L'educatore professionale e l'abuso sessuale minorile

Scheletri nell'armadio. Questa piccola stanza di MyHelp è accogliente come una caramella buona.
Sei vittima di abusi? Parlane su MyHelp con chi sa capirti. Potrai aiutare chi si trova nella tua stessa situazione.
Gli stupri e la violenza fisica su donne e minori sono all'ordine del giorno. A chi è, o è stato, vittima di maltrattamenti, diciamo: DENUNCIATE !!! Avete il potere e il diritto di difendervi!! E non sarete soli nel pericolo!

Moderatore: elle8n

L'educatore professionale e l'abuso sessuale minorile

Messaggioda Royalsapphire » 27/05/2014, 10:22



Cercare di approfondire la conoscenza sul ruolo dell’educatore professionale implica affrontare l’idea diffusa che l’educatore non sia diverso da un adulto responsabile.

Suddetta similitudine talvolta sembra inevitabile e risulta innegabile, soprattutto in una struttura quale la comunità, che incorpora nel suo essere un ambiente e delle abitudini comunemente familiari.
In alcuni gesti, comportamenti e decisioni la comparazione può essere corretta, ma è il senso, l’intenzionalità, le premesse, le competenze, che rendono professionale il ruolo degli operatori. In questo capitolo vorrei concentrarmi su uno degli aspetti protagonisti del lavoro degli operatori in una struttura come quella in cui ho potuto sperimentarmi, la quotidianità, che diventa strumento importante ed indispensabile per imparare a fare e imparare ad essere.

Tale parola favorisce quanto detto sopra, sollecitando i pregiudizi che vedono importanti ed efficaci gli interventi da prima pagina e banali quelli basati sul “vivere insieme”. Vorrei pormi nella condizione di pensare alla comunità non solo come contenitore del lavoro educativo con i minori, ma anche alla comunità come metodo e strumento di lavoro. “Per quanto riguarda l’aspetto della quotidianità, l’educatore viene descritto come l’operatore che dispone di maggiori informazioni dirette sugli atteggiamenti e le azioni quotidiane del minore, così come sui suoi vissuti più profondi, percepibili in alcuni momenti centrali e intimi della vita quotidiana… per questo motivo è in grado di dare un contributo importante, accanto a quello delle altre figure professionali, alla descrizione delle sue condizioni psicofisiche” .

Questo aspetto non si conclude con una mera partecipazione attiva, ma implica diverse sfaccettature, a volte rischi o scogli, che concorrono a rendere autentica la relazione educativa. Vivere insieme, condividere spazi, tempi, oggetti comuni e personali necessita di una serie di conoscenze e competenze che favoriscano una evoluzione nel pieno rispetto di tutti gli attori implicati.
È importante premettere che gli operatori inseriti in una struttura come la comunità sopra citata, si trovino a dover fronteggiare e capire due condizioni delle ragazze: l’essere adolescenti e l’aver vissuto esperienze di maltrattamento e/o abuso.

Questo pone l’attenzione su diverse problematiche e differenti comportamenti, alcuni dati dall’età, altri dati dai singolari vissuti. Relazionarsi con le minori in questione implica capacità di ascolto, osservazione, accoglienza, ma anche, la capacità di assumere atteggiamenti di tutela, che comprendano la possibilità di offrire dei limiti, dei vincoli.
Una delle difficoltà dettate dal fatto di considerare le ragazze come vittime, può divenire quella di essere portati a mettersi totalmente dalla loro parte, rischiando di passare da una situazione di accoglienza, ad una situazione di accondiscendenza su tutto.

Riguardo a tale aspetto, può essere utile riflettere sull’idea di non considerare le utenti immesse solo in un periodo di crisi o in una fase patologica, cercando di impostare gli interventi secondo un modello pedagogico più che psicoterapeutico, tendendo cioè a sollecitare le potenzialità, anziché cercare di compensare o ridurre le carenze.

Considerare un sistema relazionale disfunzionale permette agli operatori di non individuare solo una vittima e un colpevole, permette di non giudicare ed estromettere l’abusante, permette di tenere insieme i pezzi di una storia dolorosa che è già sufficientemente frammentata.

Valorizzare i punti di forza, le prospettive positive non significa sminuire ciò che è stato e le sofferenze presenti, vuol dire riuscire a superare quello stato di impotenza e di vittimismo che attanaglia sia le ragazze che gli adulti competenti. Per far questo è necessario nominare e rielaborare le proprie paure, i limiti, le incertezze, i sentimenti.

Trattenere sentimenti di stanchezza, di intolleranza, può diventare una bella copertura sulla carta, ma può compromettere l’aiuto reale necessario; qui, più che mai, l’epoché (sospensione del giudizio) sembra diventare protagonista e rilevatore di problematicità. “Gli educatori delle comunità hanno il difficile compito di accogliere e identificare le esigenze e i problemi complessi di questi minori per poi elaborare adeguati interventi di cura e protezione, aiutandoli così a ricostruire una personalità che la violenza subita ha di solito frantumato.

La quotidianità e la familiarità ordinata, corretta e affettivamente investita, vissute dai minori abusati nel rapporto con gli educatori, sembrano avere in questo senso una particolare valenza terapeutica.”

Il cuore dell’azione educativa sta nella capacità di dare un senso a ciò che avviene, a gesti comuni e consueti. Il vivere insieme permette un esercizio continuo di esplorazione, ascolto, comprensione e riconoscimento, momenti che acquistano una valenza educativa se l’educatore riesce a condurre la minore ad una crescita (maturazione), alla scoperta di sé e degli altri.

Ripensare e attribuire significato agli eventi della giornata, può aiutare la rielaborazione di esperienze presenti e passate, al fine di favorire una maggiore capacità di affrontare gli avvenimenti ed i dati del presente e del futuro. “Abitare insieme” fa emergere diversi fattori che caratterizzano l’intreccio tra la propria storia e quella degli altri; il sentimento di appartenenza, l’autonomia di ognuno, la collaborazione, il bisogno ed il dovere di rispettare delle norme, i limiti dati dai bisogni di altri, il rispetto nella sua più larga accezione (della persona, dell’ambiente, di sé, delle regole….).

La giornata in comunità è scandita da eventi tradizionalmente familiari, la colazione, il pranzo, la cena… Sta proprio nella relazione con gli altri e con gli educatori la differenza, condizionata dalla capacità di far rispettare le regole e, al contempo, di sviluppare quella parte di cura e accoglienza utile a ricostruire relazioni significative.

Al mattino l’operatore sveglia le ragazze e prepara loro la colazione, si va a scuola, al lavoro, si pranza e si cena tutti insieme, mangiando ciò che l’educatore con alcune ospiti hanno cucinato, si provvede agli acquisti, alle faccende domestiche, si studia, si ascolta la musica e si balla, si guarda la televisione, alle volte ci si innervosisce e si tirano calci, si rompono vetri, si piange, si cercano coccole…

Questa semplice vita ordinaria, con i suoi gesti, con i suoi rapporti, con la sua organizzazione, costituisce la prima occasione per imparare a governare il dato di realtà, introducendo la dimensione relazionale e progettuale nel proprio agire e nella propria esistenza.
Questa tipologia d’utenza ha delle difficoltà ad addormentarsi e a dormire serenamente, la notte risveglia pensieri, angosce, paure, solitudine; a tal proposito risulta importante l’accompagnamento al sonno, attraverso chiacchiere e coccole.

Ciò mette in gioco elementi quali la vicinanza, l’accoglienza, implicando anche un alto coinvolgimento emotivo ed affettivo. L’obiettivo a questo punto è quello di accompagnare i minori a superare i traumi che impediscono di vivere serenamente il momento specifico.
Al minore abusato vengono offerte occasioni concrete e quotidiane di condivisione dei propri sentimenti di rabbia, dolore, collera, impotenza, prodotti dal trauma dell’abuso, con un adulto capace di tollerarli mentalmente e di aiutarlo a compiere i primi passi verso la rielaborazione costruttiva dell’esperienza subita.

Quanto detto fino ad ora avvale la tesi che le funzioni dell’educatore si esercitano quasi essenzialmente nelle strutture residenziali. La quotidianità da risorsa e strumento diventa l’unico ambito di esplicazione del lavoro dell’educatore. Simona Barberis, educatrice professionale di Torino, per la progettazione d’interventi educativi di prevenzione dell’abuso sessuale rivolti ai minori, a tal proposito scrive: “Nell’ambito delle attuali esperienze ed iniziative sulle problematiche dell’abuso sessuale, l’educatore professionale sembra essere una delle figure meno presenti, sia a livello di ricerca teorica e di ipotizzazione degli interventi, sia a livello della loro realizzazione concreta sul territorio".



istituto-meme.it
  • 1

:tao: :rose: :mask: :luce: :home1:
Avatar utente
Royalsapphire
Admin
 
Stato:
Messaggi: 13266
Iscritto il: 12/11/2012, 18:07
Località: Svizzera - Italia
Occupazione: Farmacista e Counselor
Citazione: "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo" (Gandhi)
Genere: Femminile

Torna a Forum di aiuto su Abusi sessuali e sulla Violenza fisica e psicologica

Chi c’è in linea in questo momento?

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

Reputation System ©'