Stanotte non riuscivo a dormire. Ormai è settimane che mi sono rifugiato in una depressione quasi cercata, naturale, a cui ho ceduto sfrorzandomi solamente un poco all'inizio. Poi ho gettato la spugna, anche perchè più mi sforzo di uscirne e più essa mi tira giù. Quindi ho detto, proviamo a lasciarsi trasportare, dalla mente, dai pensieri. Ho tanto tempo libero per pensare, ma ho capito che questa è una condizione sufficiente ma non necessaria per iniziare a fare certi pensieri sull'esistenza. Ho capito (sempre per quanto riguarda il mio punto di vista, le mie non vogliono essere riflessioni assolutistiche che valgono per tutti) che passiamo la vita cercando distrazioni di qualsiasi tipo, come per evitare il confronto con noi stessi e le nostre paure più recondite. Mi accorgo che avere tempo è solo un modo per entrare più velocemente a contatto con queste parti, con questo lato oscuro, che bene o male tutti hanno ma che tra una cosa e l'altra non ascoltano e lasciano lì in secondo piano. A volte le persone scoppiano all'improvviso, a volte vanno avanti così tutta la vita, fino a quando non si avvicina il momento della morte. Bene, dico questo perchè ieri questo pensiero mi ha portato a un'altro, a una sorta di illuminazione in negativo.
A un certo punto ho capito chiaramente che le domande che io mi sto ponendo sulla condizione umana, sulla relatività della vita, sull'insansatezza dell'esistenza umana, sono domande che gli esseri umani si pongono dall'alba dei tempi. Ho letto qualcosa a proposito della depressione esistenziale, e mi rendo conto quanto questa etichetta mi calzi a pennello. Avevo smesso di darmi etichette, ma in questo periodo di malessere sento il bisogno di ritrovare in altre definizioni quello che sta accadendo dentro di me.
In questo articolo si discuteva su quale fosse il limite tra puro pensiero filosofico sulla relatività della vita e depressione. Nel senso, quando è che dei pensieri cosiddetti negativi diventano da essere dei pensieri puramente naturali, data la nostra condizione di esseri pensanti che si interrogano sul significato della vita, a un fattore patologico? La risposta data era che il ragionamento filosofico, nonostante arriva alle stesse conclusioni sulla vita, riesce a tenere distaccate queste "scoperte" dallo scorrere della propria esistenza. Si diventa depressi quando si arriva a questi pensieri ma essi ti bloccano e vivi solamente di questi pensieri, non riesci ad andare oltre, a fare il salto verso qualcosa di più propositivo che affermare: LA VITA FA SCHIFO E NON HA SENSO.
Ora, io per anni ho sempre avuto paura di questo mio lato oscuro. Ho i miei motivi per essere depresso, al di là delle domande filosofiche sulla vita, e ho anche i miei motivi per vedere tutto inutile, e per aver paura della negatività.
Mio padre si è suicidato quando ero adolescente, e questo ha creato in me un blocco, un vedere la vita come assurda e insensata, a ragionare sempre su quale fossero i motivi di costruire qualcosa quando poi basta poco per essere spazzato via. Ho sempre dovuto lottare con questo peso, qualche cosa l'ho fatta, ma sempre senza un reale stimolo, una spinta a dire che aveva senso quello che stavo facendo. Infatti non ci son mai stato, ho sempre fatto le cose per inerzia, e continuo a farle. Ma su questo ci sto lavorando ormai seriamente, per liberarmi da questo peso che mi porto dietro da troppi anni.
Il fatto è che la negatività in casa mia non si è vissuta bene, soprattutto dopo la morte di mio padre. Sia da parte di mia madre sia da parte mia. La paura che certi pensieri fossero devianti, che il malessere fosse solamente da eliminare perchè altrimenti sarei finito come mio padre, che la vita DEVE essere bella a tutti i costi, naturalmente mi ha creato ancora più malessere. La paura della paura, la paura del vuoto che c'è dentro in ognuno di noi, ti fa trovare soluzioni di ogni genere: dal buttarsi nello studio, alle droghe, alle donne, al girovagare. Un distrarsi continuo perchè hai paura di quella parte di te, non riesci ad accettarla, ti dici che non sei normale, che gli altri son tutti positivi, non ci pensano.
E questa negazione della negatività, che nella mia famiglia è stata accentuata per i traumi subiti, è qualcosa che avviene in tutte le famiglie e nella società in generale. Ci bombardano di negatività, in tv soprattutto, ma tutto è volto a far finta di niente, ad andare avanti e non fermarsi, rientrare nelle righe della finta positività. Quindi il discorso non riguarda solamente me, ma può essere esteso alla società di oggi, e forse a tutte le società umane fino ad ora esistite. Forse prima esistevano dei metodi per esorcizzare la negatività in modo più ritualistico, invece che comprarsi un nuovo cellulare o iscriversi in palestra.
Ma ieri ho capito c***o, che se sei un minimo intelligente o sensibile, non puoi non essere depresso. E' come se interrogarsi su chi siamo venga subito visto come qualcosa di estremamente pericoloso, perchè la negatività non riusciamo a vivercela, non riusciamo a farci cullare da essa, gridiamo subito alla malattia e cerchiamo di debellare questo virus. Ora, non dico di cullarsi in essa per sempre, perchè capire che la vita è inutile non ci fa star bene, al di là del fatto che sia un pensiero naturale o meno. Comunque lo spirito di sopravvivenza che è in noi a un certo punto ci deve far fare quel balzo in là, farci dire: ok ho visto e ho vissuto questa parte oscura, ma forse c'è anche altro. Altrimenti non si cambia e si rimane statici su un punto fermo. Anche perchè, e parlo per me, non voglio masturbarmi all'idea di essere depresso, di essere diverso per forza dagli altri. Ho passato la fase del piangermi addosso. E parlo sempre per me, vedo che questa è una condizione di comodità, capisco che è più facile non cambiare, perchè è meno faticoso. E' solo una parte della vita e del nostro animo, non è la totalità.
Anche perchè se stessi bene con me stesso, non avrei di questi problemi, se stessi bene nel negativo, per assurdo, ci starei e basta. Però capire anche che è un lato di cui non devo aver paura, ma anzi che devo indagare mi ha dato un attimo di risveglio dal torpore dell'ultimo mese.
Ora arrivo al punto da cui ho tratto il titolo di questo post. Come riuscire a trasformare questo "demone" interiore in qualcosa di creativo? come riuscire a fare il passo in là, guardare in faccia il vuoto cosmico e passare altrove? come rendere questa parte una forza più che un limite?
Putroppo qua un pò mi blocco, è come se ho la teoria, ma la pratica non riesco ad attuarla. Chiedo aiuto in questo se qualcuno ha qualche idea a riguardo. Arrivare però almeno a questo punto per me è stato importante. Quello che posso dire è che mi sta dando stimolo, per esempio a prendere questo periodo di stand by come motivo per studiare, indagare per cercare di dare risposte alle mie domande, scrivere, magari riniziare a disegnare. So che le risposte arrivano solo vivendo, ma ora all'esterno non trovo tanti stimoli, quindi tanto vale partire da quello che ho a portata di mano, libri, internet...il che è un gran passo avanti dal passare le giornate a bere e fare giochini al computer o guardare telefilm solo per far passare la giornata, solo per non pensare.
Noi siamo i peggior giudice di noi stessi, questo è ovvio. Perchè non c'è niente di sbagliato in quello che penso, anche se è disfattista, sono solo io che decido se subirlo passivamente o farne un punto di inizio per qualcosa di nuovo. Perchè infondo, la vita è un divenire, sia nel negativo che nel positivo. Sta a noi decidere se lasciarsi trasportare dal flusso della vita o puntare i piedi a terra nelle nostre convizioni, che di nostro poi se ci si pensa bene hanno ben poco. Nessuno è giusto o sbagliato, siamo tutti sulla stessa barca che sta affondando, e sta a noi trovare una scialuppa di salvataggio o decidere di affondare con la nave.
scusate per il lungo post...