MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 22/03/2015, 20:36



Il sangue provvede a veicolare attraverso tutto l'organismo l'ossigeno e le sostanze nutritive e chimiche necessarie al funzionamento dei tessuti e degli organi. Le cause delle malattie che riguardano il sangue possono essere diverse, a seconda di quale componente viene coinvolto: l'emoglobina, i globuli bianchi o la difficoltà di coagulazione. In questa sezione anche malattie e disturbi degli organi emopoietici, le parti dell'organismo che producono le piastrine, i globuli bianchi e i globuli rossi.

Anemia
La componente più importante dei globuli rossi è l'emoglobina che nei polmoni si combina con l'ossigeno e lo trasporta, attraverso la circolazione, a tutti i tessuti del corpo. L'anemia si verifica quando la quantità di emoglobina nel sangue scende al di sotto del minimo necessario.

Emofilia
Il sangue prelevato con una siringa, e con opportune precauzioni, rimane liquido solo per qualche minuto trasformandosi, in seguito in una specie di budino gelatinoso. Questo evento è chiamato dai medici coagulazione. Quando c’'è un problema che interessa una sostanza che interviene nella sequenza della coagulazione, come il Fattore ottavo (Fattore VIII) o Fattore Emofilico, si verifica l'emofilia.

Diabete - Diabete Mellito - Diabete insulino-dipendente - Diabete IDDM
Attualmente il diabete mellito ha assunto importanza sociale per il progressivo aumento nella popolazione mondiale. L'aumento della incidenza della malattia è legato anche ad un regime di vita che in seguito al benessere economico è sempre più sedentario ed ha favorito un'alimentazione eccessiva rispetto al fabbisogno energetico.

Faq su: Il diabete
Malattia cronica, generalmente caratterizzata dalla presenza di iperglicemia, il diabete è causato da un difetto assoluto o relativo di insulina, ormone secreto dalle insule di Langherhans del pancreas ed indispensabile per il metabolismo degli zuccheri. In questa pagina, alcune domande e risposte ricorrenti su come affrontare il diabete e come prevenirlo.

Le linee guida per il diabete nei bambini - Diabete tipo 2
L'American Academy of Pediatrics, considerato il costante aumento dei casi di diabete di tipo 2 tra bambini e adolescenti, ha delineato le prima Linee guida a misura dei più piccoli che, anche in Italia, potranno servire per affrontare al meglio questa patologia.

Il Favismo
Il favismo è una malattia genetica ereditaria causata dalla mancanza dell'enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD), che in condizioni normali è presente nei globuli rossi ed è determinante per lo svolgimento delle loro funzioni.

Leucemia, Leucemie, trapianto midollo
I tumori che colpiscono il precursore mieloide sono le leucemie mieloidi, mentre quelle che interessano quello linfoide sono le leucemie linfoidi. Ogni tipo di leucemia può avere un andamento rapido e tumultuoso, in questo caso si parla allora di leucemie acute, mentre se il decorso è lento e calmo, si definiscono croniche; entrambe, a loro volta, possono essere, secondo il tipo di cellula malata, mieloidi o linfoidi.

Malattie rare ereditarie del sangue
Le malattie ematiche che hanno una causa genetica sono numerosissime, alcune di queste seguono una linea ereditaria, altre sono congenite magari a causa di una mutazione avvenuta nel corso dello sviluppo fetale. Esse non includono solo alcune tra le più note forme di anemia o le talassemie, ma riguardano anche le patologie da disturbi della coagulazione sanguigna, causata dalla mancanza di alcuni fattori in particolare, patologie che coinvolgono le piastrine, le emofilie e leucopenie.

Dislipidemie
Le alterazioni della quantità di grassi o lipidi normalmente presenti nel sangue sono chiamate dislipidemie. In questo articolo la classificazione, la prevenzione e le terapie di questi disturbi che possono portare, se non curati correttamente, all'infarto miocardico e all'ictus celebrale.

Le talassemie
Le talassemie sono una famiglia di malattie ematologiche, meglio definite come sindromi talassemiche, che includono un gruppo di patologie ereditarie, causate da un deficit nella sintesi delle catene α e β, costituenti l’emoglobina (Hb). Le forme talassemiche sono principalmente diffuse nei Paesi Asiatici e nelle regioni Africane più vicine al Mediterraneo.

Trombicitopenie
Normalmente ci sono tra 150 mila e 400 mila piastrine nella millesima parte di un litro di sangue. Alcune persone hanno poche piastrine, allora i medici parlano di piastrinopenia, cioè sono povere di piastrine. Altre, pur avendone un numero regolare, soffrono di vari disturbi perché le loro piastrine non funzionano come si deve ed i medici chiamano queste condizioni piastrinopatie, cioè malattie delle piastrine, trombocitopatie. Perciò i termini trobocitopenia e trombocitopatia sono perfettamente equivalenti a quelli usati prima.
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:13



IL SANGUE


Il sangue è un tessuto fluido attraverso il quale si realizza il trasporto di sostanze nutritive, gas, ormoni e prodotti di rifiuto. Il sangue, inoltre, trasporta cellule specializzate che difendono i tessuti periferici da infezioni e malattie. Queste funzioni sono assolutamente essenziali in quanto un'area completamente priva di circolazione può morire nel giro di pochi minuti.

Il sangue nell'organismo ha le seguenti funzioni:

trasporta gas disciolti portando ossigeno dai polmoni ai tessuti e anidride carbonica dai tessuti ai polmoni;
distribuisce le sostanze nutritive assorbite nel tubo digerente o rilasciate dai depositi del tessuto adiposo o dal fegato;
trasporta i prodotti del catabolismo dai tessuti periferici ai siti di eliminazione come i reni;
consegna enzimi e ormoni a specifici tessuti-bersaglio;
regola il pH e la composizione elettrolitica dei liquidi interstiziali in ogni parte del corpo;
riduce le perdite dei liquidi attraverso i vasi danneggiati o ad altri lesionati. Le reazioni di coagulazione bloccano le interruzioni nelle pareti vascolari prevenendo modificazioni nel volume del sangue che possono intaccare seriamente la funzione cardiovascolare;
difende il corpo dalle tossine e dagli agenti patogeni: infatti trasporta globuli bianchi, cellule specializzate che migrano nei tessuti periferici per "combattere" infezioni o rimuovere detriti e apporta anticorpi, proteine speciali che attaccano micro-organismi o agenti estranei. Il sangue, inoltre, riceve tossine prodotte da infezioni, danni fisici o attività metaboliche e le consegna al fegato e ai reni dove possono venire inattivate o espulse;
aiuta a regolare la temperatura del corpo assorbendo e ridistribuendo calore. Il sangue, quasi al 50%, è fatto di acqua che ha una capacità straordinariamente elevata di trattenere calore.

L'organismo umano contiene 5-6 litri di sangue, equivalenti all' 8%circa del peso corporeo.

Componenti del sangue

Il sangue è formato da due principali componenti:

una parte liquida, il plasma, che costituisce il 55-60%del volume del sangue;
una serie di cellule specializzate (i cosiddetti "elementi figurati") presenti in sospensione nel plasma (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine). Mediamente questi elementi corpuscolari rappresentano il 40-45% del volume totale del sangue.

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Il plasma

Il plasma ha densità poco più alta di quella dell'acqua proprio perché è formato per più del 90% proprio da acqua, nella quale sono disciolte numerose sostanze: proteine, ormoni, sostanze nutritive (glucosio, vitamine, amminoacidi, lipidi), gas (diossido di carbonio, ossigeno), ioni (sodio, cloruro, calcio, potassio, magnesio) e sostanze di rifiuto come l'urea.Le sostanze presenti in quantità maggiore sono le proteine, principalmente di tre tipi:

le albumine, con importanti funzioni osmotiche;
le globuline, che trasportano i grassi e sono essenziali nei processi immunitari.Esse includono:- le immunoglobuline: chiamate anche anticorpi, attaccano le proteine estranee e gli agenti patogeni;
- le proteine vettrici, le quali trasportano ioni e ormoni che altrimenti potrebbero passare attraverso il filtro renale. Sia alle albumine che alle globuline si possono attaccare lipidi, quali i trigliceridi, gli acidi grassi o il colesterolo che non sono solubili in acqua. Le globuline coinvolte nel trasporto dei lipidi sono chiamate lipoproteine.
il fibrogeno, fondamentale nella coagulazione del sangue. Le proteine plasmatiche contribuiscono a mantenere costantemente a 7,4 il pH del sangue (funzione tampone); per l'organismo, inoltre, esse rappresentano una riserva di proteine importante e, soprattutto, immediatamente disponibile.

Gli elementi figurati

Le maggiori componenti cellulari del sangue sono i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine.

I globuli rossi

Come altri elementi del sangue, i globuli rossi vengono prodotti nel midollo delle ossa brevi o piatte (ala iliaca, sterno, corpi vertebrali) nonché nelle epifisi di omero e femore.I globuli rossi, o eritrociti, rappresentano un po' meno della metà del volume totale del sangue (40% per la donna e 45% per l'uomo).La forma di un globulo rosso ricorda quella che si ottiene schiacciando una pallina di plastilina tra pollice e indice. Tale forma biconcava garantisce una superficie maggiore di quella di una cellula sferica di uguale volume, ciò esalta la capacità della cellula di assorbire e cedere ossigeno attraverso la sua membrana.

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Una delle caratteristiche più appariscenti dei globuli rossi è il colore rosso, dovuto al pigmento emoglobina, una grossa molecola proteica contenente ferro, che rappresenta circa un terzo del peso della cellula. Non meno del 97% dell'ossigeno trasportato dal sangue è fissato nell'emoglobina e per il resto sostanzialmente è composto da una membrana plasmatica e da un citoscheletro. La molecola di emoglobina raccoglie l'ossigeno dove la concentrazione è elevata, come nei capillari dei polmoni, e lo cede dove la concentrazione è bassa, in altri tessuti del corpo. Ceduto l'ossigeno, una parte dell'emoglobina si combina con il diossido di carbonio prodotto dal metabolismo cellulare e ritorna ai polmoni.
Grazie all'emoglobina, il nostro sangue può trasportare una quantità di ossigeno 70 volte superiore a quella che sarebbe possibile se l'ossigeno fosse semplicemente disciolto nel plasma. Legando a sé l'ossigeno, l'emoglobina subisce una lieve modificazione di forma che ne altera il colore. Infatti il sangue deossigenato è di colore marrone-rosso scuro, ma appare bluastro attraverso la cute, mentre il sangue ossigenato è di colore rosso ciliegia.
I globuli rossi, come anche le piastrine, sono gli unici elementi dell'organismo privi di nucleo. Per tale ragione non sono in grado di replicarsi né di produrre proteine.
Un globulo rosso immesso nella corrente circolatoria ha una vita media di circa 4 mesi (115-120 giorni) prima di venire fagocitato da macrofagi localizzati soprattutto a livello della milza. Queste cellule svolgono la cosiddetta funzione della "eritrocateresi". I globuli rossi giovani sono in grado di rimodellarsi e sopravvivere senza subire danni, superando perciò il "filtro" esistente a livello della milza.
Il numero dei globuli rossi del sangue si mantiene costante grazie a un meccanismo di feedback negativo, al quale partecipa l'ormone eritropoietina. L'eritropoietina viene messa in circolo dai reni in risposta a una carenza di ossigeno, quale si può verificare per esempio ad alta quota o in seguito a una perdita di sangue. L'ormone sollecita il midollo osseo ad accelerare la sintesi di nuove cellule. Quando il livello di ossigeno nei tessuti torna a valori adeguati, la produzione di eritropoietina viene inibita, e il tasso di produzione dei globuli rossi ritorna nella norma.

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Il gruppo sanguigno è determinato da proteine specifiche presenti sulla membrana dei globuli rossi. Il sangue è infatti classificato in gruppi, A, B, AB o 0 a seconda della presenza o meno di proteine specifiche (indicate con le lettere A e B) sulla membrana plasmatica dei globuli rossi . Nel sangue di gruppo A è presente la proteina A, nel sangue di gruppo B la proteina B e nel sangue di gruppo AB entrambe le proteine, al contrario, nel sangue di gruppo 0 entrambe le proteine sono assenti. Inoltre, nel plasma di ciascun individuo sono presenti anticorpi contro le proteine mancanti sui suoi globuli rossi (quindi ad esempio un individuo con sangue di gruppo A possiede anticorpi contro le proteine B).

I globuli bianchi I globuli bianchi (leucociti) sono i responsabili delle difese immunitarie dell'organismo. Vi sono cinque categorie di globuli bianchi (linfociti, monociti, neutrofili, basofili e eosinofili) che insieme costituiscono meno dell'1% delle cellule del sangue . Queste cellule si distinguono l'una dall'altra in base all'affinità per i coloranti, alle dimensioni e alla forma del nucleo. Esse svolgono una funzione difensiva contro gli aggressori provenienti dall'esterno e si avvalgono del sistema circolatorio per raggiungere il luogo attraverso cui sono penetrati elementi estranei.Per esempio, i monociti e i neutrofili usano la rete dei capillari per spostarsi dove qualche batterio è riuscito a introdursi sfruttando una ferita; giunti a destinazione filtrano attraverso le pareti dei capillari come minuscole amebe.Nei tessuti monociti danno origine ai macrofagi, cellule ameboidi capaci di incorporare particelle estranee. Quindi macrofagi e neutrofili inglobano i batteri che sono penetrati o altre cellule identificate come estranee ivi comprese le cellule cancerogene. Così facendo, i globuli bianchi subiscono una degradazione irreversibile, muoiono e si accumulano contribuendo a formare quella sostanza bianca nota come "pus", caratteristica delle zone infette.I linfociti intervengono nella risposta immunitaria. Il sistema immunitario consiste di circe duemila miliardi di linfociti. Molti di questi si trovano nel sangue e nella linfa distribuiti per tutto il corpo; altri si accumulano in organi specifici, soprattutto il timo, i linfonodi e la milza. La risposta immunitaria è il risultato delle iterazioni tra diversi tipi di linfociti e le molecole da essi prodotte. Ci sono infatti due tipi di linfociti : linfociti B e linfociti T in una fase precoce dello sviluppo embrionale, i linfociti T, in via di formazione, migrano nel timo (da qui il nome di linfociti T) e si differenziano nelle forme mature. I linfociti B maturano invece nello stesso midollo osseo (in inglese bone marrow , da cui proviene il loro nome). I linfociti B e T svolgono, nella risposta immunitaria, ruoli nettamente diversi; comunque le risposte che entrambi producono constano di tre fasi fondamentali:

riconoscimento dell'invasore
l'attacco riuscito
la memorizzazione dell'invasore per impedire future infezioni.

Meno abbondanti sono i basofili e gli eosinofili. La produzione di eosinofili è stimolata da un'infezione parassitaria, in seguito alla quale gli eosinofili convergono sugli aggressori e li ricoprono di sostanze letali. I basofili producono composti anticoagulanti e molecole, come l'istamina, che intervengono nelle reazioni infiammatorie.

Le piastrine Le piastrine non sono cellule intere, bensì frammenti di megacariociti, grosse cellule presenti nel midollo osseo che formano le piastrine come gemmazioni citoplasmatiche avvolte dalla membrana; una volta staccatasi dal megacariocita, le piastrine entrano nel sangue, dove svolgono un ruolo essenziale nel processo di coagulazione . Analogamente ai globuli rossi, le piastrine sono prive di nucleo e il loro ciclo vitale è ancora più breve, compreso tra 10 e 12 giorni.
Le piastrine sono fondamentali quanto il fibrogeno nella coagulazione del sangue.
La formazione del coagulo è un processo che ha inizio quando le piastrine, insieme ad altri fattori contenuti nel plasma, giungono a contatto con una superficie irregolare, per esempio un vaso sanguigno lesionato. Le piastrine tendono ad aderire alle superfici irregolari, per cui si accumulano l'una sull'altra e, se il vaso è di piccolo diametro, lo otturano completamente. A integrare il meccanismo provvede poi la coagulazione del sangue che costituisce la più importante delle difese dell'organismo contro le emorragie. La lesione sulla superficie di un vaso sanguigno non soltanto induce le piastrine a esercitare le loro capacità adesive,ma anche ad innescare tra le proteine plasmatiche circolanti una complessa sequenza di eventi che culminano nella produzione dell'enzima trombina. La trombina catalizza la trasformazione del fibrogeno, una delle tante proteine ematiche, in molecole filiformi di fibrina.

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Le molecole di fibrina si intrecciano fittamente tra di loro dando origine a una matrice fibrosa, una sorta di ragnatela proteica che immobilizza la porzione fluida del sangue, provocandone la solidificazione in una massa gelatinosa. Via via che nella regnatela restano imprigionati i globuli rossi, la densità del coagulo aumenta. Le piastrine si attaccano poi al reticolo fibroso ed emanano estroflessioni appiccicose che si agganciano l'una con l'altra. Si crea così un coagulo denso e compatto che contrae la ferita ravvicinando le superfici danneggiate e favorendo la cicatrizzazione.



ANEMIA

La componente più importante dei globuli rossi è l'emoglobina che nei polmoni si combina con l'ossigeno e lo trasporta, attraverso la circolazione, a tutti i tessuti del corpo. L'anemia si verifica quando la quantità di emoglobina nel sangue scende al di sotto del minimo necessario.

Esistono vari tipi di anemia, ognuno dei quali ha una differente causa. Può essere causata da una deficienza di ferro o di vitamine, da perdite di sangue, malattie croniche, un difetto o una malattia acquisita o genetica. Può anche essere un effetto collaterale di una cura. L'anemia può essere temporanea o cronica. Può variare da leggera ad acuta. Il rischio è maggiore nelle donne e in persone con malattie croniche.

Anche se l'anemia è abbastanza comune, talvolta può essere problematico diagnosticarla e trattarla a causa delle sue differenti cause possibili.

Se si sospetta di avere l'anemia è importante diagnosticarla ed eventualmente trattarla. Potrebbe infatti essere una spia della presenza di altre patologie. Se non curata, può portare a complicazioni, come ad esempio irregolarità nel ritmo cardiaco.

I trattamenti per l'anemia variano dalla semplice integrazione di vitamine e ferro fino a più complesse e serie procedure mediche.

Sintomi

Il sintomo principale della maggior parte delle anemie è l'affaticamento, non a caso in alcune aree viene definita "sangue stanco". Altri sintomi generalmente includono:

Debolezza
Pelle pallida, compresa una diminuzione del colorito rosa di labbra, gengive, bordi delle palpebre, sotto delle unghie e palmi delle mani.
Accelerazione del battito cardiaco in seguito ad un leggero sforzo
Respiro breve in seguito ad un leggero sforzo
Dolori al petto
Capogiri, leggerezza di testa
Irritabilità (specialmente nei bambini con anemia)
Piedi e mani fredde o anestetizzate

Inizialmente l'anemia può essere tanto leggera da non venir considerata. Ma i segni e i sintomi aumentano d'intensità via via che le condizioni peggiorano.

Se vi sentite oltremodo stanchi o avete altri sintomi tipici della malattia, consultate il vostro dottore per una valutazione.

Cause

Il sangue ha molte funzioni cruciali, incluso il trasporto dell'ossigeno attraverso il corpo. Il sangue è composto da un liquido chiamato plasma, dentro il quale galleggiano tre tipi di cellule - globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. I globuli bianchi combattono le infezioni. Le piastrine aiutano il sangue a coagularsi in seguito ad un taglio. I globuli rossi (eritrociti), che sono il più abbondante fra i tre tipi (danno al sangue il suo colore rosso) trasportano l'ossigeno dai polmoni, attraverso il flusso sanguigno, fino al cervello e agli altri organi e tessuti nel corpo. Il corpo infatti ha bisogno di scorte di sangue ossigenato per funzionare. Il sangue ossigenato aiuta a dare al corpo la sua energia e alla pelle un aspetto vitale.

I globuli rossi contengono emoglobina - una proteina di colore rosso ricca di ferro. L'emoglobina permette ai globuli rossi di trasportare l'ossigeno dai polmoni in tutto il corpo.

La maggior parte delle cellule contenute nel sangue, inclusi i globuli rossi, vengono prodotte regolarmente nel midollo osseo - un tessuto rosso e spugnoso che si trova nelle cavità di molte fra le ossa lunghe del corpo umano. Per produrre emoglobina e globuli rossi, il corpo ha bisogno di ferro e vitamine, che si ottengono dal cibo.

L'anemia è una condizione in cui il numero di globuli rossi o l'emoglobina presente in essi è al di sotto del livello normale. Quando si è anemici, il corpo produce troppi pochi globuli rossi sani, ne perde troppi o li distrugge in numero maggiore di quante riesca a produrne. Da ciò risulta che il numero di globuli rossi che trasportano ossigeno ai tessuti è inferiore alla norma - causando così il sintomo della stanchezza.

I tipi più comuni di anemia e le loro cause includono:
Anemia da deficienza di ferro
In questo caso l'anemia può essere causata da un livello basso di ferro nel corpo. Il midollo osseo ha bisogno di ferro per produrre emoglobina. Senza il ferro necessario, poca emoglobina sarà prodotta per i globuli rossi. Il risultato è l'anemia da deficienza di ferro. Il ferro è riciclato da globuli rossi invecchiati, così che il sangue contiene ferro. Perdere sangue, dunque, significa perdere ferro. Donne con mestrui abbondanti ogni mese sono a rischio di anemia da deficienza di ferro. Anche una lenta ma cronica perdita di sangue dal corpo - così come avviene in un ulcera, in un polipo al colon o anche in un cancro al colon - può portare ad un a perdita di ferro e quindi ad un anemia da deficienza di ferro. Il sangue può ottenere il ferro anche dal cibo che si ingerisce. Un dieta povera di ferro o una incapacità ad assorbirlo, causato da un problema intestinale o da un intervento chirurgico, può portare a questo tipo di anemia. Nelle donne incinta lo svilupparsi del feto può "rubare" ferro alle riserve della madre, sempre portando alla anemia da deficienza di ferro.
Anemia da deficienza di vitamine
Oltre che del ferro, il corpo ha bisogno anche dell'acido folico e della vitamina B-12 per produrre il giusto numero di globuli rossi sani. Una dieta povera di questo tipo di sostanze o altri nutrimenti chiave può causare un decremento nella produzione di globuli rossi. Persone con disturbi intestinali che limitano l'assorbimento di questo tipo di nutrimenti sono probabili vittime di questo tipo di anemia. Alcuni soggetti infatti non sono in grado di assorbire la vitamina B12 per una varietà di ragioni: essi svilupperanno l'anemia da deficenza di vitamina B12 (anemia perniciosa ). Le anemie da deficenza vitaminica ricadono nel gruppo di anemie dette anemie megaloblastiche , nelle quali il midollo osseo produce dei globuli rossi grossi ed anormali. Le anemie da deficienza vitaminica possono essere causate dall'uso di certi tipi di medicine.
Anemia da malattie croniche
Certi tipi di malattie croniche, come ad esempio l'AIDS, il cancro, l'epatite e malattie da infiammazioni croniche, possono interferire con la produzione di globuli rossi, risultando in una anemia cronica. Anche problemi ai reni possono essere causa di anemia. I reni producono un ormone chiamato eritropoietina, che stimola il midollo osseo a produrre globuli rossi. Una livello basso di eritropoietina - che può essere causato da problemi renali o essere un effetto secondario della chemioterapia - può risultare in un abbassamento del numero dei globuli rossi. In alcune persone con l'artrite reumatoide, il midollo osseo non riesce ad usare efficacemente l'eritropoietina, causando così questo tipo di anemia.
Anemia aplastica
Questo è un tipo di anemia che può mettere il paziente in pericolo di vita, ed è causata dalla limitata capacità del midollo osseo di produrre tutti e tre i tipi di cellule del sangue - globuli rossi, globuli bianchi e piastrine - Una infezione seria - come l'epatite - o l'esposizione a sostanze chimico-tossiche o a certi tipi di medicine possono causare questa anemia.
Anemia emolitica
Questo gruppo di anemie si sviluppa quando i globuli rossi vengono distrutti ad un ritmo tanto veloce da non permettere al midollo osseo di rimpiazzarle. Alcune malattie del sangue possono causare la distruzione dei globuli rossi. Disordini autoimmuni possono far sì che il corpo produca anticorpi nemici dei globuli rossi, distruggendoli prematuramente. Anche alcune medicazioni, come alcune usate per trattare le infezioni, possono diminuire il numero di globuli rossi. Le anemie emolitiche possono causare l'ingiallimento e l'ingrossamento della milza.

Fattori di rischio

Chiunque - vecchio o giovane - la cui dieta sia consistentemente povera di ferro e vitamine è a rischio di anemia. Il corpo umano infatti ha bisogno di ferro e vitamine per produrre un numero adeguato di globuli rossi. Malattie intestinali - come ad esempio la malattia di Chron o la celiachia, le quali ledono la capacità dell'intestino di assorbire i nutrimenti - possono mettere a rischio di anemia. Operazioni chirurgiche sulle parti dell'intestino nelle quali vengono assorbiti i nutrimenti possono portare a deficienze nutrizionali e anemia.

In generale le donne sono più a rischio di anemia che l'uomo. Questo perché le donne perdono sangue - e con esso il ferro - ogni mese con le mestruazioni. Senza un supplemento di ferro si può verificare un'anemia da deficienza ferrosa in virtualmente tutte le donne incinte, poiché le loro riserve di ferro servono sia in seguito all'aumento del volume di sangue della madre, sia per essere assorbito dal feto che, crescendo, svilupperà emoglobina.

Cancro, problemi ai reni o al fegato, o altre condizioni croniche possono essere fattori di rischio per l'anemia. Queste condizioni infatti possono portare ad un decremento del numero di globuli rossi. Anche una lenta e cronica perdita di sangue da un ulcera o da altrove nel corpo può svuotare le riserve di ferro del corpo, portando ad anemia da deficienza ferrosa.

Alcune infezioni, malattie del sangue e disordini autoimmuni, esposizione a materiali chimico-tossici e l'uso di certi tipi di medicazioni possono abbassare la produzione di globuli rossi, portando così all'anemia. Se nella famiglia ci sono parecchi casi di anemia ereditata, aumenta il rischio della malattia.


Quando richiedere supporto medico

Sarebbe opportuno richiedere una visita medica quando che ci si sente affaticati senza nessun motivo apparente, soprattutto se si sa di essere a rischio anemia. Alcune anemie, soprattutto quella da deficienza di ferro, sono abbastanza comuni. Non è detto, comunque, che se ci si sente stanchi, sia presente l'anemia. L'affaticamento può avere molte altre cause.

Alcune persone si accorgono del livello basso della loro emoglobina, e ciò significa avere l'anemia, quando vanno a donare il sangue. Un livello basso di emoglobina può essere una condizione passeggera a cui si può rimediare con una dieta ricca di ferro o l'uso di multivitaminici per integrare questo minerale. Comunque potrebbe anche essere il segno di una perdita di sangue nel corpo.

Diagnosi

Si diagnostica l'anemia sulla base della storia medica del paziente, di esami fisici e di esami del sangue. Questi misurano i livelli dei globuli rossi ed emoglobina nel sangue. Un po' del sangue può essere preso ed esaminato al microscopio per studiare la dimensione, la forma ed il colore dei globuli rossi, fattori che facilitano una diagnosi. Per esempio, un una anemia da deficienza ferrosa, i globuli rossi sono più piccoli e pallidi del normale. In una anemia da carenza di vitamine, i globuli rossi sono più grandi e meno numerosi.

Se vi viene diagnosticata una anemia, il vostro dottore potrebbe ordinarvi ulteriori test per determinarne la causa. Per esempio, l'anemia da deficienza ferrosa può essere causata dal sanguinamento cronico di un ulcera, sia che questa sia nota o meno, da polipi nel colon, da cancro al colon, o da tumori ai reni o altri tipi di tumori. Il vostro dottore potrebbe sottoporvi a dei test per cercare queste o altre cause che si nasconderebbero dietro l'anemia.

Occasionalmente, potrebbe essere necessario studiare un campione di midollo osseo per diagnosticare l'anemia.

Complicazioni

Quando l'anemia è abbastanza grave, potrebbe interferire con le abitudini quotidiane del paziente. L'affaticamento potrebbe essere tale da impedire il normale lavoro o il gioco dei bambini. Anche se l'anemia è solitamente guaribile, potrebbero comunque essere necessari mesi per ristabilire il giusto livello di globuli rossi nel sangue attraverso la terapia. E' da chiedere al dottore cosa ci si debba aspettare dal trattamento.

Se è stata diagnosticata l'anemia - spesso attraverso esami del sangue di routine - è opportuno chiedere al dottore quale sia il trattamento necessario. In seguito è importante andare fino in fondo alla cura, anche quando ci si comincia a sentire meglio. Se non controllata, l'anemia potrebbe portare ad un battito cardiaco troppo rapido o irregolare (aritmia). Il cuore deve infatti pompare più sangue per ovviare la scarsità di ossigeno nel sangue, a causa dell'anemia. Anemie perniciose che non vengono curate possono causare danneggiamento dei nervi e talvolta demenza, dato che la vitamina B12 è importante non solo per globuli rossi sani, ma anche per funzioni ottimali di nervi e cervello.

Alcune anemie ereditarie possono essere serie e portare a complicazioni che mettono la vita a rischio.

Perdere rapidamente una grande quantità di sangue può risultare in una acuta anemia che può essere fatale.

Trattamento

Il trattamento dell'anemia dipende dalla causa:
ANEMIA DA DEFICIENZA DI FERRO
Questa forma di anemia è trattata con degli integratori di ferro, che possono essere presi per diversi mesi o anche più a lungo. Se la causa è una perdita di sangue - mestruazioni a parte - la sorgente della perdita va localizzata e fermata. Questo potrebbe richiedere un intervento chirurgico.
ANEMIA PERNICIOSA
L'anemia perniciosa è trattata con iniezioni - spesso lungo tutto l'arco della vita - di vitamina B12. L'anemia da carenza di acido folico è trattata con l'integrazione di questo acido.
ANEMIE DA MALATTIE CRONICHE
Per questo tipo di anemie non c'è nessun trattamento specifico. I dottori solitamente si concentrano sul trattamento della malattia cronica sottostante. Comunque se i sintomi diventano gravi, iniezioni di eritropoietina sintetica, un ormone solitamente prodotto dai reni, possono stimolare la produzione di globuli rossi ed attenuare così l'affaticamento.
ANEMIA APLASTICA
Il trattamento per questo grave tipo di anemia può includere trasfusioni di sangue per incrementare il livello dei globuli rossi. Un trapianto di midollo osseo può essere necessario quando quello del paziente è malato e inefficace nel produrre nuovi globuli rossi sani. Visto che l'anemia aplasstica può causare anche una deficienza di glubuli bianchi, le quali hanno la funzione di combattere le malattie, può essere necessaria l'assunzione di medicine che aiutano a sconfiggere o trattare le infezioni.
ANEMIA EMOLITICA
Il trattamento dell'anemia emolitica include l'evitare medicine sospette, trattare le infezioni correlate e prendere sostanze che sopprimono il sistema immunitario, il quale potrebbe stare attaccando i globuli rossi. Se questa condizione ha causato un ingrossamento della milza, questa potrebbe essere rimossa. La milza - piccolo organo che si trova al di sotto del costato, sul lato sinistro - filtra e trattiene i globuli rossi danneggiati. Essa può ingrossarsi con i globuli rossi danneggiati da certi tipi di anemie emolitiche.
ANEMIA FALCIFORME
Il trattamento di questa anemia incurabile può includere la somministrazione di ossigeno, sostanze antidolorifiche e fluidi orali e intravenosi per ridurre il dolore e prevenire complicazioni. Usualmente si fa uso pure di trasfusioni di sangue e antibiotici. In alcune circostanze un trattamente efficace può essere il trapianto di midollo osseo. Una sostanza contro il cancro chiamata hydroxyurea (Droxia, Hydrea) è pure usata per combattere questo tipo di anemia negli adulti.

In conclusione si può affermare che, grazie ai trattamenti, molte anemie possono essere sconfitte. Quella da deficienza di ferro dovrebbe scomparire appena le riserve di questo minerale sono reintegrate e qualsiasi fonte di perdite di sangue interne fermate. Le anemia da carenze di vitamine spesso possono esser trattata efficacemente con integratori. In ogni caso l'anemia perniciosa si ripresenterà se le iniezioni di vitamina B12 vengono interrotte. Le anemie da malattie croniche, aplastiche ed emolitiche possono essere trattate efficacemente, se non curate. Quelle da globuli a falcetto e altre anemie ereditarie sono incurabili, ma i sintomi possono essere ridotti dal trattamento.

Prevenzione

Molti tipi di anemie non possono essere prevenute. Comunque ci si può aiutare ad evitare quelle da deficienze di ferro o vitamine seguendo una dieta sana e variegata che includa cibi ricchi di ferro, acido folico e vitamina B12.

Cibi ricchi di ferro includono la carne - sia rossa che bianca - fagioli, piselli, cereali rinforzati col ferro, pane e pasta integrali, verdure a foglie verde-scuro, frutta secca, nocciole e semi. L'acido folico si trova in frutta e verdura fresche, carne, prodotti caseari, cereali per la colazione rinforzati e fagioli. La vitamina B12 si trova abbondantemente nelle carni e nei prodotti caseari.

Una dieta ricca di ferro è particolarmente importante per individui con grandi bisogni di ferro, come i bambini: Il ferro infatti è necessario nei periodi di crescita e nelle donne incinta.

Attenti alla diete e agli integratori!

Una quantità adeguata di ferro è importante nei vegetariani e nelle persone sotto dieta dimagrante.

Attenzione però all'utilizzo "fai da te" di integratori di ferro o multivitaminici che contengano ferro. L'utilizzo di questi prodotti è appropriato solo nei casi in cui una dieta bilanciata non possa fare altrettanto. Non è opportuno assumerli se si è semplicemente stanchi e non si ha un reale bisogno di ferro. Anche una quantità troppo elevata di questo minerale può essere nociva.


ARTERIOSCLEROSI

(A cura del dott. Fabio Raja)

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La parola chiave dell'arteriosclerosi è "endotelio", la sottile e delicata pellicola che riveste la parete interna dei vasi sanguigni ed è a diretto contatto con il flusso ematico. E' grazie alle sue caratteristiche che il sangue resta fluido e non coagula come quando fuoriesce da una ferita.
L'arteriosclerosi ha inizio quando l'endotelio viene, in qualche modo, danneggiato. Accade, allora, che i grassi contenuti nel sangue s'infiltrano tra l'endotelio e lo strato sottostante e, nello stesso tempo, l'endotelio perde la capacità di mantenere fluido il sangue. Così, alcune sostanze presenti nel sangue cominciano a depositarsi in quel punto e danno l'avvio al processo che porterà alla formazione della "placca", che è un indurimento circoscritto della parete del vaso. Una volta formatasi, la placca tende ad accrescersi all'interno del vaso e a restringerne progressivamente il calibro, riducendo, di conseguenza, l'apporto di sangue, ossigeno e sostanze indispensabili alla vita di quei tessuti che l'arteria deve nutrire.
Può accadere inoltre, che una placca, se particolarmente molle, si rompa ed i suoi frammenti "embolizzino ", cioè, trasportati dal sangue, vanno a chiudere i piccoli vasi situati più lontano.

L'estensione della malattia arteriosclerotica può essere molto varia, da poche e isolate placche, sino alle forme più gravi, nelle quali tutto l'endotelio è in pratica sostituito da placche irregolari e la parete arteriosa divenuta dura, perde la sua naturale elasticità.

Perché si formano le placche?

Le vere cause dell'arteriosclerosi non sono del tutto chiare. Sappiamo tuttavia che ci sono dei fattori che aumentano il rischio di contrarre la malattia.

L'età avanzata ed il sesso maschile.Le donne ne sono colpite in misura minore e solo dopo la menopausa.
La familiarità; cioè l'aver parenti prossimi che hanno sofferto della malattia aterosclerotica in età precoce (nei maschi <55 anni, nelle femmine <65 anni)
La dieta ricca di grassi, specie d'origine animale.
Il fumo di sigaretta.
Livelli elevati di Trigliceridi e Colesterolo.
La scarsa attività fisica.
L'eccessivo consumo d'alcool.
L'obesità.
Il diabete.
L'aumento della pressione arteriosa.
L'essere esposto a frequenti "stress".

Tutti questi fattori sono, come si dice con termine medico, "indipendenti", agiscono cioè autonomamente l'uno dall'altro e, perciò, quando sono presenti più fattori, i loro effetti si sommano ed il rischio aumenta in proporzione.

Quali sono i sintomi dell'arteriosclerosi?

L'arteriosclerosi non dà alcun disturbo. La malattia evolve in modo silente e dà segno di sé solo quando si verificano le complicanze.
Queste sono causate da una notevole riduzione del flusso di sangue, per l'accrescimento della placca che finisce per occupare gran parte del vaso, o dalla sua frammentazione ed "embolizzazione" o dalla "trombosi", cioè dall'improvvisa coagulazione del sangue in corrispondenza di una placca, che determina l'improvvisa l'occlusione dell'arteria.

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Quando questi fatti accadono, il flusso di sangue e d'ossigeno ai tessuti, si riduce in modo drammatico.
Questa condizione si chiama ischemia ed è causa di dolore intenso ed altri gravi conseguenze che dipendono dalle arterie interessate:

Se sono interessate le arterie che nutrono il cuore, si parla di malattia coronaria, che provoca dolore toracico (angina) e l'infarto.
Se ad essere interessate sono le arterie che nutrono il cervello, si può avere un attacco ischemico transitorio (TIA) o un ictus vero e proprio con paralisi persistenti.
Quando sono colpite le arterie che irrorano gli arti inferiori, si ha un dolore intermittente alle gambe durante la marcia che può aggravarsi sino alla gangrena delle gambe.

Va detto, però, che tutte le arterie possono ammalarsi: quelle che irrorano i reni, l'intestino, e molte altre ancora.

L'arteriosclerosi può essere curata.

La prevenzione

Non c'è alcun dubbio che il migliore strumento di difesa che abbiamo contro l'arteriosclerosi sia la prevenzione, poiché una volta che la malattia si è stabilita, al più possiamo tentare di rallentarne l'evoluzione. Gli studi per far regredire le placche sono stati coronati da scarsi successi, anche se abbiamo avuto, in questi pazienti, buoni risultati nel ridurre l'incidenza delle complicanze, come l'infarto e l'ictus cerebrale.

Sfortunatamente non possiamo fare niente per modificare la nostra familiarità, l'età ed il sesso, ma molto si può fare per cambiare il nostro modo di vivere.
Le persone che non fumano, fanno attività fisica, mantengono il peso ideale, tengono sotto controllo la pressione, il tasso di colesterolo nel sangue e la glicemia, hanno un numero molto minore d'eventi cardiovascolari sfavorevoli.

Smettere di fumare riduce rapidamente il rischio d'infarto o ictus.
Dopo un anno dall'interruzione del vizio del fumo il rischio è uguale a quello di chi non ha mai fumato. Fare attività fisica lo riduce del 45% e mantenere un peso-forma del 55%. Abbassare il colesterolo fa calare il rischio d'eventi vascolari del 2% per ogni punto di colesterolo in meno. Le raccomandazioni nazionali sono di tenerlo sotto i 200 mg/dl.

Il colesterolo è una sostanza grassa che circola nel sangue trasportata da particolari proteine. Di questi le più importanti sono le LDL e le HDL. Quando le LDL sono in eccesso, il rischio è alto. Al contrario, quando le HDL, il cosiddetto colesterolo buono, sono abbondanti, il rischio vascolare si abbassa perché queste hanno la funzione di "ripulire" le arterie: si caricano del colesterolo in eccesso presente nel sangue e lo trasportano al fegato dove è eliminato (vedi: metabolismo dei lipidi).
Alcuni individui, specie gli obesi, presentano un aumento spiccato dei trigliceridi, un altro tipo di grassi che circola nel sangue. Anche questi grassi possono contribuire all'arteriosclerosi.
Il miglior modo per ridurre il livello di colesterolo nel sangue è di preferire cibi a basso contenuto di grassi, soprattutto di quelli cosiddetti saturi. A tal fine occorre preferire la frutta, i vegetali, e i cibi contenenti cereali interi ad alto contenuto d'amido e fibre ed evitare i grassi d'origine animale.
Una dieta corretta rappresenta, perciò, il modo migliore per tenere sotto controllo il colesterolo, i trigliceridi, la glicemia e la pressione del sangue.

I farmaci.

La terapia farmacologica dell'eccesso di grassi nel sangue deve essere un complemento e non un sostituto della dieta, del controllo del peso e dell'esercizio fisico.
In altre parole, la terapia farmacologica va riservata ai pazienti che rimangono ad alto rischio pur avendo attuato tutti gli sforzi per normalizzare i livelli dei grassi mediante l'intervento dietetico e altri cambiamenti dello stile di vita. Non bisogna dimenticare, infatti, che i farmaci possono avere effetti avversi, anche in considerazione del fatto che il trattamento, di solito, deve essere continuato per tutta la vita, cosa che comporta, oltre tutto, costi elevati.
Poiché il colesterolo gioca un ruolo importante nella malattia arteriosclerotica la disponibilità di farmaci in grado di abbassare il livello di colesterolo nel sangue ci ha dato un'arma molto efficace per contrastare l'evoluzione dell'arteriosclerosi e, persino, per tentare di far rimpicciolire le placche.

Le statine (simvastatina, pravastatina, lovastatina, fluvastatina) sono molto efficaci nel rimuovere l'eccesso di colesterolo e trigliceridi dal sangue e, inoltre, aumentano il tasso di colesterolo buono.
I fibrati (clofibrato, gemfibrozil, benzafibrato, simfibrato, fenofibrato) sono farmaci, molto efficaci nel rimuovere l'eccesso di trigliceridi dal sangue e possono essere utilizzati, anche, in associazione con altri farmaci nel trattamento delle "dislipidemie miste", cioè di quelle condizioni in cui c'è un aumento sia dei trigliceridi sia del colesterolo. Il loro impiego in associazione alle statine deve essere considerato con molta prudenza per il pericolo di rabdomiolisi, cioè di danni ai muscoli.
Le resine (colestiramina, colestipolum, probucolo) sono sostanze che abbassano i livelli di colesterolo perché si legano ad esso nell'intestino, riducendone l'assorbimento. Si assumono assieme agli alimenti e non sono assorbite dall'organismo.
L'acido nicotinico o niacina è un derivato vitaminico ed è il farmaco di prima scelta per rimuovere l'eccesso di trigliceridi nel sangue.
Gli antiossidanti bloccano i radicali liberi ed impediscono l'ossidazione del colesterolo LDL, che ha un ruolo fondamentale nella formazione della placca.
Gli acidi grassi insaturi hanno un'azione antiaterosclerotica, antinfiammatoria ed antitrombotica. Gli studi hanno dimostrato che una dieta a base di pesce e d'acidi grassi polinsaturi omega-3 è associata ad un ridotto rischio d'infarto. Lo studio delle diete della popolazione eschimese e occidentale ha messo in evidenza che il consumo d'acidi grassi essenziali Omega-3 permette di rimuovere il colesterolo in eccesso e ridurre i livelli ematici di trigliceridi.
L'aspirina, infine, somministrata per lunghi periodi a piccole dosi giornaliere, riduce la capacità delle piastrine di aggregarsi tra loro, riducendo il rischio di una trombosi su placca. L'aspirina è ampiamente usata per prevenire infarto e ictus.

E' chiaro, tuttavia, che la maggior parte delle persone non avrà alcuna necessità di ricorrere ad una terapia farmacologica, se si sforzerà di seguire quelle misure di prevenzione che, da sole, consentono di mantenerci in salute ed in piena forma.
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:21



EMOFILIA


A cura del dott. Fabio Raja
A molti sarà capitato di osservare che una moderata perdita di sangue prodotta da una lesione superficiale, si arresta spontaneamente in pochi secondi con una semplice compressione. I medici chiamano tale fenomeno emostasi. L’emostasi è il risultato finale di una successione d’eventi che cominciano col restringimento del vaso che, nel momento in cui è danneggiato, si accorcia e si rimpicciolisce come un elastico, così che la quantità di sangue che scorre al suo interno si riduce di molto. E’ chiaro che questo meccanismo è più efficiente nei giovani con arterie elastiche, rispetto a chi è anziano ed ha arterie dure e rigide.
Subito dopo, in corrispondenza della lesione, le piastrine si uniscono a formare un tappo (trombo piastrinico) che blocca la perdita. Le piastrine sono frammenti di cellule che circolano sciolte nel sangue, in una goccia che ne sono alcune decina di migliaia, ma quando c’è un’emorragia si aggregano tra loro, grazie a sostanze sprigionate dai tessuti danneggiati, mentre alla periferia della zona colpita i tessuti sani, elaborando altre sostanze, impediscono al trombo di estendersi troppo.
Il tappo di piastrine è, però, fragile e poco sicuro; ed è, perciò, necessario sigillare la perdita in modo più resistente.
E’ risaputo che sopra una ferita che ha sanguinato di recente si forma, da principio, un grumo di sangue che poi diventa una crosta. I medici chiamano questo grumo di sangue coagulo ed è lui che garantisce una solida chiusura della lesione vascolare.

La coagulazione

Il sangue prelevato con una siringa, e con opportune precauzioni, rimane liquido solo per qualche minuto trasformandosi, in seguito in una specie di budino gelatinoso. Questo evento, chiamato dai medici coagulazione, è in realtà un fenomeno lungo e complesso e consiste nella formazione di un’intricata rete, una specie di ragnatela a tre dimensioni, formata da fili di fibrina, una sostanza contenuta nel sangue, che intrappola tutte le cellule del sangue.
Per impedire che il sangue solidifichi dentro i vasi, la fibrina, si capisce, è normalmente inattiva; questa forma inerte è chiamata fibrinogeno.
Il coagulo si comincia a formare, quando il fibrinogeno si converte in fibrina, ma questo è solo il passaggio conclusivo di una successione d’eventi che iniziano con l’attivazione, una dopo l’altra, di numerose sostanze, che gli specialisti chiamano Fattori della coagulazione.
Queste sostanze sono presenti nel sangue tutte in forma inerte. E’ la perdita di sangue che da inizio all’attivazione uno dopo l’altro dei Fattori della coagulazione: ogni Fattore, diventando attivo, provoca l’attivazione del successivo e così via sino alla trasformazione del fibrinogeno in fibrina e la formazione del coagulo.
E’ chiaro che la mancanza o il cattivo funzionamento anche di uno solo di questi Fattori, interrompe la coagulazione o ne rende meno buono il risultato finale. Molti di questi Fattori sono indicati con un numero romano secondo l’ordine della loro scoperta.

L’emofilia

Quando c’è un problema che interessa una sostanza che interviene nella sequenza della coagulazione, come il Fattore ottavo (Fattore VIII) o Fattore Emofilico, si verifica l'emofilia. Tant’è che il sangue degli Emofilici prelevato con una siringa rimane liquido anche per un ora, o più, prima di coagulare.

Il Fattore VIII è una sostanza elaborata dal fegato.
Il nostro organismo ha bisogno d’istruzioni precise per fabbricare il Fattore VIII, così come avviene per tutte le sostanze che ogni essere vivente produce.
I cromosomi sono i libri in cui tali informazioni sono scritte e i geni, i capitoli di questi libri. I cromosomi, in realtà, sono una specie di microscopici bastoncini contenuti in tutte le cellule e trasmessi in eredità dai genitori.
In ogni cellula del nostro corpo ce ne sono 23 coppie: ventitré cromosomi discendono dal papà e altrettanti dalla mamma. Ogni singola informazione contenuta nei geni dei cromosomi è così scritta due volte.
E’ un fatto vantaggioso perché se un cromosoma è difettoso, contiene in altre parole istruzioni inesatte, l’organismo riesce a produrre lo stesso quella sostanza, leggendo le istruzioni contenute nell’altro cromosoma, chiaramente se è sano!
Tra i cromosomi, però, ce ne sono due molto particolari, chiamati cromosomi sessuali perché sono quelli che decidono il sesso del nascituro, mentre gli altri 44 cromosomi, che non hanno niente a vedere con il sesso, sono stati chiamati autosomi.
Nelle donne i cromosomi sessuali hanno una forma identica, sono fatti a X, mentre nell’uomo sono diversi perché accanto al cromosoma X c’è uno senza un braccino e perciò chiamato Y.
Purtroppo le informazioni per fabbricare il Fattore VIII sono racchiuse in quel pezzetto del cromosoma X che manca nella Y.
Perciò, quando le informazioni contenute in questo gene sono sbagliate, la donna potrà sempre produrre il Fattore VIII leggendo le istruzioni giuste contenute sull’altro cromosoma X. Sarà perciò sana, anche se portatrice di un gene difettoso.
L’uomo, al contrario, sarà per forza malato d’Emofilia, poiché il cromosoma Y non contiene queste informazioni e non potrà sopperire all’errore del cromosoma X.
Questo spiega perché l’Emofilia colpisce quasi esclusivamente i maschi a cui la madre trasmette il cromosoma X malato. Il padre potrà invece trasmettere il cromosoma X malato alle figlie, ma non ai figli maschi, perché a questi trasmette sempre e solo il cromosoma Y.
In verità nelle donne la probabilità che entrambi i cromosomi X siano difettosi è molto remota e succede solo, quando la mamma è portatrice sana ed il babbo affetto da emofilia, perciò ambedue genitori trasmettono un cromosoma X difettoso.
In conclusione, l’Emofilia è una malattia che colpisce quasi esclusivamente i maschi ai quali è trasmessa dalla madre.


La diversa gravità dell'emofilia

Non tutti i pazienti Emofilici soffrono di una malattia della stessa gravità poiché, in ogni caso, il loro organismo riesce a produrre un po’ di Fattore VIII.
La gravità della loro condizione dipende da quanto Fattore VIII riescono a fare.
Chi ne produce meno dell’1%, rispetto alla quantità normale, è gravemente malato (e 7 Emofilici su 10 sono in questo gruppo), chi tra l’1 ed il 5 % ha una malattia non gravissima, ma lo stesso seria con sanguinamenti esagerati in occasione di traumi od interventi chirurgici. Chi ne riesce a fabbricare più del 5% e del 25%, ha una malattia che può essere scoperta in occasione di traumi gravi o solo con opportune analisi. Un tempo, gli Emofilici gravi erano condannati ad una vita breve e densa di sofferenze, funestata da continue emorragie, spontanee o causate da banali battiture. Le perdite di sangue potevano colpire qualsiasi parte del corpo, ma erano assai frequenti quelle delle articolazioni che causavano, col ripetersi dei sanguinamenti, il blocco dei movimenti con conseguenti gravi invalidità. Se poi l’emorragia interessava il cervello, i polmoni, il fegato, o altri organi interni, la vita stessa di questi malati correva gravi rischi.
Allo stesso modo qualsiasi banalità, come l’estrazione di un dente, poteva trasformarsi in un dramma.
Ora le cose sono completamente cambiate, poiché possiamo somministrare il Fattore VIII ottenuto dal sangue di donatori o prodotto in laboratorio con tecniche d’ingegneria molecolare.
In un futuro non molto lontano sarà possibile curare queste persone iniettando all’interno delle loro cellule il gene giusto.

Emofilia B

Simile all’emofilia da mancanza di Fattore VIII ( Emofilia A) è l’Emofilia B in cui manca del Fattore IX (Fattore Nono). Anche in questi casi la malattia è trasmessa dalla mamma ai figli maschi. Si tratta di una forma più rara della precedente che colpisce un maschio su 100.000.

Emofilia C

C’è infine una terza forma, designata col nome d’Emofilia C, causata da una mancanza del Fattore Undicesimo. Poiché il gene difettoso non è sul cromosoma X, ma su di un cromosoma autosomico, non legato al sesso del nascituro, può colpire indifferentemente uomini e donne.

C’è anche una forma d’Emofilia che non è trasmessa dai genitori, ma che si prende come una qualunque altra malattia nel corso della vita. Questa Emofilia acquisita è provocata dal fatto che, ad un certo punto, l’ammalato che produce normalmente il Fattore VIII, si mette a produrre sostanze che impediscono a questo Fattore di funzionare come si deve. Perché l’organismo cominci a produrre tali, sostanze è un mistero, ma si è notato che alle volte questi pazienti hanno avuto una recente gravidanza o hanno assunto dei farmaci o sono malati di tumore, si pensa, perciò, che possa esserci un nesso.
La cura di questi malati è molto difficile poiché non rispondono bene alle cure con i fattori della coagulazione. Per fortuna è una malattia molto rara che colpisce solo una persona su un milione.
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:22



DIABETE MELLITO
(A cura della Dott.ssa Nadia Borrillo)


Attualmente il diabete mellito ha assunto importanza sociale per il progressivo aumento dell'incidenza della malattia. Ciò è legato anche ad un regime di vita che in seguito al benessere economico è sempre più sedentario ed ha favorito un'alimentazione eccessiva rispetto al fabbisogno energetico.
Solo negli Stati Uniti si è calcolato che ne sono affette 15 milioni di persone. In Italia quasi 2 milioni di persone.

Cenni storici

Si ha notizia di questa malattia già presso gli Egizi, nel 500 a.C., dove veniva descritta come una condizione morbosa caratterizzata da sete estrema e dalla produzione di grande quantità di urina dolce. Poiché tale disordine colpiva preferibilmente i ricchi, si pensava fosse dovuta a peccati di gola.
Nella Grecia del primo secolo si utilizzò il termine di Diabete (passaggio attraverso un sifone ) per indicare il passaggio del materiale energetico attraverso le urine: carne e membra che si sciolgono nelle urine. Successivamente, nel 1700 circa, venne aggiunto il termine Mellitus, termine latino che significa miele per differenziare la eccessiva produzione di urina dolce dalle altre cause di diuresi eccessiva. Nel 1900 il diabete venne riprodotto sperimentalmente nei cani e si individuò il difetto nel pancreas. Nel 1920 venne scoperta l'insulina. Dal 1960 in poi vennero sempre più chiariti i meccanismi e le cause di questa complessa patologia. Le terapie utilizzate fino agli inizi del 1900 erano basate sull'uso di svariate diete fino all'utilizzo del digiuno. Solo nel 1921 si utilizzò l'insulina, consentendo finalmente la sopravvivenza a chi ne era colpito. Nel 1950 vennero introdotti agenti ipoglicemizzanti orali.

Definizione

Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata da iperglicemia, cioè da un aumento degli zuccheri (glucosio) presenti nel sangue, causata da una ridotta secrezione di insulina da parte del pancreas o dalla combinazione di ridotta secrezione di insulina e di resistenza dei tessuti periferici all'insulina.

Il glucosio è normalmente presente nel sangue e rappresenta la nostra principale forma di energia per i muscoli ed altri organi.Per il cervello è addirittura l'unica fonte di energia. Le altre fonti energetiche sono le proteine e i grassi.
Il glucosio è fornito dall'alimentazione al momento dei pasti. L'utilizzazione di questo "carburante" è possibile solo in presenza di Insulina. L'Insulina è un ormone prodotto dal pancreas, esattamente dalle cellule beta delle isole di Langerhans.
L'insulina ha molte funzioni, una di queste è quella di trasportare i carboidrati ai tessuti. L'insulina quindi promuove il trasporto del glucosio all'interno delle cellule dove questo viene utilizzato od immagazzinato. Ad esempio, l'insulina trasporta all'interno delle cellule muscolari il glucosio, che viene utilizzato durante l'esercizio fisico intenso.
L'insulina non agisce solo sul metabolismo dei glucidi ma agisce anche sul metabolismo delle proteine e dei grassi. Durante i pasti il glucosio assorbito e riversato nella circolazione sanguigna provoca un rialzo della glicemia, il pancreas secerne una quantità di insulina sufficiente a determinare una rapida assunzione, immagazzinamento o utilizzazione del glucosio da parte di quasi tutti i tessuti dell'organismo, ma specialmente del fegato, dei muscoli e del tessuto adiposo.
La glicemia viene quindi riportata a valori normali( 80-100 mg/dl).
Il fegato immagazzina circa il 60% del glucosio presente nel pasto per reimmetterlo nel sangue in condizioni di bisogno: digiuno, attività fisica intensa, situazioni di stress.
Nel diabete questo non avviene. La glicemia sale, una parte dello zucchero in eccesso viene eliminato dal rene con le urine, si ha cioè glicosuria.
La glicemia però non si alza solo dopo i pasti, ma anche durante il giorno perché viene prodotto glucosio dal fegato. Nel diabete perciò si ha un rialzo della glicemia postprandiale ma anche della glicemia a digiuno. L'iperglicemia può provocare danni praticamente a tutti i tessuti.

Tipi di diabete

Dal 1979 in poi la classificazione è basata in parte sull'eziologia (causa) in parte sulla terapia farmacologica utilizzata per il trattamento della malattia.
In pratica esistono principalmente due principali forme di Diabete:

il diabete di tipo 1 che colpisce una popolazione giovane, che necessita di insulina in quanto il pancreas non ne produce;
il diabete di tipo 2 che colpisce una popolazione prevalentemente anziana, caratterizzata (spesso ma non sempre) da un eccesso di peso, trattata con antidiabetici orali e dieta, in alcuni casi è necessario un trattamento insulinico.

Il Diabete di tipo 1 (o insulino-dipendente , IDDM) è caratterizzato dalla distruzione delle cellule beta di Langerhans pancreatiche che producono insulina.Sono stati individuati più fattori che contribuiscono alla sua comparsa:
1 - fattori genetici , cioè ereditati nella nostra costituzione2 - fattori immunitari, cioè legati ad una particolare difesa del nostro organismo contro le infezioni3 - fattori ambientali, che dipendono dall'azione contro il nostro organismo di batteri, virus, sostanze chimiche.

I dati attualmente disponibili indicano che la distruzione delle cellule pancreatiche avviene in soggetti geneticamente suscettibili. Tale suscettibilità è sicuramente poligenica, cioè coinvolge più geni del codice genetico. La distruzione avviene per un meccanismo autoimmune. Un evento precipitante di natura ambientale (virus, tossine, ecc) inizia il processo autoimmune, cioè vengono formati anticorpi contro le cellule pancreatiche. Si dice che l'organismo ha perso la tolleranza immunitaria nei confronti delle cellule pancreatiche, produce quindi autoanticorpi , cioè cellule di "autodistruzione".

Il Diabete di tipo 2 (diabete mellito non insulino-dipendente , NIDDM) è caratterizzato da una residua secrezione insulinica che però è inadeguata al fabbisogno dell'organismo; esiste inoltre una resistenza dei tessuti corporei all'azione dell'insulina ancora prodotta dal pancreas. In questo caso sono più importanti i fattori genetici, acquisiti ed ambientali. La predisposizione genetica necessita del concorso dei fattori acquisiti ed ambientali per manifestare la malattia.
Per fattori acquisiti si intende: età, dieta, sovrappeso e obesità, distribuzione centrale del grasso, dislipidemia, stress, farmaci, abuso di alcool, ridotta attività fisica, modernizzazione dello stile di vita, meccanizzazione, urbanizzazione.
Quanto maggiore è la componente genetica tanto minore è l'esposizione ai fattori acquisiti necessaria ad esprimere lo stato di malattia. Il perdurare della esposizione di un individuo a questi fattori spiega l'importanza dell'età.
L'importanza dei fattori dietetici è dimostrata dal rapido aumento del numero di persone affette da Diabete di tipo 2 con la comparsa del benessere economico. Lo si osserva ad esempio nella migrazioni di gruppi etnici da aree povere ad aree opulente. L'aumento dell'apporto calorico globale, insieme alla ridotta attività fisica, comporta obesità, dislipidemia (alterazione dei grassi, colesteroloe trigliceridi, nel sangue), insulino-resistenza. Forse anche l'eccesso di zuccheri semplici, proteine, grassi saturi, o la carenza di antiossidanti, vitamina E, ecc, possono essere responsabili di una alterazione della sensibilità all'insulina o della secrezione insulinica.
L' importanza dell'obesità con l'incremento del grasso nell'ambito addominale è un fattore ben apprezzabile: ad esempio nel periodo postmenopausale, dove si assiste all'aumento della prevalenza del diabete nel sesso femminile. Il Diabete di tipo 2 è molto diffuso e si calcola che fino al 3% della popolazione ne sia affetto .

Nuova classificazione

Dal 1997 l'Associazione Diabetica Americana ( ADA ) ha rivisto la classificazione precedente, in uso dal 1979, eliminando i termini insulino e insulinodipendente e i relativi acronimi IDDM (diabete mellito insulino-dipendente) e NIDDM (diabete mellito non insulino- dipendente), al loro posto vengono mantenuti i termini diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2.
I termini IDDM e NIDDM precedentemente usati rappresentano una classificazione basata sul trattamento e non sull'eziologia (causa) e forniscono un quadro contraddittorio in quanto anche il diabetico di tipo 2 (indicato in precedenza con la sigla NIDDM) può richiedere un trattamento con insulina.
Attualmente la Società Italiana di Diabetologia (SID) ha deciso di allinearsi al criterio diagnostico suggerito dall' ADA e dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).Questi sono i nuovi criteri di classificazione.

Diabete Mellito di tipo 1, viene suddiviso in:

Diabete Mellito Autoimmune
E' causato dalla distruzione delle cellule pancreatiche ad opera di autoanticorpi. Questi si trovano in più del 90% dei pazienti al momento della diagnosi. Picco d'esordio è durante l'infanzia e l'adolescenza, ma nella maggior parte dei pazienti compare entri i 30 anni.
Diabete Mellito Idiopatico
E' una forma rara, presente negli afro-americani, si riferisce alle forme di Diabete di tipo 1 caratterizzate da ridotta riserva insulinica, ma residua risposta ai test di sensibilità all'insulina.

Diabete Mellito tipo 2, viene suddiviso in:

Non obesità
Obesità


Diabete Mellito Gestazionale

Si riferisce ad un diabete che esordisce durante la gravidanza.

Ridotta tolleranza al glucosio (IGT) e alterata glicemia a digiuno (IFP)

diagnosi di IGT viene posta quando una persona ha valori glicemici compresi fra la normalità e il diabete, cioè glicemia postprandiale a distanza di 2 ore tra 140 e 200 mg/dl. Questi pazienti hanno normalmente una glicemia a digiuno normale o modestamente elevata, mentre hanno iperglicemia solo quando ricevono un carico orale di glucosio.L'alterata glicemia a digiuno è una nuova categoria diagnostica. La diagnosi di IFP viene posta quando le glicemie a digiuno sono comprese tra 110 e 126 mg/dl.

Altri tipi di Diabete

Questa categoria comprende un'ampia varietà di disordini che non possono essere classificati nella categoria precedente e che riconoscono una causa nota. Comprende il diabete precedentemente conosciuto come diabete secondario (un esempio è il diabete secondario a malattie del pancreas), oppure il MODY, un diabete del giovane che in precedenza veniva collocato nel Diabete di tipo 2.

Diagnosi di Diabete Mellito

Secondo i nuovi criteri, la diagnosi può essere stabilita sulla base di uno dei seguenti tre parametri:

sintomi di diabete più una glicemia a caso superiore o uguale a 200 mg/dl;
glicemia a digiuno superiore o uguale a 126 mg/dl;
glicemia a 2 ore durante il test di tolleranza al glucosio somministrato per via orale (OGTT) superiore o uguale a 200 mg/dl

La modifica dei criteri diagnostici della precedente classificazione riguarda i punti 2. e 3. La glicemia a digiuno doveva essere superiore o uguale a 140 mg/dl. Il valore è stato ridotto per poter slatentizzare numerosi casi di diabete non diagnosticato fino alla comparsa delle complicanze.La glicemia a 2 ore durante il test di intolleranza, richiedeva la conferma di un'altra glicemia. ssenzialmente la nuova classificazione si basa sullo studio delle complicanze della patologia diabetica che compaiono precocemente anche con valori di glicemia diagnostici nella precedente classificazione.

Diagnosi per la ridotta tolleranza al glucosio (IGT)

Secondo i nuovi criteri la diagnosi di IGT viene posta se:

glicemia a digiuno minore di 126 mg/dl;
glicemia a 2 ore durante il test di tolleranza maggiore o uguale a 140 mg/dl e minore di 200 mg/dl

Anche in questo caso è diminuita la glicemia a digiuno, inoltre venivano richieste successive misurazioni della glicemia dopo il carico orale.

Diagnosi per l'alterata glicemia a digiuno (IFP)

Viene definita da una glicemia a digiuno maggiore o uguale a 110 mg/dl ma minore di 126 Mg/dl.

Diabete mellito gestazionale

I criteri rimangono invariati. Tutte le donne gravide devono eseguire durante la 24 - 28 settimana di gravidanza un carico orale di glucosio di 50 grammi, seguito a distanza di un'ora dalla determinazione della glicemia. Il test può essere eseguito in qualsiasi momento dalla giornata, indipendentemente dai pasti. Se la glicemia è maggiore o uguale a 200 mg/dl si dovrà eseguire un test di tolleranza al glucosio orale da 100 grammi, con tre misurazioni a distanza di un'ora l'una dall'altra.

Sintomi

I sintomi di insorgenza nel Diabete di tipo 1 sono:

poliuria (consistente aumento della quantità di urine prodotta nelle 24 ore)
polidipsia (aumento della sete e della introduzione di liquidi secondario alla poliuria)
polifagia (aumento dell'appetito e dell'assunzione di alimenti)
calo ponderale (perdita di peso)

Agli esami di laboratorio:

iperglicemia a digiuno e soprattutto dopo i pasti
glicosuria (glucosio nelle urine)

Tali sintomi insorgono rapidamente ed il paziente spesso necessita di un ricovero ospedaliero per evitare l'insorgenza di complicanze pericolose per la vita conseguenti allo scompenso metabolico (chetoacidosi diabetica).

Il Diabete di tipo 2 viene spesso diagnosticato casualmente nel corso di esami di laboratorio. La malattia si instaura lentamente ed occorre molto tempo prima che sia manifesta iperglicemia e glicosuria. Spesso si fa diagnosi quando è presente una complicanza diabetica.

Complicanze Diabetiche

Aterosclerosi, cioè un ispessimento ed indurimento della parete arteriosa caratterizzato dalla deposizione di lipidi. Per questo motivo i diabetici sono a rischio per coronaropatie, disturbi ischemici cerebrali, insufficienza arteriosa degli arti.
Retinopatia diabetica, alterazione dei capillari a carico della retina.
Nefropatia diabetica, alterazione dei capillari a carico dei reni.
Neuropatia diabetica, sofferenza del sistema nervoso periferico che si manifesta con crampi e disturbi della sensibilità, ma può colpire anche il sistema nervoso vegetativo con disturbi diffusi ai vari organi interessati.
Ulcera diabetica, comparsa di ulcere agli arti inferiori.
Aumentata suscettibilità alle infezioni, ad esempio cistiti, vaginiti ecc.

Nei pazienti affetti da Diabete di tipo 2 sembra esserci una associazione tra resistenza all'insulina, iperinsulinemia (elevati livelli di insulina in circolo), obesità, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, vasculopatia aterosclerotica, tale affezione viene chiamata sindrome X .

Terapia

Il diabete di tipo 1 necessita di terapia insulinica.
Esistono vari tipi di Insulina (ad esempio regolare ed intermedia a seconda della durata di azione); di solito si usa una terapia intensiva, con quattro somministrazioni al giorno, cioè tre insuline regolari ai pasti ed una intermedia a più lunga durata d'azione per tutta la notte, in modo da ottenere una situazione il più possibile vicina al comportamento del pancreas sano.

Il diabete di tipo 2 viene trattato con diete ipolidiche, antidiabetici orali, in rari casi necessitano di trattamento insulinico (se hanno controindicazioni all'uso degli antidiabetici orali, se è esaurita la riserva di insulina prodotta dal pancreas, in condizioni particolari quali ad esempio l'insorgenza di malattie con importante rialzo glicemico).
Gli antidiabetici orali sono farmaci ipoglicemizzanti che agiscono secondo più meccanismi d'azione.
Due sono le classi più importanti:

la classe delle Sulfaniluree: agiscono stimolando la liberazione di insulina residua del pancreas e diminuendo la liberazione in circolo del glucosio immagazzinato nel fegato;
la classe delle Biguanidi: agiscono principalmente aumentando la penetrazione intracellulare del glucosio a livello periferico; ... anche se attualmente esistono delle nuove categorie di farmaci ipoglicemizzanti.

L'uso dell'insulina, ma anche degli antidiabetici orali può causare crisi ipoglicemiche, cioè abbassare troppo la glicemia nel sangue. Il paziente se ne accorge per la presenza di sintomi quali stanchezza, sudorazioni, tachicardia. In questi casi è importante eseguire una glicemia capillare per valutarne la gravità, in ogni caso è sempre bene assumere dei zuccheri veloci (zolletta di zucchero, latte, succo di frutta) per riportare a valori normali la glicemia.
Tutti i diabetici devono possedere dei reflettometri, strumenti che permettono la facile esecuzione di glicemie capillari a livello delle dita delle mani.

Obiettivi del trattamento del Diabete

L'obiettivo è la prevenzione delle complicanze diabetiche. Ciò si ottiene seguendo una corretta igiene di vita. Ciò significa seguire la dieta impostata, fare attività fisica, non fumare, non assumere gli alcolici (è consentito un bicchiere ai pasti, ma se ne sconsiglia l'uso perché può mascherare l'insorgenza di ipoglicemie), mantenere un peso normale, curare il proprio corpo, in particolare i piedi per la prevenzione delle ulcere.
Le complicanze croniche spesso si manifestano 10 - 15 anni circa dopo l'esordio del diabete. Numerosi studi hanno dimostrato che un rigido controllo glicemico, quindi il frequente monitoraggio a casa delle glicemie, riduce l'incidenza delle complicanze diabetiche.
La prevenzione deve essere fatta anche mediante frequenti controlli agli esami di laboratorio del compenso glicemico (mediante il dosaggio dell'emoglobina glicosilata), del quadro lipidico (colesterolo, trigliceridi nel sangue), della funzionalità renale (proteinuria delle 24 ore).Inoltre sono necessari controlli cardiologici per la valutazione del rischio cardiovascolare, dell'insorgenza di ipertensione arteriosa, e oculistici per lo studio della retina.
In questo modo si può mantenere una buona qualità della vita ed evitare o rallentere l'insorgenza delle complicanze diabetiche.


Il Diabete Mellito è una condizione caratterizzata da un patologico aumento della concentrazione di glucosio nel sangue. Malattia cronica, generalmente caratterizzata dalla presenza di iperglicemia (livelli di glucosio nel sangue piuttosto elevati), è causata da un difetto assoluto o relativo di insulina, ormone secreto dalle insule di Langherhans del pancreas ed indispensabile per il metabolismo degli zuccheri.

Ma che cos’è l’insulina?
È un ormone prodotto da pancreas che consente l’ingresso del glucosio nelle cellule e il suo utilizzo come fonte energetica. Quando, dunque, questo meccanismo “ si inceppa” il glucosio va ad accumularsi nel circolo sanguigno.

Quante sono le persone nel mondo che soffrono di questa patologia?
Purtroppo oggi, i dati sulla diffusione della patologia sono allarmanti: la International Diabetes Federation ha rilevato che almeno 151 milioni di persone nel mondo soffrono di diabete. Si tratta di un numero superiore alla somma complessiva delle popolazioni dell'Argentina, Australia, Sud Africa, Arabia Saudita e Spagna messe insieme. Ma non è tutto: in base anche agli studi effettuati dall’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) il numero delle persone affette da diabete è in continuo aumento e continuamente le organizzazioni ad esso legate, raccomandano di adottare uno stile di vita corretto per “provare” a prevenirlo, tramite campagne pubblicitarie, informazioni e iniziative.

Quali sono le conseguenze di questa malattia?
Le conseguenze di questa malattia, se trascurata, sono disastrose, basti pensare che il diabete è tra le 10 principali cause di morte in Europa. Inoltre se non viene gestito in maniera adeguata, a lungo termine può portare a disfunzioni renali, cecità e nel peggiore dei casi all’amputazione di un arto. Come se non bastasse, l’aspettativa di vita media per un paziente affetto da diabete di tipo 1, è di 15 anni inferiore all'aspettativa media della popolazione.

Che significa vivere con una malattia cronica? Esistono delle limitazioni nella vita quotidiana?
Non tutti sono a conoscenza, che vivere con una patologia cronica, molto spesso significa avere difficoltà fisiche o psicologiche, problemi socio-economici, una ridotta qualità della vita e addirittura problemi nell’inserimento della vita sociale. Tra le malattie croniche a maggiore diffusione nel mondo, il diabete è in sensibile crescita e, con le sue complicanze, rappresenta un problema sanitario per le persone di tutte le età e di tutte le aree geografiche, con un più grave coinvolgimento, peraltro, delle classi economicamente e socialmente “più deboli”.

E l’assistenza per le persone colpite da questa patologia è adeguata?
La qualità dell’assistenza per i pazienti in Italia è scarsa e poco organizzata, soprattutto per le persone che hanno scarsa disponibilità economica. Perché? Un diabetico su tre è costretto a pagare di tasca propria visite, farmaci e presidi anche laddove esiste un servizio garantito dal Ssn. Le maggiori spese a loro carico, riguardano i trasporti (42%) per circa 200 euro, le visite specialistiche (40%) con un esborso di 400 euro, i farmaci (34%) per 300 euro e presidi e ausili (17%) con ben 480 euro.

E per quanto riguarda le liste d’attesa?
Anche qui ci sono seri problemi: i pazienti sono costretti a fare i conti con le liste di attese troppo lunghe per le visite, con gli scarsi programmi di prevenzione e l’insufficiente integrazione tra Centri di diabetologia e medici di famiglia, nonostante il 49% dei Centri sia dotato di linee guida per la gestione integrata del paziente con diabete.

In cosa consiste il diabete e quali sono gli accorgimenti e le cure per contenerlo?
Esistono due tipi di diabete: tipo 1 e 2. Il tipo 1, riguarda circa il 10% delle persone “colpite” e in genere insorge nell’infanzia o nell’adolescenza. In questo caso il pancreas non produce insulina a causa della distruzione delle cellule ß che producono questo ormone: è quindi necessario che essa venga iniettata ogni giorno e occorre fare questo per tutta la vita. Tuttavia la velocità di distruzione delle ß-cellule è, comunque, piuttosto variabile, per cui l’insorgenza della malattia può avvenire rapidamente in alcune persone, solitamente nei bambini e negli adolescenti, e più lentamente negli adulti (in questi rari casi si parla di una forma particolare, detta LADA: Late Autommune Diabetes in Adults).

Quali sono le cause di questa patologia?
Attualmente sono ancora sconosciute ma ciò che lo caratterizza è la presenza nel sangue di anticorpi diretti contro antigeni presenti a livello delle cellule che producono insulina, chiamati ICA, GAD, IA-2, IA-2ß. Questo danno, che il sistema immunitario “induce” nei confronti delle cellule che producono insulina, potrebbe essere legato a fattori ambientali (tra i quali, sono stati chiamati in causa fattori dietetici) oppure a fattori genetici, individuati in una generica predisposizione a reagire contro fenomeni esterni, tra cui virus e batteri. Questa alterata risposta immunitaria causa una progressiva distruzione delle cellule ß, per cui l'insulina non può più essere prodotta e si scatena così la malattia diabetica. Infatti il diabete di tipo 1, viene classificato tra le malattie cosiddette “autoimmuni”, cioè dovute a una reazione immunitaria diretta contro l’organismo stesso. Il diabete di tipo 2, invece, rappresenta la forma “più comune” e si registra nel 90% dei casi. Anche in questa situazione non si conosce la causa scatenante ma solo che la patologia si manifesta dopo i 30-40 anni e i fattori di rischio, conosciuti sono essenzialmente legati alla familiarità per diabete, allo scarso esercizio fisico, al sovrappeso e all’appartenenza ad alcune etnie. Riguardo la familiarità, circa il 40% dei diabetici di tipo 2 ha parenti di primo grado (genitori, fratelli) affetti dalla stessa malattia, mentre nei gemelli monozigoti la concordanza della malattia si avvicina al 100%, suggerendo una forte componente ereditaria per questo tipo di diabete.

È vero che il diabete tipo 2 è difficile da diagnosticare?
No, non è difficile ma certe volte trascorrono anche molti anni prima che venga fatta la diagnosi, in quanto l’iperglicemia si sviluppa gradualmente e inizialmente non è così “importante” e non evidenzia i classici sintomi del diabete. Solitamente la diagnosi avviene casualmente o in concomitanza con una situazione di stress fisico, quale infezioni o interventi chirurgici.

Che cos’è il diabete gestazionale?
Esiste anche un’altra forma di diabete, quello gestazionale e la diagnosi viene fatta nel momento in cui si riscontra un elevato livello di glucosio circolante per la prima volta in gravidanza. Questa condizione si verifica nel 4% circa delle gravidanze. La definizione prescinde dal tipo di trattamento utilizzato, sia che sia solo dietetico o che sia necessaria l’insulina e implica una maggiore frequenza di controlli per la neomamma e per il feto.

Quali sono i segni e i sintomi del diabete?
L’insorgenza della sintomatologia dipende dal tipo di diabete. Nel caso del diabete tipo 1 di solito si assiste a un esordio acuto, spesso in relazione a un episodio febbrile, con sete (polidipsia), aumentata quantità di urine (poliuria), sensazione si stanchezza (astenia), perdita di peso, pelle secca, aumentata frequenza di infezioni. Nel diabete tipo 2, invece, la sintomatologia è più sfumata e solitamente non consente una diagnosi rapida, per cui spesso la glicemia è elevata ma senza i segni clinici del diabete tipo 1.

Esistono dei criteri per diagnosticarlo?
I sintomi di diabete sopra indicati sono generalmente associati ad un valore di glicemia casuale, cioè indipendentemente dal momento della giornata, ≥ 200 mg/dlv oppure glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl. (digiuno è definito come mancata assunzione di cibo da almeno 8 ore). Inoltre, un altro elemento che deve mettere in allarme è il valore ≥ 200 mg/dl di glicemia, durante una curva da carico (OGTT). Il test dovrebbe essere effettuato somministrando 75 g di glucosio. Esistono, anche però, situazioni cliniche in cui la glicemia non supera i livelli stabiliti per la definizione di diabete, ma che comunque non costituiscono una condizione di normalità. In questi casi si parla di Alterata Glicemia a Digiuno (IFG) quando i valori di glicemia a digiuno sono compresi tra 100 e 125 mg/dl e di Alterata Tolleranza al Glucosio (IGT) quando la glicemia due ore dopo il carico di glucosio è compresa tra 140 e 200 mg/dl. Si tratta di situazioni cosiddette di “pre-diabete”, che indicano un elevato rischio di sviluppare la malattia diabetica anche se non rappresentano una situazione di malattia. Spesso sono associati a sovrappeso, dislipidemia e/o ipertensione e si accompagnano a un maggior rischio di eventi cardiovascolari.

Quali possono essere le eventuali complicazioni della malattia?
Il diabete può determinare complicanze acute o croniche. Le complicanze acute sono più frequenti nel diabete tipo 1 e sono in relazione alla pressoché totale carenza di insulina. In questi casi il paziente può andare incontro a coma chetoacidosico, dovuto ad accumulo di prodotti del metabolismo alterato, i chetoni, che causano perdita di coscienza, disidratazione e gravi alterazioni ematiche. Nel diabete tipo 2 le complicanze acute sono piuttosto rare, mentre sono molto frequenti le complicanze croniche che riguardano diversi organi e tessuti, tra cui gli occhi, i reni, il cuore, i vasi sanguigni e i nervi periferici. Ecco i principali “danni” riscontrati a carico dell’organismo:
1) retinopatia diabetica, con perdita delle facoltà visive
2) malattie cardiovascolari con fattore di rischio da 2 a 4 volte maggiore
3) neuropatia diabetica che può causare perdita di sensibilità e dolore agli arti
4) Piede diabetico: le modificazioni della struttura dei vasi sanguigni e dei nervi possono causare ulcerazioni e problemi a livello degli arti inferiori, soprattutto del piede, a causa dei carichi che sopporta. Questo può rendere necessaria l'amputazione degli arti.

E i fattori di rischio?
Le complicanze croniche del diabete possono essere prevenute o se ne può rallentare la progressione attraverso uno stretto controllo di tutti i fattori di rischio correlati: è importante quindi controllare scrupolosamente il metabolismo per prevenire l’insorgenza di complicanze. Sono stati effettuati importanti studi clinici che hanno evidenziato l’importanza di un buon controllo metabolico per prevenire l’insorgenza di complicanze. Dato che nei soggetti diabetici c’è un aumentato rischio di malattia cardiovascolari, il controllo della pressione sanguigna è particolarmente importante, in quanto livelli elevati di pressione rappresentano già un fattore di rischio. Il controllo della pressione sanguigna può prevenire l’insorgenza di patologie cardiovascolari (malattie cardiache e ictus) e di patologie a carico del microcircolo (occhi, reni e sistema nervoso). L’elevata frequenza di complicanze vascolari impone uno stretto monitoraggio degli organi bersaglio (occhi, reni e arti inferiori). Per questo, è necessario che le persone con diabete si sottopongano a periodiche visite di controllo, anche in assenza di sintomi.

In che modo si può attuare una corretta prevenzione?
Innanzitutto occorre dire che per prevenire il diabete la dieta e l’attività fisica (basta mezz’ora al giorno ma va esercitata con costanza), sono più efficaci dei farmaci. Infatti i pazienti che hanno seguito questi accorgimenti, hanno potuto riscontrare nel 58% dei casi, una riduzione della possibilità di insorgenza per quanto riguarda il diabete di tipo 2. Non è necessario, dunque, aspettare che una persona sviluppi una forma conclamata di diabete per iniziare il trattamento. La prevenzione è possibile ed è alla portata di tutti. Ma richiede una scrupolosa osservazione di questi accorgimenti. Attenzione poi alla caffeina perché riduce sensibilmente l’azione dell’insulina e aumenta gli acidi grassi circolanti, e può quindi “sollecitare” l’avvio della malattia. Infine la dieta: attenzione a ciò che si mangia, evitare grassi, fritti e cibi molto conditi, prediligere invece una dieta sana e possibilmente ricca di legumi. In questo modo il rischio di ammalarsi di diabete viene notevolmente ridotto e con esso l’eventuale insorgenza di malattie cardiovascolari e ipertensione.

LE LINEE GUIDA PER IL DIABETE NEI BAMBINI
A cura di Francesca Soccorsi

Diabete di tipo 2: ora anche i bambini hanno le loro Linee guida
L'American Academy of Pediatrics, considerato il costante aumento dei casi di diabete di tipo 2 (quello che fino a qualche anno fa colpiva quasi esclusivamente la popolazione adulta) tra bambini e adolescenti, ha delineato le prima Linee guida a misura dei più piccoli che, anche in Italia, potranno servire per affrontare al meglio questa patologia. Il fenomeno, infatti, non riguarda solo gli Stati Uniti, ma da qualche tempo ha assunto proporzioni eclatanti anche nel Vecchio Continente, Italia compresa: in Europa è proprio l'Italia ha detenere la 'maglia nera' quanto a numero di casi.

Cause
Secondo i dati del Ministero della Salute nel nostro Paese è in sovrappeso il 23% dei bambini fra gli 8 e i 9 anni e obeso l'11%. E proprio questa è la condizione predisponente per lo sviluppo del diabete di tipo 2. In Italia ogni 10 bambini ai quali viene diagnosticato il diabete, due hanno proprio questo tipo. Il principale indiziato, dunque, è lo stile di vita, in particolare alimentazione scorretta e abitudini sedentarie. Tra i nostri bambini sono molto diffuse errate consuetudini alimentari: il 9% non fa colazione e il 33% la fa in maniera inadeguata, uno su quattro non mangia ogni giorno frutta e verdura, circa il 50% consuma regolarmente soft drink zuccherati e alimenti preconfezionati. E tutta da cambiare è anche l'organizzazione del tempo libero: un bambino su due ha la televisione in camera da letto e trascorre molte ore davanti a computer e videogiochi, mentre uno su cinque pratica sport per non più di un’ora a settimana. Comportamenti che si riscontrano in generale nella popolazione giovanile, non solo di casa nostra.

Le Linee guida
L'obiettivo delle Linee guida è intervenire proprio sullo stile di vita, modificandolo radicalmente.
L'invito, rivolto ai più piccoli (ma, soprattutto, ai loro genitori) è di:
- Consumare tutti i giorni frutta e verdura fresche in abbondanza;
- Adottare una dieta variata che contenga nelle giuste proporzioni tutti i principali nutrienti;
- Ridurre l'apporto calorico giornaliero;
- Evitare un'alimentazione troppo ricca di grassi, in particolare quelli di origine animale;
- Non saltare mai la prima colazione;
- Limitare il consumo di merendine, piatti pronti, cibi confezionati;
- Bere acqua e succhi di frutta freschi, riducendo drasticamente l'assunzione di bevande gassate e zuccherate;
- Fare sport almeno due volte alla settimana, possibilmente all'aria aperta. In particolare è soprattutto l'esercizio aerobico a essere considerato alla stregua di una vera e propria medicina preventiva: camminata a passo veloce, bicicletta, corsa, atletica, sci, nuoto, ma anche il semplice fare le scale. Queste discipline servono a ridurre il peso, in particolare la massa grassa addominale, a migliorare l’efficienza del sistema cardiovascolare e il controllo metabolico. I risultati migliori si ottengono combinando esercizi aerobici e di resistenza, per allenare la muscolatura;
- Dedicare al massimo un'ora al giorno a televisione, computer e giochi elettronici: ridurre la sedentarietà di 90 minuti al giorno è un vero toccasana.

Il piano nazionale
Anche l'Italia, dopo aver risposto alla risoluzione del Parlamento Europeo che invitava gli Stati membri a dotarsi di strumenti per far fronte alla pandemia del diabete, ha il suo Piano Nazionale, a distanza di 26 anni dalla legge 115 del 1987, con la quale per primo il nostro Paese si è dotato di una legge di indirizzo.
Il numero di persone con diabete è, infatti, in aumento in tutto il mondo e anche in Italia, non solo nella popolazione adulta. Le cause principali sono l'incremento del tasso di obesità, la perdita delle tradizioni alimentari (in particolare l'abbandono della dieta mediterranea), la riduzione dell’attività fisica, l'aumento della sedentarietà.
Attualmente il numero di italiani con diabete è di circa 3 milioni, con maggiore prevalenza al Sud e fra le classi meno abbienti. E i rischi per la salute sono molto elevati.
La prevenzione è lo strumento più efficace per contrastare la diffusione della malattia e per ridurre i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Non a caso è proprio alla prevenzione (alimentazione, correzione degli stili di vita, orientamento all'attività sportiva) che è dedicato il Piano. Ma esso vuole essere anche uno strumento di programmazione rivolto agli amministratori e agli operatori del Servizio Sanitario, al fine di migliorare e ottimizzare le cure di una patologia tanto diffusa e importante. Il Piano, infatti, definisce i livelli essenziali di assistenza da assicurare al malato, il finanziamento spettante alle Regioni, gli standard qualitativi di assistenza, i settori della ricerca biomedica e sanitaria, i percorsi di formazione del personale sanitario, le strategie diagnostico-terapeutiche, il ruolo, tutt'altro che secondario, delle Associazioni di Volontariato.

Bibliografia
- American College of Sports Medicine and the American Diabetes Association, Joint Position Statement: Exercise and Type 2 Diabetes, Medicine & Science in Sports & Exercise 2010;42: 2282-2303.
- Di Loreto C., Fanelli C., Lucidi P., Murdolo G., De Cicco A., Parlanti N., Ranchelli A., Fatone C., Taglioni C., Santeusanio F., De Feo P., Make your diabetic patients walk: long-term impact of different amounts of physical activity on type 2 diabetes. Diabetes Care 2005, n.28.
- Fatone C, Guescini M, Balducci S, Battistoni S, Settequattrini A, Pippi R, Stocchi L, Mantuano M, Stocchi V, De Feo P, Two weekly sessions of combined aerobic and resistance exercise are sufficient to provide beneficial effects in subjects with Type 2 diabetes mellitus and metabolic syndrome, J Endocrinol Invest 2010; 33:489-495.
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:28



DOMANDE E RISPOSTE: IL DIABETE


A cura di Maura Peripoli

Il Diabete Mellito è una condizione caratterizzata da un patologico aumento della concentrazione di glucosio nel sangue. Malattia cronica, generalmente caratterizzata dalla presenza di iperglicemia (livelli di glucosio nel sangue piuttosto elevati), è causata da un difetto assoluto o relativo di insulina, ormone secreto dalle insule di Langherhans del pancreas ed indispensabile per il metabolismo degli zuccheri.

Ma che cos’è l’insulina?
È un ormone prodotto da pancreas che consente l’ingresso del glucosio nelle cellule e il suo utilizzo come fonte energetica. Quando, dunque, questo meccanismo “ si inceppa” il glucosio va ad accumularsi nel circolo sanguigno.

Quante sono le persone nel mondo che soffrono di questa patologia?
Purtroppo oggi, i dati sulla diffusione della patologia sono allarmanti: la International Diabetes Federation ha rilevato che almeno 151 milioni di persone nel mondo soffrono di diabete. Si tratta di un numero superiore alla somma complessiva delle popolazioni dell'Argentina, Australia, Sud Africa, Arabia Saudita e Spagna messe insieme. Ma non è tutto: in base anche agli studi effettuati dall’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) il numero delle persone affette da diabete è in continuo aumento e continuamente le organizzazioni ad esso legate, raccomandano di adottare uno stile di vita corretto per “provare” a prevenirlo, tramite campagne pubblicitarie, informazioni e iniziative.

Quali sono le conseguenze di questa malattia?
Le conseguenze di questa malattia, se trascurata, sono disastrose, basti pensare che il diabete è tra le 10 principali cause di morte in Europa. Inoltre se non viene gestito in maniera adeguata, a lungo termine può portare a disfunzioni renali, cecità e nel peggiore dei casi all’amputazione di un arto. Come se non bastasse, l’aspettativa di vita media per un paziente affetto da diabete di tipo 1, è di 15 anni inferiore all'aspettativa media della popolazione.

Che significa vivere con una malattia cronica? Esistono delle limitazioni nella vita quotidiana?
Non tutti sono a conoscenza, che vivere con una patologia cronica, molto spesso significa avere difficoltà fisiche o psicologiche, problemi socio-economici, una ridotta qualità della vita e addirittura problemi nell’inserimento della vita sociale. Tra le malattie croniche a maggiore diffusione nel mondo, il diabete è in sensibile crescita e, con le sue complicanze, rappresenta un problema sanitario per le persone di tutte le età e di tutte le aree geografiche, con un più grave coinvolgimento, peraltro, delle classi economicamente e socialmente “più deboli”.

E l’assistenza per le persone colpite da questa patologia è adeguata?
La qualità dell’assistenza per i pazienti in Italia è scarsa e poco organizzata, soprattutto per le persone che hanno scarsa disponibilità economica. Perché? Un diabetico su tre è costretto a pagare di tasca propria visite, farmaci e presidi anche laddove esiste un servizio garantito dal Ssn. Le maggiori spese a loro carico, riguardano i trasporti (42%) per circa 200 euro, le visite specialistiche (40%) con un esborso di 400 euro, i farmaci (34%) per 300 euro e presidi e ausili (17%) con ben 480 euro.

E per quanto riguarda le liste d’attesa?
Anche qui ci sono seri problemi: i pazienti sono costretti a fare i conti con le liste di attese troppo lunghe per le visite, con gli scarsi programmi di prevenzione e l’insufficiente integrazione tra Centri di diabetologia e medici di famiglia, nonostante il 49% dei Centri sia dotato di linee guida per la gestione integrata del paziente con diabete.

In cosa consiste il diabete e quali sono gli accorgimenti e le cure per contenerlo?
Esistono due tipi di diabete: tipo 1 e 2. Il tipo 1, riguarda circa il 10% delle persone “colpite” e in genere insorge nell’infanzia o nell’adolescenza. In questo caso il pancreas non produce insulina a causa della distruzione delle cellule ß che producono questo ormone: è quindi necessario che essa venga iniettata ogni giorno e occorre fare questo per tutta la vita. Tuttavia la velocità di distruzione delle ß-cellule è, comunque, piuttosto variabile, per cui l’insorgenza della malattia può avvenire rapidamente in alcune persone, solitamente nei bambini e negli adolescenti, e più lentamente negli adulti (in questi rari casi si parla di una forma particolare, detta LADA: Late Autommune Diabetes in Adults).

Quali sono le cause di questa patologia?
Attualmente sono ancora sconosciute ma ciò che lo caratterizza è la presenza nel sangue di anticorpi diretti contro antigeni presenti a livello delle cellule che producono insulina, chiamati ICA, GAD, IA-2, IA-2ß. Questo danno, che il sistema immunitario “induce” nei confronti delle cellule che producono insulina, potrebbe essere legato a fattori ambientali (tra i quali, sono stati chiamati in causa fattori dietetici) oppure a fattori genetici, individuati in una generica predisposizione a reagire contro fenomeni esterni, tra cui virus e batteri. Questa alterata risposta immunitaria causa una progressiva distruzione delle cellule ß, per cui l'insulina non può più essere prodotta e si scatena così la malattia diabetica. Infatti il diabete di tipo 1, viene classificato tra le malattie cosiddette “autoimmuni”, cioè dovute a una reazione immunitaria diretta contro l’organismo stesso. Il diabete di tipo 2, invece, rappresenta la forma “più comune” e si registra nel 90% dei casi. Anche in questa situazione non si conosce la causa scatenante ma solo che la patologia si manifesta dopo i 30-40 anni e i fattori di rischio, conosciuti sono essenzialmente legati alla familiarità per diabete, allo scarso esercizio fisico, al sovrappeso e all’appartenenza ad alcune etnie. Riguardo la familiarità, circa il 40% dei diabetici di tipo 2 ha parenti di primo grado (genitori, fratelli) affetti dalla stessa malattia, mentre nei gemelli monozigoti la concordanza della malattia si avvicina al 100%, suggerendo una forte componente ereditaria per questo tipo di diabete.

È vero che il diabete tipo 2 è difficile da diagnosticare?
No, non è difficile ma certe volte trascorrono anche molti anni prima che venga fatta la diagnosi, in quanto l’iperglicemia si sviluppa gradualmente e inizialmente non è così “importante” e non evidenzia i classici sintomi del diabete. Solitamente la diagnosi avviene casualmente o in concomitanza con una situazione di stress fisico, quale infezioni o interventi chirurgici.

Che cos’è il diabete gestazionale?
Esiste anche un’altra forma di diabete, quello gestazionale e la diagnosi viene fatta nel momento in cui si riscontra un elevato livello di glucosio circolante per la prima volta in gravidanza. Questa condizione si verifica nel 4% circa delle gravidanze. La definizione prescinde dal tipo di trattamento utilizzato, sia che sia solo dietetico o che sia necessaria l’insulina e implica una maggiore frequenza di controlli per la neomamma e per il feto.

Quali sono i segni e i sintomi del diabete?
L’insorgenza della sintomatologia dipende dal tipo di diabete. Nel caso del diabete tipo 1 di solito si assiste a un esordio acuto, spesso in relazione a un episodio febbrile, con sete (polidipsia), aumentata quantità di urine (poliuria), sensazione si stanchezza (astenia), perdita di peso, pelle secca, aumentata frequenza di infezioni. Nel diabete tipo 2, invece, la sintomatologia è più sfumata e solitamente non consente una diagnosi rapida, per cui spesso la glicemia è elevata ma senza i segni clinici del diabete tipo 1.

Esistono dei criteri per diagnosticarlo?
I sintomi di diabete sopra indicati sono generalmente associati ad un valore di glicemia casuale, cioè indipendentemente dal momento della giornata, ≥ 200 mg/dlv oppure glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl. (digiuno è definito come mancata assunzione di cibo da almeno 8 ore). Inoltre, un altro elemento che deve mettere in allarme è il valore ≥ 200 mg/dl di glicemia, durante una curva da carico (OGTT). Il test dovrebbe essere effettuato somministrando 75 g di glucosio. Esistono, anche però, situazioni cliniche in cui la glicemia non supera i livelli stabiliti per la definizione di diabete, ma che comunque non costituiscono una condizione di normalità. In questi casi si parla di Alterata Glicemia a Digiuno (IFG) quando i valori di glicemia a digiuno sono compresi tra 100 e 125 mg/dl e di Alterata Tolleranza al Glucosio (IGT) quando la glicemia due ore dopo il carico di glucosio è compresa tra 140 e 200 mg/dl. Si tratta di situazioni cosiddette di “pre-diabete”, che indicano un elevato rischio di sviluppare la malattia diabetica anche se non rappresentano una situazione di malattia. Spesso sono associati a sovrappeso, dislipidemia e/o ipertensione e si accompagnano a un maggior rischio di eventi cardiovascolari.

Quali possono essere le eventuali complicazioni della malattia?
Il diabete può determinare complicanze acute o croniche. Le complicanze acute sono più frequenti nel diabete tipo 1 e sono in relazione alla pressoché totale carenza di insulina. In questi casi il paziente può andare incontro a coma chetoacidosico, dovuto ad accumulo di prodotti del metabolismo alterato, i chetoni, che causano perdita di coscienza, disidratazione e gravi alterazioni ematiche. Nel diabete tipo 2 le complicanze acute sono piuttosto rare, mentre sono molto frequenti le complicanze croniche che riguardano diversi organi e tessuti, tra cui gli occhi, i reni, il cuore, i vasi sanguigni e i nervi periferici. Ecco i principali “danni” riscontrati a carico dell’organismo:
1) retinopatia diabetica, con perdita delle facoltà visive
2) malattie cardiovascolari con fattore di rischio da 2 a 4 volte maggiore
3) neuropatia diabetica che può causare perdita di sensibilità e dolore agli arti
4) Piede diabetico: le modificazioni della struttura dei vasi sanguigni e dei nervi possono causare ulcerazioni e problemi a livello degli arti inferiori, soprattutto del piede, a causa dei carichi che sopporta. Questo può rendere necessaria l'amputazione degli arti.

E i fattori di rischio?
Le complicanze croniche del diabete possono essere prevenute o se ne può rallentare la progressione attraverso uno stretto controllo di tutti i fattori di rischio correlati: è importante quindi controllare scrupolosamente il metabolismo per prevenire l’insorgenza di complicanze. Sono stati effettuati importanti studi clinici che hanno evidenziato l’importanza di un buon controllo metabolico per prevenire l’insorgenza di complicanze. Dato che nei soggetti diabetici c’è un aumentato rischio di malattia cardiovascolari, il controllo della pressione sanguigna è particolarmente importante, in quanto livelli elevati di pressione rappresentano già un fattore di rischio. Il controllo della pressione sanguigna può prevenire l’insorgenza di patologie cardiovascolari (malattie cardiache e ictus) e di patologie a carico del microcircolo (occhi, reni e sistema nervoso). L’elevata frequenza di complicanze vascolari impone uno stretto monitoraggio degli organi bersaglio (occhi, reni e arti inferiori). Per questo, è necessario che le persone con diabete si sottopongano a periodiche visite di controllo, anche in assenza di sintomi.

In che modo si può attuare una corretta prevenzione?
Innanzitutto occorre dire che per prevenire il diabete la dieta e l’attività fisica (basta mezz’ora al giorno ma va esercitata con costanza), sono più efficaci dei farmaci. Infatti i pazienti che hanno seguito questi accorgimenti, hanno potuto riscontrare nel 58% dei casi, una riduzione della possibilità di insorgenza per quanto riguarda il diabete di tipo 2. Non è necessario, dunque, aspettare che una persona sviluppi una forma conclamata di diabete per iniziare il trattamento. La prevenzione è possibile ed è alla portata di tutti. Ma richiede una scrupolosa osservazione di questi accorgimenti. Attenzione poi alla caffeina perché riduce sensibilmente l’azione dell’insulina e aumenta gli acidi grassi circolanti, e può quindi “sollecitare” l’avvio della malattia. Infine la dieta: attenzione a ciò che si mangia, evitare grassi, fritti e cibi molto conditi, prediligere invece una dieta sana e possibilmente ricca di legumi. In questo modo il rischio di ammalarsi di diabete viene notevolmente ridotto e con esso l’eventuale insorgenza di malattie cardiovascolari e ipertensione
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:30



IL FAVISMO
A cura di Francesca Soccorsi

Il favismo è una malattia genetica ereditaria causata dalla mancanza dell'enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD), che in condizioni normali è presente nei globuli rossi ed è determinante per lo svolgimento delle loro funzioni, oltre che per la loro stessa sopravvivenza. La scoperta della patologia, a opera del medico potentino Giovanni Montano, risale alla fine dell'800, ma già nell'antichità era stata notata l'associazione tra consumo di fave e alcune manifestazioni di natura patologica.
La crisi si scatena quando il soggetto assume fave fresche o secche o semplicemente ne inala i vapori (in alcuni casi la reazione può essere innescata anche dai piselli), ma viene attivata ed esacerbata anche dal contatto con sostanze come la naftalina e da alcuni farmaci antipiretici e analgesici, che inibiscono l'attività dell'enzima e aggravano il quadro clinico. La malattia si trasmette ereditariamente mediante il cromosoma X. Gli uomini vengono colpiti in forma grave mentre le donne manifestano i sintomi in modo più lieve. La carenza di G6PD è il più comune deficit enzimatico umano: gli individui di razza africana e gli asiatici presentano la maggiore incidenza della patologia, ma essa è molto diffusa anche nel bacino del Mediterraneo (in Grecia e in Sardegna, in particolare).

I sintomi
La gran parte degli individui affetti da G6PD-carenza è asintomatica. Coloro che, al contrario, presentano segni clinici (si tratta quasi esclusivamente di persone di sesso maschile), hanno crisi emolitiche tra le 12 e le 48 ore dopo essere entrati accidentalmente in contatto con una delle sostanze citate. I sintomi della crisi includono ittero, forte anemia, pallore, debolezza, disfunzioni renali (fino all'insufficienza renale acuta), dolori addominali, nausea e vomito. Nei casi più gravi, che in genere sono piuttosto rari, si può determinare un vero e proprio collasso vascolare periferico con respiro frequente e difficoltoso, emoglobinuria (presenza massiccia di emoglobina nelle urine, che diventano di color giallo-arancione) e danno renale, che però è di solito reversibile. In più possono comparire brividi, febbre, dolore alla regione lombare, shock. La durata della crisi emolitica è piuttosto breve.


La diagnosi
L’ipotesi di un deficit di G6PD deve essere presa in considerazione in tutti i casi di emolisi acuta, specie nelle regioni a elevata incidenza. Le indagini di laboratorio sono piuttosto semplici e affidabili nell’individuare il difetto enzimatico nei maschi carenti e nelle femmine omozigoti, ossia in quei soggetti che hanno una carenza enzimatica pressoché totale. Nelle femmine eterozigoti, nelle quali un solo cromosoma X è interessato dall’anomalia, invece, l’enzima può essere presente in quantità variabili con valori simili a quelli normali. In questi casi la diagnosi è più complessa e, tuttavia, si riesce comunque a individuare anche i portatori che hanno valori di G6PD solo di poco al di sotto della norma, mediante ricerca dell'enzima nei globuli rossi.
Quando vi siano sufficienti sospetti di trovarsi di fronte a una G6PD-carenza, un'indagine diretta per avere ulteriori conferme è il cosiddetto "Test di Beutler" (detto anche "Test della macchia fluorescente"). È una metodologia rapida ed economica che identifica visivamente, tramite esposizione a raggi UV, le molecole di NADPH, un enzima prodotto dal G6PD che, se presenti, appaiono come delle chiazze. I soggetti affetti da favismo riescono a produrre solo quantità minime dell'enzima.

Uno studio sulla popolazione sarda
Una ricerca condotta dall'Università di Sassari è riuscita a dimostrare che molti sardi ultracentenari hanno in comune la mancanza dell'enzima G6PD (l'incidenza è due volte superiore rispetto ai gruppi di controllo). In Sardegna la probabilità di diventare centenari è attualmente dello 0,0135% (una persona su 7.400 circa), mentre la media occidentale si attesta sullo 0,0075% (una persona ogni 13.300 circa). Questa scoperta potrebbe aprire nuove strade allo studio dei meccanismi che incidono sulla longevità: l'ipotesi dei ricercatori è che possa esistere un gene della longevità che interagisce ed è strettamente connesso con il favismo.


La terapia
Il consumo di fave espone i G6PD-carenti al rischio di crisi emolitiche per via della presenza, all'interno dei semi, di una sostanza tossica, conosciuta come divicina, che, nei soggetti predisposti, ha la capacità di distruggere i globuli rossi.
La principale misura per contrastare le manifestazioni cliniche della patologia è costituita dalla prevenzione, che consiste fondamentalmente nell'evitare il contatto con le sostanze che sono in grado di innescare una crisi emolitica. In caso di emolisi acuta può rendersi necessario il ricorso a trasfusioni di sangue ed eventualmente a dialisi se il paziente presenta insufficienza renale. La trasfusione si rivela un'importante misura sintomatica, dal momento che gli eritrociti trasfusi non sono di norma G6PD carenti e sopravvivono nel circolo del ricevente per un periodo di tempo non inferiore ai 120 giorni.
Alcuni pazienti possono trarre beneficio dalla rimozione chirurgica della milza, essendo quest'ultima un importante sito di distruzione degli eritrociti.
Somministrazioni di acido folico si rivelano efficaci per trattare il turnover eritrocitario particolarmente elevato.

Bibliografia
- Candido A., Manuale di diagnostica citofluorimetrica e molecolare delle malattie del sangue, Aracne Editore.
- Castoldi G., Liso V., Malattie del sangue e degli organi ematopoietici, McGraw-Hill Companies.
- Grignani F., Notario A., Malattie del sangue, degli organi emopoietici e della milza, Piccin Nuova Libraria.
- Sansone G., Piga A.M., Segni G.B., Il favismo, Edizioni Minerva Medica.
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:32



LE LEUCEMIE


A cura del dott Fabio Raja
Ogni cellula del nostro corpo è un individuo che può cessare di vivere per cause naturali perché giunto al termine del proprio ciclo, o per cause violente, come traumi e malattie. Le cellule rimaste, affinché l'organismo possa continuare a funzionare in modo corretto, si moltiplicano per dar vita ad altre cellule dello stesso tipo, che rimpiazzeranno quelle perdute.
Questa moltiplicazione, che i medici chiamano proliferazione, letteralmente "far figli", consiste nella divisione di una cellula in due figlie, le quali daranno vita a quattro nipoti, che a loro volta danno origine ad otto pronipoti e via discorrendo.
La proliferazione, in circostanze normali, segue un progetto nell'interesse dell'organismo e perciò, si arresta, quando tutte le cellule perse sono state sostituite.
Le cellule tumorali invece, non seguono questo programma. La loro moltiplicazione non si ferma mai, con il risultato che alla fine danneggia l'organismo. Un tumore inizia, quando una cellula normale, per motivi sconosciuti, si modifica. Da questo momento, inizia a riprodursi continuamente, e senza alcuno scopo, dando origine, in tempi piuttosto lunghi, ad una gran numero di cellule malate che sottraggono energie all'organismo, soffocano le cellule sane circostanti, danneggiano organi e funzioni importanti e producono veleni.
La popolazione tumorale, molto spesso, dà luogo ad una tumefazione, un rigonfiamento; quando colpisce le cellule che sono sciolte nel sangue, al contrario, la tumefazione non c'è. E' quel che accade nelle Leucemie, i tumori delle cellule del sangue.

Nel sangue ci sono svariati tipi di cellule: i globuli rossi specializzati nel trasporto dell'ossigeno, i globuli bianchi, che a loro volta si suddividono in linfociti T e B, i granulociti specializzati nella lotta alle infezioni virali e batteriche, e i monociti, gli spazzini del corpo umano.

Immagine


Sono cellule diverse per aspetto e funzioni, che derivano da un unico capofamiglia, dal nome piuttosto complicato: cellula staminale ematopoietica.
Le staminali ematopoietiche si trovano nella parte più interna di molte ossa, il cosiddetto midollo rosso, e non fanno alcun lavoro particolare, ma hanno una formidabile capacità di riprodursi e dare origine a tutte le diverse cellule del sangue.
In altre parole è come se ogni staminale fosse il capostipite da cui prende vita un'intera stirpe di figli, nipoti, pronipoti, e così via. La famiglia diventa sempre più numerosa e, generazione dopo generazione, le cellule acquistano forma e funzioni sempre più precise, divenendo alla fine, globuli rossi, bianchi e piastrine.
Se percorriamo con lo sguardo quest'immaginario albero genealogico, ad un certo punto troviamo il progenitore di tutti i vari linfociti, chiamato precursore linfoide, e quello da cui deriveranno i granulociti, il precursore mieloide.

I tumori che colpiscono il precursore mieloide sono le leucemie mieloidi, mentre quelle che interessano quello linfoide sono le leucemie linfoidi.
Dal precursore modificato in senso tumorale origina un gran numero di cellule malate, più o meno alterate nella forma e più o meno incapaci di svolgere le normali funzioni delle analoghe sane.
Ogni tipo di leucemia può avere un andamento rapido e tumultuoso, si parla allora di leucemie acute, o lento e calmo, le leucemie croniche.
Perciò abbiamo leucemie acute e croniche che a loro volta possono essere, secondo il tipo di cellula malata, mieloidi o linfoidi.
Nelle forme acute le cellule sono assolutamente incapaci di svolgere il lavoro delle equivalenti cellule normali, mentre nelle forme croniche riescono in qualche modo a farlo.


Leucemie acute

Questi pazienti si stancano facilmente, hanno fiato corto per sforzi di poco conto e sono pallidi, anemici, perché la crescita disordinata delle cellule alterate frena lo sviluppo dei globuli rossi. Vanno facilmente incontro a sanguinamenti gengivali o nasali e lividi in ogni parte del corpo, perché la produzione delle piastrine, importanti per il controllo delle emorragie, è intralciata.
Febbre e infezioni sono all'ordine del giorno, poiché i globuli bianchi malati non riescono a contrastare le infezioni.
Di sovente lamentano perdita di peso e malessere generale.
A scanso d'equivoci è bene chiarire che questi disturbi sono molto generici, possono colpire in modo passeggero persone assolutamente sane e sono comuni a tante malattie poco importanti, mentre le Leucemie sono malattie piuttosto rare.
La presenza di questi malesseri non deve, perciò, provocare infondate paure ed eccessive preoccupazioni e, casomai, deve spingerci a chiedere il parere del medico.
La forma mieloide colpisce più frequentemente gli adulti, specie sopra i 60 anni, mentre quella linfoide è più frequente sotto i 19 anni. I disturbi sono simili e possiamo distinguere le due malattie solo guardando attentamente al microscopio le cellule malate o con speciali esami.
Nei pazienti con leucemia linfoide le cellule malate possono accumularsi nelle ghiandole linfatiche, i linfonodi, che s'ingrossano, o nel sistema nervoso provocando così mal di testa e vomito.
Un tempo queste malattie avevano, sfortunatamente, un'evoluzione molto rapida.
A partire dagli anni settanta ci sono stati notevoli miglioramenti nelle cure e oggi è possibile ottenere nella quasi totalità dei pazienti la remissione cioè a dire lunghi periodi di completo benessere e, a conti fatti, oltre la metà dei pazienti guarisce definitivamente.

Leucemie croniche

Diversamente dalle forme acute, nelle forme croniche le cellule che nascono dal precursore malato, raggiungono una certa maturazione che permette loro di funzionare normalmente. Per questo motivo il corso della malattia è meno grave.
La maggior parte delle Leucemie mieloidi croniche capita negli adulti, è rara sotto i 20 anni e la sua frequenza cresce con l'età. Nei bambini i disturbi ed il comportamento della malattia sono simile a quella dell'adulto, ma i risultati del trapianto midollare sono migliori.
I sintomi di questa malattia si sviluppano gradualmente ed oltre ai disturbi comuni a tutte le Leucemie, spesso c'è dolenzia nella parte alta dell'addome, specie a sinistra, perché la milza è ingrossata. Questi malati talora lamentano sudorazione eccessiva, perdita di peso e sopportano poco il caldo.
Nelle forme croniche le cure sono piuttosto efficaci e garantiscono lunghi periodi di completo benessere durante i quali non c'è alcuna necessità di prendere medicine.

Il trapianto di midollo

La cura delle leucemie è basata, essenzialmente, sulla somministrazione di farmaci (chemioterapia) o radiazioni (radioterapia) che distruggono le cellule malate.
Bisogna sapere che a tutt'oggi non ci sono medicine o mezzi per distruggere le cellule malate e rispettare quelle sane. Questo vuole dire che le cure danneggiano anche le cellule sane costringendoci a dare quantità ridotte del farmaco per non compromettere irrimediabilmente, l'organismo. Dosi inferiori evitano questo rischio, ma si capisce, sono meno efficaci per curare la malattia.

Il trapianto di midollo permette di aggirare quest'ostacolo.
Gli Specialisti distruggono con quantità elevate di farmaci, o radiazioni, tutte le cellule del midollo rosso, non solo i precursori che danno origine alle cellule Leucemiche, ma anche i precursori sani dei globuli bianchi, rossi e delle piastrine. A questo punto il malato è tecnicamente guarito dalla Leucemia, ma non potrebbe sopravvivere dal momento che non è più in grado di rinnovare le normali cellule del sangue. E' per questo motivo che il suo midollo rosso è rimpiazzato con quello di un donatore sano, il cui sangue è compatibile con quello del paziente.
Il midollo del donatore è prelevato direttamente dalle ossa, in anestesia generale, tramite aghi adatti allo scopo. Per lui, a parte una certa dolenzia nelle zone del prelievo che dura pochi giorni, non ci sono altre conseguenze, poiché le cellule midollari rimaste sono in grado di riprodursi e riformano completamente e in pochi giorni, il midollo rosso.
Il malato riceve il midollo sano del donatore con una banale trasfusione. Le cellule midollari sono in grado di trovare da sole la strada per insediarsi nelle ossa e ripopolare il midollo distrutto dalle cure.

Adesso, possiamo impiegare altre tecniche per ottenere le cellule staminali ematopoietiche. Queste, infatti, non popolano solo il midollo rosso, ma si trovano, anche se in numero piuttosto esiguo, nel sangue che scorre nei vasi. E' possibile, perciò, prelevare queste cellule dal sangue del donatore, con una tecnica che i medici chiamano emaferesi. A queste cellule sono poi aggiunte particolari farmaci che riescono a stimolarne potentemente la proliferazione, permettendo agli Specialisti di ottenere in tempi ragionevoli un numero sufficiente di staminali da iniettare al paziente.

Sebbene le Leucemie siano affezioni molto serie, oggi un sempre maggior numero di malati riesce a guarire completamente o ad avere duraturi periodi di completo benessere. La complessità delle Leucemie e i continui progressi della medicina impongono che il trattamento di queste malattie sia effettuato presso centri molto specializzati che possono dare ad ogni paziente tutte le delucidazioni sulla natura della malattia e le possibilità di cura a lui più adatte, garantendo standard elevati nella diagnosi e nella terapia.
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:33



MALATTIE RARE EREDITARIE DEL SANGUE
A cura di Barbara Hugonin

Le malattie ematiche che hanno una causa genetica sono numerosissime, alcune di queste seguono una linea ereditaria, altre sono congenite magari a causa di una mutazione avvenuta nel corso dello sviluppo fetale. Esse non includono solo alcune tra le più note forme di anemia o le talassemie, ma riguardano anche le patologie da disturbi della coagulazione sanguigna, causata dalla mancanza di alcuni fattori in particolare, patologie che coinvolgono le piastrine, le emofilie e leucopenie, tralasciando da questo contesto le forme neoplastiche.
Saranno passate in rassegna di seguito alcune patologie molto rare, tra cui particolari forme di anemie immunoemolitiche, trombocitopenie e malattie congenite della coagulazione.

Malattie congenite di natura autoimmune
La coagulazione del sangue è quel meccanismo fisiologico che coinvolge diversi fattori e una popolazione di cellule - le piastrine - che intervengono nella formazione del coagulo, alla rottura o lesione di un vaso sanguigno. Le forme più diffuse sono spesso patologie autoimmuni oppure da risposta ad infezioni e farmaci, tuttavia esistono quadri clinici ben definiti di chiara natura ereditaria.

Porpora trombocitopenica idiopatica:
Questa patologia è detta anche morbo di Werlhof, ed è una patologia autoimmunitaria acquisita, con una distruzione delle piastrine; si distinguono una forma acuta, che colpisce la prima infanzia ed è remissibile, in quanto spesso causata da infezioni o virus, come nel caso della rosolia, mentre la forma cronica colpisce gli adulti, le donne in particolare, tra i 20 e i 40 anni, caratterizzata da emorragie continue. L’aspetto più preoccupante è rappresentato da emorragie cerebrali, mentre esteriormente si presentano delle macchie rosse, chiamate petecchie.

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Deficit della coagulazione piastrinica
I disordini a carico del meccanismo di coagulazione, in cui sono coinvolte le piastrine, sono soprattutto di natura genetica, spesso acuite dalla comparsa di ulteriori mutazioni, in particolare delezioni ed inversioni del tratto di gene coinvolto. In particolare alcune delle forme più rare ma gravi sono rappresentate dalla:
Sindrome di Bernard Soulier, una patologia molto rara, infatti dall’anno della sua scoperta, nel 1948, se ne contano circa 100 casi nel mondo. Negli studi effettuati si sono scoperte circa 20 mutazioni diverse, a carico dei geni per la molecola Ib/IX, il recettore del Fattore del Von Willebrand, questi geni sono localizzati sui cromosomi, 17, 22 e 3, ma non sono stati tutti completamente identificati. Queste mutazioni impediscono alle piastrine di aderire al collagene, con un aumento del tempo di sanguinamento e la comparsa di piastrine giganti.
Tromboastenia di Glazmann: una patologia autosomica recessiva, a causa della quale le molecole coinvolte nella formazione del coagulo di fibrina non svolgono correttamente la loro funzione, non si ha la retrazione del fibrinogeno, manca l’integrina, alla quale si deve normalmente la formazione degli aggregati piastrinici. I sintomi possono essere molto variabili, ma di solito le prime emorragie compaiono appena dopo la nascita, principalmente a livello gengivale e delle mucose.
Deficit degli enzimi cicloossigenasi: questa mutazione coinvolge gli enzimi delle cicloossigenasi, pertanto quando si assumono farmaci antinfiammatori, quali l’aspirina, accade in tali circostanze che si prolunghi la durata della emorragia.

Le emofilie
Sono malattie associate sempre ad una severa emorragia, ma a causa di un fattore diverso che per una mutazione non è in grado di dare inizio alla cascata di coagulazione, attivando il Fattore X. Questo tipo di malattie vengono ereditate come mutazioni legate al cromosoma X, dove delezioni ed inversioni del tratto cromosomico generano una sequenza incapace di codificare la proteina funzionante. Per la precisione si tratta del Fattore VIII, a causa del quale si manifestano emorragie spontanee, a livello delle articolazioni ad esempio, causando emoartrosi. Le emofilie si distinguono in A, dove il Fattore VIII è presente a livelli variabili ma non in forma attiva, e in B che si caratterizza per la mutazione di un altro Fattore, il IX, che non è attivo, ma presente, causando una patologia apparentemente asintomatica.

Le neutropenie
Le neutropenie sono una serie di patologie causate da un’alterazione di numero e di funzione dei granulociti polimorfonucleati, PMN, a cui è affidata la prima linea di difesa dell’organismo, contro gli agenti estranei. La diminuzione del numero dei granulociti neutrofili determina la comparsa di neutropenie, da moderate a gravi, con una conseguente suscettibilità dell’organismo alle infezioni.
La Sindrome di Schwachman-Diamond è una neutropenia, autosomica recessiva, che si manifesta a pochi giorni dalla nascita, a causa di una mutazione sul cromosoma 7 del gene SBDS, con gravi disturbi a carico del midollo osseo, una maggiore suscettibilità alle infezioni, un ritardo motorio ed una severa insufficienza pancreatica. La sua incidenza è di circa 1 su 200000 nati vivi.
La Sindrome di Kostman o agranulocitosi infantile è una patologia congenita grave, trasmessa per un difetto dell’elastasi, che si manifesta in maniera autosomica recessiva e presenta infezioni molto ricorrenti e piuttosto severe. L’unica terapia che può consentire la completa remissione da questa patologia è il trapianto di midollo osseo.
La Sindrome di Chédiak-Higashi è associata invece ad albinismo, ittero, linfoadenopatia e a granuli giganti nei granulociti neutrofili. La mutazione è a carico del gene CHM, che regola il traffico delle proteine.

Le anemie
Questa famiglia di malattie ematiche comprende un numero di patologie elevatissimo, alcune forme piuttosto diffuse in particolare aree geografiche, altre invece eterogenee, altre ancora davvero molto rare. Le anemie a livello mondiale rappresentano un quadro preoccupante soprattutto per la salute infantile, in particolare per tutte quelle forme ereditarie, da deficit metabolico oppure di struttura. Una percentuale delle anemie è sideropenica, per carenza di ferro alimentare oppure in seguito ad emorragie, traumi, eventi fisiologici (es. mestruazioni). Le forme ereditarie possono riguardare la struttura e la funzione del globulo rosso a vari livelli.

La sferocitosi ereditaria
La sferocitosi è una patologia causata da un difetto di struttura dei globuli rossi, che si mantengono rigidi, meno deformabili e più facilmente sequestrabili a livello della milza, con conseguente distruzione. È una patologia molto diffusa nei popoli nord-europei. Il mantenimento della forma eritrocitaria è conferito dall’iterazione di diverse proteine, in particolare dall’anchirina che funge da ponte tra le proteine del citoscheletro e la membrana citoplasmatica interna ed è proprio la mutazione della proteina anchirina che causa la sferocitosi, con una destabilizzazione della struttura quando subisce le sollecitazioni della pressione, nel circolo sanguigno. I principali sintomi sono splenomegalia e crisi emolitica.

Deficit di glucosio -6-fosfato deidrogenasi
I soggetti che ereditano un deficit metabolico dell’enzima glucosio-6 fosfato deidrogenasi, presentano dei globuli rossi molto più suscettibili del normale, dopo essere stati trattati con agenti ossidanti di natura esogena o endogena. In particolare il deficit di ripiegamento delle proteine, della glucosio-6-fosfato deidrogenasi, si traduce in una mancata protezione degli agenti ossidanti, pertanto questo stress produce emolisi, in particolare sotto l’azione di farmaci o ad esposizioni da radicali liberi, prodotti nel corso di un’infezione.

Bibliografia
Lanza F., Bernard-Soulier syndrome (hemorrhagiparous thrombocytic dystrophy). Orphanet J Rare Dis. 16: 46.
Robbins, Le basi patologiche delle malattie. Piccin., pg.712-716.
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:37



LE TALASSEMIE
A cura di Barbara Hugonin

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Le talassemie sono una famiglia di malattie ematologiche, meglio definite come sindromi talassemiche, che includono un gruppo di patologie ereditarie, causate da un deficit nella sintesi delle catene α e β, costituenti l’emoglobina (Hb). Le forme talassemiche sono principalmente diffuse nei Paesi Asiatici e nelle regioni Africane più vicine al Mediterraneo.

Classificazione
In linea generale le talassemie si possono classificare in α e β talassemie. Le beta-talassemie si distinguono in base alla gravità in major, minor ed intermedia; le alfa-talassemie invece si distinguono nel tratto talassemico, tipico della popolazione africana, la malattia da HbH (emoglobina H) e l’idrope fetale, che conduce alla morte in utero.

β-talassemie
Sono le forme talassemiche più gravi, causate da oltre un centinaio di mutazioni a carico dei geni sintetizzanti le catene beta dell’emoglobina, con una sintesi assente (catena β0) oppure ridotta (catena β+), mentre la produzione delle catene α è normale. L’emoglobina è costituita da 2 catene α e 2 catene β, pertanto un deficit nella sintesi delle sue catene, determina una quantità di proteina ridotta con una conseguente ipocromia delle cellule ematiche. Le catene α in queste sindromi sono sintetizzate in quantità normali, pertanto vengono a trovarsi in eccesso rispetto alle catene β, formando degli aggregati, come corpi inclusi nelle cellule. Le inclusioni insolubili causano danni alle membrane plasmatiche, perdita di K+, fino alla morte cellulare a livello del midollo osseo. Nei pazienti affetti dalle forme più gravi di beta-talassemie, il 90% delle cellule normoblastiche va incontro ad apoptosi.
A questi eventi si sommano gli effetti secondari, che scaturiscono principalmente dalle trasfusioni, che rappresentano l’unica terapia adeguata nei pazienti gravi; ad esempio le alterazioni scheletriche, a causa dell’aumento di produzione di cellule eritroidi nel midollo osseo, stimolata dall’eritropoietina. Un altro effetto è l’assorbimento eccessivo di Fe, attraverso l’alimentazione ma soprattutto attraverso le trasfusioni, il che comporta danni al fegato e ad altri organi parenchimatosi.

Le talassemie beta a seconda della gravità possono essere classificate in:
Talassemie major: sono determinate da una condizione di omozigosi per i geni β0 o β+, (β0/ β0 o β+/ β+), nel primo caso con una assenza della sintesi della catena globinica β0/ β0, nel secondo caso con una ridotta sintesi della catena beta β+/ β+. Questa forma è più diffusa nei paesi mediterranei, in Africa e nel sud-est asiatico. La talassemia major nei neonati affetti si manifesta intorno ai 6-9 mesi di vita, quando l’emoglobina HbA sostituisce l’emoglobina HbF (Hb fetale). Gli strisci di sangue periferico presentano cellule con anisocitosi (variazione irregolare delle dimensioni), cellule microcitiche, danni al midollo osseo, alla milza, assottigliamento irregolare del cranio, fagocitosi eccessiva da parte dei reticolociti, che causa un aumento delle dimensioni epatiche e spleniche. La terapia possibile è solo la trasfusione di sangue, senza la quale si evidenziano disturbi della crescita, gravi disturbi epatici e cardiaci.
Talassemie minor: sono particolarmente diffuse nei paesi africani e del sud-est asiatico. Il genotipo caratteristico di queste forme è un eterozigote, β0/β oppure β+/β, con una manifestazione asintomatica della malattia, poiché si ha comunque la produzione di catene beta. I soggetti portatori del gene mutato, in particolare nei paesi africani, hanno una resistenza all’infezione da Plasmodium falciparum, veicolo della malaria, che in tali aree geografiche è endemica. Si presenta ipocromia dei globuli rossi, tuttavia non bisogna confondere tale forma con un’anemia sideropenia (da carenza di ferro), dove una somministrazione di ferro è positiva al contrario nella talassemia può comportare gravi effetti secondari.
Talassemie intermedie: hanno sintomi particolarmente variabili, ma principalmente si presentano con un’anemia forte, causata da varianti genetiche della β+-talassemia, dalle talassemie eterozigoti e da un genotipo intermedio β+/ β0.

α-talassemie
Sono causate da una sintesi ridotta (α+) o da una sintesi assente (α0) delle catene alfa dell’emoglobina, in tal caso però la sintesi delle catene beta è normale, ciò determina l’accumulo di quest’ultime e di altre catene non alfa, quali le gamma e delta. I danni da accumulo dei corpi inclusi in tal caso non sono tossici come nella beta-talassemia, infatti i sintomi di anemia emolitica e apoptosi sono più ridotti. Nel neonato affetto da α-talassemia, si ha l’accumulo della catena γ, con la formazione di un Tetramero-γ4, emoglobina di Bart, nell’adulto viene sostituita dalle catene β, che in eccesso formano un tetramero HbH. I geni delle catene α, organizzati in coppie, ciascuna su un cromosoma 16 umano, le forme di alfa-talassemia vengono classificate in base alla quantità dei geni coinvolti nella mutazione.
Il portatore asintomatico presenta una delezione di uno dei geni per le catene α, mentre gli altri tre sono normali, pertanto non si evidenziano segni gravi.
Il tratto talassemico: in tal caso la patologia è causata da una mutazione a carico di due dei quattro geni per le catene α, a causa di una delezione, possono essere coinvolti due geni sullo stesso cromosoma, tipico delle popolazioni asiatiche oppure due geni sui due cromosomi diversi, tipico delle popolazioni africane. È importante osservare la probabilità con cui si può generare una prole affetta da talassemia, nel caso della trasmissione del tratto talassemico, per due genitori portatori della mutazione su due cromosomi, non si avrà progenie affetta da HbH o da idrope fetale. Ha dei sintomi molto simili alla talassemia minor, una lieve anemia e ipocromia.
La malattia da HbH: è causata dalla mutazione per delezione di tre dei quattro geni dell’alfa globina, è tipica soprattutto delle popolazioni asiatiche. A causa di una carenza di catene α, si hanno tetrameri HbH, i quali presentano un’affinità alta per l’ossigeno. In tal caso questa forma di emoglobina non è adatta agli scambi gassosi, poiché difficilmente cederebbe ossigeno ai tessuti, anzi negli eritrociti più vecchi si presenta una forma emoglobinica ossidata. I sintomi principali sono un’anemia medio grave, apoptosi, splenomegalia, poiché la milza rimuove continuamente gli eritrociti in eccesso.

Idrope fetale: questa forma causa la morte intrauterina, anche se può essere ovviata da trasfusioni. Essa è causata dalla mutazione di tutti e quattro i geni delle catene alfa, pertanto nel feto i tetrameri di Bart, hanno un’elevata affinità per l’ossigeno, tanto da non cederlo ai tessuti, che vanno incontro ad anossia e sofferenza. Oggi attraverso trasfusioni intrauterine è possibile salvare la vita del bambino, il quale alla nascita appare pallido, con epatosplenomegalia.


Trattamento e trapianto
L’unica cura nelle forme più gravi di talassemia è la trasfusione di sangue, che allunga di molto la vita del soggetto. La soluzione definitiva può essere rappresentata solo dal trapianto di midollo, utilizzando un fratello, come donatore, che abbia una compatibilità genetica per i geni HLA. Oggi si dibatte molto sul tema delle cellule staminali e sulla possibilità di conservare quelle contenute nel sangue cordonale, alla nascita del bambino. Queste cellule costituiscono una riserva potentissima, per un’eventuale uso terapeutico, non solo nella cura delle talassemie, ma anche di altre patologie genetiche. Le cellule staminali autologhe, avrebbero una compatibilità del 100% con il bambino affetto, garantendogli la possibilità di guarire da patologie non sempre diagnosticabili durante la gravidanza o nei primi mesi di vita. Questa procedura non solo non ha implicazioni etiche, in quanto non coinvolge gli embrioni, ma ha un’utilità dal punto di vista terapeutico e di ricerca.

Bibliografia:
- McCann S., Foà R., Smith O., Ematologia. Casi clinici di base. Piccin, 2008.
- Robbins, Le basi patologiche delle malattie. Piccin, 2003.
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MALATTIE DEL SANGUE E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI

Messaggioda Royalsapphire » 23/03/2015, 19:39



LE MALATTIE DELLE PIASTRINE
A cura di Fabio Raja

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Nel sangue, accanto ai globuli rossi e bianchi, circolano delle microscopiche particelle, le piastrine, che derivano dalla frammentazione dei megacariociti, cellule che si trovano nel midollo delle ossa.

Tutte le cellule del nostro sangue, hanno un ciclo vitale piuttosto breve, per questo devono esserne prodotte sempre di nuove per rimpiazzare quelle che giunte al termine della loro vita, sono distrutte. Questa incessante produzione avviene in uno spazio vuoto nella parte più interna di molte ossa. Questo spazio è riempito da una sostanza molliccia che prende il nome di midollo rosso.
Le piastrine hanno un ruolo molto importante nell'emostasi, che è il mezzo con il quale il nostro organismo cerca di arrestare le perdite di sangue.
Quando un vaso sanguigno è danneggiato, infatti, le piastrine si uniscono a formare un tappo ( trombo piastrinico) in corrispondenza della lesione, che blocca subito la perdita di sangue.
Le piastrine circolano sciolte nel sangue, in una goccia che ne sono alcune decina di migliaia, ma quando c'è un'emorragia si aggregano tra loro, grazie a sostanze sprigionate dai tessuti danneggiati, mentre alla periferia della zona colpita i tessuti sani, elaborando altre sostanze, impediscono al trombo di estendersi troppo.

Normalmente ci sono tra 150 mila e 400 mila piastrine nella millesima parte di un litro di sangue. Alcune persone hanno poche piastrine, allora i medici parlano di piastrinopenia, cioè sono povere di piastrine. Altre, pur avendone un numero regolare, soffrono di vari disturbi perché le loro piastrine non funzionano come si deve ed i medici chiamano queste condizioni piastrinopatie, cioè malattie delle piastrine. Spesso i medici quando parlano delle piastrine usano un altro nome, trombociti, perciò i termini trobocitopenia e trombocitopatia sono perfettamente equivalenti a quelli usati prima.
Tutti questi pazienti hanno disturbi causati da un'emostasi difettosa e perciò spesso sanguinano dal naso, dalle gengive o hanno mestruazioni abbondanti e prolungate.
Talora la loro pelle si ricopre di piccoli puntini rossi, petecchie emorragiche, che altro non sono che piccolissime emorragie superficiali. Raramente ci sono disturbi importanti o emorragie gravi.
Una riduzione del numero di piastrine sotto 20-30 mila può causare questi disturbi, ma non necessariamente.
Non c'è un rapporto netto, infatti, tra il numero delle piastrine e la gravità dei disturbi.

Le cause

Le piastrine, qualche volta, diminuiscono perché il midollo rosso ne produce poche, come avviene in molte forme congenite e in qualche caso il difetto è trasmesso dai genitori, anche se la malattia si manifesta molti anni dopo la nascita.
Le forme più comuni di piastrinopenia sono, però, quelle prese da adulti, spesso a seguito dell'uso di farmaci come i chemioterapici antitumorali, certi diuretici o a causa dell'abuso d'alcol.
Nel corso di molte malattie virali, morbillo, varicella, rosolia, mononucleosi infettiva e infezioni da cytomegalovirus, ci può essere una diminuzione delle piastrine, che tuttavia è momentanea e si risolve, quando l'infezione guarisce.
Più raramente la riduzione delle piastrine è dovuta a tumori molto avanzati o gravi infezioni.

In certi pazienti la riduzione del numero delle piastrine è, al contrario, dovuta ad una eccessiva distruzione.
In altre parole questi malati producono regolarmente le piastrine, ma queste, una volta entrate nel sangue, sono rapidamente distrutte. Nella Porpora idiopatica di Werlhof l'eccessiva distruzione delle piastrine è causata da anticorpi che le aggrediscono. In altri casi, invece, come in donne incinte con una grave complicazione della gravidanza, che i medici chiamano eclampsia, o in certe malattie infettive, non sono gli anticorpi a distruggere le piastrine.
Quando le piastrine sono trattenute all'interno della milza e poi distrutte, la milza è ingrandita (splenomegalia). Le piastrinopenie causate da farmaci migliorano rapidamente con la sospensione del farmaco responsabile, così, quando la causa è una malattia infettiva, il difetto delle piastrine scompare con la guarigione dell'infezione.
Le persone con malattia congenita, spesso, migliorano con il trascorrere degli anni.
Ci sono, tuttavia delle persone che hanno disturbi piuttosto seri o che, in considerazione della loro attività, corrono maggiori rischi.
E' evidente, infatti, che, poiché ogni minima battitura o taglio può causare una perdita di sangue eccessiva, chi ha una vita calma e tranquilla rischia meno di chi, per motivi di lavoro o sport, è più esposto a ferirsi.

La diagnosi

Chi sanguina con facilità e ha spesso lividi o petecchie, potrebbe avere un qualche problema alle sue piastrine, perciò è bene rivolgersi al medico per avere consigli.
Un semplice conteggio delle piastrine e la loro osservazione al microscopio permette subito di valutare se c'è una penuria o una cambiamento della forma delle piastrine.
Altri esami più complessi (autoanticorpi antipiastrine, biopsia del midollo osseo, test per valutare se reni e fegato funzionano come si deve, anticorpi virali, e altri) possono essere utili per capire perché le piastrine si sono ammalate.

Qualche consiglio

Chi ha poche piastrine deve evitare di assumere farmaci antinfiammatori, certi antidolorifici e medicine per abbassare la febbre.
Queste medicine, come ad esempio l'aspirina, diminuiscono la capacità delle piastrine di unirsi l'una con l'altra per formare il trombo piastrinico. Per questo l'aspirina è data a chi ha una propensione a formare trombi, come chi soffre di coronarie.
Altro utile consiglio è evitare le iniezioni intramuscolari perché c'è sempre il rischio che l'ago provochi dei sanguinamenti esagerati all'interno del muscolo, che possono essere molto fastidiosi e trasformarsi in ascessi.

Le piastrinopenia da eparina

Alcune persone sono costrette ad assumere eparina per cercare di sciogliere i trombi che si sono formati nelle loro vene o per prevenirli quando ci sono fondati motivi che ciò possa accadere.
La trombosi è la formazione dentro un vaso sanguigno di un grumo di sangue che blocca od ostacola lo scorrimento del sangue.
L'eparina, è una sostanza prodotta dal fegato, ed è in grado di impedire che si formi il coagulo o quando si è formato ne ostacola l'ingrandimento. Se è data subito dopo la formazione del coagulo può persino scioglierlo.
La cura con eparina è un'impegnativa perché questa sostanza, impedendo la coagulazione del sangue, può causare gravi emorragie. Per questo deve essere fatta sotto attento controllo medico, eseguendo periodici esami per evitare rischi. L'eparina, che è data per iniezione sottocutanea o endovenosa, può causare una riduzione delle piastrine.
Una modesta e passeggera piastrinopenia si osserva in quasi tutti i pazienti che fanno l'eparina, ma in una piccola percentuale di questi la diminuzione del numero delle piastrine non è modesta né passeggera.
In queste persone si formano degli anticorpi contro le piastrine che causa la distruzione delle piastrine da un lato e trombosi delle vene profonde delle gambe, embolia polmonare, dall'altra.

Le cure

La cura delle emorragie da piastrinopenia è locale, durante le manifestazioni emorragiche.
Le trasfusioni sono indicate quando la perdita di sangue causa una anemia acuta.
Le trasfusioni di piastrine sono poco usate perché le piastrine trasfuse sono rapidamente distrutte.
La plasmaferesi, una tecnica usata dai medici trasfusionisti per ridurre gli anticorpi contro le piastrine, ha dato buoni risultati, ma passeggeri.
I farmaci più comuni utilizzati sono il cortisone che, è noto, ha molti effetti collaterali, come ritenzione idrica, peluria esagerata, iperglicemia, ipertensione, danni allo stomaco.
In definitiva raramente queste malattie danno disturbi importanti, così nella maggior parte dei casi non c'è necessità di cure particolari e sarà sufficiente qualche attenzione e seguire attentamente i consigli del proprio medico per evitare inconvenienti più gravi.
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