Cosa sono lo Stress e il Disturbo Post-Traumatico da Stress?

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Cosa sono lo Stress e il Disturbo Post-Traumatico da Stress?

Messaggioda Royalsapphire » 24/10/2014, 18:57



Il significato originario di stress è “spinta”, “pressione”, oppure “enfasi”, “importanza”, “insistenza”. Questa parola è ormai entrata prepotentemente nella lingua comune, confondendone però il significato e ricevendo per lo più accezioni negative.
Volendo dare una più accurata definizione, può essere detto che lo stress è la “risposta non specifica dell’organismo ad una qualsiasi richiesta effettuata nei suoi confronti”.
Questo tipo di risposta aspecifica, secondo Selye, può essere evocata da un’ampia gamma di stimoli, fisici, psicologici ed anche psicosociali, che vengono definiti “stressors”.
Risulta pertanto chiaro che parlare di stress è fondamentale in ambito psichiatrico in un’ottica di tipo transnosografico (che non tenga conto cioè dei singoli disturbi, ma dei fattori predisponenti e dei sintomi che fanno di un continuum che va dalla “sanità” alla “malattia”) e cruciale nel tentativo di reinterpretare il concetto di salute in modo più articolato, andando a valutare non solamente l’assenza biologica di malattia, ma anche la qualità di vita in tutte le sue possibili accezioni (equilibrio psico-fisico).
Lo stress inoltre si colloca al crocevia di due grandi dualismi che coinvolgono l’essere umano, quello fra eredità e ambiente e quello fra mente e corpo. Il primo è rappresentato dall’interazione fra gli eventi stressanti e la capacità innata (che comprende sia l’assetto genetico di un individuo e gli eventi di vita precoci) che ogni singolo individuo ha di reagire a tali eventi (suscettibilità individuale). Il secondo fa riferimento agli effetti biologici che lo stress può avere sull’organismo sottoposto a stress e alla sua capacità di essere causa o concausa di disturbi psichiatrici; ma allo stesso tempo di patologie organiche.
Prendendo in considerazione gli eventi stressanti, questi possono essere descritti come una situazione ambientale o psicologica, che minaccia o antagonizza il benessere di un organismo, generando una risposta da parte di quest’ultimo.

Gli eventi stressanti possono essere così classificati:

1) Eventi consueti e quotidiani
2) Eventi relativamente rari, ma presenti nella vita di ognuno (es. lutti)
3) Eventi eccezionali (es. catastrofi)
4) Eventi particolari (es. stupro, rapina)

In virtù delle considerazioni fatte sopra, la risposta dell’organismo ad uno di questi eventi stressanti può essere “adattativa” o “non adattativa” a seconda della gravità dell’evento (ruolo dell’ambiente) e delle capacità intrinseche del soggetto di “reagire” (ruolo dell’eredità). Se la risposta è “adattativa”, l’uomo riesce a mantenere l’omeostasi, intendendo per questa l’insieme dei sistemi fisiologici in grado di mantenere l’adeguato equilibrio del proprio ambiente interno. Cannon ha infatti utilizzato il concetto di stress in biologia per contrapporlo a quello di omeostasi, definendolo “qualsiasi meccanismo in grado di alterare i processi omeostatici di un organismo vivente”.
Lo stress può essere percepito anche durante una risposta “adattativa”, qualora l’evento stressante porti delle alterazioni non risolvibili nell’ambito del normale adattamento omeostatico. In questi casi viene infatti messo in atto un adattamento dinamico, che porta l’individuo verso un nuovo equilibrio, che però risulta spostato ad un differente livello di energia. Questo nuovo sistema può essere chiamato allostasi.
L’allostasi quindi rimane un stato di equilibrio, spostato però a dei livelli di energia che sono diversi da quelli che l’individuo è abituato a tenere.
Selye osservò che, qualunque fosse lo stimolo applicato (stressor), l’organismo reagiva con una reazione comune e aspecifica, che chiamò: “Sindrome generale di adattamento”. Selye ha inoltre descritto la modalità con cui si instaura questa reazione, suddividendola in tre fasi:

a) la fase iniziale di Allarme (intesa come una generale attivazione di tutti i meccanismi di difesa dell’organismo),
b) la seconda fase di Adattamento o Resistenza (a seguito del protrarsi dello stimolo stressante),
c) la fase di Esaurimento, nella quale la prolungata esposizione allo stimolo può causare lo sviluppo di alterazioni patologiche.

In quest’ottica è possibile parlare di un effetto benefico dello stress (eustress), intendendolo come una spinta (ritornando al significato originario di stress) che, secondo la legge di Yerkes e Dodson, migliora la performance dell’individuo. Questa “spinta” viene percepita da tutti noi, quando, in condizioni di stress, riusciamo a incrementare il nostro rendimento per raggiungere l’obiettivo o superare il problema, che in origine aveva avuto la funzione di “stressor”. Il rapporto tra stress e livello della pre­stazione, configura quindi un andamento ad U rove­sciata: a livelli minimi di stress corrisponde un’assenza totale di motivazioni e la performance è pressoché nulla. Con l'aumentare dello stress, migliora la qualità della prestazione, fino ad un livello ottimale. A questo punto l’ulteriore incremento dei livelli di stress, comporta effetti negativi sulla perfor­mance, che peggiora progressivamente fino al punto massimo di ansia, a cui corrisponde l’impossibilità di compiere qualsiasi azione. E’ questa la condizione del panico pa­ralizzante, ben nota sia nell’uomo che nell’animale (vedi Figura 1). Ovviamente il grado ottimale di stress è diverso a seconda del tipo di prestazione richiesta: per esempio durante un esame, lo studente che lo sostiene necessita sicuramente di una “spinta” maggiore rispetto all’esaminatore che lo sta valutando.


I sistemi fisiologici coinvolti nella risposta allo stress sono rappresentati dal Sistema Nervoso Autonomo (Catecolamine, Serotonina) e dall’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA axis, acronimo inglese).
Durante la fase di allarme si ha una iperattivazione del sistema nervoso autonomo che determina un rapido aumento delle catecolamine circolanti. Queste portano ad un aumento dell’attenzione, della tensione e della preoccupazione, all’anticipazione del pericolo e ad un generale senso di irrequietezza. Accanto a questi, ci sono una serie di sintomi biologici quali l’aumento della pressione sanguigna, tachicardia, sudorazione, aumento della motilità intestinale e attivazione di glicogenolisi e lipolisi. Tali modificazioni immediate spiegano l’incremento della prestazione che si può avere sotto stress. La mente focalizza le sue attenzioni ed è pronta ad agire; il corpo la segue mettendo a disposizione tutte le risorse che ha a disposizione, rendendo disponibili zuccheri semplici e grassi che sono il “carburante” del nostro organismo (glicogenolisi e lipolisi).
Nella seconda fase, di “resistenza” il sistema prevalentemente coinvolto è l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Selye già nel 1956, aveva descritto le modificazioni endocrino-metaboliche a carico dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene: lo stress infatti, determina la secrezione di alcuni fattori ipotalamici come il Fattore di Rilascio della Corticotropina (CRF), in grado di stimolare la sintesi e la liberazione di ormone corticotropo (ACTH) dall’ipofisi anteriore, che a sua volta stimola la parte corticale del surrene a produrre cortisolo. Il protrarsi dello stimolo stressante vede pertanto un aumento della secrezione di glucocorticoidi (cortisolo) da parte della corticale surrenale
(overdrive dell’asse HPA). Normalmente infatti l’asse HPA, si autolimita attraverso un meccanismo di feedback negativo, grazie al quale elevate concentrazioni circolanti di cortisolo inibiscono la secrezione di ACTH da parte dell’ipofisi anteriore. In condizione di stress prolungato però, questo sistema di autoregolazione diviene inefficace e l’asse HPA si mantiene attivata in modo patologico.
Questo tipo di risposta è più lenta rispetto alla precedente, ma è capace di avere una lunga durata di azione. Con il passare del tempo però, ha effetti dannosi per l’organismo.
Questa osservazione deriva innanzi tutto da studi eseguiti su animali. Tali studi hanno dimostrato che, in condizioni di stress elevato e prolungato (separazione dalla madre), un cucciolo di Macaco sviluppava una reazione di vera e propria disperazione. Se il cucciolo in un secondo momento viene poi ricongiunto alla madre, o riesce a trovare una figura materna alternativa, la sintomatologia regrediva in breve tempo e il cucciolo tornava ad avere il comportamento che aveva prima della separazione. Se invece il cucciolo continua ad essere tenuto separato dalla madre, muore, anche se accudito e nutrito. Durante la reazione di “disperazione” del cucciolo è stato visto che le concentrazioni di ACTH aumentano di circa 20 volte rispetto alle condizioni di base, mentre quelle di Cortisolo, aumentano di circa 4 volte. Per confermare tale dato è stato provato ad iniettare 20 mg di CRF direttamente all’interno dei ventricoli laterali di un cucciolo di scimmia. E’ stato visto che la risposta così ottenuta era identica, da un punto di vista comportamentale, a quella che si era osservata con la separazione dalla madre.
Le conseguenze dell’esposizione cronica allo stress sono state analizzate da McEwen ed altri autori, focalizzando l’attenzione soprattutto sugli effetti dei glucocorticoidi. Il cortisolo infatti genera una iperattivazione del recettore per i glucocorticoidi che a sua volta determina una inibizione della produzione di BDNF, fattore che è stato visto avere un ruolo cruciale nella sintesi di nuovi neuroni.
A livello encefalico l’azione del BDNF si manifesta soprattutto nel bulbo olfattorio e nell’ippocampo, favorendo la genesi di nuovi neuroni e quindi l’apprendimento e la formazione della memoria. Tale dato viene confermato dalla dimostrazione sperimentale della neurogenesi nell’adulto in numerosi modelli animali e dall’osservazione, nell’uomo, della nascita di nuove cellule neuronali anche in persone anziane (> 70 anni).
Spostandoci dai modelli animali all’uomo, risulta estremamente interessante andare ad indagare il ruolo che lo stress può avere nel determinare la patologia psichiatrica. Dal punto di vista teorico i cambiamenti della vita, il succedersi degli accadimenti, la loro capacità formativa, distruttiva e modulante, il loro impatto sulla realtà individuale e la loro capacità di indurre stress, costituiscono senza dubbio il rilievo più saliente. Non dobbiamo però dimenticare la predisposizione dell’individuo, che si esprime tramite la capacità o meno di reagire ad un evento stressante.
Gli eventi di vita vengono tradizionalmente classificati in early life events e late life events.
Gli eventi precoci (early life events) devono essere considerati elementi di predisposizione, di vulnerabilità di tipo psicologico, in quanto si verificano durante infanzia e adolescenza, quando la formazione di nuovi neuroni e delle loro connessioni è massima. Alcuni studi in letteratura hanno infatti dimostrato che i traumi nell’età dello sviluppo sono più gravi, più pericolosi e sostanzialmente ad effetto più duraturo. In particolare lo studio di Plotsky e collaboratori del 2002 ha messo in evidenza con maggiore chiarezza il rapporto fra eventi precoci e psicopatologia nelle donne che hanno subito un abuso sessuale in età giovanile, arrivando alle seguenti conclusioni:

• Donne sottoposte ad abuso sessuale durante l’infanzia hanno un rischio doppio di depressione, panico ed altre patologie affettive durante l’età adulta.
•Esiste una relazione diretta tra gravità e durata dell’abuso e gravità della patologia da adulto
• Le esperienze infantili stressanti aumentano la vulnerabilità agli effetti dello stress durante l’età adulta.

A conferma di quanto detto precedentemente sugli effetti biologici dello stress, è stato inoltre dimostrato che un evento precoce è in grado di determinare una alterazione della reattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene tale da provocare una alterazione della riposta allo stress che persiste nel tempo.
Gli eventi tardivi (late life events) invece, sono dei veri e propri fattori scatenanti, che si presentano nell’età adulta e tipicamente nei 6-12 mesi precedenti l’esordio di malattia.
In letteratura l’importanza degli eventi stressanti di vita, nello sviluppo dei disturbi psichiatrici è stato dimostrato attraverso numerosi studi. Nello studio epidemiologico di Sesto Fiorentino (Faravelli et al. 2004) è stato visto che il rischio di sviluppare una patologia psichiatrica nell’anno successivo all’intervista è sette volte maggiore (OR=7,09) per chi ha subito un evento di vita stressante, rispetto a chi non ha riportato alcun evento.
Come premesso però, resta da valutare se la suscettibilità agli aventi stressanti sia uguale per tutti o se esista una predisposizione genetica allo sviluppo di un disturbo psichiatrico. Vi sono molti lavori che dimostrano l’importanza dei fattori ereditari nei disturbi psichiatrici. In particolare Caspi e collaboratori si sono domandati perché gli stessi eventi stressanti portassero ad un episodio depressivo solo alcune persone e non altre. Studiando i polimorfismi del promotore del gene per il trasportatore della serotonina, hanno visto che la variante corta (s/s) rendeva i soggetti significativamente più vulnerabili, allo sviluppo di depressione, se sottoposti ad un evento stressante, rispetto a chi aveva invece la variante lunga (l/l) o intermedia (s/l).
Atri studi mostrano come, nei roditori, il comportamento della madre nelle prime ore dopo la nascita del cucciolo, ha conseguenze durature per quanto riguarda l’insorgenza di un comportamento ansioso nell’età adulta. Da adulti, infatti, i cuccioli che sono stati separati dalla madre per molte ore immediatamente dopo la nascita, mostravano più facilmente comportamenti ansiosi e mostravano una aumentata reattività ormonale dell’asse HPA allo stress. Inoltre, i cuccioli cresciuti da madri a “bassa cura” e “basso accudimento” mostravano livelli di ansia più elevati rispetto ai cuccioli cresciuti da madri ad “alta cura” e “alto accudimento”. Scambiando le cucciolate è stato visto che facendo allevare cuccioli nati da madri a “basa cura” e “basso accudimento”, da topoline ad “alta cura” e “alto accudimento”, si ottenevano topi con bassi livelli di ansia. Questo ha fatto pensare ad un ruolo preponderante delle influenze ambientali. Mettendo in atto l’esperimento inverso tuttavia, è stato visto che facendo allevare cuccioli nati da madri ad “alta cura” e “alto accudimento”, da topoline a “basa cura” e “basso accudimento”, si ottenevano topi con bassi livelli di ansia, suggerendo quindi che gli eventi stressanti da soli non sono in grado di determinare i comportamenti ansiosi nell’età adulta.
Le osservazioni appena citate, sembrano confermare in modo abbastanza deciso l’ipotesi secondo la quale la malattia psichiatrica risulta essere il risultato dell’interazione tra componente genetica e fattori stressanti.
In quest’ottica appare evidente l’importanza di trovare dei fattori protettivi nei confronti dello stress, dato che l’assetto genetico di ogni individuo è qualcosa di innato e, pertanto, immodificabile. La ricerca in questo campo sta ottenendo ottimi risultati. Per esempio è stato già dimostrato che i farmaci antidepressivi inducono la neurogenesi nell’ippocampo, antagonizzando così gli effetti biologici a lunga scadenza dello stress.
Riassumendo quindi, possiamo identificare dei veri e propri fattori terapeutici, in grado di stimolare il trofismo neuronale dell’ippocampo, quali: farmaci antidepressivi, alta cura materna, esercizio fisico e supporto sociale. Devono essere inoltre citate le psicoterapie, che, verosimilmente, saranno presto incluse in questo elenco; ma, attualmente, non ci sono studi che confermano in modo inequivocabile questo dato.
Al contrario esistono dei fattori in grado di determinare una atrofia neuronale e quindi portare più facilmente ad una patologia stress-correlata. Fra questi possiamo ricordare: bassa cura materna, separazione dalla madre, maltrattamento, abuso, eventi catastrofici, genotipo SERT s/s. Tali fattori tendono a portare l’organismo verso un “carico allostatico”, a una risposta di tipo disadattativo che, come detto, è perfino in grado di determinare morte cellulare.





DISTURBO DA STRESS POST-TRAUMATICO

Il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) è un disturbo che insorge in connessione causale con un evento traumatico di grande impatto emotivo che comporti una minaccia per la vita o l’incolumità proprie o dei propri cari (torture, rapimento, violenza, catastrofi naturali, guerre, ecc).
Oltre al tipo di evento risulta importante la gravità, la durata e la vicinanza dell’esposizione all’evento e comunque si tratta solitamente di un evento incontrollabile, imprevedibile ed eccezionalmente grave.
Si tratta di un disturbo raro, nato negli USA dopo il ritorno dei reduci dal Vietnam ma poi riscontrato anche in coloro che non appartenevano ai corpi militari. Traumi di livello tale da poter indurre un PTSD si verificano nel 55% della popolazione generale (studio effettuato sulla popolazione americana) e più frequentemente si verificano in individui di sesso maschile mentre il PTSD si riscontra più frequentemente nel sesso femminile con un rapporto di 2:1 a dimostrazione di una maggiore suscettibilità delle donne a sviluppare il disturbo. Lo stupro rappresenta l’evento che più facilmente induce il PTSD (50% dei casi), mentre l’evento che più frequentemente viene riscontrato in pazienti affetti è la morte improvvisa e traumatica di un parente o un conoscente.

Il quadro clinico che ne deriva si caratterizza per:

ripetuta esperienza di rivivere l’evento (sintomi intrusivi): l’evento traumatico è rivissuto durante la veglia attraverso ricordi ricorrenti ed invasivi e flashback (esperienza di rivivere l’evento riprovando le stesse sensazioni terrificanti),o durante il sonno tramite incubi notturni riferiti all’evento traumatizzante.

evitamento degli stimoli associati al trauma (pensieri e situazioni che ricordano il trauma) con intenso malessere per l’esposizione ad eventi che ricordano il trauma (scene simili, anniversari dell’evento scatenante, ecc.); anche l’amnesia psicogena (difficoltà a ricordare importanti aspetti del trauma) che spesso si verifica nei pazienti affetti rientra nel fenomeno dell’evitamento

distacco emotivo dall’ambiente o numbing con anedonia, apatia, abulia, depersonalizzazione affettiva


sintomi di ipervigilanza (difficoltà ad addormentarsi, irritabilità, iperallerta, esagerata risposta agli stimoli, disturbi di concentrazione/memoria)

I pazienti affetti dal PTSD presentano episodi in cui si verifica un’intromissione nella vita attuale dell’evento: durante la veglia, può trattarsi di vividi ricordi o immagini che irrompono nella mente con carattere scenico, vissuti con intensa partecipazione affettiva, fino a veri e propri fenomeni di flashback ovvero episodi dissociativi in cui il paziente si sente ed agisce come se l’evento si stesse verificando di nuovo; durante il sonno possono, invece, aversi incubi così intensi da far svegliare la persona di “soprassalto” in preda al terrore da cui deriva una forte angoscia prima di andare a dormire.
A seguito dell’esposizione ad eventi che ricordano il trauma, i pazienti sviluppano intenso disagio psichico con senso di paura e terrore ed i classici sintomi neurovegetativi dell’ansia come tachicardia, dispnea, sudorazione, tremore fino a poter anche sviluppare un episodio critico d’ansia (attacco di panico). Il paziente inizia così ad evitare tutte quelle situazioni che in qualche modo ricordano l’evento traumatico. Anche l’amnesia psicogena rientra nei fenomeni di evitamento anche se ad un livello inconscio.
Il termine “numbing” significa paralisi emozionale-affettiva e si caratterizza per un senso di intorpidimento ed insensibilità al mondo circostante. Il paziente non presenta più le normali reazioni emozionali cosicché sono annullate paura ed orrore, ma anche gioia e felicità. E’ inoltre presente un senso di distacco ed estraneamento dagli altri che comporta una progressiva compromissione delle relazioni interpersonali con il paziente che risulta freddo e distaccato nei confronti dei suoi cari.
Lo stato di “ipervigilanza” consegue alla perdita della normale capacità di modulazione del grado di arousal cosicché il paziente risponde a stimoli lievi con reazioni abnormi. Si sentono continuamente sul “fili del rasoio”, tesi, come se stesse per succedere qualcosa di terribile, vivono come se fossero ancora minacciati dallo stressor. Inquadrabili in questo contesto risultano anche l’irritabilità, gli scoppi d’ira e l’esplosività, l’insonnia, la difficoltà di concentrazione e della memoria di fissazione.

DECORSO
Generalmente il quadro post-traumatico insorge poco dopo l’evento traumatico anche se in certi casi può esordire anche dopo 6 mesi dal trauma. La resistenza alle terapie e la tendenza alla cronicizzazione fanno si che il disturbo non abbia una buona prognosi: molti individui vittime di prigionia nella seconda guerra mondiale presentano tutt’ora sintomi del PTSD, un’alta percentuale di reduci del Vietnam, a distanza di più di venti anni, presentano ancora il PTSD, in donne vittima di stupro, a distanza di nove mesi, il PTSD risulta ancora presente nel 50% dei casi e nel 10% a distanza di 15 anni.
La principale complicanza cui vanno incontro i pazienti è l’abuso di alcool o altre sostanze a scopo autoterapico al fine di ridurre l’intensità dei sintomi e “dimenticare” il trauma. Altra temibile complicanza, soprattutto nei giovani maschi, è la messa in atto di un comportamento suicidario.

TRATTAMENTO
Il disturbo non presenta una buona percentuale di risposta al trattamento psicofarmacologico. L’associazione con una psicoterapia cognitivo-comportamentale sembra rappresentare il gold-standard anche se le percentuali di risposta rimangono piuttosto basse.
Tra i farmaci antidepressivi, i Triciclici sembrerebbero agire preferenzialmente sui sintomi intrusivi e da iperarousal, mentre gli SSRI agirebbero soprattutto sull’evitamento anche se studi recenti hanno dimostrato la loro validità (in particolare fluoxetina e sertralina), ad alto dosaggio, nel migliorare complessivamente la sindrome. Le BDZ, che erano inizialmente considerate efficaci strumenti per prevenire l’insorgenza del PTSD, sono attualmente sconsigliate poiché si pensa che possano interferire con l’elaborazione dell’evento favorendo lo sviluppo o la cronicizzazione del disturbo.
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Cosa sono lo Stress e il Disturbo Post-Traumatico da Stress?

Messaggioda jex » 12/05/2017, 18:57



vorrei possibilmente avere la bibliografia del presente elaborato soprattutto la parte relativa le basi fisiologiche della risposta allo stress. Grazie :) :)
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Cosa sono lo Stress e il Disturbo Post-Traumatico da Stress?

Messaggioda kathellyna » 13/05/2017, 11:27



jex ha scritto:vorrei possibilmente avere la bibliografia del presente elaborato soprattutto la parte relativa le basi fisiologiche della risposta allo stress. Grazie :) :)

benvenuta.
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Cosa sono lo Stress e il Disturbo Post-Traumatico da Stress?

Messaggioda 7smiliardi » 21/05/2017, 13:59



jex ha scritto:vorrei possibilmente avere la bibliografia del presente elaborato soprattutto la parte relativa le basi fisiologiche della risposta allo stress. Grazie :) :)


E di che :) :)
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