Storie vere su abusi e violenza

::STORIE DI EMERGENZA::

Scheletri nell'armadio. Questa piccola stanza di MyHelp è accogliente come una caramella buona.
Sei vittima di abusi? Parlane su MyHelp con chi sa capirti. Potrai aiutare chi si trova nella tua stessa situazione.
Gli stupri e la violenza fisica su donne e minori sono all'ordine del giorno. A chi è, o è stato, vittima di maltrattamenti, diciamo: DENUNCIATE !!! Avete il potere e il diritto di difendervi!! E non sarete soli nel pericolo!

Moderatore: elle8n

Storie vere su abusi e violenza

Messaggioda Royalsapphire » 26/09/2013, 22:37



Alcune testimonianze


Caso di violenza, Milena

Milena ha 16 anni, in un pomeriggio di agosto trova il coraggio di chiamare il 114. Frequenta il secondo anno delle scuole superiori e il suo compagno di classe Luca, che è lì con lei, l’ha convinta a chiedere aiuto, a raccontare cosa è costretta a subire. Il padre, da tempo ha cominciato ad ubriacarsi: “Da quando andavo in V elementare, mi picchia”, racconta Milena. "Non vuole che esca, che frequenti i miei amici, per lui devo stare sempre in casa". L’ultima volta è successo pochi giorni prima. Inutile scappare: “Sono uscita di casa e mi sono nascosta per ore e, quando sono tornata, mi ha picchiata con un bastone. Ero piena di lividi sulle mani, sulle gambe e graffi sul viso. Sono rimasta chiusa in casa per giorni”. Milena non può contare sulla madre: “Mentre mi picchiava lei era presente e non ha fatto nulla”. Episodi come questi, racconta la ragazza, sono capitati spesso. Ed ora ha paura che riaccada. L’operatrice del 114 cerca di calmare Milena che, durante il ricordo, è in preda ad una forte ansia ed inizia a piangere. Le spiega che, grazie alla sua chiamata e al suo coraggio, ora potrà essere aiutata e che presto quelle violenze saranno solo un lontano ricordo. Così accade: il 114 ascolta Milena, le sue difficoltà, le spiega in che modo potrebbe far fronte a questa situazione, quale aiuto potrebbe ricevere, risponde a tutte le sue domande. Dopo aver concordato sulla necessità che queste violenze si interrompano, il 114 chiede la collaborazione delle forze dell’ordine perché possano intervenire sul posto. Nell’attesa che gli agenti raggiungano la casa di Milena, l’operatrice resta al telefono con Milena, la supporta e la rassicura nei suoi dubbi: sta facendo la cosa giusta per lei e per il suo futuro. La telefonata si conclude soltanto quando gli agenti suonano il campanello: nel salutarla, l’operatrice si impegna con la ragazza a seguire il seguito della vicenda. La Procura minorile dispone l’allontanamento della ragazza dai genitori e l’ospitalità presso una casa-famiglia. Milena decide di accogliere il suggerimento del 114 di ricorrere ad un sostegno psicologico ed inizia un nuovo percorso di vita, più sereno rispetto alla triste storia che l’ha vista protagonista.



Nora, un tentato suicidio

E’ poco prima di mezzanotte quando un papà, in lacrime, chiama il 114: “Aiutatemi, mia figlia Nora, 15 anni, è chiusa nella sua stanza e ho paura che possa farsi del male. Potrebbe tagliarsi i polsi e io non so cosa fare”. L’operatrice del 114 cerca di tranquillizzare l’uomo e, intanto, raccoglie le informazioni necessarie per inviare immediatamente sul posto gli operatori del 118 e le Forze dell’ordine. Nel mentre, l’operatrice riesce a farsi passare la ragazza al telefono. Nora, in stato di forte agitazione, racconta di aver litigato con il padre. Stabilito un rapporto di fiducia, la ragazza inizia a confidarsi con l’operatrice, racconta di essere originaria del Nicaragua, che i genitori sono separati da molti anni, e da pochi mesi vive con il padre in Italia. Dice di sentirsi sola, non capita, e di soffrire molto per avere lasciato la mamma e gli amici nel suo Paese. L’ operatrice del 114 dice alla ragazza di comprendere i suoi problemi e le promette di aiutarla, ma le chiede di non farsi del male. Arrivano i soccorsi e sia i medici del 118 che gli agenti accertano la presenza di tagli sui polsi, per i quali Nora è stata immediatamente trasferita all’ospedale. Il 114 rassicura il padre annunciandogli che sarà intrapreso un percorso di aiuto e sostegno per lui e la figlia. Il giorno dopo, in accordo con le altre agenzie coinvolte, il 114 prende contatto con i Servizi sociali dell’Ospedale dove è ricoverata la ragazza e viene informato che Nora è seguita da un neuropsichiatra infantile. Successivamente, attraverso i Servizi sociali, viene attuato un percorso di tutela e sostegno per il benessere psicofisico della bambina



Palermo - La storia di Matilde

In una tarda serata di Giugno, giunge sulla Linea 114 Emergenza Infanzia la richiesta di aiuto di un padre che, con tono agitato, manifesta la propria preoccupazione rispetto alla conflittualità tra la figlia adolescente e la madre. Ma dopo qualche istante, il chiamante si allontana e, urlando frasi incomprensibili, invita la figlia, Matilde, a parlare con il 114.
Inizialmente, la minore si rifiuta di parlare, ma, dopo un lungo silenzio, riferisce di essersi chiusa nel bagno per poter parlare con più calma e, racconta: “Anche stasera papà è ubriaco, è sempre ubriaco, beve tanta birra tutto il giorno; io avevo litigato con mamma e lui si è infastidito perché non poteva dormire. Adesso mamma è sul divano, lei non reagisce mai, non ci difende perché è malata e quando è nervosa ci alza le mani”.
Matilde, sentendo accolta la propria sofferenza, racconta al 114 il proprio dramma: “mio padre non ha retto al dolore di avere una figlia affetta da handicap; fìn dalla nascita di mia sorella, lui ha iniziato ad ubriacarsi quotidianamente sfogando la propria rabbia e la propria frustrazione su mia madre, picchiandola. Nel tempo, mia madre, stanca di prenderle ad ogni lite, ha smesso di reagire, trasformandosi in un automa. Durante il racconto, Matilde esprime la propria commozione ed afferma: “è la prima volta che parlo di queste cose con qualcuno, mi sono sempre vergognata di chiedere aiuto”.
Il racconto di Matilde viene interrotto dalle urla del padre che, contestualmente alla chiamata litiga con la moglie.
Il Servizio 114 Emergenza Infanzia interviene tempestivamente, chiedendo l’intervento delle Forze dell’Ordine per verificare le condizioni psicofisiche delle minori. Giunte presso l’abitazione le forze dell’ordine, constatano l’evidente stato di sofferenza psichica nella quale versa la madre delle minori e lo stato di alterazione di coscienza del padre, causato dall’abuso di alcool.
A seguito di tale intervento si concorda l’attivazione congiunta delle Procure presso il Tribunale per i Minorenni e presso il Tribunale Ordinario, che dispongono l’immediato allontanamento delle minori dalla propria abitazione e la loro collocazione presso una struttura residenziale protetta, in attesa di un intervento di sostegno per l’intero nucleo familiare.



Palermo - Nucleo familiare in difficoltà

Una notte di settembre, chiama una signora di origine straniera per segnalare una situazione di forte pregiudizio a danno dei propri figli di 10, 6 e 4 anni.
La signora, con tono molto agitato, chiede aiuto al 114 affermando di avere la casa e i bambini invasi dagli scarafaggi: “i miei figli non stanno bene, non respirano. Ho tanti scarafaggi in casa, sono ovunque, pure sul letto, in bagno ed in cucina; io non ce la faccio più, sono stanca”. Durante la chiamata, la signora passa il telefono alla figlia più grande che molto impaurita conferma di non stare bene, di avere la tosse e aggiunge che sia lei che i fratelli hanno gli scarafaggi sul corpo.
Contestualmente alla segnalazione, l’operatore del 114 Emergenza Infanzia contatta il pronto Soccorso Sanitario per un intervento immediato sul posto.
Nell’attesa dell’arrivo dei soccorsi, la signora prosegue la conversazione con l’operatore raccontando di avere perso il marito pochi mesi fa e di avere, da allora, gravi problemi economici.
Successivamente, nel corso della notte, un’infermiere del Soccorso Sanitario contatta il 114 informando che, l’ambulanza inviata sul luogo, ha trovato i bambini con una grande quantità di scarafaggi addosso, tosse e febbre molto alta, probabilmente imputabili alle scarse condizioni igieniche.
A seguito dell’intervento, il nucleo è stato portato tempestivamente in una struttura ospedaliera per ricevere le prime e urgenti cure mediche . Il giorno dopo, il 114 contatta anche i Servizi Sociali che prendono in carico il nucleo, esprimendo l’intenzione di trovare tempestivamente una nuova collocazione per l’intero nucleo. Da un follow-up successivo, si apprende che l’intero nucleo familiare è stato inserito in una comunità che si occupa di accogliere madri in difficoltà.


Haisha, 16 anni
Un martedì pomeriggio, perviene sulla Linea 114 Emergenza Infanzia la chiamata di una signora da Verona per segnalare la sua preoccupazione per Haisha, una ragazza di 16 anni di origine Indiana, che abita in Italia dal 2003 circa con i genitori, la sorella maggiore e i due fratelli più piccoli.
Haisha si troverebbe al momento a casa della chiamante, in quanto sarebbe scappata dopo essere stata picchiata dal padre e non vorrebbe più tornare dai genitori. Haisha parla con l’operatore del 114 e riferisce: « mi trovo qui a casa della mia compagna perché non voglio tornare a casa, ho paura e qui mi sento più sicura e protetta; non ho altri parenti dove andare perché mio padre ha litigato con loro”, e aggiunge: “mio padre oggi mi ha picchiato con tutta la forza che aveva con il bastone della scopa, ed ora ho un dolore al sedere sulla parte destra; ho messo un pò di ghiaccio, è un po’ nero e mi fa male”. Oggi pomeriggio ero sul balcone di casa e mio padre si è arrabbiato perché io non l’ho sentito citofonare e non ho aperto subito. Lui è entrato in casa, ha preso il bastone e mi ha colpito forte sul sedere, rimproverandomi perché non ero andata a lavorare in negozio.
La ragazza con tono molto provato, racconta: “sono triste, non ce la faccio più, sono ormai 5 anni che picchia me e mia madre, ma lei non si ribella”. E aggiunge “sia mio padre che mia madre mi picchiano, mi tirano sempre i capelli perché a volte non vado a lavorare al negozio, o perché a volte non faccio i lavori in casa. Loro mi trattano come una schiava, e mi occupo anche di fare da baby sitter ai miei fratelli più piccoli”, e aggiunge, singhiozzando: “non posso uscire con le amiche, devo indossare sempre i vestiti con le maniche lunghe, non posso parlare, e loro mi dicono che se mi picchiano è perché io gli rispondo”. Haisha, nel corso della conversazione, ci racconta un'altra situazione di cui si vergogna molto: “io e mia sorella dormiamo nel soggiorno. A volte, mio padre di notte, con la scusa di fumare una sigaretta, si alza, viene nella stanza dove dormiamo e se noi non siamo sveglie, mette le sue mani dentro i nostri pantaloni. A quel punto, io mi sveglio e lui smette. Lo ha fatto anche con mia sorella, ma lei non vuole dire nulla. A volte mio padre mi stringe in un modo che secondo me non è normale, toccandomi anche dietro sul sedere. Stamattina, per esempio, mi ha abbracciato talmente forte da darmi fastidio. Io l‘ho allontanato e per questo lui mi ha dato uno schiaffo in testa”.
Valutati gli elementi di preoccupazione a danno di Haisha, il Servizio 114 contatta i Carabinieri, che si recano sul posto e dopo aver ascoltato la minore in caserma si concorda di farla visitare in ospedale. Dal momento che il referto medico conferma la situazione di abuso descritta dalla ragazza, le forze dell’ordine attivano le Procure e in accordo con il magistrato di turno, decidono di collocare tempestivamente Haisha in una comunità protetta al fine di intraprendere il percorso di tutela più idoneo al benessere psicofisico della minore.


Caso di Violenza domestica - Milano
Perviene sulla linea 114 Emergenza Infanzia la chiamata della Signora Francesca, per riportare la propria preoccupazione per il situazione che vedrebbe coinvolto il nipote Giovanni, di circa 10 anni. La chiamante riferisce di aver contattato il nostro servizio, poiché poco prima Teresa, madre del minore, l’aveva contattata telefonicamente riferendo che il marito Marco l’aveva appena “picchiata” in presenza del figlio “non so darvi informazioni più precise, non so nulla, so solo che Teresa e Giovanni piangevano ed io sono preoccupata di quello che può succedere”.
La signora, zia materna del minore, riferisce che gli episodi di conflittualità tra la i due genitori di Giovanni sono iniziati circa cinque anni fa, quando il signor Marco ha iniziato ad abusare di alcool; riporta poi che “alcune settimane fa, Marco l’ha picchiata le ha fatto sbattere la testa contro il muro; Teresa mi ha anche raccontato che è stata minacciata più volte ”. A tali episodi, secondo quanto riferito, avrebbe, nella maggioranza dei casi, assistito il minore, che sarebbe intervenuto più volte in difesa della madre chiamando i vicini di casa. La signora Francesca aggiunge inoltre. “ Teresa non ha mai denunciato il marito e non si è mai fatta refertare”.
Contestualmente alla chiamata il Servizio 114 Emergenza Infanzia decide di contattare le Forze dell’Ordine, e nello specifico la Caserma dei Carabinieri di competenza, per un intervento tempestivo a tutela della madre e del minore. Dopo circa un’ora dall’intervento, come previsto dalle procedure operative del Servizio, il 114 ricontatta la pattuglia che ha effettuato l’intervento per un follow up. Il maresciallo referente dell’intervenuto riferisce di essersi recato presso l’abitazione del nucleo familiare, di aver trovato i due coniugi in una forte situazione di conflittualità verbale e fisica, e Giovanni in un angolo mentre assisteva alla scena.
Si concorda, quindi, per un’attivazione congiunta, da parte del 114 e delle Forze dell’Ordine, dei Servizi Sociali di competenza, che possano strutturare un intervento a breve- lungo termine di presa in carico del nucleo familiare.
Dopo circa due settimane il 114 ricontatta i Servizi Sociali che riferiscono di aver preso in carico il nucleo: il giorno stesso della chiamata al Giovanni e la madre, a seguito dell’intervento dell’assistente sociale, si sono trasferiti a casa della zia Francesca. La signora Teresa qualche giorno dopo ha sporto denuncia nei confronti del marito. Attualmente è in corso, inoltre, un percorso di valutazione e monitoraggio delle capacità genitoriali dei due coniugi al fine di individuare la situazione più tutelante per Giovanni, che nel frattempo ha iniziato una terapia psicologica.



La storia di Katia
Un martedì pomeriggio del mese di giugno, arriva al 114 la chiamata di un’adolescente, Katia stanca di subire le violenze da parte del padre. Katia è di origine straniera ma vive in Italia, insieme ai propri genitori, da quando ha due anni e mezzo. Katia trova soltanto ora, grazie al sostegno di un amico, il coraggio di superare la vergogna per quello che da anni subisce e il coraggio di uscire dal silenzio, in cui finora ha vissuto. All’operatore che accoglie la sua chiamata racconta di subire frequentemente violenze sessuali da parte del padre: da quando il padre si ubriaca, la costringerebbe ad avere rapporti orali con lui, picchiandola, anche con un bastone, qualora lei si fosse rifiutata. Tutto questo si verifica da quando Katia aveva circa 10 anni; la madre sembra incapace di proteggerla e di opporsi al marito a causa di una depressione, probabilmente legata alle relazioni extraconiugali di quest’ultimo e a cui Katia è stata più volte costretta ad assistere.
L’operatore tranquillizza Katia rassicurandola di non dover essere più sola ad affrontare la gravità della situazione e la informa rispetto al percorso di tutela che il 114 decide di intraprendere.
Il Servizio 114 Emergenza Infanzia provvede quindi ad attivare tempestivamente le Forze dell’Ordine con le quali si concorda il coinvolgimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario e di quella presso il Tribunale per i minorenni. Il procuratore di turno al quale viene segnalato il caso, decide di collocare temporaneamente la minore in una comunità protetta, per far fronte al rischio che la situazione di emergenza possa ripetersi a breve.



Antonio, Giuseppe e Lucia
Chiama il 114 Emergenza Infanzia una signora anonima da Cosenza per esporre una situazione che vedrebbe coinvolti tre minori, di nome Antonio, Giuseppe e Lucia, rispettivamente di 5, 3 e 2 anni. La signora, che sarebbe una vicina di casa dei bambini, riferisce di essere preoccupata in quanto la madre di questi ultimi “si prostituisce in casa, anche quando i bambini sono nell’appartamento. C’è un continuo andirivieni di tre o quattro uomini ogni ora durante la notte”. Aggiunge, inoltre, che queste informazioni le sarebbero state riportate dalla stessa madre dei minori, che le avrebbe raccontato di svolgere tale attività in casa. In alcune occasioni la signora avrebbe anche assistito a delle telefonate in cui la madre dei bambini avrebbe fissato il prezzo per alcune prestazioni sessuali.
Il marito di quest’ultima sarebbe a conoscenza del lavoro della moglie e, a detta della chiamante, le organizzerebbe gli appuntamenti: “è lui che accompagna questi uomini a casa durante la notte e si sentono di continuo urla e sospiri”.
La signora riferisce che la situazione sarebbe nota anche ad altri vicini di casa, che le avrebbero raccontato di sentire “sempre il letto che cigola e alcune volte i bambini che piangono”.
A detta della chiamante entrambi i genitori dei minori farebbero uso di droghe e di sostanze alcooliche, tanto che, in alcune occasioni, le sarebbe capitato di incontrare la madre dei bambini ubriaca.
La chiamante si dice preoccupata anche perchè vedrebbe i bambini sempre molto trascurati dal punto di vista igienico “sono sciatti e sporchi” e aggiunge, inoltre, che la madre parlerebbe ai figli in modo molto volgare, utilizzando insulti e parole forti, che gli stessi bambini continuerebbero a ripetere.
A detta della signora, la madre lascerebbe spesso i bambini giocare da soli “con qualsiasi cosa”. A tal proposito riporta un episodio risalente al mese scorso “la madre era in bagno e aveva lasciato i bambini da soli. Si sono messi a giocare con un accendino e hanno incendiato la casa. Sono dovuti intervenire i Vigili del Fuoco per spegnere l’incendio”
Aggiunge inoltre che i Servizi Sociali di zona conoscerebbero la famiglia in seguito all’assegnazione di una casa comunale.
La chiamante riporta di aver messo a conoscenza della situazione anche i Carabinieri del luogo “perchè una notte sentivo i bambini piangere in continuazione”.
Il Servizio 114 Emergenza Infanzia concorda con la signora che provvederà a contattare i Carabinieri e i Servizi Sociali che già conoscono la situazione, per un confronto sugli elementi emersi.
Da un confronto con i Carabinieri e con i Servizi territoriali, che riferiscono di conoscere la famiglia esclusivamente in seguito ad una segnalazione di sfratto, il Servizio 114 Emergenza Infanzia condivide con questi ultimi la necessità di coinvolgere la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.
L’Assistente Sociale incaricata del caso, nei giorni successivi, ricontatta il Servizio 114 per informarlo di aver già provveduto ad effettuare le dovute indagini: al momento i Servizi, in accordo con la Procura, stanno valutando il tipo di provvedimenti da intraprendere.



Simona, 17 anni

Chiama il 114 Emergenza Infanzia, da Pescara, una signora per riferire una situazione che vedrebbe coinvolta sua nipote Simona, di 17 anni.
La minore, che sarebbe al termine del terzo mese di gravidanza, le avrebbe riferito di essere costretta ad interrompere la gravidanza: "la nonna di Simona ha fissato un appuntamento presso l'Ospedale tra un paio di giorni per farla abortire".
Simona avrebbe confidato alla zia di subire minacce di percosse da parte della nonna materna e della madre: "se decido di tenere il bambino, mi hanno detto che mi ammazzano di botte e mi cacciano di casa; se non abortisco mi hanno detto che mi danno un calcio nella schiena e così la situazione si risolve"; Simona avrebbe anche riferito che vorrebbe tenere il bambino.
A detta della chiamante, la ragazza piangerebbe, sarebbe impaurita, spaventata e confusa; la zia riferisce di essere preoccupata in quanto la nipote avrebbe confidato ad una zia americana "non ce la faccio più, se continuo così mi ammazzo". La chiamante racconta, inoltre, che, in passato, Simona avrebbe sofferto di anoressia.
La zia afferma di aver contattato il Servizio 114 Emergenza Infanzia proprio per essere d'aiuto alla nipote
La chiamante sostiene che la famiglia del ragazzo di Simona, padre del nascituro, di quasi 18 anni, avrebbe voluto parlare della situazione con i genitori della ragazza, i quali, però, avrebbero negato che la figlia fosse incinta: "non c'è stato nessun punto d'incontro tra le due famiglie per riuscire a dialogare”
Alla luce degli elementi emersi il Servizio 114 Emergenza Infanzia decide di coinvolgere tempestivamente i Carabinieri, i Servizi Sociali territoriali e la Procura presso il Tribunale per i Minorenni, per la presa in carico del caso.
Il giorno successivo alla segnalazione, il Servizio 114 ricontatta l’Assiste Sociale incaricato del caso, il quale riferisce che la ragazza, dopo aver dichiarato, in un primo momento, in presenza dei genitori, l’intenzione di voler abortire, successivamente ha espresso il desiderio di voler tenere il bambino.
I genitori si sono mostrati contrari alla decisione e hanno espresso, anche sottoforma di minacce, la loro disapprovazione. Tuttavia si è giunti ad un accordo, che ha permesso a Simona di tenere il bambino; per lei sono stati predisposti dei colloqui di sostegno con una psicologa del Consultorio.



Francesca, 16 anni

Chiama il 114 Emergenza Infanzia Francesca, una minore di 16 anni da Bergamo, per raccontare una situazione che la vedrebbe coinvolta. Al momento della telefonata si troverebbe a scuola.
La ragazza, in tono molto preoccupato, riferisce di venire picchiata frequentemente dal padre “mi picchia e alcune volte mi ha lasciato molti lividi sul corpo, tra cui, qualche giorno fa, uno sul braccio”.
Aggiunge, inoltre, che l’ultimo episodio risalirebbe a domenica scorsa “mi ha picchiato e intanto mi insultava pesantemente”.
La minore riporta un episodio accaduto circa 2 mesi fa, durante il quale il padre l’avrebbe “massacrata di botte, mi ha buttata per terra, mi ha dato calci e si è fermato solo quando mi ha vista sputare sangue”. A detta di Francesca la madre sarebbe “ sottomessa” al padre e non farebbe nulla per proteggere la ragazza
Riferisce inoltre di essersi recata, nella giornata di ieri, presso la Caserma dei Carabinieri per riferire la situazione.
Nonostante l’elevata frequenza degli episodi riportati, tuttavia, la minore non si sarebbe mai recata da un medico per far refertare i segni presenti sul corpo.
Francesca stamattina avrebbe preparato “la borsa con i vestiti per andare via di casa, ma mia madre mi ha scoperta e mi ha fermata; ora ho paura della reazione di mio padre quando torno a casa”. In passato la minore sarebbe scappata più volte di casa.
Sulla base degli elementi raccolti, si decide di contattare tempestivamente le Forze dell’Ordine per un confronto rispetto agli elementi emersi.
Contestualmente all’attivazione delle Forze dell’Ordine perviene la chiamata della madre di Francesca con cui si condivide la preoccupazione per la situazione vissuta dalla figlia.
La sig. ra, confermando quanto riferito dalla ragazza, afferma “mio marito a volte ha picchiato mia figlia perché non sappiamo più come fare con lei. Non dà soddisfazione a scuola né mi aiuta a casa”.
Il Servizio 114 Emergenza Infanzia concorda con la madre di Francesca il coinvolgimento dei Servizi Sociali, per una presa in carico del nucleo familiare.
Dopo alcuni giorni si ricontatta l’Assistente Sociale che ha in carico il caso, il quale riferisce che sono stati programmati una serie di colloqui con la ragazza e con i genitori allo scopo di riuscire a creare uno spazio in cui ristabilire gli equilibri all’interno della famiglia e trovare nuove modalità relazionali.



Marisa, 15 anni, abuso Fisico/ minaccia Fuga da casa

Una mattina alle ore 11.45 circa, perviene sulla Linea 114 Emergenza Infanzia la chiamata di Marisa di 15 anni dalla provincia di Torino.
La minore riferisce di trovarsi a scuola insieme ad una compagna che l’ha convinta a contattare il 114 per raccontare ciò che sarebbe accaduto la sera precedente.
Marisa comincia a raccontare: “ieri sera sono scesa sotto casa per vedere il mio fidanzato, poi quando sono salita a casa mio padre, che non vuole che io incontro questo ragazzo, mi ha detto che per punizione non sarei uscita per i prossimi tre mesi e mi ha cominciato a picchiare e adesso ho male ad un fianco ”.
Marisa prosegue il suo racconto aggiungendo: “mia madre non è intervenuta per difendermi e quando mi ha visto piangere mi ha preso anche lei per i capelli sbattendomi la testa al muro”.
Il nucleo familiare della minore sarebbe composto dal padre, dalla madre, da Marisa e dalla sorella di 10 anni. A domande più specifiche volte a comprendere meglio la situazione Alessia riferisce all’operatrice del 114 che il suo rapporto con il padre sarebbe peggiorato negli ultimi sei mesi a causa della sua frequentazione con questo ragazzo che i suoi genitori non vedrebbero di buon occhio: “io avevo un rapporto bellissimo con mio padre, non avrei voluto un padre diverso ma, negli ultimi sei mesi mi prende a calci e a sberle, mi insulta e circa 15 giorni fa, mi ha aspettato in giardino con un secchio d’acqua e me lo ha tirato addosso”.
La minore riferisce di contattare il 114 poiché non vuole che si ripeta più ciò che è accaduto ieri sera e aggiunge: “oggi dopo la scuola non voglio tornare a casa, non mela sento, preferisco andare a casa di un compagno e tornare a casa domani”.
Nel corso della chiamata si fa comprendere a Marisa l’importanza di coinvolgere un adulto di riferimento, pertanto, dopo aver raccolto i dati relativi alla scuola frequentata dalla minore, si invita quest’ultima a richiamare il 114 insieme ad un’insegnante.
Qualche minuto dopo la minore ricontatta il servizio insieme alla Preside dell’istituto la quale ci informa di essere appena venuta a conoscenza, attraverso il racconto della minore dell’episodio che si sarebbe verificato ieri sera e aggiunge che da qualche tempo avrebbe notato un certo disagio da parte di Marisa a scuola. A tal proposito, sottolinea la sua preoccupazione rispetto alla decisione di Marisa di non voler rientrare a casa dopo la scuola.
Si decide insieme alla Preside di coinvolgere tempestivamente i Carabinieri di zona al fine di intraprendere il percorso di tutela più idoneo per la minore.
Contestualmente alla chiamata si contattano i Carabinieri di zona nella persona del maresciallo che ci invita a proporre una’accompagnamento della minore in caserma; la preside si mostra disponibile ad accompagnare la minore presso la caserma dei carabinieri pertanto ci si accorda per un aggiornamento successivo.
Alle 13.45 circa dello stesso giorno il maresciallo dei carabinieri ricontatta il 114 per aggiornarci in merito alla situazione. Quest’ultimo ci informa di aver contattato i servizi sociali e di aver concordato di far ascoltare la minore da un’assistente sociale del quale ci fornisce i riferimenti per un nostro successivo contatto.
Nel pomeriggio il maresciallo ci informa che dopo aver ascoltato la minore sono state attivate le procure presso il Tribunale per i Minorenni e quello Ordinario e che a seguito di ciò sarebbe stato disposto un affidamento temporaneo della minore ai nonni. Nel frattempo saranno ascoltati anche i genitori da lui convocati in caserma.
Dopo circa una settimana il 114 effettua un fullow-up sul caso dal quale si apprende che a seguito di una prima indagine psicosociale la minore è rientrata a casa e il servizio sociale su mandato della procura per i minorenni è stato incaricato di supportare e monitorare l’intero nucleo familiare attraverso dei colloqui di sostegno rivolti ai genitori e alla minore.



Anastasia, 1 anno
Un mercoledì pomeriggio chiama un signore, dalla regione Lazio, per segnalare una situazione di forte pregiudizio a danno di una bambina, Anastasia, di origine rom. Anastasia avrebbe circa un anno e sarebbe stata ospite presso una casa famiglia in cui il chiamante si reca ogni tanto per motivi lavorativi.
Nella stessa casa famiglia vivrebbero altri fratelli di Anastasia su affidamento del Tribunale per i Minorenni. Il chiamante riferisce di essere molto preoccupato poiché da qualche mese Anastasia non vive più in casa famiglia e che, il giorno prima di contattare il 114, l’ha vista, intorno alle 13.30, con la madre presso la stazione ferroviaria della propria città. A tal proposito afferma: “c’era molto caldo e Anastasia piangeva forte, puzzava di pipì, era sporca di rigurgito, aveva le orecchie nere ed era cianotica. Sono molto preoccupato perché la bambina è cardiopatica e ha subito un intervento al cuore pochi mesi dopo la nascita”. Il chiamante racconta che, in alcune occasioni, si è offerto anche di aiutare la madre di Anastasia poiché la minore piangeva, aveva fame ed era pallida, ma la signora ha sempre rifiutato un aiuto.
Nell’ottica della costruzione di un percorso di tutela psicofisica della minore si informa il chiamante che il 114 provvederà ad attivare le agenzie competenti sul territorio rimandando al tempo stesso l’importanza di recarsi personalmente presso i Servizi Sociali Comunali della propria città per segnalare quanto riferito.
A seguito di questa segnalazione, il 114 provvede ad attivare nell’immediato i Carabinieri di zona con i quali si concorda il coinvolgimento dei Servizi sociali e della Procura c/o il Tribunale per i Minorenni.
Qualche giorno dopo perviene al 114 la chiamata della Responsabile della casa famiglia che ha ospitato Anastasia. La chiamante spiega, che il nucleo della minore, di origine rom, è composto dai genitori della minore e da altri 9 figli. Dal racconto emerge che Anastasia ha vissuto in un container sporco, ma successivamente la madre ha deciso di portarla presso la Casa Famiglia, in cui erano già ospiti altri cinque fratelli per un Provvedimento del Tribunale per i Minorenni. La chiamante riferisce, in particolare: “Anastasia è stata portata in casa famiglia dai genitori con la richiesta di prenderci cura di lei in quanto necessitava di particolari cure mediche e di una casa accogliente. Nel frattempo ho avvisato i Servizi Sociali, ma la mamma ha deciso di venirla a prendere improvvisamente e così, non avendo ancora alcun decreto di affidamento, abbiamo dovuto restituire la piccola alla madre. Sono preoccupata perché ho saputo che la mamma di Anastasia si è separata dal marito, non ha una fissa dimora e al momento si sarebbe spostata in un’altra città. L’ultima volta che ho visto Anastasia è stata due sabati fa; in quella occasione la bimba aveva la bronchite, non portava il pannolino ed era arrossata da metà inguine sino alla coscia; in più ho notato un ematoma sulla fronte e un livido sotto l’occhio”. Da quanto riferito dalla chiamante, da quel giorno la madre della minore non è più andata a trovare gli altri figli. La Responsabile aggiunge, infine, come ulteriore elemento di preoccupazione che Anastasia a breve dovrebbe effettuare un controllo cardiologico e teme che la madre non l’accompagni considerato che la bambina, dopo l’uscita dalla comunità non è più stata sottoposta né alla visita pediatrica periodica, né alle dovute vaccinazioni.
Ci informa inoltre che, i Servizi Sociali Comunali coinvolti hanno fatto richiesta di affidamento al Tribunale per i Minorenni.
Si condivide con la chiamante il percorso di tutela intrapreso dal 114, rimandando l’importanza di recarsi personalmente presso le agenzie già coinvolte sul caso.
A seguito della nuova segnalazione, il 114 ricontatta i Carabinieri per fornire gli aggiornamenti del caso. Sulla base dei nuovi elementi si decide insieme al maresciallo di aggiornare i servizi sociali coinvolti e attivare la stazione dei carabinieri del comune in cui presumibilmente si troverebbero al momento la madre e la minore.
Il giorno successivo, i Servizi Sociali contattano il 114 per riferire che la madre della minore ha provveduto a mettersi in contatto con loro per comunicare che si trova adesso presso un campo nomadi di un’altra città. Per tale motivo, il Servizio Sociale Comunale ha provveduto a mettersi in contatto con il Servizio Sociale territorialmente competente girando loro le nostre precedenti segnalazioni.
Inoltre, l’assistente sociale ci informa di aver da poco ricevuto un decreto da parte del Tribunale per i Minorenni, che affida la bambina al loro servizio.
Da un ultimo follow-up effettuato con l’assistente sociale di riferimento si apprende che il loro servizio ha intrapreso un percorso di tutela e sostegno della minore e dell’intero nucleo familiare attraverso un lavoro di rete con l’altro servizio sociale del comune in cui risiede adesso la minore.
Ci viene riferito che la minore adesso sta abbastanza bene, ha effettuato la visita di controllo prevista ed è in discrete condizioni igieniche.



Giuseppe
Il Telefono Azzurro gestisce situazioni di grave disagio che coinvolgono bambini e adolescenti. E’ in grado di parlare con loro. Li aiuta ad uscire da situazioni che si protraggono da tempo, avvalendosi non solo dell’esperienza dei propri operatori, ma anche di tutte le professionalità presenti nei luoghi in cui vivono. Ne è un esempio il caso di Giuseppe, un adolescente di 16 anni che chiama un pomeriggio di giugno per raccontare gli abusi sessuali subiti dal padre. Giuseppe vive con la mamma e una sorella maggiore da quando i suoi genitori si sono separati, circa dieci anni fa: il padre ha acquistato un nuovo appartamento e si è rifatto una vita con un’altra donna, dalla quale ha avuto un bambino. Giuseppe anche dopo la separazione, incontra regolarmente il padre ogni quindici giorni. Proprio a casa del padre avvengono gli abusi. In modo molto freddo e distaccato, Giuseppe racconta che il padre gli diceva “Sono cose normali tra padre e figlio, lo fanno tutti…”. Per tanti anni il ragazzo crede alle parole del padre e alle sue spiegazioni. Durante le scuole elementari emergono però le prime difficoltà scolastiche e Giuseppe inizia ad usufruire del supporto di una psicologa, alla quale però non racconta nulla. Solo con l’adolescenza, ascoltando i racconti dei coetanei sulle prime esperienze sessuali, Giuseppe capisce che la sua storia è diversa dalle altre. Si rivolge al padre per chiedergli spiegazioni, ma quest’ultimo si innervosisce e gli vieta di parlarne con altri; gli dice che se racconterà quello che hanno fatto insieme sarà allontanato dalla madre. Dopo questa risposta Giuseppe trova il coraggio di interrompere definitivamente i rapporti con il padre e scrive una lettera alla sorella, al quale rivela l’intera vicenda. Poi chiama il Telefono Azzurro, dicendo: "sento il bisogno di sfogarmi e temo che mio padre faccia lo stesso con il figlio della sua nuova compagna”, “voglio denunciarlo ma non so cosa fare”. L’operatore del Telefono Azzurro raccoglie il racconto di Giuseppe, ascolta con rispetto la sua storia, lo sostiene nei momenti di silenzio e di sofferenza. Sa che non è facile esprimere le violenze subite, dunque, rispetta i tempi del suo racconto e le sue emozioni. Grazie alla relazione di fiducia che lentamente si instaura con l’operatore di Telefono Azzurro, Giuseppe riesce, forse per la prima volta, ad esprimere il suo dolore, i suoi timori, il suo bisogno di essere rassicurato, protetto e aiutato. Solo quando l’operatore comprende che Giuseppe è pronto ad iniziare anche il percorso della denuncia, gli spiega che esistono specifiche figure professionali che intervengono in queste situazioni, avviando le indagini e ed adottando tutti i provvedimenti utili a tutelare lui ma anche altri bambini eventualmente coinvolti. Gli spiega anche che il Telefono Azzurro lo accompagnerà e lo sosterrà in tutte le fasi che seguiranno la denuncia. Qualche giorno dopo Giuseppe richiama per riferire di essere stato convocato per un colloquio presso la Polizia Giudiziaria, è agitato e non sa come comportarsi. Anche questa volta l’operatore di Telefono Azzurro ascolta le sue paure, lo rassicura e gli fornisce tutte le informazioni utili a capire e ad affrontare questo evento. Lo aiuta anche a comprendere che in questo percorso non sarà solo, perché oltre al Telefono Azzurro ci saranno accanto a lui altre persone di cui può fidarsi e che possono sostenerlo con il loro affetto, soprattutto la sorella e la madre.



Lamya
Un giovedì sera, intorno a mezzanotte, perviene sulla linea 114 Emergenza Infanzia la chiamata di un signore egiziano, padre di 4 figli, che risiede in un piccolo paese del veneto. Il signore racconta che la figlia Lamya di 16 anni non è più rientrata a casa dalla mattina alle 8.00, quando è uscita per andare a scuola. Il padre racconta subito all’operatrice di avere un rapporto difficile con la figlia adolescente: litigano sempre, soprattutto su questioni religiose e al padre non piacciono le abitudini che ultimamente Lamya, insieme agli amici, ha iniziato ad assumere. Dice ad esempio “stanno fuori fino a tardi, bevono alcool e fumano”. Riferisce anche che la ragazza da qualche mese è seguita da un assistente sociale del comune e da uno psicologo scolastico, per le difficoltà con i genitori che si protraggono da tempo.Il padre è agitato e arrabbiato con Lamya che gli “manca di rispetto” e fin da subito non sembra essere molto preoccupato per la figlia, in giro da sola e che non risponde al cellulare. L’operatrice sottolinea la necessità di avvisare tempestivamente le Forze dell’Ordine della scomparsa di Lamya, ma l’uomo non accetta il suggerimento di presentarsi alla caserma più vicina. L’operatore del 114, secondo procedura, procede con un’immediata segnalazione, contattando i Carabinieri di zona e concordando con loro di rimanere in contatto per eventuali aggiornamenti.Poco dopo, sempre sulle linee del 114 arriva la chiamata di Lamya che, in lacrime, chiede aiuto: chiama da una cabina telefonica, è sola, fuori casa da più di 12 ore e ha paura di rientrare perché teme la reazione violenta del padre. Poco prima è riuscita a contattare telefonicamente la madre, che le ha suggerito di chiamare il 114, già informato della sua situazione. L’operatrice, dopo aver tranquillizzato la minore, si accerta del suo stato di salute fisica e identifica il luogo in cui si trova. L’operatrice del 114 richiama immediatamente i Carabinieri e, contemporaneamente, cerca anche di capire i motivi della fuga: scopre così che il padre picchia Lamya quasi ogni giorno, ma nessuno si è mai accorto dei segni e dei lividi che ha sul corpo poiché indossa il velo integrale. Questa situazione si protrae da lungo tempo, ma la ragazza non ha mai trovato il coraggio di parlarne con nessuno. Quando le Forze dell’Ordine giungono sul posto, poiché Lamya ha un labbro gonfio, il carabiniere e l’operatrice del 114 condividono la necessità di accompagnare la minore al pronto soccorso per degli accertamenti. Intorno alle 3.30 il carabiniere chiama il 114 per informarlo che Lamya è stata visitata e oltre ad aver riportato segni evidenti di percosse, è molto scossa per l’accaduto: i medici, infatti, hanno deciso di tenerla sotto osservazione per la notte, avvisando la madre.Nel frattempo si decide, con i Carabinieri, di segnalare la situazione al sostituto procuratore minorile di turno, il quale, la mattina successiva fa in modo che venga emesso un provvedimento di allontanamento del padre dall’abitazione familiare per tutelare moglie e figli. Nella stessa mattina, in accordo con la Procura, il 114 aggiorna anche i servizi sociali che già seguivano la minore, per informarli di quanto accaduto la notte precedente e consentire loro di ridefinire il progetto di presa in carico.




Sara
A volte pochi dettagli, apparentemente trascurabili e magari casualmente osservati da un vicino di casa, bastano a far emergere situazioni di grave disagio. Il 114 raccoglie tutte le segnalazioni, qualsiasi elemento possa far supporre che un bambino vive una situazione di pregiudizio. I vicini di casa, come mostra il caso che segue, possono essere osservatori attenti e preziosa fonte di informazioni. È un pomeriggio di fine agosto quando giunge sulle linee del 114 Emergenza Infanzia la chiamata di una signora sarda, che riferisce una grave situazione di disagio in cui è coinvolta una ragazzina di 12 anni, di nome Sara, che abita nella sua palazzina.La storia che pian piano si delinea ha luogo in una casa apparentemente abbandonata. La chiamante dice infatti: “pensavo che non abitasse più nessuno in quella casa, sembra sigillata, la porta, i balconi e le finestre sono sempre chiusi … ieri, però, ho visto uscire una bambina di corsa….non si è fermata neanche un minuto, era magra, vestita con abbigliamento invernale ed era sporchissima”. Riferisce di aver subito parlato con alcuni vicini: questi ultimi le confermano che l’appartamento in realtà è ancora abitato da una donna e da una bambina, rimaste sole dopo un divorzio. I vicini dicono anche di sentire spesso i pianti della bambina, il suo ripetere continuamente di essere affamata e le brusche risposte della madre.Qualche mese prima, insospettito dall’improvvisa scomparsa del nucleo, un vicino aveva contattato le Forze dell’Ordine che si erano recate sul luogo, trovando però l’appartamento disabitato. Sulla base degli elementi raccolti durante la telefonata il 114 decide di inoltrare un’ immediata segnalazione alla Procura presso il Tribunale dei Minorenni e ai Servizi Sociali di competenza. Il giorno seguente l'assistente sociale, su mandato della Procura, interviene sul posto con l'aiuto delle Forze dell’Ordine. Questa la situazione che si presenta ai loro occhi: la casa sporca e al buio, la madre in stato confusionale, Sara denutrita, impaurita, chiusa in casa da circa un anno, privata della possibilità di frequentare la scuola. In seguito alla segnalazione del 114 e all’intervento dell’assistente sociale e delle Forze dell’Ordine, il Tribunale per i Minorenni dispone una collocazione immediata di Sara presso una casa famiglia, chiedendo anche un percorso di valutazione e di cura per la madre.



Alessia
Alessia ha 3 anni, dopo la separazione dei suoi genitori vive con la madre e la sorella di 14, trascorrendo con il padre solo alcune ore durante i fine settimana. Una domenica sera, la madre di Alessia chiama il 114 Emergenza Infanzia, sconvolta e ancora incredula per il racconto che la figlia le ha appena fatto, al rientro dal fine settimana trascorso con il padre. La signora riferisce le esatte parole della figlia: “Io e il papà stavamo guardando la televisione. Lui era nudo e io avevo il pigiama. Mi ha toccato la fragolina e voleva che toccavo il suo pisellino”. Questa è la prima volta che Alessia riferisce un episodio del genere: non ha mai manifestato alcun tipo di disagio né ha mai rifiutato di andare dal padre. La signora descrive però l’ex marito come una persona violenta: in passato lei stessa era stata picchiata diverse volte al punto da romperle un braccio.L’operatrice cerca di calmare la signora, al fine di raccogliere il maggior numero di elementi utili a comprendere la situazione e ad intraprendere un percorso di tutela per la bambina. Il 114, oltre a segnalare immediatamente l’accaduto alle Forze dell’Ordine, invita la signora a recarsi personalmente a sporgere denuncia, raccontando direttamente in Questura quanto riferitole dalla figlia. L’operatrice le fornisce, inoltre, alcune informazioni utili a comprendere l’iter giudiziario che farà seguito alla sua denuncia. Dopo un’iniziale diffidenza, la chiamante accetta e si reca in Questura. L’operatrice del 114 contatta la IV Sezione della Squadra Mobile, specializzata per questo tipo di reati: con l’ispettrice si decide di fissare, in tempi brevi, un ascolto protetto della minore, garantendo la presenza di una psicologa esperta per condurre il colloquio. In accordo con la Polizia, il caso viene trasmesso alla Procura, che avvia le indagini sul caso.



Karin
Karin è un’adolescente di origine pakistana e ha13 anni. Ha lasciato il suo paese da circa 5 anni e ora vive in Italia insieme al padre, la madre e i fratellini più piccoli. L’inserimento a scuola non è stato facile ma dopo un primo periodo di adattamento, Karin è riuscita ad integrarsi con i compagni, superando le iniziali difficoltà con la lingua e riuscendo ad ottenere dei buoni voti. Da circa 3 mesi, però, Karin non frequenta più la scuola: la madre infatti ha trovato lavoro e lei deve svolgere al suo posto i lavori domestici e prendersi cura dei fratellini per tutta la giornata. Quando chiama il Servizio 114 Emergenza Infanzia, una mattina di febbraio, Karin è disperata e piange: i suoi genitori sono molto severi e ogni volta che non riesce a portare a termine tutte faccende domestiche, viene picchiata dal padre con un bastone. La situazione è aggravata dalla sensazione di solitudine che la ragazza vive, sicuramente amplificata dal non poter più frequentare la scuola: le mancano i compagni, la loro amicizia e il rapporto con gli insegnanti, divenuti in breve tempo importanti punti di riferimento. Inoltre, le dispiace non poter più continuare gli studi perché le piaceva studiare e apprendere sempre nuove cose sulla cultura e la lingua italiana. Oltre a non poter più andare a scuola, non ha neppure il permesso di uscire di casa senza il consenso dei genitori: per questo motivo non sa a chi poter rivolgersi per chieder aiuto e ripete più volte di essere esasperata dalla situazione al punto da pensare di fuggire di casa. E’ anche terrorizzata all’idea che i genitori vengano a sapere che ha telefonato al 114. L’operatore rassicura la minore, spiegandole che è possibile contattare operatori specializzati che conoscono il modo per aiutare adolescenti in difficoltà, che vivono la sua stessa situazione. Data la gravità degli elementi riferiti e la richiesta di aiuto di Karin, l’operatore del 114 inizia a costruire un percorso di tutela, coinvolgendo le istituzioni che possono intervenire. A tal fine si attiva immediatamente la Procura presso il Tribunale per i Minorenni che affida ai servizi sociali del Comune l’incarico di un’immediata visita domiciliare e più in generale un’indagine psicosociale sul nucleo. Viene inoltre segnalata la situazione anche alla Procura presso il Tribunale Ordinario per maltrattamenti nei confronti della ragazza.Dopo pochi giorni, valutata la gravità degli elementi emersi dalla chiamata al 114 e raccolti dall’assistente sociale, viene disposto un collocamento in comunità di Karin, con un percorso di sostegno specifico, provvedendo anche al suo reinserimento scolastico.



Alberta e Stefania
E’ un giovedì sera e alle 22.30 arriva al 114 la telefonata di una signora spaventata da quanto sta accadendo in un appartamento vicino: si sentono urla, pianti e rumore di oggetti rotti.
Non è la prima volta che succede, sono ormai tre mesi che, ogni sera, si ripete la stessa storia: marito e moglie litigano violentemente mentre le figlie, di 5 e 3 anni, assistono alla scena. La situazione che riferisce la chiamante è “più violenta del solito”: le urla della piccola sembrano non smettere più e la mamma, nel tentativo di scappare, salta addirittura sul suo terrazzo, seguita dalla bambina più grande.
Davanti a questa scena, la vicina decide di chiamare il 114: la mamma delle bambine le ha più volte confidato la sua intenzione di separarsi, ma sembra mancarle il coraggio. In più di un’occasione, ha chiamato le Forze dell’Ordine ma non è mai riuscita a denunciare il marito per i maltrattamenti subiti, né si è mai recata in un ospedale per medicarsi.
Il 114 decide di allertare subito le Forze dell’Ordine e dopo pochi minuti arriva sul posto una volante della Polizia. La Polizia spiega di conoscere bene la famiglia e di essere intervenuta in diverse occasioni: al loro arrivo, però, la situazione era sempre tranquilla, anche tra i due coniugi.
La Polizia condivide allora con il 114 la necessità di segnalare la situazione ai Servizi Sociali. La mattina dopo il 114 chiama i Servizi Sociali del Comune, che definiscono un piano d’intervento per tutelare le bambine, coinvolgendo anche il Consultorio Familiare e un centro per donne maltrattate.
A distanza di due settimane, i servizi socio-sanitari informano il 114 che la madre si è decisa a sporgere denuncia contro il marito, andando a vivere in un’altra abitazione, e che ha iniziato dei colloqui di sostegno con una psicologa del Consultorio. Anche le bambine stanno per iniziare alcuni colloqui di valutazione presso un neuropsichiatria infantile.




Milano - Un percorso di mediazione familiare

In un tardo pomeriggio di Dicembre perviene sulla Linea 114 Emergenza Infanzia la chiamata di una signora molto agitata, la quale è preoccupata perché poco prima il marito, al termine di un’accesa lite con lei, ha trascinato in macchina suo figlio di 5 anni, in lacrime. Il marito se ne è andato in preda all’ira, dicendole che non le avrebbe più fatto rivedere il bambino. La signora ha provato più volte a telefonare al marito, ma quest’ultimo ha il cellulare spento.
La chiamante descrive una stato di disagio cronico e di alta conflittualità tra lei ed il marito; i litigi sono frequenti e tutte le volte che lei tenta di andarsene di casa, il marito la minaccia. I bambini assistono alle continue liti tra i genitori e reagiscono piangendo. Aggiunge: “non ho il coraggio di andarmene perché temo di non farcela con i soldi e perchè spero sempre che lui cambi”.
In base agli elementi emersi nella telefonata, il Servizio 114 decide di contattare gli agenti di Polizia in emergenza, i quali appreso del forte stato di scock della chiamante decidono di recarsi presso l’abitazione della signora per calmarla e recuperare maggiori informazioni utili all’avvio della ricerca dei minori.
Nel frattempo il marito ricontatta la chiamante per avvisarla che stà per rientrare a casa e che i bambini stanno bene.
Il Servizio 114, in accordo con le Forze dell’Ordine e con la chiamante attiva un consultorio familiare in cui sarà possibile per la coppia intraprendere un percorso di mediazione familiare.



Milano - Sostegno psicologico a due minori

E’ una mattina di Luglio, chiama il 114 Emergenza Infanzia una signora preoccupata per la situazione vissuta dai nipoti di 6 e 12 anni a causa dei comportamenti violenti del fratello.
La chiamante molto agitata e spaventata, inizia a raccontare di come il fratello,spesso, sfogherebbe la sua rabbia verso i figli: “ a volte li picchia sulla testa e li strattona con forza finché interviene la madre per difenderli.”
La signora è la prima volta che chiede aiuto: sono stanca, non è giusto che continuino a vivere così.
Ad un certo momento della telefonata squilla il cellulare della chiamante: è mio nipote che mi chiede di andare da loro perché il padre è appena tornato a casa ed ha cominciato a trattare male il fratello. Dice che ha paura che succeda qualcosa di brutto. Aiutateli per favore!
Il Servizio 114 invia tempestivamente le F.O e concorda con i Carabinieri, intervenuti sul posto, l’attivazione della Procura presso il Tribunale per i Minorenni e della Procura presso il Tribunale Ordinario e l’attivazione dei Servizi Sociali di riferimento per costruire un intervento di supporto immediato, per i minori coinvolti.
Dopo alcuni giorni, il 114 contatta l’Assistente Sociale che ha preso in carico il nucleo. Si apprende così che il padre dei minori è stato allontanato da casa e che entrambi i bambini hanno cominciato un percorso di sostegno psicologico.



Neonata di 10 giorni fuori pericolo grazie a Telefono Azzurro

12 Agosto - Provincia di Napoli
Da una segnalazione anonima al Servizio Emergenza Infanzia 114 gestito da Telefono Azzurro, grazie alla collaborazione con le forze dell'ordine e i servizi sociali sul territorio, emerge la situazione di una famiglia con sei bambini in gravi condizioni di trascuratezza. Il caso è ora in mano alla Procura presso il Tribunale dei Minori di Napoli. I bambini sono attualmente al sicuro in un luogo protetto, la neonata fuori pericolo.




Carmen, 16 anni
Una domenica pomeriggio, perviene sulla Linea 114 Emergenza Infanzia la chiamata di una signora da Varese per segnalare la sua preoccupazione per Carmen, una ragazza di 16 anni. Carmen di origine sudamericana, abita in Italia da quattro anni circa con la sorella maggiore, Maria sposata con un italiano. La chiamante, conoscente del nucleo familiare, riferisce: «ho saputo che Carmen, che è sotto la tutela legale della sorella, viene spesso aggredita da quest’ultima con cinghiate e morsi e, nel corso dell’ultima lite è stata inseguita con un bastone. Il marito di Maria, rientrato in casa in quel momento, è riuscito a separarle, permettendo a Carmen di rifugiarsi dai vicini di casa, dove ha trascorso la notte». La signora aggiunge che, pochi giorni fa, la minore le avrebbe confidato il suo desiderio di tornare dai propri genitori: «la ragazza mi ha mostrato delle cicatrici che ha sul corpo, dicendo che sono il risultato delle cinghiate date dalla sorella e, in diverse occasioni, entrambe si sono recate al Pronto Soccorso, ma la sorella ha sempre detto ai medici che i segni erano dovuti a cadute avvenute in circostanze accidentali. Carmen è psicologicamente provata da questa situazione e chiede di tornare dai propri genitori».
La chiamante afferma che i Carabinieri sarebbero a conoscenza della situazione poiché il «marito di Maria si è recato presso la Caserma per sporgere denuncia nei confronti della moglie e chiedere informazioni circa la possibilità, in termini legali, di far tornare Carmen nel Paese di origine, così come da lei stessa richiesto».
Valutati gli elementi di preoccupazione a danno di Carmen, il Servizio 114 contatta i Carabinieri già precedentemente coinvolti, i quali riferiscono di aver ascoltato sia la minore, che ha confermato la situazione di abuso descritta dalla chiamante, sia la sorella maggiore, la quale invece avrebbe a sua volta accusato Carmen di fare uso di sostanze stupefacenti e frequentare cattive compagnie. Oltre al coinvolgimento delle Forze dell’Ordine, il 114 ritiene opportuno contattare anche i Servizi Sociali Comunali, al fine di condividere gli elementi di preoccupazione emersi e valutare il percorso di tutela più idoneo al benessere psicofisico della minore.
In accordo con i servizi sociali si decide di coinvolgere le procure e il consultorio dell’ASL a cui il servizio fa riferimento per la presa in carico dell’intero nucleo.
Da un primo follow-up effettuato dal 114 dopo pochi giorni, si apprende che la minore insieme alla sorella hanno entrambe intrapreso un percorso di sostegno con una psicologa. Quest’ultima ci informa che tra le sorelle ci sarebbe una forte conflittualità accentuata da un periodo di grave stress emotivo che la sorella maggiore sta attraversando. La psicologa ci comunica, inoltre, di avere coinvolto in tale percorso il marito della sorella, come figura adulta di riferimento in grado proteggere e tutelare la minore.
  • 0

:tao: :rose: :mask: :luce: :home1:
Avatar utente
Royalsapphire
Admin
 
Stato:
Messaggi: 13266
Iscritto il: 12/11/2012, 18:07
Località: Svizzera - Italia
Occupazione: Farmacista e Counselor
Citazione: "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo" (Gandhi)
Genere: Femminile

Storie vere su abusi e violenza

Messaggioda Royalsapphire » 19/12/2013, 19:57



La necessità di un maggiore contatto con la vita emotiva da parte degli operatori


Piera è una delle numerose bambine e ragazze che hanno potuto trovare il coraggio e l’occasione di rivelare il loro dramma di bambine abusate sessualmente, utilizzando gli stimoli della nostra proposta e del nostro metodo di educazione sessuale che portiamo avanti nelle scuole come Centro Studi Hänsel e Gretel.
(cfr. C. Roccia, C. Foti, L’abuso sessuale sui bambini. Educazione sessuale, prevenzione, trattamento, Unicopli, 1994). Nel trattamento dei casi di abuso si può massimamente verificare il principio che risulta fondamentale nelle scienze umane e peraltro nella scienza fisica moderna per cui la posizione soggettiva del ricercatore condiziona il risultato della ricerca. In altri termini il principio per cui la soggettività dell’operatore condiziona la risposta dell’utente o del minore a cui l’intervento è rivolto. Se io propongo un metodo di educazione sessuale con una finalità essenzialmente informativa e non già formativa, con un contenuto prevalentemente igienico sanitario e con una metodologia passivizzante basata sulla lezione tradizionale, al termine del mio intervento otterrò le solite domande dei pochi bambini e dei pochi ragazzi
che sono riuscito a coinvolgere, ma difficilmente stimolerò delle rivelazioni autentiche di casi di abuso sessuale. Alla fine potrò anche convincermi che i minori in fondo non sono molto interessati a parlare di sessualità e soprattutto potrò mantenere la convinzione rassicurante che l’abuso sessuale è un fenomeno assolutamente minoritario che non emerge e non riguarda i minori con cui entro in contatto. Se invece propongo un metodo di educazione sessuale basato sul gioco e sull’interazione fra me e il gruppo classe, disponendo peraltro di più incontri a mia disposizione (almeno tre) e se inoltre ho in testa un’idea della sessualità che non prescinda dalla vita emotiva, che non elimini i problemi della relazione affettiva o aggressiva che intersecano necessariamente la sessualità e se infine nel corso del mio intervento scelgo di fare esplicito riferimento al problema dell’abuso sessuale in danno dei minori e ne parlo cercando di
mettermi nei panni dei bambini abusati e della loro indicibile sofferenza, della loro enorme confusione, dei loro terribili sensi di colpa, otterrò che spesso, molto spesso, tragicamente spesso, entrerò in contatto nella mia attività di educazione sessuale con bambini, con bambine, con ragazzi, con ragazze oggetto in varie forme di abuso sessuale.
Piera ha quindici anni e partecipando ad una lezione di educazione sessuale è colpita dall’affermazione della nostra formatrice che dichiara: “La sofferenza di una bambina abusata sessualmente da un adulto è una sofferenza tremenda”. Piera trova la forza per prendere contatto a tu per tu con la formatrice. Per quattro anni, dagli otto agli undici anni, è stata abusata sessualmente dallo zio: i genitori erano troppo impegnati a litigare, a tradirsi, a separarsi e a rimettersi insieme, per accorgersi di cosa stava capitando alla figlia. Quando se ne sono accorti hanno avuto entrambi una reazione di estrema minimizzazione dell’accaduto, continuando a frequentare lo zio e dicendo continuamente a Piera di non farla tanto grossa. “In fondo - dicono i genitori alla terapeuta - è stata solo toccata, masturbata e non altro e poi non può essere vero che i rapporti sessuali sono durati per tanto tempo, e inoltre bisogna maturare, imparare a lasciar perdere, a dimenticare.” Un messaggio diametralmente opposto a quello che Piera ha sentito nel corso dell’educazione sessuale: “La sofferenza di una bambina abusata sessualmente da un adulto è una sofferenza tremenda”. I genitori accettano di portare Piera al nostro Centro, ma alla quarta seduta dichiarano piuttosto infastiditi di voler interrompere i colloqui terapeutici di Piera: “Non guarisce - dicono i genitori -dalla sua depressione, anzi peggiora, invece di cancellare quanto successo con lo zio, torna sull’episodio nonostante siano passati quattro anni. Noi abbiamo portato la bambina sperando che non ne parlasse più, bisogna imparare ad essere forti a controllare i sentimenti più infantili”. Piera invece, stimolata dalle prime sedute terapeutiche, chiede insistentemente alla madre di poterne parlare dopo anni e anni in cui veniva rimproverata e zittita tutte le volte che tentava di affrontare l’argomento. Chiede per esempio alla madre che cosa avrebbe fatto lei al suo posto. “Semplice! - le risponde peraltro la madre - Avrei cercato di non restare in luoghi isolati con lui”. Dunque i genitori di Piera hanno una ricetta che a benvedere in forme particolarmente estreme coincide
con la ricetta della cultura dominante nei confronti del maltrattamento e dei traumi connessi al maltrattamento. Bisogna cancellare la vita emotiva! É la ricetta che inconsapevolmente o consapevolmente sottende tante risposte di psicologi, medici, giudici, e ducatori, operatori sociali e istituzioni varie. Bisogna cancellare la vita emotiva! I genitori di Piera vogliono interrompere il contatto che la figlia ha iniziato a riprendere con i sentimenti conflittuali che avevano accompagnato i rapporti con lo zio, il vissuto doloroso di essere invisibile per la propria madre, la sensazione di essere sacrificata allo zio, il senso di colpa schiacciante per il piacere che talvolta ricercava con lo zio pressata dai suoi ricatti e dal bisogno di cercare in qualche maniera un calore affettivo e un qualche riconoscimento della propria importanza e del proprio valore come persona. I genitori vogliono interrompere la terapia e la seduta si preannuncia come decisiva. O la va o la spacca. O la terapeuta riuscirà a far breccia in qualche modo nella vita emotiva dei genitori stessi e a cogliere le radici emotive del loro atteggiamento difensivo oppure il contatto con Piera e con la sua vicenda sarà irrimediabilmente perso. “Ma cosa avete provato quando avete saputo dei rapporti fra Piera e lo zio? Quali sentimenti avete provato?”, chiede la terapeuta. Si tratta di una domanda che era già stata fatta, ma adesso la terapeuta la propone con più forza e la riprende di fronte al tentativo dei genitori di non rispondere. “Com’è che cambiate argomento, vi ho chiesto di dirmi cosa avete sentito alla notizia dei rapporti sessuali fra lo zio e Piera? Non è possibile che non avete provato delle emozioni... Genitori come voi che vogliono così bene alla figlia da preoccuparsi di lei al punto da portarla da uno psicologo non possono avere il cuore di pietra, non posso crederci”: è l’affondo del terapeuta. A questo punto la madre mostra qualche esitazione: un tremito nel suo atteggiamento così deciso e composto. Si intravede un accenno di pianto. Evidentemente è fondamentale in questi casi decidere di sollecitare a pieno, senza riserve, l’incontro con la vita emotiva dell’interlocutore. Il terapeuta può avere a questo punto lui stesso la tentazione di scantonare dall’incontro per non far entrare nella propria mente il dolore e l’incertezza emotiva del soggetto che gli sta di fronte. Ma un terapeuta in particolare, e più in generale un operatore che tratta un caso d’abuso, non può evitare di assumere nella propria mente una quota del dolore del proprio interlocutore, come mezzo indispensabile per conoscere e per aiutarlo. “Signora, sento che vorrebbe piangere, ho l’impressione che abbia buone ragioni per farlo”. Non solo uno psicoterapeuta, ma anche un operatore che tratta a qualsiasi titolo nell’istituzione sanitaria, scolastica, sociale o giudiziaria un caso d’abuso, deve accettare ed imparare a trattare con le emozioni. Se non lo accettasse sarebbe come un chirurgo che non vuol vedere il sangue, come un meccanico che non vuole sporcarsi di grasso, come un contadino che non vuole vedere i calli nelle proprie mani.
La madre di Piera attraverso il contatto con la propria vita emotiva riesce a chiarire il senso del proprio atteggiamento di minimizzazione estrema della sofferenza della figlia. Ella stessa si sentiva terribilmente in colpa per quanto accaduto a Piera. Gli anni dell’abuso della figlia sono stati gli anni delle più aspre divergenze sentimentali e coniugali fra lei e il marito. Minimizzando e rimuovendo l’accaduto, tentava di minimizzare e di rimuovere il proprio senso di colpa. Per raggiungere questo obiettivo, in piena sintonia con il marito, si era convinta che l’unico modo per aiutare la propria figlia fosse quello di aiutarla a dimenticare o meglio a cancellare l’esperienza, al punto di contrastare le stesse percezioni della figlia circa la gravità del rapporto con lo zio e circa la stessa durata di questo rapporto (quattro anni e non sei mesi, come sostenevano i genitori!). “Noi pensavamo - essi dichiarano - che se la convincevamo a ridimensionare quanto successo l’avremmo sollevata psicologicamente”.
Freud diceva che gli isterici soffrono di reminiscenze e affermava giustamente la necessità terapeutica di ricordare, di ripetere, di rielaborare. Possiamo affermare che le vittime di abuso soffrono per non poter ricordare, per non poter “ripetere” attraverso il racconto l’accaduto, per non poter rielaborare l’accaduto e i sentimenti da esso generati di fronte alla presenza empatica di un interlocutore.
  • 0

:tao: :rose: :mask: :luce: :home1:
Avatar utente
Royalsapphire
Admin
 
Stato:
Messaggi: 13266
Iscritto il: 12/11/2012, 18:07
Località: Svizzera - Italia
Occupazione: Farmacista e Counselor
Citazione: "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo" (Gandhi)
Genere: Femminile


Torna a Forum di aiuto su Abusi sessuali e sulla Violenza fisica e psicologica

Chi c’è in linea in questo momento?

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

Reputation System ©'