Undici anni fa, quando avevo 20 anni, mi fidanzai con quello che pensavo essere l'uomo della mia vita.
Io avevo 20, lui 23. Lui il "bello" del paese, io non mi fidavo, ma dopo una corte spietata durante la quale mi fece sentire una principessa, alla fine capitolai.
Era il 2008,Dal mio paesino mi trasferii in città, in un appartamento dei miei, per studiare e andammo subito a convivere.
I primi mesi furono bellissimi.. Facevamo sempre l'amore e mi sentivo amata.
Pian piano il tracollo.
Iniziò da piccole cose: un piatto cotto male veniva lanciato, storie su come mi vestivo, confronti con le altre "tu non hai un bel sedere, la mia ex lo aveva. Non puoi mettere quei leggins". Salvo poi fare apprezzamenti quando eravamo in giro su altre donne, vestite nel modo che lui mi proibiva.
Da lì iniziarono gli insulti, le umiliazioni, le grida.
"Sei stupida, non vali un c***o, non capisci un c***o". Fino ad arrivare al violenza fisica. Non mi ha mai presa a botte ma spintoni e una volta un calcio su un braccio, che mi lascio un livido così grande da costringermi ad andare in giro con le maniche lunghe in piena estate. Ricordo poco di quel periodo. Ricordi confusi. Credo che fossi finita in depressione senza saperlo. Avevo paura a fare qualsiasi cosa: uscire, incontrare altre persone, andare a lezione.
Inizia un percorso con una psicologa, che mi descrisse come "un pulcino smarrito". E probabilmente lo ero davvero.
A casa erano discussioni sul nulla. Dopo il calcio lo minacciai di lasciarlo per sempre e non uso' più le mani su di me ma ogni discussione, per ogni sciocchezza, diventava un pretesto per litigare. E giù a rompere oggetti. Avrà rotto almeno quattro cinque cellulari e altrettanti computer. Ciò che più mi spaventava era il tono, gli occhi. Quegli occhi pieni di rabbia, quel tono concitato, che, nonostante le cose ora vadano "meglio", ancora mi spaventano.
Oltre a tutto ciò, insulti alla mia famiglia, auguri di morte ai miei genitori, ai miei parenti. Ogni pranzo di famiglia era una tortura. Lui zitto e muto, evidentemente infastidito da quelli che lui definiva "montanari". Tanto che, per un bel po' di tempo, non sono più nesnche io andata a trovarli. I miei genitori, che lo hanno accolto come un figlio, mio padre, che, quando era senza lavoro, lo ha assunto nella sua ditta per aiutarlo. Mio padre ha il suo carattere: spesse volte lo chiamava dopo l' orario di lavoro per sapere come era andata in cantiere e questo mandava il mio compagno su tutte le furie. E partivano gli auguri di morte. Mio padre che chiedeva di aggiustare il pc, per favore. E partivano altri insulti. Ma non con lui, sempre con me.
Tutto questo non era sempre la normalità. Vi erano anche momenti di tranquillità, in cui si comportava come una persona normale, ma bastava una giornata storta per accendere la miccia.
Questa situazione va avanti fino al 2016,quando rimango incinta.
Gravidanza con lui presente alle principali eco ma del tutto assente nel resto. Io lavoro fino al settimo mese, mi occupo della casa, della spesa, del cibo. Lui torna da lavoro e si svacca sul divano. A quel tempo faceva un lavoro pesante e quindi mi facevo andare bene la situazione, nonosntjste anche io lavorassi e nonostante fossi incinta.
Alla nascirata della bambina, i primi mesi tutto bene. Sembrava cambiato, era felice.
Questa situazione dura poco e mi ritrovo di nuovo sola. Sola ad alzarmi la notte, sola durante il giorno. Mai un pannolino cambiato, mai una nanna fatta da lui, mai una pappa data da lui. Mi occupo della bambina , della casa. Ma mi va bene, perché lui faceva un lavoro pesante.
Quando mia figlia compie un anno, mi decido a provare a realizzare un mio sogno nel casetto: mi specializzo in percorsi di educazione all'aperto, creo un asilo all'aperto tutto mio, dove posso portare mia figlio, occuparmi della sua educazione (in fondo ho studiato per fare questo) e darle ciò che credo sia la strada migliore per lei.
Lavoro come una matta per mettere in piedi tutto. L' attività prende piede, funziona : lavoro 9 h al giorno, con mio figlio e altri sette bambini. Sono felice, realizzata ma stanca perché il lavoro è impegnativo e faticoso.
Lui, nel mentre, vince un posto in comune. Lavora mezza giornata, ha un sacco di giorni liberi. Si crea nuove amicizie, va a fare scampagnate con i suoi colleghi ma, se gli chiedo di passare del tempo con me e sua figlia, si infastidisce, non ha voglia, trova scuse, resta a casa da solo.
Nei momenti di difficoltà che una professione in proprio comporta, non fa altro che darmi addosso, "forte" della sua posizione lavorativa attuale, dimentico di tutti quegli anni in cui lui era senza lavoro e io l'ho aiutato.
In casa non fa niente, esco di casa alle otto e torno alle cinque passate, con mia figlia. Piatti da lavare, cartacce buttate qua e là. Se provo a dire qualcosa sono una rompicoglioni e mi becco insulti. E così preferisco lasciare perdere.
Sono sola pur essendo in coppia.
Fino a quando, conoscendo e frequentando meglio i genitori che aderiscono al mio progetto di educazione in natura, conosco nuovi modi di vivere la coppia. Compagni presenti, che sono di supporto. Piano piano riacquisto la fiducia in me stessa: il mio lavoro va bene, I miei colleghi mi stimano, le famiglie mi vogliono bene. Stringo collaborazioni, conosco persone che mi fanno riprendere fiducia in me stessa. Il mio lavoro inizia ad essere conosciuto e questo solo grazie ai miei sforzi e al sostegno della mia famiglia.
Lui sembra infastidito, sminuisce quello che faccio, sminuisce le persone che conosco, sminuisce il mio lavoro. Io mi allontano sempre di più, da lui.
La goccia accade quando, dopo essermi accorta che stavamo diventando due perfetti estranei, provo a salvare il rapporto per l'ennesima volta, proponendo lui l'ennesima vacanza, aspettandomi l'ennesimo rifiuto. Invece accetta. Prenoto la vacanza, la pago e due giorni prima, lui mi dice che ha cambiato idea, che viene solo perché si è sentito costretto, che ha detto si solo per farmi stare zitta.
Questa è la goccia. Mi si chiude una saracinesca. Per me è finita.
Glielo dico dopo qualche giorno.
Ci rimane male, dice che mi ama, che non so era reso conto di essere stato così str***o, promette che cercherà di cambiare.
Io mi prendo del tempo per capire. E nel mentre faccio l'errore più grande della mia vita. Finisco a letto con il mio più caro amico. Quella persona che mi è sempre stata accanto, che mi ha sempre capita, ascolta, dato supporto
In un attimo di debolezza, mi attacco a lui. Ho sbagliato perché il tradimento è sempre inaccetabile, mi ha messa al suo livello e ora mi sento una merda.
Non sono qui per scaricarmi la coscienza, non so neanche perché sto scrivendo tutto questo. So solo che, nonostante tutto quello che mi ha fatto, mi sento una merda per quello che è successo.
Perché so che lui ha avuto un'infanzia non facile e quindi i suoi comportamenti sono dettati da quello che ha passato.
Ad oggi, siamo tornati insieme. La situazione per ora è tranquilla ma siamo divisi a causa della pandemia. Lui non si muove per venirci a trovare, non gliene frega nulla di vedere sua figlia (o almeno così pare). Quando ho un po' insisitio per convincerlo a venirci a trovare, mi ha insultata per telefono perché "si sentiva obbligato".
Non so cosa fare, non so cosa pensare.
Credo che starei meglio senza di lui ma non voglio fargli vivere l'abbandono che ha vissuto quando era piccolo,cin una madre che lo ha sempre fatto sentire un più. Mi sento in colpa per quello che è successo da un lato ma dall'altro mi dico che, in fondo, dopo 11 anni di "soprusi", mi sono attaccata al mio amico come ci si attacca ad un trattore per farsi tirare fuori dal fango. Però non ho giustificazioni. Sono una brutta persona e dopo quello che ho fatto, mi viene da pensare, forse mi merito di continuare ad essere trattata male.
Per favore, vorrei un consiglio, un'opinione, un pensiero, qualcosa che mi aiuti a fare chiarezza.