Non sono nata sotto le bombe della Siria. non sono nata nell'Africa affamata. Per questo mi sento in colpa a desiderare la morte.
Nata 23 anni fa, figlia di un operaio e di una casalinga con lavoretti saltuari, entrambi diploma di terza media: di meglio non sono riusciti a trovare.
la felicità per qualche anno, ma non la ricordo. L'arrivo di mia sorella dopo 9 anni. e poi l'inizio di ciò di cui ho memoria.
Periodo delle medie: il disagio per la povertà che i miei vestiti dimostravano, il non essere accettata perchè "povera" e il tentare di crearsi una personalità "distinguendosi dalla massa". Da un lato lo studio assiduo, per compiere il mio dovere e far felice mia madre, dall'altro l'evasione: le prime sigarette, canne, fidanzato. Con lui, tossicodipendente: gli sputi ricevuti e gli abusi, anche quello sessuale. Ora vedo tutto con lucidità e non ci sto male, perchè tra le cose che ho passato c'è stato di peggio.
10 anni in casa con un alcolizzato: porte, mobili sbattuti, urla, bestemmie. la fretta di prendere sonno: il giorno dopo c'è l'interrogazione e devo dormire almeno tot ore per essere pronta domani e andar bene. Veloce, prima che lui torni e faccia tanto chiasso da non farti dormire. I pianti, di mia madre e miei. lui che sbiascicava, urlava, imprecava, insultava. Io che speravo nell'aiuto dei vicini di casa: non sono mai intervenuti. mia madre troppo povera per andarsene con due figlie.
A 14 anni inizio a rispondere a tono, mi dispiace vedere mia madre così. si sfiora la violenza fisica, mia madre ci separa, mi chiudo in camera. tutto questo per n volte. Piangevo come una disperata, non avevo nemmeno la forza di trattenermi. Con i piedi contro l'armadio e la schiena contro la porta per bloccargli l'entrata, mentre sento quasi spezzarsi le ossa.
Lui si giustifica in tutti questi anni: "non vi ho mai messo le mani addosso", ma esiste la violenza psicologica, subdola perchè non lascia prova se non sul violentato, e per tutta la vita. Anche lui figlio di un padre alcolizzato e violento, si giustifica così con noi. Ma la paura che possa scattare da un momento all'altro c'è, le mani sul collo per volermi sottomettere le ha messe.
Poi cresco, 16 anni, e capisco che non posso fare nulla se non essere indifferente. Non gli rispondo più, lo ignoro.
Siamo in 4 ad abitare in poco più di 30 mq di casa ma non ci si parla. Quando torna a casa sbronzo e non rispondo alle sue domande sbiascicate però i problemi e le urla si ripetono. Una notte, dopo ore di confusione, oggetti sbattuti, lui disteso sul letto che urla versi, stanca dall'ennesima notte in bianco, sbotto: "smettila". si alza, dice che devo portargli rispetto perchè è mio padre, quindi devo stare zitta e non devo permettermi mai più. non rispondo perchè ho paura. mi intima di rispondere. un sì sommesso, poi basta. in tutto questo sono alle superiori, mi diverto, faccio amicizia, nonostante tutto li ricordo come anni felici: d'altronde stavo spesso fuori casa.
Gli ultimi anni delle superiori: le prime benzodiazepine per dormire il giorno prima della verifica. ormai l'insonnia cronica mi accompagna. lavoro stagionalmente: i primi soldi, i primi viaggi, le prime scarpe comprate con il frutto della mia fatica. quinto anno: dopo anni d'impegno, ancora prima della maturità inizio a lavorare. poco tempo per studiare e molto lavoro. esco con un 90. felice, ma se non avessi dovuto lavorare tante ore forse avrei portato a casa qualcosina in più. poco male però: per la prima volta mi pagano decentemente. riesco a pagarmi la patente. test d'ingresso per l'università. entro. per un mese e mezzo senza casa tra vari b&b e airbnb. trovo casa, lontanina dalla sede. ma torno sempre ogni weekend: lavoro. rimango così inevitabilmente indietro con gli esami. un errore che pago ancora oggi. con l'acqua alla gola ogni anno per la borsa di studio che mi consente di vivere.
mia madre se ne va di casa con mia sorella, finalmente. mio padre cade nel buio più profondo. alterno pena a rabbia. cerco di non pensarci. non fa che insultare mia madre perchè per lui è colpa di lei se non gli parlo. lo ignoro. finchè non coinvolge mia sorella per metterla contro mia madre. in tutto questo sbronzo 24/7. il giorno dopo mi raccontano una particolare vicenda che vede coinvolta anche mia sorella, allora sbotto al telefono. lo stesso giorno porta zizzania tra tutte le persone vicine a mia madre. sono le 6, mi trova fuori in centro. mi urla davanti a tutti per più volte: sei una mangiamerda. non gli parlerò per un anno e mezzo.
finalmente torno a bologna all'università, so che mia madre è distante da mio padre e sono tranquilla. decido di non lavorare più per dedicarmi allo studio. ho molte materie indietro e devo recuperare. tornano le benzodiazepine per consentirmi di mantenere un sonno e uno studio decente. do gli esami prestabiliti, ma togliendo i farmaci ho il rebound. ansia, stress post traumatico, attacchi di panico. inizio ad andare dallo psichiatra e pian piano li scalo fino a toglierli del tutto. non voglio piu toccarli. la sessione successiva procede bene e ad agosto sono senza farmaci.
terzo anno mi trasferisco in centro. e inizia un bel periodo: non più solo studio ma finalmente inizio ad uscire. serate, amici e concerti. la sessione è sempre dura ma la supero. ho un attacco di panico di nuovo ad aprile, lascio il mio fidanzato storico sperando di capire cosa mi facesse male. ma non risolvo. riprendo i farmaci che scalerò pian piano. ma capisco di aver bisogno della psicoterapia. inizia un percorso lungo che mi porta alla consapevolezza di essere una persona troppo esigente con sè stessa, rigida, che non tollera avere la situazione fuori controllo. pian piano mi lascio andare, smetto di essere ipocondriaca, di avere manie di controllo e di fissarmi con lo studio. respiro un po'. mi sembra di aver raggiunto un equilibrio finalmente.
La sessione è di nuovo tosta. avevo un piano ben preciso, ma non l'ho rispettato per un esame in cui sono stata bocciata tre volte. e tutto quello che avevo lasciato da parte con la psicoterapia si affaccia più prepotente di prima: il disagio non è più solo psicologico, ma corporeo. mi ammalo. una malattia che sembra essere una brutta parola: vulvodinia. che non ha nemmeno dignità per essere riconosciuta dallo stato, dalla quale non so se mai guarirò, come, e in quanto. spendo tanti soldi ma nessun miglioramento. questa patologia ne nasconde un'altra: endometriosi che mi sta divordando gli organi.
confusa dai medicinali (tornano le benzodiazepine), ho già speso un patrimonio e sarò destinata a spendere ancora molto. la malattia mi limita fisicamente nei lavori che potrei fare, mentalmente nella concentrazione, nella memoria, ma soprattutto nell'autostima. non mi sento più come prima, desiderabile, e nemmeno voglio più apparirlo. sono un'altra persona. cado in depressione: nel momento in cui avevo allentato la presa e il controllo ossessivo sulla mia vita, come imparato a fare, il mio corpo mi tradisce e mi punisce per essere stata più leggera e serena.
Sono fidanzata da un anno, dovevo andare a convivere con il mio fidanzato, dovevo andare in Erasmus e concludere gli studi. Ora tutti i miei piani sono andati in fumo. Si tratta di una malattia che fa male fisicamente, ma il peggio lo fa psicologicamente. non posso più avere rapporti sessuali, vestirmi normalmente, mangiare normalmente perchè tutto mi fa male.
Inizialmente mi chiedevo perchè, e piangevo: che senso aveva impegnarsi tanto nella vita per ricevere questo? Perchè una malattia non riconosciuta dal SSN ad una persona che non può permettersi economicamente le cure? Perchè ad un passo dalla fine dell'università e dalla realizzazione dei miei sogni? Cos'ho fatto di male per meritarmi questo?
ora non mi chiedo più niente, non voglio vivere così. La vita è sofferenza e sono stanca.