La scuola maledetta

Storia horror

Questo spazio è dedicato alla raccolta di storie inventate.

La scuola maledetta

Messaggioda l.pallad » 13/02/2023, 12:00



Questa storia l'ho scritta per un contest il cui limite massimo era 3000 parole.


Gabriel Piras camminava per i corridoi della scuola seguito dalla fila di suoi seguaci, guardato dagli altri studenti con terrore e riverenza, come se il rosso dei suoi capelli fosse vero fuoco e il castano dei suoi occhi potesse scrutare fin dentro l'anima.
Era soddisfatto sapendo di avere il totale controllo della scuola e di chiunque vi fosse dentro.


*

L'edificio si alzava alto e imponente, le pareti bruciate si confondevano con il nero della notte e con le nuvole della tempesta in arrivo.

“Molto bene Kleio, ora ti farò vedere chi comanda.” disse Giuseppe, ragazzo dai capelli lunghi e neri.

“Davvero? Scommetto che scapperai alla prima occasione.” rispose Emanuele, ragazzo dai capelli ricci e giacca di pelle nera.

“Ti farò vedere io chi è il fifone.”

“Giuseppe, Emanuele, state calmi. Sono curiosa anch'io di vedere chi vincerà questa sfida, ma non litighiamo.”

Alle loro spalle c'erano Valentina, ragazza bionda e agghindata, e Angelo ragazzo castano vestito di blu.

“Vedrai Emanuele.” disse Giuseppe. “Ti farò vedere io chi è il più coraggioso.”

“Non vedo l'ora.” disse Angelo “Diamo il via alla gara, vediamo chi riesce a stare in questa scuola di notte per più tempo.”

“Grazie per aver evidenziato l'ovvio.” commentò la ragazza con sarcasmo.

“Non c'è di che.”.

“Basta parlare, entriamo.” ordinò Giuseppe dopo aver dato ad ognuno di loro un'ascia.

Con pazienza e colpi ben assestati abbatterono la porta.

“Comodo avere un genitore taglialegna, ma non intendo fare il facchino. Ognuno terrà la propria finché non ce ne andremo.”

Detto questo varcarono la soglia.
L'interno era buio, sporco, coperto di polvere, e illuminato solo dalle loro torce elettriche.

“Ora che facciamo?” chiese Angelo.

“Andiamo alla caldaia e aspettiamo che sorga il sole.” rispose Giuseppe.

In quel momento si sentì il boato di un tuono.

“Questa situazione sembra quella di un film horror.”

“Già. All'improvviso salterà fuori un assassino che ci ucciderà tutti.”

I due risero fragorosamente a quella battuta, ripensando alle origini inquietanti del posto.
Molti anni fa la scuola aveva subito un terribile incendio e, durante le riparazioni, misteriosi incidenti avevano ucciso diversi operai e nessuno aveva più voluto metterci piede. Da allora circolavano molte voci e leggende inquietanti. Si diceva che chiunque si sarebbe recato lì non sarebbe più tornato.

*

Gabriel stava prendendo a calci un ragazzo.
Grandi occhiali, capelli rossi e ricci.

“Secchione, non devi farti vedere qui.”

“Basta, non puoi farmi questo.” lo implorava.

“Io faccio quello che voglio. Sono ricco, bello e popolare e tutti devono obbedirmi. La scuola è mia, solo mia.”

Se ne andò lasciando il ragazzo in lacrime e sanguinante con lo sguardo carico d'odio, mentre rideva e scherzava su ciò che aveva fatto.


*

“Era qui?” chiese Angelo guardando la classe 1A del posto.

“Altroché.” rispose Valentina. “Questa era la classe di Gabriel Piras, lo studente più popolare della scuola.”

“Davvero?”

“Già. I suoi genitori erano ricchi finanziatori e lui ne approfittava per fare quello che voleva minacciando costantemente di far tagliare i fondi nel caso fosse stato contrariato, poi c'è stato quell'incidente ed è cambiato tutto.”

“Non è stato un incidente ma il Karma.” commentò Giuseppe guardando il corridoio. “Andiamo, la caldaia non è lontana.”

Iniziò a piovere a dirotto.

“Posso andare in bagno?” chiese Angelo.

“Ma non l'avevi fatta prima di uscire?”

“Prima non mi scappava ma adesso sì. Questa pioggia mi ha stimolato la vescica.”

“Che c'è, il poppante non sa tenerla?” lo canzonò Emanuele.

“Sì, ma non per tutta la notte.”

“Sai quanto sono vecchi e inutilizzati questi bagni?”

“Dovrò pur farla da qualche parte.”

“Riesci a trovare da solo la strada?”

“Certo, torno subito.” e si avviò.

Il resto del gruppo arrivò nella stanza della caldaia, era piccola, con un orologio a pendolo fermo e bruciacchiato, priva di finestre, ed emanava un fastidioso odore di cenere.

“Ora vediamo chi resiste di più.” disse Emanuele dopo essersi seduto.

“Quando vuoi.” rispose Giuseppe facendo altrettanto.

*

Gabriel si stava dando delle arie quando il ragazzo che aveva picchiato gli sbarrò la strada.

“Oh ma guarda, il piccolo Alessandro. Non ti avevo detto di non farti più vedere?”

Lui non rispose, aprì la bottiglia di plastica che teneva in mano guardandolo con odio.

“E ora cosa farai? Mi inzupperai...”

Non riuscì a finire la frase che gli gettò il liquido della bottiglia in faccia e il ragazzo si accorse troppo tardi che non era acqua.


*

Le ore passavano e Angelo non li aveva ancora raggiunti.

“Come supponevo il fifone è scappato.” lo canzonò Emanuele.

“No, si sarà perso.” cercò di giustificarlo Giuseppe.

“Beh, per sicurezza andrò a cercarlo.” disse Valentina.

Nessuno ebbe niente da ridire e la lasciarono andare.
Raggiunto il bagno la ragazza non trovò nessuno.

“Angelo? Dove sei finito?” lo chiamò con un velo di preoccupazione.

Non ricevendo risposta sospirò, cominciando a pensare che forse era davvero scappato, quando all'improvviso udì uno strano rumore.

“Ah, ecco dov'era finito.”

Si diresse nella direzione da cui proveniva: la 1A.
L'aria si riempì di un odore strano e sconosciuto che diventava sempre più forte man mano che si avvicinava verso la classe.

“Angelo, che stai...”

Aveva appena aperto la porta che urlò alla vista del corpo di Angelo fatto a pezzi, con l'ascia conficcata nel cranio, sulla cattedra c'erano gli arti predisposti a formare il simbolo di una bandiera pirata, sulla lavagna c'era scritto con il sangue: Benvenuti!

*

Alessandro era stato espulso e spedito in riformatorio dopo il suo folle gesto ma il danno era fatto. Gabriel venne portato in ospedale e dopo un lungo travaglio i suoi genitori pagarono i migliori chirurghi plastici per rimettergli apposto la faccia, ma alcuni danni furono irreparabili. Il volto era deformato, alcuni capelli non erano più ricresciuti e non riusciva ad aprire bene gli occhi.
Tornato a scuola tutti avevano cominciato a guardarlo diversamente. Insieme alla sua bellezza aveva perso la popolarità, abbandonato dai seguaci, gli altri studenti maltrattati ne approfittarono per vendicarsi, tirandogli uova , picchiandolo e ricoprendolo di insulti.
Le sue minacce passate si rivelarono vane, e i suoi genitori non intendevano interrompere i finanziamenti alla scuola per un suo capriccio.

“Non potete farmi questo!” si lamentava. “Sono io che comando la scuola. È mia!” ma ottenne solo di essere messo in punizione.


*

Valentina irruppe nella stanza con il viso rigato dalle lacrime.

“Presto andiamocene di qui.”

“Che ti prende?” le chiese Giuseppe.

“Angelo è morto.”

“Cosa?”

“Vuoi forse ammettere di aver perso la scommessa?” commentò Emanuele beffardo.

“Al diavolo la scommessa.” si lamentò. “C'è qualcuno qui dentro e se non usciamo subito...”

Non riuscì a finire la frase che improvvisamente il fuoco della caldaia si accese da solo, le lancette dell'orologio si spostarono segnando la mezzanotte, suonandone i rintocchi, mentre il pendolo riprendeva a dondolare.

Giuseppe cominciò ad avere paura.

“Ma che succede?”

“Non mi interessa.” Valentina era esasperata. “Meglio essere chiamati fifoni che morire”.

Emanuele voleva ribattere ma in quel momento una strana risata riecheggiò per la stanza senza che si sapesse da dove proveniva.

“Ok, andiamocene e dichiariamo patta.” cedette.

I tre uscirono impugnando le asce correndo verso l'uscita, mentre un forte vento gelido soffiava per il corridoio, facendo sbattere violentemente le porte delle classi mentre le luci si accesero senza che nessuno toccasse nulla.

“Che succede?” urlò Giuseppe esasperato “Che razza di scuola è questa?”

Non interessava a nessuno di loro cosa stesse succedendo o perché, volevano solo uscire di lì. Stranamente il corridoio sembrava diventato più lungo e per quanto corressero tornavano sempre al punto di partenza.
Improvvisamente i pezzi di cadavere di Angelo fluttuarono d'innanzi ai tre, si ricomposero cominciando a muoversi in una danza macabra mentre la sua testa cominciò a bruciare senza che le fiamme la consumassero.
I ragazzi urlarono e cambiarono direzione.

“Perché non troviamo l'uscita?” si lamentò Emanuele.

La fuga li portò nella palestra dove c'era una porta che conduceva all'esterno.

“Guardate, usciamo da lì!”

Era bloccata ma non era un problema, dovevano solo sfondarla con le asce.
Colpirono con tutta la forza che avevano in corpo, ma i danni che causavano si riparavano da soli.

“Ma come è possibile?”

“Chiamiamo casa, ci salveranno loro.” propose Valentina.

I due ragazzi annuirono ma prendendo il cellulare videro che non c'era campo.

“Oh no, ora sì che siamo nei guai.”

Non avevano detto a nessuno dove sarebbero andati ed erano usciti di casa furtivamente. Ora avrebbero preferito finire in punizione piuttosto che stare lì dentro.
Entrò il cadavere infernale di Angelo.

“Angelo, sei ancora lì dentro?” tentò di parlargli Giuseppe.

In risposta l'essere si tolse l'ascia dal cranio e si avventò su di lui, ma il ragazzo riuscì ad evitarlo. Emanuele si scagliò contro quell'essere approfittando della sua distrazione, con un colpo d'ascia lo buttò a terra per poi continuare a colpirlo. Valentina si unì a lui e lo ridussero in pezzi ancora più piccoli, spegnendogli il fuoco sulla testa.

“Ma che avete fatto?” li accusò Giuseppe dopo che ebbero finito.

“Quello non era più Angelo, dovevamo difenderci in qualche modo.” si lamentò Emanuele.

“Già, ma fare a pezzi qualcuno non è una sciocchezza.”

“E che avremmo dovuto fare secondo te?” rispose Valentina.

Tra i tre cominciò una violenta lite. Giuseppe pensava che avessero deciso troppo facilmente di ridurre a pezzi Angelo, mentre Emanuele e Valentina ritenevano che la loro fosse stata una normale reazione indotta dall'istinto di sopravvivenza. Nessuno di loro voleva ammettere di avere torto e la discussione li prese talmente tanto da fargli dimenticare tutto il resto.
Improvvisamente la ragazza si interruppe e quando si voltò i due ragazzi videro che aveva l'ascia di Angelo conficcata nella schiena, retta dai pezzi della mano di quest'ultimo che si erano ricomposti e si muovevano all'unisono.
Giuseppe ed Emanuele urlarono inorriditi vedendola cadere morta ai loro piedi. Gli altri pezzi di Angelo cominciarono a ricomporsi e i due si affrettarono ad uscire dalla stanza prima che fosse troppo tardi.

*

Non accettando quanto accaduto Gabriel aveva preso la sua decisione. Nessuno poteva dirgli cosa fare.
L'odore della benzina versata aveva già invaso il corridoio, mentre lui teneva in mano un fiammifero acceso.

“Ma che stai facendo?” Aveva chiesto il bidello.

Per tutta risposta tirò fuori una pistola dalla tasca e sparò. Studenti e insegnanti, attratti dal rumore, vedendo il corpo morto del bidello, si spaventarono e cominciarono a scappare urlando. Gabriel gettò il fiammifero a terra scatenando una vampata. L'impianto antincendio si attivò, ma alimentò le fiamme, perché era stata mischiata benzina nell'acqua.
Panico e terrore invasero l'edificio, mentre veniva divorato dalle fiamme, in sottofondo la folle risata di Gabriel.


*

“È colpa tua!” aveva urlato Emanuele a Giuseppe quando furono abbastanza lontani dal mostro. “Se non ti fossi messo a discutere con noi Valentina non si sarebbe distratta e sarebbe ancora viva.”

“Colpa mia? Tu hai proposto di venire qui!”

“Ma tu hai parlato di questa stupida scuola.”

La follia e la paura avevano invaso le loro menti offuscandone il giudizio e privandoli della lucidità.

“Non dare la colpa a me!”

“Neanche tu!”

Il litigio degenerò e cominciarono ad azzuffarsi prendendosi a pugni. La lotta li portò sull'orlo delle scale, Emanuele tentò di strangolare Giuseppe che si liberò spingendolo all'indietro e facendolo cadere.

“No!” disse ritrovando il senno. “Non volevo questo, non l'ho fatto apposta!” continuava a giustificarsi venendo consumato dal rimorso.

Il corpo di Emanuele cominciò a rialzarsi e Giuseppe per un istante sperò di non essere diventato un assassino, ma quando si voltò vide che aveva il collo spezzato, gli occhi spenti, e la testa cominciò a bruciare come quella di Angelo.
Il ragazzo raccolse la propria ascia e sferrò colpi all'impazzata costringendo il morto a indietreggiare. Corse in avanti spingendolo di lato e passando oltre, continuando a correre senza fermarsi o voltarsi.

*

L'incendio aveva causato terribili danni, varie vittime e un grande scandalo per la famiglia di Gabrel. I suoi genitori dovettero risarcire i parenti delle vittime e finanziarono loro stessi le riparazioni della scuola.
I lavori erano cominciati da qualche ora quando sentirono delle urla di terrore provenire dall'interno della scuola. Gli operai corsero nella direzione delle urla e trovarono uno dei loro colleghi morto bruciato nella classe 1A, ma nessuno seppe spiegarsi da dove venissero le fiamme che lo avevano ucciso.


*

“È fatta sono salvo!”

Aveva trovato l'ingresso da cui era entrato, la salvezza era alla sua portata. Improvvisamente i pezzi della porta si ricomposero bloccando il passaggio.

“No!” urlò tentando inutilmente di sfondare la porta prima a spallate e poi con l'ascia.

“È inutile.” udì una voce sconosciuta e indefinita alle sue spalle.

Giuseppe cominciò a voltarsi lentamente, mentre la paura cresceva sempre di più. Alle sue spalle c'era un ragazzo completamente bianco, trasparente, dal volto deforme e con gli occhi che bruciavano come se fossero di fuoco.

“Sei tu che hai fatto questo!” capì. “Perché ci tormenti così?”

“Divertimento. Era da tanto che non avevo nuovi ospiti.”

“Sei il fantasma di Gabriel Piras?” domandò.

“Ovviamente.”

“Ma come è possibile?”

“Non ne ho idea. So solo che odiavo tutti per avermi tolto ciò era mio di diritto e allora ho bruciato questo posto per punirli e trascinarli con me, ma stranamente non sono davvero morto.” ridacchiò. “Questa nuova condizione mi ha permesso di riprendermi tutto.” alzò le mani e altri fantasmi comparvero dietro di lui.

Giuseppe vide che tra i morti c'erano gli operai, il bidello e gli studenti.

“Cosa hai fatto a queste persone?” domandò al fantasma mentre tentava di nuovo di abbattere la porta.

“Le ho rimesse al loro posto. Chiunque muoia in questa scuola resta al mio servizio per sempre.”

A quelle parole, tra i fantasmi comparvero anche Angelo, Emanuele e Valentina, che lo guardavano con tristezza e compassione.

“Ti prego, lasciami andare.”

“No. Io prendo quello che voglio e tu resterai qui per sempre”.

Giuseppe urlò con così tanta forza che si sarebbe potuto sentire dall'esterno. Ma non c'era nessuno a udirlo né a salvarlo, dopo l'urlo si spensero le luci e tornò il silenzio.
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l.pallad
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