrillazione atriale (alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico, l’assunzione eccessiva di alcolicio di caffeina, lo stress, infezioni gravi o taluni farmaci, diarrea protratta).

Diagnosi

Per la diagnosi della FA, il medico utilizza normalmente l’esame dell’elettrocardiogramma (ECG). Tuttavia, se la fibrillazione è intermittente, un normale esame ECG può non evidenziare il problema. Il medico può consigliare altri tipi di esami (Holter ECG), nel tentativo di registrare un episodio di FA.
Sarà il medico ad indicare al paziente il tipo di esame più adatto alle sue condizioni.

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Conseguenze

Se il cuore in fibrillazione atriale diventa meno efficiente, dovendo fare a meno del contributo emodinamico dell’atrio, ne consegue una riduzione della funzione di pompa, stimabile fra il 10 ed il 30%, a seconda dell’età e delle caratteristiche del cuore: se l’aritmia persiste a lungo (mesi o anni), il cuore subisce delle alterazioni, non solo nel funzionamento, ma anche nell’anatomia.
Si crea così un circolo vizioso che può portare allo scompenso cardiaco o addirittura all’edema polmonare acuto se alla fibrillazione atriale si aggiungono altre situazioni patologiche, come l’ipertensione, l’arteriosclerosi, la cardiopatia ischemica, le malattie valvolari.
Complicanza gravissima della fibrillazione atriale come accennato è la formazione di trombi, ossia coaguli di sangue, all’interno degli atrii: questi trombi possono infatti staccarsi dal cuore e, trasportati dalla corrente sanguigna, raggiungere arterie periferiche e chiuderle (embolia), in particolare l’ictus cerebrale il cui rischio è molto più alto in pazienti con fibrillazione atriale rispetto ai soggetti in ritmo sinusale normale. Per ridurre questo rischio i pazienti devono assumere una terapia anticoagulante, che, rendendo il sangue più fluido, previene la formazione dei trombi, terapia da eseguire sotto stretta sorveglianza medica.
Per tutti questi motivi è sempre opportuno cercare di interrompere l’aritmia quanto prima (48-72 ore) in modo da ripristinare il ritmo regolare (sinusale) evitando così ricorso agli anticoagulanti orali.

Terapia

Il trattamento della FA dipende in gran parte dai sintomi del paziente. In generale, il medico focalizza l’attenzione su trattamenti che supportino il controllo della frequenza cardiaca e riducano il rischio di emboli sanguigni. Antiaggreganti quali aspirina o meglio anticoagulanti come il warfarin vengono comunemente prescritti. Sono disponibili inoltre diverse terapie antiaritmiche che supportano il controllo degli episodi di tachiaritmia.
La scelta del farmaco più adatto varia da individuo a individuo. Dato che la maggior parte delle terapie è efficace solo per un certo periodo di tempo, può essere necessario provare altri farmaci se nel paziente persistono i sintomi o insorgono effetti collaterali indesiderati.
Per un certo numero di pazienti affetti da FA le terapie non sono in grado di controllare efficacemente l’aritmia oppure possono causare gravi effetti collaterali. Per questi soggetti potrebbe essere presa in considerazione una procedura chiamata “ablazione” (eliminazione di una minuta fetta di tessuto cardiaco, ritenuta responsabile dell’innesco dell’aritmia). Per alcuni pazienti può risultare necessario l’impianto di un pacemaker (in particolare nei casi FA lenta, nei quali l’eccessivo rallentamento della frequenza cardiaca può condizionare complicanze altrettanto gravi ed intuibili) insieme ad una procedura di ablazione.

Come si fa a riportare il cuore in Ritmo Sinusale?

In alcuni casi la fibrillazione atriale può regredire da sola, entro poche ore dall’inizio; nella maggioranza dei pazienti l’aritmia dura nel tempo e tende a cronicizzarsi. Se la fibrillazione atriale viene riconosciuta dal paziente, è opportuno che questi si rechi dal medico entro poche ore dall’insorgenza dei sintomi: in questo caso, infatti, è ancora possibile riportare il cuore in ritmo senza che sia necessario iniziare una terapia anticoagulante. Se la fibrillazione atriale dura invece da più tempo, il paziente potrà essere riportato in ritmo sinusale solo dopo una adeguata terapia anticoagulante (almeno 6 mesi di trattamento).

La cardioversione esterna ed interna, i regimi di trattamento farmacologico e una varietà di procedure di ablazione con catetere vengono attualmente utilizzati per controllare la fibrillazione atriale. La soluzione migliore viene stabilita dal paziente e dal medico.

Esistono attualmente tre diverse terapie per riportare il cuore in ritmo:

Cardioversione Farmacologica
Consiste nella somministrazione per via endovenosa od orale di farmaci antiaritmici. Può essere utilizzata solo nelle prime ore dall’inizio della fibrillazione atriale, ma non è efficace in tutti i casi. I farmaci più utilizzati sono l’amiodarone, il sotalolo, il propafenone e la flecainide. In alcuni pazienti non sono utilizzabili per controindicazioni al loro utilizzo.
Cardioversione Elettrica Esterna
Consiste nell’erogare una scossa elettrica attraverso un’apposita apparecchiatura appoggiata sul torace; poiché la procedura è dolorosa, richiede una breve anestesia generale. È generalmente più efficace della cardioversione farmacologica.

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Cardioversione Elettrica Interna (o Endocavitaria)
Si effettua per mezzo di appositi cateteri, introdotti attraverso una vena, in anestesia locale, sotto controllo radiografico; per mezzo di questi cateteri viene erogata una scossa elettrica di lieve entità. Il paziente non viene perciò addormentato, ma solo leggermente sedato in quanto avverte, al momento della scossa, solo una sensazione di colpo nel petto. Quest’ultimo metodo è il più efficace (la percentuale di successo di tale procedura si aggira intorno al 95-98%) e consente di ottenere il ripristino del ritmo normale anche in caso di fibrillazione che duri da parecchi anni.

Cosa fare dopo il ripristino del normale Ritmo Sinusale?

Il paziente dovrà assumere con regolarità la terapia che gli è stata prescritta ed eseguire periodici controlli dal Cardiologo di riferimento, perché spesso l’aritmia può recidivare e ripresentarsi anche a breve distanza di tempo: in questo caso è essenziale che il paziente si ripresenti al più presto possibile dal Medico. In questa fase il paziente occupa un ruolo chiave nella gestione della sua malattia e non dovrà scoraggiarsi di fronte alla recidiva, in quanto il periodo di tempo libero dalla fibrillazione atriale diviene di volta in volta sempre più lungo.

Conclusioni

Cosa fare se la Fibrillazione Atriale persiste nonostante il trattamento?
Va rammentato che sovente, specie nei pazienti anziani, con un cuore più compromesso, il ripristino del ritmo Sinusale non è ottenibile, talvolta neanche indicato, in tali casi la FA diviene cronica, permanente. In tali casi andrà attuato un trattamento medico che contempli l’utilizzo di anticoagulanti, se possibile vita natural durante o in alternativa antiaggreganti. Sarà pertanto inutile l’utilizzo di antiaritmici, indicato invece l’uso di farmaci per il controllo della frequenza cardiaca, quali beta bloccanti e calcio antagonisti.
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IL CUORE

Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:46



Cardioversione Elettrica Interna (o Endocavitaria)
Si effettua per mezzo di appositi cateteri, introdotti attraverso una vena, in anestesia locale, sotto controllo radiografico; per mezzo di questi cateteri viene erogata una scossa elettrica di lieve entità. Il paziente non viene perciò addormentato, ma solo leggermente sedato in quanto avverte, al momento della scossa, solo una sensazione di colpo nel petto. Quest’ultimo metodo è il più efficace (la percentuale di successo di tale procedura si aggira intorno al 95-98%) e consente di ottenere il ripristino del ritmo normale anche in caso di fibrillazione che duri da parecchi anni.

Cosa fare dopo il ripristino del normale Ritmo Sinusale?

Il paziente dovrà assumere con regolarità la terapia che gli è stata prescritta ed eseguire periodici controlli dal Cardiologo di riferimento, perché spesso l’aritmia può recidivare e ripresentarsi anche a breve distanza di tempo: in questo caso è essenziale che il paziente si ripresenti al più presto possibile dal Medico. In questa fase il paziente occupa un ruolo chiave nella gestione della sua malattia e non dovrà scoraggiarsi di fronte alla recidiva, in quanto il periodo di tempo libero dalla fibrillazione atriale diviene di volta in volta sempre più lungo.

Conclusioni

Cosa fare se la Fibrillazione Atriale persiste nonostante il trattamento?
Va rammentato che sovente, specie nei pazienti anziani, con un cuore più compromesso, il ripristino del ritmo Sinusale non è ottenibile, talvolta neanche indicato, in tali casi la FA diviene cronica, permanente. In tali casi andrà attuato un trattamento medico che contempli l’utilizzo di anticoagulanti, se possibile vita natural durante o in alternativa antiaggreganti. Sarà pertanto inutile l’utilizzo di antiaritmici, indicato invece l’uso di farmaci per il controllo della frequenza cardiaca, quali beta bloccanti e calcio antagonisti.

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Quando la pressione sistolica e diastolica di un paziente rientrano in categorie differenti, la classificazione va fatta in base alla categoria maggiore.

I PERTERSIONE SECONDARIA


Si parla di ipertensione secondaria quando la causa della condizione è nota e questo si verifica nel 25-30% dei casi. L'ipertensione può essere una conseguenza di patologie endocrine, di difetti enzimatici surrenali, di problemi vascolari, come una stenosi, cioè un restringimento, dell'aorta e di patologie renali.

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Terapia

La terapia di questo tipo di ipertensione si basa sulla valutazione e sulla risoluzione della causa, che talvolta può essere anche chirurgica. Nella maggior parte dei casi l'ipertensione secondaria viene guarita dopo che la causa è stata scoperta e risolta.
Criterio fondamentale è quello di portare la pressione a valori vicini il più possibile a quelli normali e questo è spesso possibile con la terapia medica che si avvale di farmaci con diversi meccanismi ipotensivi efficaci e ben tollerati.

IPERTENSIONE ESSENZIALE


L'ipertensione detta essenziale ha un'origine sconosciuta ed è molto frequente: quasi il 90% degli ipertesi soffre di questo tipo di ipertensione. Numerosi fattori sono certamente importanti nella manifestazione dell'ipertensione essenziale, per esempio l'ereditarietà, la razza, la dieta, il regime di vita, l'età. Spesso l'invecchiamento è accompagnato da ipertensione anche nei soggetti che non hanno mai avuto precedentemente il problema o che addirittura in gioventù avevano il problema opposto.

Manifestazioni

Inizialmente l'ipertensione essenziale può manifestarsi con un aumento più o meno spiccato della pressione arteriosa non accompagnato da sintomi, tanto che il paziente può non accusare nessun disturbo e non accorgersene. Importante, quindi, è la misurazione della pressione periodicamente, specialmente ad una certa età oppure quando si manifestano i primi leggeri sintomi di cefalea, astenia, cioè stanchezza fisica e intellettuale, nervosismo, insonnia, vertigini, ronzii. Con il tempo e quando non è curata, l'ipertensione può causare problemi al cuore(angina, infarto, scompenso cardiaco), insufficienza vascolare cerebrale o renale con anomalie ematiche rilevabili in laboratorio, epistassi, offuscamento della vista(da retinopatia),aneurisma dell'aorta.

Terapia

L'ipertensione essenziale può essere curata, ma non guarita. La terapia medica è molto efficace, se seguita con attenzione e costanza, e riduce significativamente il problema ed eventuali complicazioni mantenendo la pressione a livelli accettabili, ma se si sospendono i medicinali l'ipertensione tende inevitabilmente a ripresentarsi. La decisione di trattare i pazienti con ipertensione non dovrebbe basarsi soltanto sul livello della pressione arteriosa, ma anche sulla presenza di altri fattori di rischio, di malattie concomitanti, di danno d'organo, di malattie cardiovascolari o renali, nonché di caratteristiche o elementi personali, medici e sociali inerenti il paziente.
Si deve prendere in considerazione l'età, il sesso, il fumo, il diabete, le colesterolemia, la storia familiare di pregresse malattie cardiovascolari in età precoce, il danno d'organo e la storia di pregresse malattie cardiovascolari o renali.
Si somministrano uno o più farmaci ad azione antipertensiva, come i diuretici, i vasodilatatori, i calcioantagonisti, i betabloccanti e altri simili, quindi il controllo medico è essenziale per definire la cura più adeguata e l'associazione farmacologica migliore per risolvere il problema specifico e per tenere sempre sotto controllo l'ipertensione ed eventuali alterazioni ad altri distretti.


Considerazioni

Alcune misure comportamentali possono influire positivamente sul controllo dell'ipertensione: una corretta attività fisica, un controllo del peso corporeo per evitare il sovrappeso o l'obesità, seguire una dieta equilibrata, evitare, se possibile, eccessivi stress emotivi.. Un utile complemento alla terapia medica sono alcune misure igienico-sanitarie come abolire il fumo, soprattutto in presenza di danni vascolari, seguire una dieta ipocalorica e iposodica per controllare il valore della pressione ed evitare alterazioni ematiche come, per esempio, una colesterolemia troppo elevata.
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IL CUORE

Messaggioda Royalsapphire » 19/03/2015, 18:48



LA PERICARDITE

A cura del Dr Vincenzo Trani Dirigente Medico Cardiologia Policlinico S. Marco, Zingonia-Osio Sotto (Bergamo)

La pericardite è un processo infiammatorio che coinvolge la guaina fibrosa che riveste il cuore, detta “pericardio”. Il pericardio è una sottile membrana fibrosa (sacco fibroso) che circonda il cuore e consta di due parti: un foglietto interno detto “pericardio viscerale” che riveste il cuore intero ed uno esterno detto “pericardio parietale”. Fra i due è presente una piccola quantità di liquido che serve ad impedire che i due foglietti sfreghino fra loro, consentendo al cuore di muoversi liberamente mentre batte. Il ruolo che svolge consiste quindi nel mantenere il cuore in sede e difenderlo da aggressioni secondarie. Quando il pericardio si infiamma, la quantità di liquido presente fra i due foglietti può aumentare, se tale aumento è eccessivo e consistente, esso limita la funzione di pompa del cuore. La pericardite è pertanto l’infiammazione di entrambe le parti che costituiscono il pericardio, essa ha solitamente un decorso benigno, spesso autolimitantesi e talora solo lievemente o per nulla sintomatica.

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I meccanismi che possono ingenerare la pericardite sono diversi.

La pericardite viene definita idiopatica quando non è riconoscibile né il meccanismo né l'agente causale, il che accade in buona parte dei casi. Solitamente ha un decorso benigno, autolimitantesi, colpisce individui fra 20 ed i 50 anni, in particolare nella stagione primaverile od autunnale, spesso quale conseguenza di una banale infezione virale (vie aeree superiori)

Cause di Pericardite

Infezioni virali, batteriche o fungine
Traumi toracici
Radioterapia
Farmaci immunodepressivi, droghe
Malattie autoimmunitarie quali artrite reumatoide, lupus eritematoso, sclerodermia
Insufficienza renale (uremia), leucemia, AIDS.
Tumori

Sintomi

Il dolore della pericardite si presenta come un dolore toracico “trafittivo”, localizzato in particolare nell’area sottomammaria, irradiantesi al collo, alla spalla sinistra ed alla muscolatura sita fra il collo e le spalle. Il dolore si intensifica quando si esegue un inspirazione profonda, tende invece a diminuire quando ci si siede. A volte è presente febbre o febbricola, astenia od altri sintomi quali sudorazione fredda, modica dispnea, tosse secca, palpitazioni. Sebbene similari, i sintomi non vanno confusi con quelli di tipo anginoso (dolore toracico costrittivo, gravativo, oppressivo, irradiato al braccio sino all’epigastrio, al giugulo, alla mandibola, al livello interscapolare).

Decorso

Dipende dalle cause sottostanti: se idiopatica o virale può durare alcuni giorni o settimane, se relativa a malattie autoimmunitarie può persistere per lunghi periodi di tempo.

Diagnosi

All’esame obiettivo cardiologico è possibile rilevare, attraverso lo stetoscopio, la presenza dei cosiddetti “sfregamenti pericardici”, i quali indicano che c’è presenza di liquido fra i due foglietti infiammati. Per la diagnosi è però fondamentale l'ecocardiografia, esame non invasivo che permette di evidenziare la presenza di versamento e l’accumulo di liquido (spazio privo di echi) fra i foglietti pericardici, anche di modesta entità. L’elettrocardiogramma può essere di ausilio nella maggioranza dei casi e anche nelle forme più lievi. L’ECG infatti può evidenziare alterazioni del ritmo cardiaco o della “ripolarizzazione ventricolare” ovvero dell’attività elettrica del cuore.

Alcuni esami del sangue possono agevolare la diagnosi, come un incremento degli indici di flogosi (PCR, Ves, leucocitosi) e la ricerca di autoanticorpi. L’Rx torace può evidenziare un allargamento dell’ombra cardiaca, da mettere in relazione all’accumulo di liquido, nei casi più imponenti. Se il liquido è troppo può rendersi necessaria la pericardiocentesi, ovvero l’aspirazione del liquido attraverso un sottile catetere, in condizioni di sterilità, per evitare complicanze più gravi. Il liquido potrà poi essere analizzato per risalire all’eziologia.
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TC e RM sono procedure cui si ricorre in casi selezionati.


Trattamento

Quando possibile la terapia deve essere eziologica. Se la causa della pericardite è un’infezione batterica, andrà considerata una terapia antibiotica mirata. Nelle forme virali o idiopatiche la terapia con aspirina a dosaggi elevati, è di prima scelta. Se non si dimostra sufficientemente efficace si utilizzano farmaci antinfiammatori non steroidei, tipo l’indometacina e l'ibuprofene. Se possibile è meglio evitare l'uso di steroidi. In circa un quarto dei pazienti si verificano recidive a distanza di qualche mese, fino a più di due anni. Anche in questo caso è utile somministrare antinfiammatori non steroidei da soli o eventualmente associati ai cortisonici (prednisone) o immunosoppressori (azatioprina). In alcuni casi si è dimostrata efficace anche la colchicina. Se compaiono sintomi di tamponamento cardiaco è necessario eseguire una pericardiocentesi.

Complicanze

Tamponamento cardiaco
L’eccessivo accumulo di liquido fra i due strati del pericardio, crea compressione a carico del cuore che non può più svolgere agevolmente la sua funzione di pompa.

Pericardite costrittiva
L’infiammazione del pericardio, terminata la fase di acuzie, può far si che residui una cicatrizzazione dei foglietti che impedisce al cuore un adeguato riempimento durante la diastole limitandone, anche in questo caso, la funzione di pompa.

Pericardectomia chirurgica
Se il pericardio è danneggiato e diventa inflessibile, o se le pericarditi diventano spesso ricorrenti, bisognerà considerare la pericardiectomia ovvero l’asportazione chirurgica del pericardio, di parte o dell'intero sacco, secondo la severità. Anche se il pericardio aiuta a sostenere e proteggere il cuore, la sua rimozione non causa alcun danno, il cuore può funzionare perfettamente anche senza.

Per ricordare:

Il cuore è circondato due foglietti membranosi, flessibili chiamati “pericardio”
La pericardite è l’infiammazione del pericardio
Spesso la causa è sconosciuta o dovuta ad infezioni virali
I sintomi possono ricordare quelli di un attacco cardiaco (angina) ed includono, dolore toracico ed alterazioni del ritmo cardiaco
La diagnosi si effettua solitamente mediante l’esame obiettivo in ambiente medico specialistico, l’elettrocardiogramma o l’ecocardiogramma
Il decorso è sovente benigno ed autolimitantesi
Per il trattamento può essere sufficiente la sola aspirina ad alte dosi per breve tempo.
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