Mi trascino distrattamente lungo la strada.
Lo sciaguattare dell’asfalto bagnato sotto il peso dei miei passi è in un certo senso rassicurante. La pioggia ha come passato un velo di vernice lucidante su ogni cosa, cosicché anche il flebile pallore lunare sia sufficiente ad illuminare la via, dando vita a paesaggi suggestivi.
Pesanti gocce si scontrano contro il mio ombrello. Se non mi ammalassi così facilmente, lo chiuderei volentieri, per lasciarmi rigare il viso dall’acqua, abbandonandomi all’immensa poesia racchiusa in questo pianto celestiale.
La luce di un lampione sfarfalla ronzando, facendomi piombare in un’effimera oscurità.
Manca poco per arrivare a casa, una casa che amo e che odio. La amo, perché è l’unico posto in cui mi sento in diritto d’esistere, seppur sotto forma di ameba che trascorre intere giornate a vegetare su un letto; la odio perché spesso è come una prigione, con sbarre invisibili e subdole insidie dolciamare.
A volte penso che la durata ideale della mia vita, sarebbe quella di una goccia di pioggia… Giusto il tempo di precipitare giù da una nuvola grigia e fumosa, prima di schiantarmi a terra e mescolarmi con le altre… Perché in fondo da morti siamo tutti uguali, giusto?