Oggi vi voglio raccontare una storia particolare, se vogliamo quasi surreale.
Non è la mia storia, ma è la storia di una ragazza che ho avuto la fortuna di incontrare lungo il cammino della mia vita e con la quale ho fatto un pezzettino di strada molti anni fa.
Vi parlerò di quel periodo, di alcuni momenti che abbiamo trascorso insieme.
Lei si chiama Charlotte, il nome va da se è di fantasia ma la storia è vera.
Avere quindici anni più di dieci anni fa non era proprio come averli oggi.
Alcuni temi, allora, non erano sicuramente diffusi come lo sono ora e se oggi l’attenzione per problemi come l’anoressia o l’autolesionismo è poca figuratevi allora, quando una persona che ne soffriva poteva essere trattata dagli altri quasi alla stregua di una protagonista di “Ragazze interrotte”.
Io quando avevo quell’età non avevo la benché minima idea non dico di che cosa fossero questi problemi ma addirittura non pensavo nemmeno che esistessero.
L’incontro con Charlotte ha segnato la mia vita non solo perché mi ha fatto crescere da tanti punti di vista ma anche perché mi ha aperto l’orizzonte su questi problemi, su quanto siano delicati, e mi ha reso più sensibile, più cosciente di cosa si possa passare vivendo quasi schiavi di tentazioni e sensazioni parossistiche.
Quando ero in prima superiore non ero il ragazzo che sono ora; ero ingenuo, semplice, ignaro della vita, introverso. Per giunta trovandomi in una classe dove non conoscevo nessuno la mia timidezza aumentò a dismisura.
Nella mia classe c’era questa ragazza: bella, magra, piuttosto estroversa (a volte anche troppo), piena di ragazzi che gli rigavano intorno, amica di tutti. Durante quell’anno si fece notare per vari comportamenti non proprio da educanda diciamo. Durante una gita rubò un telefonino, veniva a lezione una volta si e due no, rispondeva ai professori con animosità…insomma non era la classica brava ragazza. Nella mia ingenuità e nella mia semplicità (parola che troppo spesso, come in questo caso, può avere anche un senso negativo) io la bollai come una persona dalla quale stare il più possibile lontano. Per uno di quei casi strani della vita però mi accorsi che più cercavo di starle lontano più notavo tante cose di lei che attiravano la mi attenzione. Piano piano capivo, o almeno così mi sembrava di capire, che molte cose non tornavano. Prestando più attenzione ai suoi comportamenti mi resi conto di tante incongruenze.
È vero, era bella, ma aveva sul viso un tratto, un segno quasi di malinconia.
È vero, era magra, ma a guardarla e riguardarla non mi sembrava che il suo corpo avesse forme naturali.
È vero, era estroversa, piena di amici, ma spesso, quando prendevamo il pullman insieme per esempio, notai che se ne stava seduta sola sola guardando fissa fuori dal finestrino.
È vero, era piena di ragazzi, ma era strano che di tutti quelli che le stavano intorno non ce n’era uno che le desse un abbraccio di un certo tipo, un abbraccio come quando stringi qualcuno che vuoi tenere avvinto. Erano abbracci nei quali una delle mani non stava quasi mai sulla schiena ma altrove.
Parlando con altri compagni e altre persone nella scuola, spettegolando diciamo, venni poi a sapere che su Charlotte giravano varie voci poco rassicuranti…che frequentasse cattive compagnie, la solita accusa, spesso infondata, che fosse una p*****a, che facesse uso di sostanze.
Dico la verità. Se quando non avevo ancora sentito queste voci e ancora non avessi notato certe cose nel suo modo di fare, pensavo che Charlotte andava evitata, dopo che venni a conoscenza di tutto questo pensavo invece che mi sarebbe piaciuto molto conoscere davvero, capire davvero chi era quella ragazza.
Durante quell’anno io non ero certo una persona, come si dice oggi, “popolare”. Certo, su di me non giravano voci, ma qualcuno che pensava che fossi il classico sfigato c’era sicuramente!! Perciò, forse proprio per questo, nella mia testa si innestò un meccanismo diverso. Io sapevo di non essere uno sfigato, caso mai ero timido, per cui pensai che forse forse le nemmeno le cose che altri dicevano di Charlotte erano poi così vere. In quel caso non feci la pecora ma ragionai con la mia testa e questo si rivelò una delle cose migliori che abbia mai fatto in vita mia!
Per farla breve io non riuscivo ad avvicinarmi a Charlotte per via della mia timidezza e ne ero davvero molto triste visto che qualcosa nella mia testolina continuava a chiedermi di farlo. Con mia grande sorpresa però giorno dopo giorno io e Charlotte iniziammo a scambiarci quattro parole. Niente di programmato o speciale intendiamoci, più frasi fatte che devi dire quando magari capitava di essere da soli in classe all’intervallo o vicini di posto sull’autobus la mattina. Si parlava di scuola, dei compiti, delle verifiche, ci scambiavamo qualche idea sui compagni o sui professori…ricordo che una volta le chiesi anche perché rubò il telefonino in gita visto che mi disse di avere una famiglia benestante.
Mentre le relazioni tra noi continuavano ed essere più intense, ora parlavamo di molte cose e lo facevamo sempre più spesso, l’anno scolastico era giunto quasi alla fine.
Stavamo diventando amici. Io stavo capendo poco a poco che in effetti ciò che avevo notato di strano aveva qualche fondamento, stavo capendo che le voci su di lei erano false o quanto meno che certi sui comportamenti non erano indice di un cattivo carattere ma che sotto c’era altro.
Insomma, standole vicino per molto tempo in effetti mi resi conto che la sua forma fisica non era buona. Era magrissima non magra.
Mi resi conto che se era così piena di amici e ragazzi non avrebbe passato diverse sere parlando o facendo una passeggiata con me. Soprattutto mi resi conto che quel tratto malinconico sul suo viso c’era, e c’era pure nei suoi occhi che sembravano spenti, come se un velo li ricoprisse.
Passavamo ormai così tanto tempo insieme che quando un prof ci diede da fare un lavoro di gruppo in due lei scelse me come compagno.
Il giorno in cui dovevamo fare il cartellone per il compito avremmo dovuto vederci da me ma siccome all’ultimo la madre di Charlotte era dovuta andare via fui io ad andare a casa sua.
Camera sua era molto diversa dalla mia. Non c’era nemmeno una foto sua.
Su di una parete color ambra ricordo appeso un calendario…un calendario strano. Vicino ad ogni data c’erano un infinità di numeri e sigle che non capivo cosa significassero.
Mi attirarono subito alcuni quaderni che aveva poggiati sopra un piccolo comodino bianco. Era evidente che non erano quaderni di scuola visto che si intravedeva che era scritti fittissimo e i suoi quaderni di scuola erano quasi vuoti invece.
Durante il pomeriggio completammo il compito. Charlotte era strana quel giorno, lo ricordo come fosse ieri. Non mi parlò quasi per nulla, si impegnava nel fare il cartellone in modo quasi ossessivo, come mai le avevo visto fare con un compito a casa!
Finito che avemmo il compito ci sedemmo su un divano. Ce ne stavamo lì fermi, immobili, senza dire una parola. Io capivo che c’era qualcosa che non andava ma non riuscivo a trovare la forza o il coraggio di chiederle che cose. Da buon stupido me ne andai terrorizzato dal fatto che avrei potuto dire qualcosa che avrebbe rovinato l’amicizia che tanto faticosamente stavamo costruendo.
Tornato a casa stetti per un po’ sul mio letto. Fermo. Non pensavo a nulla tranne a lei e al fatto che ero stato proprio un co*****e. Dopo attimi che mi parevano un eternità decisi di salire in sella al mio motorino e correre di nuovo da Charlotte.
Non so dove o come trovai il coraggio. Appena arrivato a casa sua, appena lei aprì la porta, la abbracciai. Prima di allora non l’avevo mai nemmeno sfiorata con un dito.
Charlotte ricambiò il mio abbraccio. Quando sciogliemmo l’abbraccio mi accorsi che piangeva. Le chiesi cosa aveva. Mi disse che stava male. Fu come prendere un cazzotto alla bocca dello stomaco.
Ci sedemmo sullo stesso divano di prima. Prima che io potessi chiederle qualunque cosa, prima che io potessi fare qualsiasi domanda lei tirò su la manica di una magliettina nera aderente costellata da tanti brillantini. Non me lo scorderò mai quel momento. Sul polso, sull’avambraccio tante scintille rosse. Alcune piccole, altre più grandi. Disegnavano sul suo corpo una sorta di mosaico e spiccavano così tanto nel loro colore in contrasto con quella sua pelle così bianca che sembravano voler salire al cielo, proprio come le scintille di un falò. Guardai. Non dissi niente. Presi quel mosaico di fuoco e glielo accarezzai. Sentivo sotto la mia pelle tutti quei piccoli segni di una vita vissuta a metà, tutta la ruvidità di un cuore stracciato, ma sentivo anche il calore ed il suono del sangue che scorreva e che diceva: sono viva.
Quella sera io e Charlotte non abbiamo parlato mai. Ce ne siamo stati tutto il tempo sul suo letto, abbracciati. Non una parola. Solo il suo sguardo ed il mio sguardo. Solo i suoi occhi nei miei occhi ed i miei nei suoi.
È stato sempre così per noi due, non abbiamo mai avuto bisogno di parlare gran ché, ci bastava condividere un silenzio, un emozione, bella o brutta che fosse.
In seguito Charlotte mi ha spigato tante cose. Mi ha mostrato quel calendario. I segni e i numeri erano gli alimenti e le calorie che doveva assumere durante un giorno. Mi ha mostrato i quaderni. C’era scritto quanto e cosa aveva mangiato e se aveva o meno rispettato la sua tabella, c’era scritto se una sera o un pomeriggio si era tagliata e perché o se un giorno se ne era stata a casa da scuola. C’era scritto della sua famiglia. Mi disse di essere stata adottata, che la sua famiglia era benestante si ma povera di riguardi verso quella figlia che prima avevano così tanto voluto e dopo pareva quasi un peso.
Io e Charlotte da quel giorno abbiamo passato insieme sempre più tempo. Io ho cercato di aiutarla standole il più vicino possibile.
Piano piano lei ha iniziato a reagire. A confidare i suoi problemi prima alla sorella maggiore e quindi hai genitori. Per il resto dell’anno scolastico e durante l’estate ha smesso di frequentare certe compagnie e ha provato a trovare nuove amicizie in classe.
Non si può dire che io e lei eravamo fidanzati. Non ci siamo mai visti in quel senso. Non nego che qualche bacio e più di qualche gesto d’affetto reciproco ci sia stato ma non abbiamo mai dato un etichetta al nostro rapporto.
Abbiamo passato tutta l’estate e l’anno scolastico successivo così, volendoci bene, confidandoci tutto e condividendo la sua lotta e la mia crescita.
Poi suo padre è stato trasferito molto lontano e lei è andata con la famiglia.
Da quel momento ci sentiamo quasi ogni giorno.
Col tempo, con la sua forza, con la vicinanza della famiglia e con l’aiuto del suo ragazzo con molti sforzi e passando attraverso momenti anche difficili Charlotte è riuscita a mettersi alle spalle quel brutto periodo della sua vita. Ha sconfitto la tentazione di tagliarsi anche se qualche volta fa ancora fatica a non indulgere a quel pensiero. La sua battaglia contro l’anoressia non è ancora vinta, almeno non del tutto. Va molto meglio di prima, non ha più crisi, è più in forma ma ogni tanto ha ancora tentazioni. Per fortuna ha trovato nel suo fidanzato un validissimo sostegno.
E io adesso, qui, ricordando questa esperienza indelebile, penso; se ce l’ha fatta Charlotte, potete farcela tutti.