Impariamo qualcosa in più sui nostri disturbi dell'umore

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Disturbo depressivo, bipolare, maniacale, e altri disturbi dell'umore.
La depressione in particolare è una sofferenza drammatica, dalla quale occorre uscire attraverso la pazienza e la dedizione a noi stessi; ma anche attraverso la fiducia e la vicinanza di chi sa bene come ci si sente. Questo forum è aperto anche a chi è semplicemente triste e ha voglia di sfogarsi.

Impariamo qualcosa in più sui nostri disturbi dell'umore

Messaggioda Royalsapphire » 16/08/2014, 17:58



DISTURBI DELLL’UMORE



Il DSM IV TR distingue tra:
_ disturbi Depressivi (d. Depressivo Maggiore; d. Distimico; d. Depressivo Non Altrimenti Specificato)
_ disturbi Bipolari (d. Bipolare I; d. Bipolare II; d. Ciclotimico; d. Bipolare Non Altrimenti Specificato)
_ disturbi dell’Umore dovuto a Condizione medica Generale
_ disturbi dell’Umore Indotto da Sostanze
_ disturbi dell’Umore Non Altrimenti Specificato.




EPISODI DI ALTERAZIONE DELL’UMORE:

Episodio depressivo
Episodio maniacale
Episodio ipomaniacale
Episodio misto




Episodio Depressivo

Sintomo cardine è l’umore depresso (ossia un stato emotivo con tristezza, pessimismo, disperazione, distinguibile dalle normali emozioni di tristezza o dolore).
Comune è anche la sensazione di sentirsi vuoti, o senza sentimenti. Vi è sempre una qualche forma di perdita di interesse (apatia) o di piacere (anedonia), che porta a condotte di ritiro sociale ed alla compromissione del funzionamento lavorativo ed affettivo.
Vi può essere compromissione delle funzioni cognitive (alterazione di memoria e
concentrazione, rallentamento del flusso del pensiero).
Il contenuto del pensiero è incentrato su temi di svalutazione, colpa e pessimismo, vi possono essere anche deliri congrui con questi temi (colpa, rovina, indegnità).
La tristezza e il pessimismo sono tali da poter sfociare in tentativi di suicidio (il rischio sembra essere più elevato col passaggio dall’invero alle primavera e nelle prime ore del mattino).
Si può rilevare un rallentamento dell’attività psicomotoria e dell’eloquio, spesso associato a intensa astenia e facile affaticabilità, o al contrario può prevalere agitazione psicomotoria.
Tra le alterazioni delle funzioni neurovegetative vi è il sintomo dell’insonnia, la perdita di appetito, il calo del desiderio sessuale.
Tutti questi sintomi hanno spesso un andamento circadiano, con acme al mattino ed
attenuamento la sera.
Se non trattato, questo disturbo dura mediamente 6-8 mesi, spesso con remissione spontanea graduale, anche se talvolta permane una sintomatologia depressiva residua: è il caso della remissione parziale dell’episodio.
In base all’eziologia sono distinguibili la depressione reattiva (con esordio in relazione ad eventi stressanti) e la depressione endogena.

Il DSM IV TR distingue 3 livelli di gravità (Lieve, Moderato, Grave in base alla gravità
dei sintomi, della disabilità e del disagio) ed ulteriori specificazioni di sottotipo:
_con manifestazioni malinconiche: (perdita di interesse per tutte, o quasi, le attività e gli stimoli (corrispondente alla depressione endogena), senso di colpa, rallentamento o agitazione psicomotoria, inappetenza, risveglio precoce, alterazione delle capacità cognitive.
_con manifestazioni atipiche: reattività dell’umore più 2 o più tra questi sintomi: aumento di appetito e peso, ipersonnia, pesantezza alle gambe e braccia (paralisi plumbea)
_con manifestazioni psicotiche: alla sintomatologia depressiva si associano deliri (solitamente congrui al tono dell’umore) e allucinazioni (uditive, con voci che rimproverano il soggetto).
La sindrome di Cotard è un rara forma di depressione delirante (deliri nichilistici), che colpisce gli anziani con disturbi celebrali organici, associata ad alto rischio suicidarlo (il paziente è convinto di non possedere più organi o che il suo corpo sia pietrificato o trasformato e può arrivare a negare la propria esistenza in vita).
_con manifestazioni catatoniche = immobilità o eccessiva attività, ecolalia o ecoprassia, peculiarità dei movimenti volontari; negativismo.

L’episodio depressivo può inoltre esordire nel post partum (entro 4 settimane), caratterizzato da umore fluttuante, labilità emotiva, preoccupazione eccessiva per la salute del neonato. Va in diagnosi differenziale col la sindrome detta Baby Blues, ossia una transitoria flessione dell’umore che colpisce il 70% delle partorienti nei 10 giorni successivi al parto, senza infierire sul funzionamento generale.


Episodio maniacale

Ha un esordio generalmente più rapido della depressione (può insorgere in poche ore), anche se solitamente è preceduto da alcuni giorni di espansività ,
loquacità, iperattività o irritabilità inusuali. Elemento distintivo è l’umore elevato, ossia un’euforia riconosciuta come eccessiva da quanti conoscono il soggetto, il quale invece non ha consapevolezza del suo stato “abnorme”, anzi afferma di sentirsi benissimo. Egli prova entusiasmo eccessivo ed indiscriminato per le interazioni interpersonali e sessuali o per le attività ricreative e occupazionali.
Diversamente dall’umore depresso, quello maniacale è instabile (basta una piccola frustrazione per far insorgere rabbia o aggressività), nei casi in cui prevale l’umore disforico (litigiosità, irritabilità) si parla di mania disforica, altrimenti di mania euforica.
All’elevazione del tono dell’umore si associa un aumento dell’attività motoria e di energie, il che consente al soggetto di eseguire più attività pesanti senza sentirne il peso.
Dall’esterno i soggetto appare irrequieto, impulsivo, con mimica mutevole e spiccata gestualità; l’eloquio è accelerato, ricco di citazioni, giochi di parole e volgarità, fino ad arrivare alla logorrea ed in alcuni casi alla fuga delle idee con allentamento dei nessi associativi. Il contenuto del pensiero è costituito da idee di grandezza, con ipervalutazione delle proprie doti intellettive e fisiche; nelle forme più gravi si può giungere ai deliri (congrui col tono dell’umore: quindi di grandezza).
Vi possono essere anche allucinazioni visive ed uditive, sempre in accordo con le tematiche maniacali. L’ottimismo ingiustificato può indurre in attività pericolose o sconvenienti (sesso promiscuo, investimenti avventati, guida pericolosa, etc). Vi
sono anche alterazioni delle funzioni cognitive (distraibilità, difficoltà di sintesi, perdita della capacità di giudizio) e di quelle neurovegetative (diminuzione del bisogno di sonno, aumento di appetito e contemporaneamente perdita di peso, (grazie all’aumento delle attività).
L’episodio maniacale non trattato dura da alcuni giorni a 4-6 mesi e si risolve bruscamente o nel giro di pochi giorni con ritorno all’eutimia o con passaggio all’episodio depressivo.


Episodio Ipomaniacale

Ha una sintomatologia maniacale attenuata (no deliri e riduzione
della sofferenza soggettiva e della compromissione sociale e lavorativa), quindi raramente il soggetto arriva a chiedere assistenza sanitaria.


Episodio Misto

Vi è la presenza, per almeno una settimana, di sintomi sia per l’episodio
depressivo maggiore, sia per quello maniacale. Vi è quindi rapida alternanza di euforia, depressione ed irritabilità più insonnia, agitazione, manifestazioni psicotiche ed ideazione suicidarla.




Disturbi depressivi e disturbi bipolari si distinguono in base ai caratteristici disturbi dell’umore; avendo compreso quando spiegato sopra sui disturbi dell’umore, sarà ora possibile capire cosa caratterizza i diversi disturbi depressivi e cosa i disturbi bipolari.



DISTURBOI DEPRESSIVI (UNIPOLARI)

_Disturbo depressivo maggiore: Si diagnostica quando l’anamnesi rileva uno (detto episodio singolo) o più episodi depressivi maggiori (detto episodio ricorrente), senza episodi ipomaniacali o maniacali spontanei.
_ Disturbo Distimico (o distimia): Sintomatologia depressiva attenuata della durata di almeno 2 anni, con possibili brevi periodi di benessere.
_ Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato: Vi rientrano diversi quadri clinici con manifestazioni depressive che non soddisfano i criteri degli altri disturbi dell’umore come:
a) il disturbo depressivo minore, che comprende episodi depressivi di almeno 2 settimane, con meno dei 5 sintomi richiesti per diagnosticare l’episodio depressivo maggiore.
b) il disturbo depressivo breve ricorrente, che soddisfa i criteri dell’episodio depressivo maggiore per numero e gravità dei sintomi, ma non il requisito di durata di 2 settimane (dura meno!).
c) disturbo disforico premestruale: i sintomi sono umore depresso, ansia marcata, labilità emotiva, ridotto interesse per le attività, presenti durante l’ultima settimana della fase luteinica nella maggior parte dei cicli nell’ultimo anno. Compromette il funzionamento in diverse aree.

In questi disturbi unipolari la malattia può variare da molti anni di benessere ad episodi molto ravvicinati.
In 20 anni di malattia il numero medio di episodi è di 5 o 6). La durata per il disturbo non trattato è di 6-13 mesi; con il progredire del decorso e con l’età gli episodi aumentano per frequenza e durata.
Nei 2/3 dei casi gli episodi si risolvono completamente, per il restante terzo la risoluzione è invece solo parziale.




DISTURBI BIPOLARI

Si dividono in tre tipi: Disturbo bipolare I, disturbo bipolare II, disturbo bipolare ciclotimico.
_ Disturbo Bipolare I: presenza di uno o più episodi maniacali o misti, con o senza manifestazioni psicotiche. Spesso anche uno o più episodi depressivi maggiori.
_ Disturbo Bipolare II: presenza di uno o più episodi depressivi maggiori, alternati ad almeno un episodio ipomaniacale spontaneo.
_ Disturbo Bipolare Ciclotimico: la forma meno invalidante del disturbo bipolare; caratterizzato dall’alternanza molto rapida di episodi ipomaniacali e depressivi (meno gravi dei depressivi maggiori).
L’esordio del disturbo è precoce.


Nei disturbi bipolari la malattia è una patologia cronica e rappresenta la terza causa di morte fra soggetti tra i 15 e i 26 anni.
Con l’avanzare dell’età ed il progredire della malattia l’intervallo libero tra gli episodi si riduce.
I gesti suicidari si osservano spesso nelle fasi iniziali della malattia.
La prognosi del d. bipolare I è peggiore di quella del d. depressivo maggiore (solo il 50% dei malati riesce a gestire la malattia con sali di litio).
Fattori indicativi di buona prognosi sono la brevità degli episodi e un’età di esordio avanzata.



TRATTAMENTO DEI DISTURBI DELL’UMORE


_ Trattamento dell’episodio depressivo: se di lieve o media entità può essere trattato ambulatorialmente, con antidepressivi.
I casi più gravi necessitano di ospedalizzazione.
In alcuni casi è indicata la terapia elettroconvulsivante (TEC). Il 20-40% dei soggetti non reagisce adeguatamente alla terapia: depressione resistente.
Per le terapie farmacologiche si usano gli antidepressivi triciclici (TCA), seguiti dagli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO). Poi, con meno effetti collaterali ci sono gli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina (SSRI): fluoxetina, fluvoxamina, sertalina, etc- e gli inibitori del re-uptake della serotonina e delle noroadrenalina –(SNRI): es. venlafaxina, duloxetina.

_ Trattamento dell’episodio maniacale, come anche delll’episodio misto: il ricovero
anche contro la volontà del paziente (perché inconsapevole della malattia!).
Si usa l’aloperidolo, la clorpromazina e il litio (la cui latenza però si riduce subito e non si può alzare il dosaggio perché diventa tossico, si può usare allora l’acido valproico).

_Terapia di mantenimento dei disturbi depressivi: dopo la fase acuta, che termina con la remissione dei sintomi depressivi, segue la fase di continuazione ( per circa 16-20 settimane, per prevenire le ricadute) e poi quella di mantenimento (per la prevenzione delle ricorrenze).

_ Terapia di mantenimento dei disturbi bipolari: generalmente è prevista una terapia farmacologia di mantenimento a tempo indeterminato. Insieme al litio si usano alcuni anticonvulsivanti ed un antipsicotico atipico (olanzapina).

_ Trattamento non farmacologico: in associazione alla terapia farmacologica con
adeguata risposta è consigliata la psicoterapia, efficace anche nella prevenzione delle ricorrenze depressive lievi e moderate (in quanto può comprendere e prevenire gli stressor psicosociali a cui il soggetto è sottoposto).
Questa sembra agire sui sentimenti di inadeguatezza e di colpa, sulle problematiche interpersonali e sulla mancanza di motivazione (mentre i farmaci
agiscono sui sintomi vegetativi).
Le forme più efficaci sono la psicoterapia cognitivo-comportamentale (permette l’elaborazione di strategie comportamentali più adattive) e la terapia interpersonale (di derivazione analitica; mira alla risoluzione delle difficoltà sociali ed
interpersonali che accompagnano la depressione).
Nelle depressioni resistenti alla terapia farmacologia, o con sintomi depressivi gravi, o ancora in casi di controindicazioni mediche ai farmaci si usa la TEC.
La deprivazione di sonno (sleep deprivation) per una notte ha effetti transitori sulla
depressione.




sunto dal manuale di psichiatria e psicopatologia III ed.





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Il trattamento antidepressivi

R: Ci sono quadri clinici particolari che possono richiedere variazioni più o meno marcate rispetto allo schema ora descritto:
la depressione atipica deve indirizzare la scelta dell’antidepressivo preferibilmente verso gli I-MAO classici o la moclobemide o, in seconda battuta, verso gli SSRI (fluoxetina e sertralina in particolare);
la depressione psicotica può richiedere la somministrazione di farmaci antipsicotici (o neurolettici). Quando è necessaria una risposta rapida, è necessario ricorrere alla TEC, che costituisce il trattamento di prima scelta nelle forme più gravi, con marcato rallentamento psicomotorio e rischio di suicidio (con oltre il 90% di miglioramenti);
la depressione catatonica richiede, in genere, il ricovero per la necessità di un attento monitoraggio in modo da prevenire e trattare le complicanze di natura somatica; la terapia di prima scelta è la TEC in associazione alla somministrazione parenterale di benzodiazepine e antidepressivi;
la distimia presenta alcune difficoltà legate alla scarsa adesione dei pazienti alla terapia ed alla non eccezionale compresenza di abuso di alcool o di sostanze, per cui è consigliabile l’impiego di farmaci quali gli SSRI, gli I-MAO e l’amisulpride perché meglio tollerati;
nella depressione bipolare è necessario, per prima cosa, inserire nella terapia (qualora non fosse già presente) uno stabilizzante del tono dell’umore (sali di litio, carbamazepina, valproato, lamotrigina, ecc.). La monoterapia con stabilizzanti dell’umore non appare di solito soddisfacente e pertanto si associano antidepressivi tenendo presente che questo può facilitare l’esordio di un episodio maniacale o ipomaniacale e/o indurre rapida ciclicità. L’associazione antidepressivi-stabilizzanti sembra ridurre questi rischi; il rischio di induzione di fasi espansive sembrerebbe minore. Questi pazienti richiedono un monitoraggio più stretto per cogliere tempestivamente eventuali viraggi in senso espansivo. Risolta la sintomatologia acuta, la terapia antidepressiva deve essere sospesa più o meno rapidamente a seconda delle caratteristiche del disturbo.
nella depressione ad andamento stagionale può essere utilizzata la fototerapia (o light therapy); l’alternativa farmacologica è rappresentata da SSRI ed I-MAO. L’appartenenza allo spettro bipolare di molti tra i quadri depressivi ad andamento stagionale consiglia l’utilizzo di stabilizzanti dell’umore a scopo preventivo.
nella depressione in gravidanza, prima di prescrivere un trattamento antidepressivo, soprattutto nei primi 3 mesi, si devono valutare attentamente i rischi ed i benefici. Se la depressione è lieve si preferisce attuare una stretta sorveglianza psichiatrica, senza somministrare farmaci; se è moderata o grave, si possono somministrare TCA o sertralina; nelle forme più gravi si può ricorrere alla TEC che è priva di particolari controindicazioni.
nella depressione nell’anziano il trattamento antidepressivo richiede prudenza sia per le modificazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche che intervengono con l’età, sia per la ridotta tolleranza agli effetti collaterali, sia per la frequente concomitanza di patologie fisiche che possono limitare o controindicare l’uso di alcuni prodotti. Particolarmente indicati risultano gli SSRI che, ad un’efficacia paragonabile a quella dei TCA, associano una migliore tollerabilità ed un più basso rischio di interazioni con altri farmaci e sostanze. Se si rende necessario il ricorso ai TCA, occorre prestare particolare attenzione ad alcuni effetti collaterali quali l’ipotensione ortostatica e la cardiotossicità, la stipsi, la ritenzione urinaria, i disturbi visivi e la confusione mentale. In questi casi la preferenza dovrebbe essere data alla nortriptilina ed alla desipramina, per la loro ridotta attività anticolinergica.

D: Nel trattamento farmacologico della depressione si usano soltanto gli antidepressivi?
R: Idealmente il trattamento in monoterapia con un solo antidepressivo sarebbe la soluzione ottimale, in pratica, però, è difficilmente realizzabile per diversi motivi:
data la latenza d’azione degli antidepressivi è consigliabile, almeno nelle prime fasi del trattamento e finché l’antidepressivo non ha incominciato ad esplicare la sua azione terapeutica, prescrivere farmaci sintomatici per rendere meno penosa (e rischiosa) questa attesa; ansiolitici e/o ipnotici sono i farmaci più comunemente associati per tenere sotto controllo due sintomi frequenti, l’ansia e l’insonnia (e che dovrebbero essere sospesi non appena possibile);
se sono presenti sintomi psicotici (deliri, allucinazioni, disorganizzazione psichica, ecc.), sarà necessario associare farmaci neurolettici;
se emergono segni diretti o indiretti di ciclicità è bene inserire fin da subito gli stabilizzanti dell’umore;
nelle depressioni resistenti si potranno associare due antidepressivi con meccanismo neurorecettoriale complementare.



fonte: sirius.pisa.it



“…da null’altro se non dal cervello, si formano i piaceri e la serenità e il riso e lo scherzo, e così i dolori, le pene, la tristezza e il pianto” - Ippocrate, IV secolo a.C.



L’umore è il tono affettivo di base che colora l’intera esperienza del soggetto, è la tonalità affettivo-emotiva che sottende ogni nostra rappresentazione mentale; ogni nostro contenuto psichico (idea, emozione, memoria) è colorato dallo stato d’animo del momento. Può essere visto come una categoria in senso kantiano, che non può non esserci, una sorta di occhiale colorato attraverso cui vengono filtrate tutte le manifestazioni psichiche. Esso oscilla lungo un continuum che presenta ad un estremo il polo della tristezza, della sfiducia e dell’abbattimento ed all’altro estremo il polo dell’euforia, della gioia e della gaiezza.
L’umore viene condizionato dagli avvenimenti (sia esterni che intrapsichici): gli eventi positivi portano l’umore al polo dell’euforia mentre gli eventi negativi a quello della tristezza. Esiste anche la relazione opposta per cui l’esame di realtà è condizionato dall’umore del momento: infatti, in una condizione di malumore tenderemo a vedere in ogni cosa gli aspetti più sfavorevoli drammatizzando ogni piccolo contrattempo della vita quotidiana e viceversa. In questa continua interazione, il tono dell’umore oscilla incessantemente lungo il continuum tristezza-euforia, viene modificato dal succedersi degli avvenimenti e modula la rappresentazione degli accadimenti.
Nella patologia dell’umore l’elemento centrale è rappresentato dalla perdita della normale motilità dell’umore, nel difetto della normale capacità di oscillare secondo il continuum sopradescritto. Si ha, infatti, il blocco dello stato d’animo in una determinata condizione (umore depresso o umore euforico) senza possibilità di variazioni indotte dagli avvenimenti. La realtà non è quindi più in grado di modificare il tono dell’umore dell’individuo che, d’altra parte, condiziona l’esame di realtà: il soggetto con una patologia dell’umore (depressione o mania) vedrà ogni cosa nell’ottica dettata dal suo specifico stato d’animo.


a) Storia

Molti, già nell'antichità, avevano descritto gli aspetti fondamentali dei disturbi dell’umore; basti pensare ad Ippocrate che per primo descrisse le manifestazioni cliniche dell’umore considerando il cervello sede dell’affettività e di ogni altra manifestazione psichica. L’Autore coniò il termine “melancolia”, affezione considerata conseguenza dell’azione patogena della bile nera sul cervello (melas = nero; cole = bile), sottolineò la periodicità e la stagionalità della malattia e delineò quattro tipi temperamentali che predisponevano a diversi disturbi mentali: collerico, melanconico, sanguigno, flemmatico. Ognuno di questi sarebbe stato l’effetto dell’eccesso degli umori corrispondenti: bile gialla, bile nera, sangue, flegma.
Un secolo dopo, Aristotele individuò nel temperamento melanconico una condizione predisponente alla malattia. Il primo a cogliere il legame tra depressione e mania è stato probabilmente Areteo di Cappadocia (I secolo d.C.) che descrisse la mania e la depressione, considerandole fasi opposte di uno stesso disturbo caratterizzato da un decorso episodico con periodi di remissione fra una fase e l’altra: “Se la mania è associata alla gioia, il paziente può ridere, scherzare, ballare, notte e giorno... e va in giro incoronato come se avesse vinto una qualche gara di bravura... le sue idee sono grandiose... crede di essere esperto di astronomia, filosofia, poesia”; ma in una condizione più grave di mania possono comparire deliri di persecuzione: “il paziente può diventare eccitabile, diffidente, irritabile... il suo udito può diventare più sensibile... sente ronzii e rumori nelle orecchie... o può avere allucinazioni visive, fare brutti sogni, e i suoi desideri sessuali possono diventare incontrollabili, se è preso dalla rabbia può diventare totalmente folle e correre senza freno, urlare... uccidere i suoi sorveglianti e compiere gesti autolesivi”.
Purtroppo, l’impostazione organicistica degli autori greci e romani venne abbandonata nel Medioevo, quando, sotto la spinta della scuola araba di Avicenna (980-1037 d.C.), l’origine di tutti i disturbi psichici fu attribuita a cause magiche e religiose.
Le dottrine demonologiche furono superate solo con l’Illuminismo, quando l’attenzione fu nuovamente posta sugli aspetti clinici e sul decorso della malattia. A metà dell’ ‘800 Falret, con “La folie circulaire”, e Baillarger, con “La folie à double forme”, indipendentemente l’uno dall’altro, definirono un disturbo autonomo caratterizzato dall’alternarsi di mania e depressione e sottolinearono che queste costituivano due aspetti diversi di una stessa entità patologica. Solo alla fine del secolo si ebbe la grande svolta, con Emil Kraepelin che, nel 1896, con il suo “Trattato di Psichiatria” individuò due grandi categorie diagnostiche, la psicosi maniaco-depressiva e la demenza precoce, fissando come criteri differenziali l’età di insorgenza, la familiarità, il decorso e l’esito. All’interno della psicosi maniaco-depressiva, caratterizzata da un decorso favorevole, riunì una serie di disturbi che precedentemente venivano considerati autonomi: mania, depressione, follia circolare e periodica e, successivamente, vi inserì gli stati misti (1904) e la melanconia involutiva (1913). Questa posizione ha dominato la psichiatria fino a quando Leonhard (1957) introdusse il termine “bipolare”, indicando con esso l’alternarsi di fasi depressive e maniacali. Poi, negli anni ’70, Angst e Perris distinsero le forme bipolari da quelle unipolari, in base alla presenza o meno di episodi maniacali. Nello stesso periodo Dunner e Fieve osservarono che in alcune forme apparentemente unipolari gli episodi depressivi ricorrenti si alternavano a quadri espansivi di minore gravità (ipomaniacali), che non richiedevano ospedalizzazione, fornendo così una prima descrizione di quello che oggi viene definito disturbo bipolare tipo II.
Con la pubblicazione della terza edizione del manuale diagnostico e statistico per la diagnosi dei disturbi mentali (DSM-III, 1980) e dello schema di intervista ICD-10 (1992) è stata ribadita e sancita, a livello internazionale, questa dicotomia. Nonostante che, sulla base di studi genetico-familiari, fosse stata supposta l’esistenza di una continuità tra disturbi unipolari e bipolari, nella revisione del DSM-III (DSM III-R, 1987) così come nelle successive versioni fino al DSM-IV-TR (2000) queste due entità cliniche sono rimaste ben distinte fra loro.


B) Classificazione

In base alle manifestazioni cliniche si distinguono:
- episodio depressivo
- episodio maniacale
- episodio ipomaniacale
- episodio misto

In base al decorso, i Disturbi dell’Umore vengono distinti in due grandi categorie diagnostiche:
- Disturbi unipolari (Depressione Maggiore, episodio singolo o Depressione Maggiore ricorrente)
- Disturbi bipolari (tipo I o tipo II)

1) Disturbi Unipolari: comprendono quelle forme le cui manifestazioni cliniche sono rappresentate esclusivamente dalla Depressione Maggiore che può essere “ricorrente” (due o più episodi depressivi) o “episodio singolo” (quando c’è stato un solo episodio depressivo).
2) Disturbi Bipolari: comprendono le forme in cui si verificano episodi di entrambe le polarità (depressivi/maniacali) e si dividono in:
Disturbo Bipolare I: Si caratterizza per l’alternarsi di episodi depressivi, maniacali o misti. Si fa diagnosi di disturbo bipolare I anche in presenza di un singolo episodio maniacale o nelle forme in cui si susseguono esclusivamente episodi maniacali. E’ la forma più grave, anche per l’insorgenza precoce, le frequenti ospedalizzazioni, l’alta frequenza di suicidio, l’elevato numero di episodi, le gravi ripercussioni sul piano familiare, sociale e lavorativo.

Disturbo Bipolare II: Comprende quelle forme caratterizzate da uno o più episodi depressivi maggiori alternati ad almeno un episodio ipomaniacale (spontaneo o indotto dalla terapia antidepressiva o dall’uso di sostanze). Presenta gravità intermedia tra il disturbo bipolare I e la depressione maggiore ricorrente: la differenza con il DB tipo I è che la sintomatologia espansiva è più sfumata. I sintomi espansivi dell’episodio ipomaniacale sono gli stessi dell’episodio maniacale (uguali per qualità), ma si esprimono in modo molto più attenuato (diversi per intensità).


c) Epidemiologia e Fattori di Rischio

I Disturbi dell’Umore costituiscono una patologia molto diffusa nella popolazione generale ed in particolar modo la depressione costituisce un motivo frequente di consultazione del medico di base. Circa il 20% della popolazione, nell’arco della vita (lifetime), va incontro ad episodi depressivi o maniacali. La depressione maggiore nel corso della vita ha una prevalenza del 21,3% nelle donne e del 12,7% negli uomini (F/M=2:1). Il disturbo bipolare ha una prevalenza lifetime che varia tra l’1 e il 5% nella popolazione generale; la prevalenza lifetime del disturbo bipolare I è dello 0,4% e per il disturbo bipolare II varia dallo 0,5 al 3,0%.
L’esistenza di una suscettibilità genetica per molti disturbi mentali è un dato ampiamente riportato in letteratura. Alla familiarità si aggiungono altri fattori di rischio:
sesso: la depressione maggiore ha una frequenza doppia tra le donne. Tale vulnerabilità, oltre che a fattori psicosociali, è attribuibile a fattori biologici. Le donne risultano più sensibili alle variazioni dell’equilibrio ormonale, come nel post-partum e in fase premestruale, ed hanno un maggior rischio di patologia tiroidea. Il disturbo bipolare I ha una pari distribuzione fra i due sessi
eventi vitali stressanti: gli eventi vitali precoci (adolescenza/infanzia) sono in grado di determinare una predisposizione alla sviluppo di quadri depressivi mentre gli eventi vitali recenti sembrano rappresentare fattori precipitanti. Tanto più è importante il carico genetico (familiari di primo grado affetti) tanto minore appare l’importanza patogenetica del fattore ambientale (eventi) nel determinismo della patologia
età: i disturbi dell’umore possono presentarsi a qualsiasi età, ma hanno un picco di incidenza tra i 18 e i 44 anni (in media 30 anni). Le forme bipolari hanno un esordio precoce delle forme unipolari
stato civile: tra i pazienti bipolari sono frequenti i celibi, i nubili ed i separati
classe sociale: il disturbo bipolare risulta più frequente nelle classi sociali più elevate, forse come conseguenza delle caratteristiche temperamentali (familiari) di questi pazienti, che hanno permesso il raggiungimento di livelli sociali elevati


d) Eziopatogenesi ed Eventi Scatenanti

L’eziopatogenesi dei Disturbi dell’Umore è probabilmente di tipo multifattoriale (dovuta cioè all’interazione tra geni ed ambiente), con basi sia biologiche che psicologiche.
Fattori genetici. I fattori genetici rivestono un ruolo di primaria importanza anche se non si conoscono ancora i meccanismi di trasmissione. Avere i genitori affetti da disturbi dell’umore comporta un doppio fattore di rischio: la possibilità di ereditare la predisposizione al disturbo e la possibilità che si verifichino alterazioni dello sviluppo legate ad un ambiente disturbato.
Eventi (precoci e tardivi). Eventi traumatici avvenuti nell’infanzia (perdita dei genitori o altri traumi) sembrano predisporre allo sviluppo di quadri psicopatologici. Adulti che hanno subito perdite precoci presentano inoltre una gran varietà di disturbi di personalità, generalmente associati a instabilità dell’umore e a comportamenti esplosivi. Eventi che accadono in età adulta possono essere determinanti per l’esordio della patologia dell’umore in soggetti vulnerabili, soprattutto per quanto riguarda i primi episodi depressivi.
Temperamento. Alcuni tipi di temperamento, i temperamenti affettivi, rappresentano un fattore di vulnerabilità allo sviluppo di episodi affettivi (depressione/mania). Il tono dell’umore e l’abituale stato di energia rappresentano gli elementi principali del temperamento (dal latino “temperare”, mescolare), che modula l’intensità dei sentimenti e delle emozioni. Il temperamento è il risultato di complessi processi metabolici a loro volta determinati dalle caratteristiche genetiche dell’individuo. Vengono descritti quattro differenti temperamenti affettivi (patologici): ciclotimico, ipertimico, depressivo o distimico e irritabile. I tratti temperamentali si presentano fin dall’infanzia e rappresentano una condizione intermedia fra benessere e malattia e possono anche costituire delle forme subcliniche di disturbi dell’umore, precedendo di molti anni un disturbo maggiore.
Modelli eziopatogenetici
Nell’indagare la causa dei disturbi dell’umore è importante cercare un approccio unitario in cui siano compresi gli aspetti biologici, psicologici e comportamentali e le esperienze di vita. Akiskal (1995) ha proposto un modello di tipo multifattoriale in cui il temperamento costituisce l’anello di congiunzione fra fattori remoti, come l’ereditarietà ed il sesso, ed esperienze di perdita sia precoci che recenti, come gli eventi stressanti. In presenza di un maggior carico genetico si avrebbe l’insorgenza dei quadri più gravi, ad esordio precoce, dove l’intervento dei fattori ambientali sembra avere una minore importanza; dove il carico genetico è meno rilevante i fattori ambientali, sia psicologici che fisici, assumono una maggiore rilevanza eziopatogenetica. Dalla combinazione di questi fattori si genererebbero alterazioni reversibili in alcune strutture encefaliche tra cui atrofia a livello dell’ippocampo e delle altre strutture del sistema libico, che rappresentano il correlato biologico delle manifestazioni cliniche dei disturbi dell’umore.

Aspetti Biologici

Ipotesi neurotrasmettitoriali
Ipotesi monoaminergiche: a seguito dell’osservazione che gli antidepressivi aumentano la disponibilità delle monoamine, ed in particolare di serotonina e noradrenalina, a livello sinaptico e che sostanze depressogene determinano il loro esaurimento a livello centrale, si riteneva (anni ’70) che la depressione fosse dovuta ad una riduzione, la mania ad un aumento, della concentrazione di Noradrenalina e Serotonina a livello sinaptico.
Successivamente una riduzione della serotonina era ritenuta responsabile di una generica suscettibilità ai disturbi dell’umore e la polarità dell’episodio sembrava essere condizionata dai livelli di Noradrenalina, alti in Mania e bassi in Depressione. Tali ipotesi erano in contrasto però con l’evidenza clinica della latenza dell’effetto antidepressivo (tre settimane circa dall’inizio dell’assunzione del farmaco). Era stato dimostrato infatti che i farmaci antidepressivi innalzano immediatamente i livelli sinaptici dei neurotrasmettitori, senza però dare altrettanto velocemente una risposta da un punto di vista clinico. A seguito di tali osservazioni, fù avanzata l’ipotesi che l’effetto antidepressivo potesse dipendere da modificazioni della sensibilità e del numero dei recettori pre e post-sinaptici, fenomeno che si sarebbe verificato nell’arco di qualche settimana dall’inizio del trattamento. A partire da questa evidenza si ipotizzò che la depressione dipendesse da alterazioni recettoriali caratterizzate da un aumentato numero di autorecettori a2 e autorecettori 5HT1 (autoreattori: recettori ad effetto inibitorio) (ipotesi recettoriale della depressione). I farmaci antidepressivi esplicherebbero la loro attività antidepressiva, riducendo la sensibilità e il numero di tali autorecettori, e potenziando così la trasmissione monoaminergica.
Per quanto concerne il sistema dopaminergico, è stata ipotizzata una ipofunzione durante la fase depressiva e una iperattivazione durante la fase maniacale della trasmissione dopaminergica a livello mesolimbico. Recenti evidenze hanno evidenziato che il contemporaneo coinvolgimento di più sistemi porterebbe allo sviluppo degli episodi affettivi con diverse caratteristiche cliniche a seconda del diverso coinvolgimento dell’una o dell’altra attività recettoriale.

Ipotesi Endocrinologiche
La stretta relazione esistente tra disturbi dell’umore e sistema endocrino, deriva dall’osservazione che gli episodi affettivi possono presentarsi nel corso di patologie endocrine (ipo e iper-tiroidismo, Morbo di Cushing, Morbo di Addison), o a seguito della somministrazione esogena di ormoni quali i corticosteroidi o gli ormoni sessuali. Allo stesso modo, gli episodi affettivi sono caratterizzati da sintomi come le alterazione del sonno, dell’appetito e del desiderio sessuale, che riflettono il coinvolgimento dell’ipotalamo. Il sistema più studiato è l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che risulterebbe, nei pazienti affetti da depressione, iperattivo con aumento dei livelli di cortisolo basale ed alterazione dei fisiologici processi di feed-back (vedi capitolo “stress”).
Meno omogenei sono i dati riguardanti l’asse Ipotalamo-Ipofisi-Tiroide: nella depressione è stato riscontrato sia un aumento che una riduzione del fT4, ridotta risposta ipofisaria al TRH e la presenza di anticorpi anti-Tiroide.
I livelli basali di FSH e LH, il picco notturno del GH e la secrezione di Prolattina dopo stimolazione con Triptofano, risulterebbero ridotti sia in depressione che in Mania.

Ipotesi Neurotrofica
Le più recenti evidenze neuroscientifiche suggeriscono alla base della patologia affettiva, ed in particolare della Depressione, vi sia un’ipotrofia neuronale di specifiche strutture del Sistema Libico tra cui l’Ippocampo. Questa osservazione, insieme alla recente scoperta che anche nel cervello adulto sono possibili fenomeni di neuroplasticità, ha portato ad ipotizzare che le manifestazioni cliniche della Depressione siano determinate dall’alterazione dei fisiologici processi neurogenici con conseguente atrofia neuronale. In particolare il Brain Derived Neutrophic Factor (BDNF) sembra rivestire un ruolo di primo piano: una riduzione di tale fattore sarebbe infatti responsabile dell’inibizione della fisiologica neurogenesi e della atrofia neuronale riscontrata nei pazienti depressi. Tale ipotesi sembrerebbe essere supportata dall’osservazione che i farmaci antidepressivi sembrano in grado di stimolare la produzione del BDNF, determinando così un aumento della neurogenesi ippocampale e ripristinando così i normali volumi di tale struttura.


e) Quadri Clinici

I Disturbi dell’Umore comprendono due quadri clinici principali: l’episodio depressivo e maniacale ed una varietà di condizioni intermedie, gli episodi misti, in cui sono presenti sintomi dell’uno e dell’altro quadro sindromico: commistione nello stesso paziente nello stesso momento di sintomi ascrivibili all’una o all’altra polarità. Ciascuna di queste forme è caratterizzata da una serie di sintomi, variamente associati fra loro, riguardanti 4 sfere:
1) tono dell’umore
2) la psicomotricità
3) il sistema cognitivo
4) il sistema neurovegetativo

Episodio depressivo
La tristezza rappresenta una fisiologica oscillazione del tono affettivo in risposta a numerose condizioni fisiche e mentali, ma può costituire anche la manifestazione centrale di un disturbo primario dell’umore. L’elemento cardine di differenziazione tra gli stati di tristezza o euforia normali ed i disturbi patologici dell’umore non risiede nel fattore quantitativo quanto nella peculiare fissità del tono dell’umore che si ritrova nella patologia.
Esordio. L’episodio depressivo maggiore può avere un esordio improvviso o, più spesso, per giorni o settimane può essere preceduto da prodromi quali labilità emotiva, astenia, difficoltà di concentrazione, diminuzione degli interessi, inappetenza, insonnia, cefalea, senza però particolari ripercussioni sul piano lavorativo e sociale. L’esordio brusco è più frequente nelle forme con decorso bipolare e si verifica con un improvviso passaggio da una situazione di benessere, talvolta di tipo ipertimico, ad una condizione depressiva caratterizzata da una sintomatologia piena.
Periodo di stato. Con il progredire della malattia il quadro clinico si evidenzia in maniera completa determinando la compromissione di ogni tipo di attività che richieda un impegno fisico o intellettivo. Il periodo di stato ha una durata spontanea di circa 6-12 mesi, ma in alcuni casi può essere più breve o superare i 2 anni.
La sintomatologia è costituita da una serie di disturbi a carico di
- umore
- psicomotricità
- sfera cognitiva
- sfera neurovegetativa:
- L’umore è depresso e il paziente si sente triste, cupo, sfiduciato, angosciato, disperato; intenso è il dolore psichico. Particolare è la fissità dello stato d’animo che risulta impermeabile agli eventi esterni, con conseguente perdita della capacità di provare piacere, si ha cioè l’anedonia. Prevale la sensazione di indifferenza, noia, aridità e vuoto interiore; si ha la depersonalizzazione affettiva in cui si verifica un’incapacità di provare sentimenti ed emozioni (definizione: sentimento della mancanza di sentimenti); il paziente soffre per l’incapacità di provare sentimenti e la sensazione di svuotamento può essere così intensa da indurlo a pensare che la propria vita abbia perso qualsiasi significato. Inoltre, l’esperienza di aridità affettiva, di distacco dagli altri, dà adito a sentimenti di colpa che vanno a sommarsi alle idee di autosvalutazione e di indegnità che caratterizzano l’umore del paziente depresso. La depressione può anche manifestarsi con sintomi somatici tra cui dimagrimento, dolori diffusi, stipsi che possono mascherare il quadro depressivo.
- L’attività psicomotoria risulta, nella maggior parte dei casi, rallentata ed è evidente, già all’aspetto esteriore del paziente, che si presenta trascurato, stanco, triste, invecchiato, senza la normale ricchezza e varietà di gesti; la mimica è ridotta, il volto è atteggiato ad una espressione di profondo dolore, lo sguardo è spento, gli angoli della bocca abbassati. I movimenti sono lenti, esitanti, trascinati. Il linguaggio è anch’esso lento, privo di intonazione, monotono e raramente spontaneo. Il rallentamento delle funzioni psichiche superiori determina disturbi della memoria e difficoltà di concentrazione, incertezza e indecisione per la difficoltà di ideazione. C’è apatia ed abulia, ovvero mancanza di volontà con riduzione dello slancio vitale, e anche la nozione del tempo è modificata: i giorni sembrano interminabili per il lento scorrere delle ore tanto da sembrare impossibile giungere al giorno dopo.
- Sul piano cognitivo si ha una compromissione delle prestazioni intellettuali con difficoltà di concentrazione e deficit d’attenzione che associate alla sensazione di aridità affettiva e di inefficienza portano il paziente al disprezzo di sé, all’autosvalutazione; ogni presa di posizione sembra essere al di sopra delle proprie capacità così che il paziente risulta indeciso, incapace a prendere anche la più banale decisione; si fanno strada i sentimenti di colpa, il passato appare pieno di sbagli ed il futuro privo di possibilità. Infatti se ogni cosa è vista nell’ottica più sfavorevole, se di ogni eventualità è certo che accadrà la più negativa ecco che il futuro perde la sua fondamentale prerogativa di possibilità. L’ansia si accompagna spesso ai temi più specifici della depressione; si tratta di un penoso sentimento di attesa, di una sensazione che debba accadere qualcosa di brutto che impedisce al paziente di rilassarsi.
Tale ideazione depressiva può raggiungere intensità delirante. Possono così svilupparsi deliri olotimici, (congrui al tono dell’umore, quindi depressivi), tra cui quello di colpa, indegnità, rovina, dannazione, negazione, ipocondria o talvolta incongrui come ad esempio deliri di persecuzione. Fenomeni dispercettivi, poco frequenti, sono costituiti essenzialmente da allucinazioni uditive di tipo denigratorio.
- Per quanto riguarda i sintomi neurovegetativi, uno dei più precoci è l’insonnia, che si manifesta generalmente con risvegli notturni e, soprattutto risveglio mattutino precoce, ma, nelle depressioni atipiche, prevale l’ipersonnia fino alla letargia; il paziente lamenta un sonno non ristoratore e disturbato da incubi.
Sono frequenti la riduzione dell’appetito e sintomi gastrointestinali, con dimagramento e, nei casi più gravi, malnutrizione e squilibri idroelettrolitici; meno frequentemente, nelle depressioni atipiche, può essere presente iperfagia.
Precocemente può presentarsi la riduzione della libido fino al completo disinteresse sessuale.

Nelle depressioni tipiche, la cosiddetta depressione endogena (melanconica), si ha inoltre una tipica oscillazione diurna della sintomatologia con un miglioramento dell’umore nelle ore serali.
L’ideazione suicidaria ed il desiderio di morire sono presenti in almeno i due terzi dei pazienti; il rischio di suicidio deve sempre essere preso in considerazione soprattutto in quei pazienti che già in precedenza hanno effettuato dei tentativi o che hanno una storia familiare di suicidio. Circa il 15% dei pazienti tentano il suicidio e questo avviene soprattutto nelle fasi finali dell’episodio quando il paziente, che presenta ancora umore depresso, ha recuperato le energie per mettere in atto il tentativo di suicidio.
Risoluzione. Nella maggior parte dei casi la risoluzione è graduale ed il paziente avverte un’attenuazione progressiva dei disturbi. Nelle fasi finali si hanno caratteristiche fluttuazioni di intensità, con l’alternarsi di giorni di miglioramento e giorni di peggioramento. Non sempre si ha una completa risoluzione del quadro; infatti in circa il 30-60% dei casi permane una sintomatologia residua con manifestazioni depressive attenuate che determinano compromissione sul piano lavorativo familiare e sociale. Se l’episodio depressivo fa parte del disturbo bipolare può avvenire che si risolva in maniera improvvisa, nel giro di poche ore.
La consapevolezza di malattia o insight è in genere conservata nel corso della depressione; inizialmente può essere parziale con attribuzione dei primi sintomi ad una patologia organica, ad una normale reazione a situazioni avverse, a “pigrizia” o “mancanza di buona volontà”. La consapevolezza può mancare del tutto nei casi più gravi caratterizzati da profonde alterazioni cognitive.

Episodio maniacale. L’episodio maniacale si caratterizza per l’esaltazione dei sentimenti fisiologici di benessere e di forza, per sentimenti di gioia e potenza eccessivi per intensità e durata. Già nel 150 d.C. Areteo di Cappadocia aveva notato che “la forma e i modi in cui si manifesta la mania sono molteplici. Alcuni sono allegri e vogliono giocare… altri, di natura passionale e distruttiva, cercano di uccidere gli altri e anche se stessi…”.
Esordio. L’esordio della mania può essere graduale, e spesso non riconosciuto dal paziente e dai familiari, ma è di solito più rapido che nella depressione. L’esordio può essere brusco in quei soggetti sottoposti ad eventi stressanti o che hanno fatto uso di sostanze ad azione stimolante o in caso di forti deprivazioni di sonno (jet lag). La durata media della fase prodromica è di 3-4 giorni, durante i quali il paziente avverte una sensazione di benessere, di energia, un ridotto bisogno di dormire, un aumentato appetito ed una maggiore spinta sessuale. Il paziente maniacale perde la capacità critica e può arrivare a lanciarsi in ogni tipo di impresa e a prendere decisioni importanti senza valutarne le conseguenze.
Periodo di stato. Nella maggior parte dei casi manca la coscienza di malattia o insight e il paziente, nonostante possa aver superato episodi analoghi in passato, sostiene di star bene non presentando alcuna consapevolezza di malattia e reagendo con aggressività se contraddetto.
- L’umore del paziente maniacale è elevato e questo costituisce il sintomo cardine: il soggetto è allegro, euforico, felice, gioioso, ha atteggiamenti di tipo scherzoso, ride, è molto vivace, comunicativo. Si tratta però di un umore instabile che può trasformarsi in rabbia, risentimento, ira, aggressività o in tristezza profonda che spariscono bruscamente lasciando di nuovo spazio alla gioia. La labilità emotiva è tipica del maniaco, tanto che Schule nel 1880 scriveva “nulla è durevole in mania se non la perpetua trasformazione”.
- L’incremento dell’attività psicomotoria è anch’esso tipico ed evidente alla prima osservazione: il paziente non riesce a stare fermo, è irrequieto, ha una gestualità esagerata, lo sguardo mobile e vivace, una mimica mutevole. Il paziente si presenta molto curato, spesso con abiti particolari, molto vistosi, dai colori accesi; le donne sono truccate in maniera appariscente e assumono atteggiamenti seduttivi e provocanti. L’eloquio è fluido ed accelerato, riflettendo l’aumentata velocità del flusso ideico, ed il paziente può arrivare a parlare per ore, con tono di voce alto, a ritmi elevati, usando un linguaggio ricercato, ampolloso, retorico, ricco di giochi di parole, battute divertenti, scherzi. Nei casi di estrema accelerazione si ha la logorrea, grado estremo dell’aumentata velocità del flusso del pensiero, fino alla così detta “insalata di parole” in cui l’affollamento dei pensieri, che il soggetto non riesce ad esprimere per intero, fa si che il linguaggio si faccia frammentato, incompleto e senza senso. L’individuo è iperattivo ed avverte una grande disponibilità di energie: tale iperattività può manifestarsi, quando rimane entro certi limiti (cosa che si verifica soprattutto nelle fasi iniziali dell’episodio), con un incremento delle attività produttive quali attività lavorativa e attività ludiche, mentre, nei casi estremi, diviene frenetica e del tutto improduttiva con il paziente che non riesce più a completare nessuna delle azioni che intraprende.
- Sul piano cognitivo caratteristico è l’aumento dell’autostima, della fiducia in sé, delle proprie capacità, dei propri poteri con una scarsa consapevolezza dei propri limiti. Come detto, dal punto di vista formale, il pensiero si fa accelerato e frammentato giungendo, nelle fasi più avanzate, alla fuga delle idee. Il contenuto del pensiero, nelle forme più lievi, è rappresentato da idee di grandezza con ipervalutazione di se stessi da un punto di vista fisico e intellettuale. Il vissuto temporale è alterato con la perdita della soluzione di continuo fra ieri oggi e domani, il paziente vive solo nel presente, i cui confini vengono però dilatati al punto da comprendere sia il passato che il futuro: cose accadute molti anni prima sembrano avere ancora valore nel presente e tutto appare a portata di mano e facilmente raggiungibile. Le capacità mnemoniche sono anch’esse alterate: il paziente ha una capacità di rievocazione molto efficiente, con una invasione di ricordi relativi ad episodi lontani nel tempo; la capacità di fissazione del presente è, però, molto ridotta a causa di una marcata distraibilità. La presenza di deliri è stata documentata in oltre il 50% dei casi, con un contenuto congruo o incongruo all’umore. Nel primo caso si tratta di deliri di grandezza a tema genealogico, storico, politico, culturale, finanziario, sessuale e sono strettamente correlati con i sentimenti di aumentata autostima, potenza fisica ed intellettiva. Talvolta però le manifestazioni psicotiche sono incongrue al tono dell’umore come nel caso di deliri di persecuzione, di influenzamento corporeo e del pensiero ecc. Non sono rari anche i disturbi psicosensoriali come le allucinazioni di tipo uditivo e visivo.
- Come nella depressione, anche nella mania si ha un’alterazione delle funzioni neurovegetative: si riduce il bisogno di dormire, l’appetito è aumentato senza che però vi sia un aumento di peso a causa dell’iperattività, l’attività sessuale risulta esaltata, si riduce la sensibilità alle stimolazioni dolorose.
Risoluzione. L’episodio maniacale ha una durata che va da almeno una settimana (o qualsiasi durata se è necessaria l’ospedalizzazione) fino a 4-6 mesi; raramente ha un’evoluzione cronica. Si risolve bruscamente nell’arco di qualche giorno con il ritorno all’eutimia o con il passaggio in depressione o in uno stato misto. In caso di recidiva, la sintomatologia tende a ripresentarsi con le stesse caratteristiche degli episodi precedenti.

Ipomania. Per ipomania si intende una varietà di mania, che dura ininterrottamente per almeno 4 giorni, la cui sintomatologia è meno grave e meno intensa, mancano i deliri, non può portare all’ospedalizzazione (altrimenti si parla di mania), è ridotto il grado di sofferenza soggettivo ed è minore la compromissione sul piano familiare, sociale e lavorativo.

Stati misti. Con il termine stati misti si indicano quegli episodi in cui si riscontrano sintomi appartenenti alla sfera depressiva ed a quella maniacale: sintomi appartenenti ad entrambe le polarità sono presenti contemporaneamente nello stesso paziente. Ad esempio un tipo di episodio misto è la Depressione Agitata che si caratterizza per umore depresso con psicomotricità incrementata.

e) DECORSO

La caratteristica principale della malattia maniaco-depressiva è rappresentata dal suo decorso, con la ripetizione/alternanza di episodi depressivi, maniacali o misti, intervallati o meno da periodi di benessere completo o parziale che si succedono nel corso degli anni. Questo aspetto è fondamentale ai fini della diagnosi, della prognosi e della terapia. In base alla polarità degli episodi, i Disturbi dell’Umore vengono distinti in due grandi categorie diagnostiche: i disturbi unipolari e quelli bipolari (vedi sopra).

F) TRATTAMENTO

- Depressione
Gli Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) rappresentano attualmente i farmaci di prima scelta nel trattamento della depressione di lieve/moderata gravità e in quella severa, quando gli antidepressivi (AD) triclicici sono controindicati. Questi ultimi, infatti, sono ormai considerati farmaci di seconda scelta per la maggiore incidenza di effetti collaterali e quindi da utilizzare nei casi di mancata o parziale risposta alla terapia con SSRI, sia in sostituzione che in associazione con questi. Per la scarsa maneggevolezza gli inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO), pur essendo farmaci con una elevata efficacia antidepressiva, sono ormai utilizzati esclusivamente nelle forme di depressione resistente.
L’effetto antidepressivo si ha, in media, nell’arco di tre settimane (latenza di risposta), mentre nelle fasi iniziali del trattamento molto spesso si verificano effetti collaterali che possono minare l’aderenza al trattamento. Contrariamente ad altri disturbi in cui si hanno percentuali di risposte minori, circa l’80% dei pazienti con un episodio depressivo maggiore va in contro a una risoluzione completa dell’episodio. Nei casi di risposta parziale, come già accennato, è possibile cambiare il tipo di AD o associare un secondo AD come ad esempio associare un triciclico ad un SSRI. E’ necessario comunque tenere presente che la latenza di risposta può variare moltissimo da soggetto a soggetto; quindi, salvo in casi di estrema gravità, dove risulta complicata o rischiosa la gestione del paziente, si tende a proseguire la terapia in atto anche per più di un mese prima di considerare inefficace il farmaco utilizzato e procedere ad un cambiamento terapeutico (sostituzione del farmaco o associazione).
Per la scelta dell’AD da utilizzare, è necessario valutare il singolo caso, sia da un punto di vista di anamnesi farmacologica (la risposta ad un precedente trattamento antidepressivo rimane il miglior fattore predittivo positivo di risposta), sia attraverso una attenta valutazione del pattern sintomatologico. Ad esempio, nel caso di depressioni caratterizzate da una forte inibizione psicomotoria e anedonia, potrà esser preso in considerazione l’utilizzo di AD ad azione dopaminergica come il pramipexolo. Nel caso di depressioni caratterizzate da un’elevata componente ansiosa verranno invece scelti AD con maggiore efficacia ansiolitica (Paroxetina, Amitriptilina) eventualmente in associazione con benzodiazepine. Nel caso invece di una sintomatologia caratterizzata da agitazione con spiccate alterazioni del pattern ipnico, sarà indicato utilizzare AD ad azione sedativa come ad esempio Mirtazapina e Trimipramina.
Quando la depressione è di lieve o media gravità e non ci sono manifestazioni melanconiche o psicotiche si può prevedere un intervento psicoterapeutico ricorrendo alla psicoterapia cognitive o alla psicoterapia interpersonale, con o senza l’ausilio farmacologico.
La psicoterapia cognitiva avrebbe la finalità di far acquisire al paziente la consapevolezza di quanto la visione di sé e del mondo sia modificata dallo stato depressivo e di come, nell’attuale condizione timica, sia portato ad ingigantire i fallimenti e sminuire i propri successi. Ci si propone, inoltre, una ristrutturazione cognitiva che, attraverso l’analisi della storia personale, identifichi le modalità con cui si è venuta a formare l’immagine negativa di sé. Tramite un aumento progressivo della consapevolezza si cerca di riorganizzare l’identità del paziente depresso.
La psicoterapia interpersonale postula che l’insorgenza della depressione sia legata a rilevanti difficoltà sociali ed interpersonali e che la risoluzione di tali conflitti sia necessaria sia per la risoluzione dell’episodio che per la prevenzione di ulteriori ricadute.

- Mania
Il trattamento dell’episodio maniacale si avvale degli stabilizzanti dell’umore, degli antipsicotici e delle benzodiazepine. I sali di litio rappresentano i farmaci di prima scelta, eventualmente da associare a farmaci antipsicotici nei casi di particolare agitazione psicomotoria al fine di sedare il paziente o nei casi con sintomi psicotici per eliminare la componente delirante/allucinatoria. Spesso, nelle fasi iniziali di trattamento vengono associate benzodiazepine.

- Trattamento di stabilizzazione a lungo termine del Disturbo Bipolare
Il trattamento a lungo termine del disturbo bipolare consiste nella somministrazione di stabilizzanti del tono dell’umore al fine di prevenire le ricadute. Tra questi i sali di litio sono di prima scelta soprattutto quando il disturbo esordisce con un episodio maniacale; esistono altri stabilizzanti dell’umore che fanno parte della categoria degli anticonvulsivanti come ad esempio valproato o carbamazepina.
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Messaggioda birillo22 » 16/08/2014, 18:25



ecco perche non andro mai da nessuno x farmi vedere mica mi vojo fare friggere il cervello con la terapia elettroconvulsivante
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Messaggioda Bonifacio » 16/08/2014, 19:00



birillo22 ha scritto:ecco perche non andro mai da nessuno x farmi vedere mica mi vojo fare friggere il cervello con la terapia elettroconvulsivante
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Ultima modifica di Bonifacio il 16/08/2014, 19:05, modificato 2 volte in totale.
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Messaggioda Bonifacio » 16/08/2014, 19:00



Royalsapphire ha scritto:_con manifestazioni malinconiche: (perdita di interesse per tutte, o quasi, le attività e gli stimoli (corrispondente alla depressione endogena), senso di colpa, rallentamento o agitazione psicomotoria, inappetenza, risveglio precoce, alterazione delle capacità cognitive.


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Messaggioda birillo22 » 16/08/2014, 19:51



Royalsapphire ha scritto:_ Trattamento dell’episodio depressivo: se di lieve o media entità può essere trattato ambulatorialmente, con antidepressivi.
I casi più gravi necessitano di ospedalizzazione.
In alcuni casi è indicata la terapia elettroconvulsivante (TEC). Il 20-40% dei soggetti non reagisce adeguatamente alla terapia: depressione resistente.
Per le terapie farmacologiche si usano gli antidepressivi triciclici (TCA), seguiti dagli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO). Poi, con meno effetti collaterali ci sono gli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina (SSRI): fluoxetina, fluvoxamina, sertalina, etc- e gli inibitori del re-uptake della serotonina e delle noroadrenalina –(SNRI): es. venlafaxina, duloxetina.



ma x che invece di limitarsi a curare il presunto depresso non si va alla radice cioe la causa che ha portato alla depressione ??

invito tutti a vedere questo video purtoppo il progresso lo stress la crisi e altre cose hanno portato il mondo a uno skifo quindi x che andare avanti stando sempre piu male?

ecco il video se avete 10 min da buttare guardatelo

Guarda su youtube.com
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Re: R: Impariamo qualcosa in più sui nostri disturbi dell'umore

Messaggioda Matteo il cercatore » 16/08/2014, 21:12



birillo22 ha scritto:
Royalsapphire ha scritto:_ Trattamento dell’episodio depressivo: se di lieve o media entità può essere trattato ambulatorialmente, con antidepressivi.
I casi più gravi necessitano di ospedalizzazione.
In alcuni casi è indicata la terapia elettroconvulsivante (TEC). Il 20-40% dei soggetti non reagisce adeguatamente alla terapia: depressione resistente.
Per le terapie farmacologiche si usano gli antidepressivi triciclici (TCA), seguiti dagli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO). Poi, con meno effetti collaterali ci sono gli inibitori selettivi del re-uptake della serotonina (SSRI): fluoxetina, fluvoxamina, sertalina, etc- e gli inibitori del re-uptake della serotonina e delle noroadrenalina –(SNRI): es. venlafaxina, duloxetina.



ma x che invece di limitarsi a curare il presunto depresso non si va alla radice cioe la causa che ha portato alla depressione ??

invito tutti a vedere questo video purtoppo il progresso lo stress la crisi e altre cose hanno portato il mondo a uno skifo quindi x che andare avanti stando sempre piu male?

ecco il video se avete 10 min da buttare guardatelo

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Be' se hai una depressione endogena la causa è biologica.
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Messaggioda birillo22 » 16/08/2014, 21:43



Codice: Seleziona tutto
Depressione endogena :
Definizione: Espressione usata per definire forme depressive in cui non vi sono, o non sono evidenti, fattori determinanti esterni, psicologici o ambientali.


bhe le maggior parti delle depressioni hanno una causa scatenante

fose se eliminassimo quella causa anche quelle endogene sparirebbero ki lo sa :thumbup:
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Impariamo qualcosa in più sui nostri disturbi dell'umore

Messaggioda Royalsapphire » 16/08/2014, 22:54



Per depressione endogena si intende quella causata da uno scompenso neurochimico. C'è chi non si ammala di depressione a seguito di motivi psicologici, quando a causa di motivi biochimici. Ci sono casi in cui il corpo non produce quanti equilibrati di neurotrasmettitori endogeni (come Adrenalina, Noradrenalina, Acetilcolina, Serotonina, Dopamina e GABA, per citarne alcuni) e questo si riflette nell'atteggiamento della persona.
Quando subentrano disordini biochimi non ci sono rimedi psicologici che tengano, l'unica terapia fattibile è quella farmacologica per tamponare appunto questi squilibri. E' in casi come questi che si prospettano terapie a vita.
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Re: Impariamo qualcosa in più sui nostri disturbi dell'umore

Messaggioda nuovoutente » 23/08/2014, 17:51



Con terapie a vita si intende prendere ad esempio antidepressivi continuamente per tutta la vita? Oppure ci sono periodi di pausa solitamente? Non ho voluto mai fare una ricerca su internet in merito perché ho paura di farmi venire delle paranoie ma... ultimamente mi chiedo se prendere questi farmaci così a lungo non abbia degli effetti collaterali ( a parte la dipendenza ).
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"Lei è psicopatico."

"Lei ha una malattia che purtroppo è di moda e si incontra ogni giorno nelle persone intelligenti. I medici, naturalmente,non ne sanno nulla. E' imparentata con la moral insanity e potrebbe essere anche denominata individualismo oppure solitudine immaginaria. I libri moderni ne sono pieni. In lei si è insinuata la fissazione di essere abbandonato, che non le importi più di nessuno e che nessuno la capisca."

"Vede. A colui che ha ormai questa malattia bastano un paio di delusioni per fargli credere che, tra lui e le altre persone, non esista assolutamente rapporto alcuno, al massimo soltanto equivoci, e che ogni essere umano si muova in fondo in perfetta solitudine, non riesca mai a rendersi ben comprensibile agli altri né condividere o avere nulla in comune con loro".
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Impariamo qualcosa in più sui nostri disturbi dell'umore

Messaggioda Royalsapphire » 23/08/2014, 18:23



Sì,ci sono casi in cui si prendono dei sostegni farmacologici a vita.
Oltre alla dipendenza psicofisica che si innesca se presi a lungo termine, non ci sono ulteriori effetti collaterali se si continua la terapia senzavolerla interrompere di colpo.
Si può vivere la vita tranquillamente con la terapia farmacologica.
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