Cioran (che non si è suicidato e ha sopportato la vita pensando di avere la libertà di farlo, per sé) ha aiutato parecchie persone a non suicidarsi.
«Passo il tempo a consigliare il suicidio con gli scritti e a sconsigliarlo con la parola. Il fatto è che nel primo caso si tratta di un esito filosofico; nel secondo, di un essere, di una voce, di un lamento...» (Emil Cioran)
Schopenhauer ricorda che col suicidio - per dirla a mio modo, non nel suo - non viene eliminato tutto il gioco (che continuerà dunque a procurare del male, prendendovi parte), ma solo uno dei sub-giocatori.
«Il suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate.» (Arthur Schopenhauer)
Entrambi hanno aiutato a sopportare la vita (imposta da altri/e).
Non si sono, intelligentemente e altruisticamente, riprodotti.
Hanno compreso e hanno aiutato a comprendere come stiano effettivamente le cose.
In pratica, non hanno invitato persone con cui hanno interagito al suicidio (ovvero all'omicidio).
Non hanno messo altri/e nelle condizioni di esistere per poi cavarsela con un «suicidati, se non ti sta bene».
Schopenhauer e Cioran restano, per me, due spiriti nobili.