Voglio raccontare una storia, sia per dare libero sfogo a due delle mie passioni più grandi (la pallacanestro, e scrivere) sia perchè ritengo possa essere un incoraggiamento per tutti noi, anche se parliamo sempre di uno sportivo professionista milionario, e quindi probabilmente quanto di più lontano da noi possa esserci.
Sin da quando aveva diciotto anni, Marco Belinelli, guardia da San Giovanni in Persiceto, piccolo borgo del bolognese, è considerato una promessa del nostro basket.
Nel 2005, a diciannove anni, vince lo scudetto con la Climamio Bologna, la Fortitudo, dopo essere cresciuto nella rivale Virtus. Non si può dire che l'abbia vinto da protagonista, ma le sue prestazioni sono comunque fondamentali per il trionfo della sua squadra. Marco è un talento, ma già qualcuno inizia a tacciarlo di supponenza, di essere un montato.
L'anno dopo, 2006, la stella di Marco brilla luminosa; è il titolare, segna tonnellate di canestri, in semifinale playoff vede il giocatore avversario Morandais esultare in maniera molto accesa per la vittoria della sua squadra in gara 4, poi nella partita successiva realizza 34 punti e urla in faccia a Morandais "DANCE NOW!!" dopo avergli segnato la terza tripla.
Arriva alla finale scudetto, ma perde contro Treviso, e l'anno dopo la stagione della Fortitudo è deludente. Le voci sulla sua presunta arroganza sono sempre più forti.
Questo ragazzotto si crede chissà chi, ce ne sono a bizzeffe più forti di lui.
Ma nell'autunno del 2007 viene scelto in NBA dai Golden State Warriors, squadra all'epoca di secondo se non terzo piano, con una chiamata bassa, la 18. L'anno prima, Bargnani era stato la prima scelta.
Comunque è il quarto italiano a giocare in NBA, dopo Rusconi, Esposito e lo stesso Bargnani.
Ma in NBA Marco fatica tremendamente. Non riesce a trovare la sua dimensione, l'allenatore Don Nelson lo relega ai margini.
Nonostante l'ingaggio da NBA, è l'occasione per i tantissimi critici di dimostrare definitivamente che Belinelli deve farsi un bagno d'umiltà, non è adatto alla NBA, deve tornare in Europa (o in Italia) I tifosi, sia americani che italiani, lo irridono; ricordo una parodia di una pubblicità con protagonista Gilbert Arenas, in proposito.
(originale: "Per questo gioco col numero 0, perchè devo ricordarmi di dare il massimo ogni giorno"
parodia: "Per questo gioco col numero 18, perchè devo ricordarmi di comportarmi da maggiorenne, ogni giorno")
Per inciso, Gilbert Arenas pochi anni dopo abbandonerà ogni ambizione di successo, tanto che adesso è inattivo e a breve, presumibilmente, abbandonerà il basket senza aver mai vinto nulla.
Belinelli non ascolta le voci e decide di restare in NBA, secondo i maligni per continuare a rubare un ingaggio senza mai giocare, o giocando pochissimo.
Finisce a New Orleans col fenomeno Chris Paul, quest'ultimo ha un'ottima considerazione di lui, ma la squadra continua a perdere, appena dopo un ciclo vincente che l'aveva portata ai playoff. Ormai Marco è considerato definitivamente un bluff. E inizia a non essere più così giovane.
Tempo dopo va a Chicago. Lentamente inizia a conquistarsi minuti in campo, e gioca i playoff; nella trasferta a Brooklyn è autore di una prestazione sontuosa, le sue emozioni lo portano a un gesto che la NBA considera irrispettoso e per cui viene multato.
Ma quei playoff a Chicago gli valgono la chiamata, a 28 anni, dei San Antonio Spurs, una delle squadre più forti degli ultimi vent'anni.
Secondo la quasi totalità degli appassionati, Belinelli non ha alcuna possibilità di farsi valere in quel contesto.
La squadra è ricca di campioni, tra i più forti della storia; Tim Duncan, Manu Ginobili, Tony Parker. L'allenatore è il severissimo Gregg Popovich, tra i più vincenti di sempre. Anche i più ottimisti tra i suoi fans, danno la cessione di Marco come sicura entro uno o due mesi, per tornare definitivamente in Europa, o nella mediocre D-League agli Austin Toros, squadra satellite degli Spurs.
Invece Marco lavora durissimo, e Popovich premia la sua determinazione. Il suo minutaggio cresce, i tiri da tre iniziano ad entrare come quando giocava a Bologna da ventenne.
Tanto che la NBA lo chiama per giocare la gara di tiro da tre punti, unico italiano a ottenere tale onore.
Marco non si accontenta di partecipare, però, e incredibilmente vince la gara, dopo lo spareggio con Bradley Beal.
Ma non finisce qui. La stagione prosegue, arrivano i playoff, grazie anche alle triple di Marco, e alla fine dell'anno, San Antonio è campione NBA.
Marco Belinelli è campione NBA.
Il massimo riconoscimento per un giocatore di basket. E non ottenuto stando a guardare, fermo restando che chi sta a guardare in NBA fino alla fine dell'anno, ha comunque meritato di esserci, per quello che fa in allenamento, per come si comporta nello spogliatoio.
Ma Marco non è stato 48 minuti in panchina, ha giocato, ha segnato, ha sofferto, ha contribuito alle vittorie.
I suoi compagni festeggiano nello spogliatoio, Marco viene raggiunto dal giornalista di Sky Italia Alessandro Mamoli per qualche domanda di rito.
Marco sta per iniziare i ringraziamenti di rito, prima la famiglia e gli amici, poi i compagni e l'allenatore, grazie a tutti, è merito vostro se sono qui.
Ma non fa in tempo a pronunciare le prime parole, che l'emozione lo interrompe.
Gli scorrono in mente sette anni di fatica, lontano da casa, sballottato da un capo all'altro degli Stati Uniti, con i tifosi italiani che non perdevano occasione per ricordargli che era un perdente, un montato, un arrogante, un fallito.
E ora che è l'unico italiano nella storia campione NBA, non riesce a trattenere le lacrime.
"Nessuno...ha mai creduto in me."
https://www.youtube.com/watch?v=YG7R2NRMZRE
Nessuno, ha mai creduto in Marco.
Alla fine, Marco non ha ottenuto un buon risultato, non ha ottenuto neanche un grande risultato.
Marco ha raggiunto il gradino più alto per un professionista che si guadagna da vivere giocando a basket.
Il più alto, in assoluto. A 28 anni, non a 20, non a 25.
Forse è solo una favoletta, permeata di quel buonismo spicciolo che pervade lo sport professionistico alla fine delle stagioni.
Forse, è la dimostrazione che tutto è possibile, se lo si vuole. E se ci si crede.