Solo un piccolo sfogo

E’ difficile iniziare a scrivere, perché non so onestamente come farlo. Non è un mistero che sia immensamente più facile raccontare qualcosa che non ci riguarda direttamente, che magari sia soltanto frutto della nostra fantasia… non è questo il caso; e sono perfettamente consapevole di avere solo due possibilità: scegliere di battere sulla tastiera tanto velocemente da non poter nemmeno rileggere quello che scrivo, oppure chiudere la pagina e lasciar perdere tutto. Non sarebbe la prima resa, in fin dei conti.
Essere vittima di uno stupro, purtroppo, al giorno d’oggi non è certo una cosa fuori dall’ordinario. I numeri delle violenze sessuali sono talmente elevati da essere raccapriccianti. Ne sono stata vittima anche io, ormai molti anni fa. Sono passati dieci anni… tanti, troppi, mi dico sempre. Ogni volta che ci penso non faccio che ripetermi che è assurdo continuare a provare dolore, perché sarebbe il momento di andare avanti e dimenticare. Forse non sono abbastanza forte, o forse ho semplicemente fatto tutto nel modo sbagliato… una parte di me è profondamente convinta che la colpa sia soltanto mia, anche se non ero che una bambina. E’ una parte completamente folle, irrazionale, con cui non si può discutere in alcun modo:
“Cosa potevo fare?” mi chiedo. E non c’è risposta, ma il senso di colpa permane, mi schiaccia.
Ho ricordi confusi di quella sera, e metterli insieme si fa con il tempo sempre più complicato; si sono ormai ridotti ad un insieme di sensazioni, di percezioni: la musica a volume troppo alto, la calura estiva a soffocare l’ambiente, il tentativo di parlare al di sopra di tutto quel frastuono. Chiudo gli occhi, torno a quegli istanti e dico a me stessa di correre via, di scappare, di non seguirlo… perché seguirlo è una cosa talmente stupida, talmente ingenua e banale! E poi? Ricordo vagamente l’odore di chiuso che c’era in stanza, la luce che si accende, la sua mano sulla bocca. Ricordo di aver provato a morderla, ma non ne sono nemmeno più così sicura. Non so quanto sia durato… non avevo concezione di nulla, se non del dolore lancinante, della paura di morire lì, dei suoi occhi azzurri pieni di un’espressione indefinibile che ricorderò fino all’ultimo giorno della mia vita. Lui è uscito con naturalezza, relegandomi ad una piccola parentesi che probabilmente nemmeno ricorda. Mi ha dato le spalle, se ne è andato, e io sono uscita dalla sua vita. Lui, però, non è mai uscito dalla mia. A volte penso che vorrei vederlo… dirgli quello che ha lasciato indietro, quando se ne è andato, con le sue minacce e il suo sguardo incurante. Che ha lasciato su quel letto una bambina troppo spaventata per poter piangere, mezza svestita, sanguinante e dolorante; che quella bambina non sarebbe stata più la stessa persona, che sarebbe cambiata al punto da lasciare sorpresi e un po’ delusi amici e familiari… che sarebbe andata avanti, alla fine, ma che la violenza subita l’avrebbe marchiata come una cicatrice in pieno volto. Ma so anche che vederlo non mi provocherebbe altro che intensi conati di vomito. Non sono generalmente una persona che si piange addosso, anzi: proprio da allora ho sempre messo la mia vita e i miei problemi un passo indietro a quelli degli altri. L’incapacità di esternare la rabbia, però, alla fine può uccidere… continuo a mettere pezze, a tamponare la ferita, ma non riesco a curarla. Non so se parlarne così potrà aiutarmi, sicuramente lo spero.
Ho veramente bisogno di accettare quello che è successo, con tutte le mie forze. Cercare di pensare che non sia mai accaduto non aiuta a superarlo: resta sempre lì, in un angolo, pronto ad aggredirmi quando sono più debole. Mi addormento e lo sogno, e sono gli unici sogni da cui non riesco a svegliarmi volontariamente. Mi sveglio madida di sudore, terrorizzata, a volte grido: so che può sembrare tanto una scena stereotipata e “da film”, ma non c’è nulla di tanto spettacolare. Mi scopro e sento il bisogno impellente di spogliarmi. Mi guardo le gambe, e non capisco… perché sono sicura di quello che sento, sento il suo sperma scivolare sulle cosce, ma non vedo niente. E inizio a sfregarmi fino quasi a tirare via la pelle, completamente nel panico, e non basta. Non basta mai. E’ quello il ricordo peggiore che ho, il momento più umiliante, quello che mi ha tolto ogni dignità: lui che mi gira le spalle ed esce, io che resto su quel letto, e lo sperma di quel mostro che brucia sulla pelle, che scivola giù e sottolinea che non sono altro che un giocattolo, usato, usurato e poi gettato via.
Credo di non essere veramente in grado di scrivere altro, questo è già il tentativo migliore che abbia mai fatto, e questo mi risolleva almeno in parte. Voglio pensare – con tutta me stessa – che questo sia un passo avanti verso la mia vita e lontano da lui. Voglio convincermene, perché ne ho un bisogno incondizionato.
Essere vittima di uno stupro, purtroppo, al giorno d’oggi non è certo una cosa fuori dall’ordinario. I numeri delle violenze sessuali sono talmente elevati da essere raccapriccianti. Ne sono stata vittima anche io, ormai molti anni fa. Sono passati dieci anni… tanti, troppi, mi dico sempre. Ogni volta che ci penso non faccio che ripetermi che è assurdo continuare a provare dolore, perché sarebbe il momento di andare avanti e dimenticare. Forse non sono abbastanza forte, o forse ho semplicemente fatto tutto nel modo sbagliato… una parte di me è profondamente convinta che la colpa sia soltanto mia, anche se non ero che una bambina. E’ una parte completamente folle, irrazionale, con cui non si può discutere in alcun modo:
“Cosa potevo fare?” mi chiedo. E non c’è risposta, ma il senso di colpa permane, mi schiaccia.
Ho ricordi confusi di quella sera, e metterli insieme si fa con il tempo sempre più complicato; si sono ormai ridotti ad un insieme di sensazioni, di percezioni: la musica a volume troppo alto, la calura estiva a soffocare l’ambiente, il tentativo di parlare al di sopra di tutto quel frastuono. Chiudo gli occhi, torno a quegli istanti e dico a me stessa di correre via, di scappare, di non seguirlo… perché seguirlo è una cosa talmente stupida, talmente ingenua e banale! E poi? Ricordo vagamente l’odore di chiuso che c’era in stanza, la luce che si accende, la sua mano sulla bocca. Ricordo di aver provato a morderla, ma non ne sono nemmeno più così sicura. Non so quanto sia durato… non avevo concezione di nulla, se non del dolore lancinante, della paura di morire lì, dei suoi occhi azzurri pieni di un’espressione indefinibile che ricorderò fino all’ultimo giorno della mia vita. Lui è uscito con naturalezza, relegandomi ad una piccola parentesi che probabilmente nemmeno ricorda. Mi ha dato le spalle, se ne è andato, e io sono uscita dalla sua vita. Lui, però, non è mai uscito dalla mia. A volte penso che vorrei vederlo… dirgli quello che ha lasciato indietro, quando se ne è andato, con le sue minacce e il suo sguardo incurante. Che ha lasciato su quel letto una bambina troppo spaventata per poter piangere, mezza svestita, sanguinante e dolorante; che quella bambina non sarebbe stata più la stessa persona, che sarebbe cambiata al punto da lasciare sorpresi e un po’ delusi amici e familiari… che sarebbe andata avanti, alla fine, ma che la violenza subita l’avrebbe marchiata come una cicatrice in pieno volto. Ma so anche che vederlo non mi provocherebbe altro che intensi conati di vomito. Non sono generalmente una persona che si piange addosso, anzi: proprio da allora ho sempre messo la mia vita e i miei problemi un passo indietro a quelli degli altri. L’incapacità di esternare la rabbia, però, alla fine può uccidere… continuo a mettere pezze, a tamponare la ferita, ma non riesco a curarla. Non so se parlarne così potrà aiutarmi, sicuramente lo spero.
Ho veramente bisogno di accettare quello che è successo, con tutte le mie forze. Cercare di pensare che non sia mai accaduto non aiuta a superarlo: resta sempre lì, in un angolo, pronto ad aggredirmi quando sono più debole. Mi addormento e lo sogno, e sono gli unici sogni da cui non riesco a svegliarmi volontariamente. Mi sveglio madida di sudore, terrorizzata, a volte grido: so che può sembrare tanto una scena stereotipata e “da film”, ma non c’è nulla di tanto spettacolare. Mi scopro e sento il bisogno impellente di spogliarmi. Mi guardo le gambe, e non capisco… perché sono sicura di quello che sento, sento il suo sperma scivolare sulle cosce, ma non vedo niente. E inizio a sfregarmi fino quasi a tirare via la pelle, completamente nel panico, e non basta. Non basta mai. E’ quello il ricordo peggiore che ho, il momento più umiliante, quello che mi ha tolto ogni dignità: lui che mi gira le spalle ed esce, io che resto su quel letto, e lo sperma di quel mostro che brucia sulla pelle, che scivola giù e sottolinea che non sono altro che un giocattolo, usato, usurato e poi gettato via.
Credo di non essere veramente in grado di scrivere altro, questo è già il tentativo migliore che abbia mai fatto, e questo mi risolleva almeno in parte. Voglio pensare – con tutta me stessa – che questo sia un passo avanti verso la mia vita e lontano da lui. Voglio convincermene, perché ne ho un bisogno incondizionato.