Salve,
non so esattamente neppure il perché mi sia iscritto e stia scrivendo su questo forum, credo in special modo per sfogarmi un po' e raccontare (molto) sommariamente la mia storia recente, quella che mi ha spinto in un abisso di un nero sconvolgente.
Fino ad un annetto fa portavo avanti una vita abbastanza grama per via del mio non sentirmi come gli altri e non volermi adattare alla modernità che trovo oscena al dir poco; tuttavia passavo momenti sereni, ed avevo progetti di miglioramento relativi alla mia condizione. Poi, poco a poco, mi sono adagiato su di una routine sempre più avara in quanto a soddisfazioni e piccoli piaceri della vita e soprattutto scandita da una pigrizia e un disinteresse crescenti nei confronti della vita stessa. Senza neppure accorgermene mi sono ritrovato a non uscire nemmeno più di casa, ad abbandonare le sane abitudini (soprattutto in campo alimentare) che erano divenute parte di me da anni, a maltrattarmi, anche psicologicamente, e non curarmi dei miei bisogni. Fino a che... è letteralmente iniziato un incubo che mi ha travolto ed attualmente mi vede vittima del suo apogeo. Tutto parte in una nottata afosa di agosto: mi sveglio e mi sento strano, impaurito, inizio a temere di morire soffocato (qualche giorno precedente una persona a me cara sentendosi soffocare mi aveva svegliato in piena notte chiedendo il mio aiuto, creandomi involontariamente un trauma). Cerco di tranquillizzarmi ma non chiudo occhio; la mattina le cose vanno un poco meglio, però per giorni interi non faccio altro che controllare ossessivamente il mio respiro, eppure stringo i denti e cerco di andare avanti sperando che il tutto si risolva da sé; ed in effetti dopo meno di una settimana sto come prima, normale. Ma il peggio doveva ancora venire, a distanza di una decina di giorni dall'episodio prima citato, non mi sento affatto bene: inizio a tremare, a soffrire di tachicardia, vertigini ecc. Così finisco in pronto soccorso dove mi dicono che la mia ansia costante era sfociata in un attacco di panico, lì mi somministrano un calmante e mi rimandano a casa, ma sto male: in un mese abbondante soffro di continui attacchi di panico, innumerevoli volate in ospedale, però non mi va di assumere psicofarmaci e cerco di uscirne da solo, poi... sopraggiungono le ossessioni su qualsiasi cosa e la depressione grave, ora decido di recarmi da uno psichiatra, la notte non dormo sto malissimo ed iniziano i pensieri suicidari. Provo a seguire la cura, riluttante poiché non ho mai visto di buon occhio gli psicofarmaci (ma nelle emergenze si sa...) ma gli effetti collaterali sono troppo debilitanti, mollo tutto. Per farla breve; dopo l'ansia, il panico, la depressione, le ossessioni: si presentano sempre più spesso momenti d'irrealtà dove le mie paure ed ossessioni mi vincono, mi annientano, temo di buttarmi dal mio balcone, di farmi del male, anzi, le ossessioni mi fanno credere che sia desiderabile commettere i peggiori atti nei confronti del mio corpo.
Passano i mesi e le cose non migliorano, ho provato a parlare con alcune persone, ma sono giunto all'amara conclusione che se ne fregano di me, del mio dolore; addirittura chi credevo amico mi ha sovente fatto pesare il mio stato; cosicché ho finito per soffocare il mio enorme dolore nel silenzio o nel pianto. Non mi sento più me stesso, la malattia mi ha tolto persino la mia identità, il mio carattere, passo i giorni a piangere... io che non l'avevo mai fatto nella mia vita. Dov'è la mia forza... soltanto la paura è la mia compagna.
Non ce la faccio ad andare avanti, tamponando l'ansia con le benzodiazepine (a breve ne sarò dipendente). Considero il suicidio non soltanto come conseguenza di una mia eventuale perdita di controllo; da un po' lo vedo come una possibile liberazione dall'immane sofferenza che mi sta logorando.
Scusate la confusione del messaggio ma l'ho scritto di getto in un raro momento di semi-lucidità, ma non sono mai lucido.