Death Rise a Horse Theme

Ho usato un mix di farmaci che ero certa mi avrebbero portato sul sicuro alla morte.
Perché proprio dei farmaci? perché volevo che almeno il mio cadavere fosse riconoscibile al funerale, e non avrei sopportato di lasciare il trauma - oltre a quello della mia morte - di una scena sanguinolenta o un corpo in pezzi ai miei cari.
Quando bevvi il bicchiere contenente la mia morte, ero calma. Avevo già scritto le lettere di addio ai miei parenti, ai miei più cari amici. Ero pronta per andare, non riuscii a prendere tutto il mix di farmaci perché il bicchiere mi cadde di mano a causa della reazione addormentante del primo che avevo presto. Mi trascinai a letto, e aspettai di addormentarmi per sempre. Una dose come quella che avevo preso avrebbe potuto uccidere un uomo adulto, o nel migliore dei casi mandarlo diretto in coma. Non ho la minima idea di come sia viva, ora. Forse è perché avevo bevuto prima dell'estremo gesto, forse l'effetto era scemato. Forse il farmaco poteva essere persino vecchio di qualche mese motivo per cui l'effetto era più blando.
Non lo so.
Quando mi trovarono mi vollero trascinare all'ospedale, ma rifiutai con tutte le forze che mi rimanevano. Non riuscivo più a muovermi, come se le parti del corpo avessero iniziato a morire. Mi tennero sveglia a forza sino a che non mi ripresi abbastanza per camminare.
I muscoli sono ancora intorpiditi e doloranti, ho spesso mal di testa, ma passerà col tempo. Quando il mio corpo avrà smaltito quella dose eccessiva di farmaci.
Perché l'ho fatto, vi chiederete. A 18 anni si è giovani, si hanno ancora molte possibilità. Sì, è vero. Ma è da quando sono nata che io mi sento diversa, negativamente, dagli altri. Di un altro pianeta. Molte volte ho pensato al fatto che avrei voluto vivere altrove, lontano, in un posto che sentivo mio, che mi avvolgesse. Ma non è questo il punto, anche se è una parte del discorso. Sin da piccola pensavo al suicidio, dai 12, 13 anni circa. Me lo sono sempre sentito addosso, il pensiero che prima o poi l'avrei fatto e probabilmente la mia vita sarebbe giunta al termine così. In una mattina come tante, preceduta da una notte in bianco, mentre tutti dormivano, andai a prendere quel che mi serviva nell'armadietto dei farmaci. Iniziai a scrivere le lettere e via dicendo.
E pensare che solo un litigio personale era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Il pensiero di arrecare pesi alla mia famiglia, far spendere soldi, essere di troppo. 'Meglio morta che vigliacca.' mi dissi. Come i samurai che praticavano il Seppuku (Suicidio tradizionale che consisteva nel taglio del ventre. Molti samurai l'hanno fatto per evitare una morte disonorevole.) quel bicchiere di morte era la mia personale wakizashi (lama tipica del suicidio in questione.).
Tutte le volte che ci avevo pensato in passato, il buon senso mi aveva fermata. Ma se in una mattina, per una sola goccia che ha fatto traboccare il vaso, tutta quella convinzione è emersa, suppongo dipenda dal fatto che il mostro dentro di me si era alimentato, era cresciuto in una grotta lontana dalla ragione, occultata dalle parole del raziocinio.
Proprio io, che non avrei mai creduto di farlo, che ci avrei giurato. Io che non mi sono mai affidata a nessuno, che ho sempre tenuto a distanza. Io l'ho fatto.
Ci sono segreti dentro di noi che neghiamo persino alla nostra mente.
Perché proprio dei farmaci? perché volevo che almeno il mio cadavere fosse riconoscibile al funerale, e non avrei sopportato di lasciare il trauma - oltre a quello della mia morte - di una scena sanguinolenta o un corpo in pezzi ai miei cari.
Quando bevvi il bicchiere contenente la mia morte, ero calma. Avevo già scritto le lettere di addio ai miei parenti, ai miei più cari amici. Ero pronta per andare, non riuscii a prendere tutto il mix di farmaci perché il bicchiere mi cadde di mano a causa della reazione addormentante del primo che avevo presto. Mi trascinai a letto, e aspettai di addormentarmi per sempre. Una dose come quella che avevo preso avrebbe potuto uccidere un uomo adulto, o nel migliore dei casi mandarlo diretto in coma. Non ho la minima idea di come sia viva, ora. Forse è perché avevo bevuto prima dell'estremo gesto, forse l'effetto era scemato. Forse il farmaco poteva essere persino vecchio di qualche mese motivo per cui l'effetto era più blando.
Non lo so.
Quando mi trovarono mi vollero trascinare all'ospedale, ma rifiutai con tutte le forze che mi rimanevano. Non riuscivo più a muovermi, come se le parti del corpo avessero iniziato a morire. Mi tennero sveglia a forza sino a che non mi ripresi abbastanza per camminare.
I muscoli sono ancora intorpiditi e doloranti, ho spesso mal di testa, ma passerà col tempo. Quando il mio corpo avrà smaltito quella dose eccessiva di farmaci.
Perché l'ho fatto, vi chiederete. A 18 anni si è giovani, si hanno ancora molte possibilità. Sì, è vero. Ma è da quando sono nata che io mi sento diversa, negativamente, dagli altri. Di un altro pianeta. Molte volte ho pensato al fatto che avrei voluto vivere altrove, lontano, in un posto che sentivo mio, che mi avvolgesse. Ma non è questo il punto, anche se è una parte del discorso. Sin da piccola pensavo al suicidio, dai 12, 13 anni circa. Me lo sono sempre sentito addosso, il pensiero che prima o poi l'avrei fatto e probabilmente la mia vita sarebbe giunta al termine così. In una mattina come tante, preceduta da una notte in bianco, mentre tutti dormivano, andai a prendere quel che mi serviva nell'armadietto dei farmaci. Iniziai a scrivere le lettere e via dicendo.
E pensare che solo un litigio personale era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Il pensiero di arrecare pesi alla mia famiglia, far spendere soldi, essere di troppo. 'Meglio morta che vigliacca.' mi dissi. Come i samurai che praticavano il Seppuku (Suicidio tradizionale che consisteva nel taglio del ventre. Molti samurai l'hanno fatto per evitare una morte disonorevole.) quel bicchiere di morte era la mia personale wakizashi (lama tipica del suicidio in questione.).
Tutte le volte che ci avevo pensato in passato, il buon senso mi aveva fermata. Ma se in una mattina, per una sola goccia che ha fatto traboccare il vaso, tutta quella convinzione è emersa, suppongo dipenda dal fatto che il mostro dentro di me si era alimentato, era cresciuto in una grotta lontana dalla ragione, occultata dalle parole del raziocinio.
Proprio io, che non avrei mai creduto di farlo, che ci avrei giurato. Io che non mi sono mai affidata a nessuno, che ho sempre tenuto a distanza. Io l'ho fatto.
Ci sono segreti dentro di noi che neghiamo persino alla nostra mente.