Recupero questo post, che avevo letto tempo fa e che mi aveva colpito molto, perché in questo momento sto troppo male anche per aprirne uno mio...
AnimaInLacrime ha scritto:Quanto vorrei che ci fosse un pulsante da schiacciare quando non ne puoi più. Un pulsante da schiacciare per cancellarmi per sempre dal tempo e dallo spazio... Come se non fossi mai esistita.
[...]
Sparire sarebbe bellissimo per me e per tutti.
Ieri ho letto una frase che un individuo sente dire almeno 50 volte nell'arco di una vita.
"La vita è un dono".
Peccato che sia un dono non richiesto.
Mi hai messo al mondo ma chi te l'ha chiesto?!
[...]
Come sarebbe bello se non fossi mai esistita.
Queste parole che hai scritto... le penso da sempre...
Come scrivi oltre, neanch'io ho mai avuto nessuna curiosità verso il futuro. Nessun anelito. Ricordo che quando, a scuola, le mie compagne non vedevano l'ora di crescere, raccontavano di come mentivano con gli altri dicendo di avere uno o due anni in più, io pregavo "Dio" (o qualunque entità potesse esserci) di NON farmi diventare grande. Sapevo che le cose sarebbero solo peggiorate, indipendentemente da quanto impegno io avessi potuto metterci. Io desideravo una sola cosa, in fondo, ma era anche l'unica cosa che mai avrei potuto avere: l'affetto di mia madre (ora non sto qui a spiegare i "perché" e i "per come", fatto sta che lei era impossibilitata a darmi un affetto sincero). Tutto ciò che è seguito, è stato un elenco di azioni e reazioni, cause ed effetti, ma in fondo niente di così esaltante. Qualsiasi successo che abbia ottenuto, a cosa è servito, se poi non c'è stato nessuno che mi ha rivolto un sorriso sincero, che si è mostrato sinceramente interessato a me, al mio futuro? Quando ho odiato il giorno in cui sono nata. Quanto odio ancora oggi il giorno del mio compleanno, che puntuale ritorna. Non perdonerò mai chi mi ha messo al mondo e mi ha tenuto. Ho desiderato l'adozione, qualsiasi cosa, essere abbandonata in un cassonetto, tutto, ma non
questo. Il vuoto emotivo che ho vissuto
per me è stato troppo. Forse per qualcun altro sarebbe bastato. Forse ci sono bambini/e a cui bastano le cose materiali. A me non sono bastate. E l'affetto "finto", dato "per dovere", mi ha lentamente uccisa dentro.
Un pulsante, come scrivi, per annullare la mia vita... Lo premerei subito. Senza rimpianti.
Non ho mai pensato seriamente al suicidio, ma sempre e soltanto a come sarebbe stato "bello" non nascere. "Bello" nel senso che non avrei sofferto così tanto. Il nulla è senza dubbio meglio di
questa sofferenza. Solo negli ultimi giorni il suicidio mi ha sfiorato la mente, come un'idea non più così indefinita. Tanto, a chi importerebbe? O meglio, a qualcuno importerebbe, ma di causare dolore a
quella persona non importa a me. E per tutti gli altri, io sono soltanto un numero, tranquillamente sostituibile, nulla più.
Sono quattro anni e mezzo che sono in terapia, ho provato due terapeute diverse, di due diversi orientamenti. Non ho ricevuto un minimo di empatia (che era l'unica cosa che cercavo). Ho persino provato due diversi farmaci (uno ho dovuto smetterlo quasi subito a causa degli effetti collaterali eccessivi che mi dava) nonostante fossi "contraria" (non ho mai creduto né credo né crederò mai che l'affetto e la considerazione mancata si compensino con delle molecole): e infatti, zero risultati.
Ho da poco (qualche mese) scoperto di avere un "deficit cognitivo" (storia lunga: l'ho sempre avuto, ma non mi è mai stato diagnosticato, e avere una diagnosi alla vigilia dei trent'anni fa sì che nessun medico/psicologo/operatore sanitario sia interessato ad aiutarmi a capire come gestire la cosa, che mi provoca ormai notevoli disagi - molta della mia ansia aveva cause più
oggettive di quanto sembrasse, ma ora che lo so, che cosa cambia, se nessuno mi aiuta?)
Ha senso continuare così? Io non credo.
Non ne posso davvero più.
Chiedo scusa se ho "preso in prestito" questo post in questa calda notte estiva.
AnimaInLacrime, per quello che conta, ti sono vicina, e hai ragione: la vita non è un dono, o meglio, non è detto che lo sia. Tutto dipende da dove si nasce e, soprattutto, da
chi.