Cos'è l'Attacco Di Panico (DAP) ?

Tratto da diverse fonti

Forum di aiuto su Paura e Ansia: Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), Disturbo d’ansia generalizzato (GAD), Disturbo da attacco di panico (DAP), Disturbo post-traumatico da stress, Disturbi del sonno, Fobie sociali o semplici (omofobia, agorafobia, etc).
Di qualunque tipo di ansia o paura si tratti, può essere superato!
L'insonnia è la conseguenza dell'ansia, delle tante peeoccupazioni che affollano la nostra mente, parliamone e buttiamole fuori dal nostro letto!

Cos'è l'Attacco Di Panico (DAP) ?

Messaggioda Royalsapphire » 12/11/2014, 9:39



Prima di riportare la fonte che spiega cosa è, riporterò quella che spiega come si può curare.

Farmacologicamente esistono molte valide possibilità. Per esempio sono utili gli antidepressivi serotoninergici, che non creano dipendenza e che innalzano il livello della serotonina, una sostanza importante per il controllo del panico e della depressione; lavoro di gruppo: i gruppi permettono alle persone soggette a crisi di panico di confrontarsi, di parlare dei propri problemi, di condividere idee e opinioni.
Sono inoltre importanti fare sport in quanto aiuta a sfogarsi, ad allentare stress e tensioni.
La ricerca di hobbies è un modo per accrescere la propria cultura e alimentare relazioni con persone che condividono i nostri interessi, dal’altro può diventare un modo per sfogare le proprie tensioni, per riempirsi di impegni e non occuparsi di sé in modo più complessivo, andare in vacanza, ascoltare musica, leggere, fare lunghe passeggiate.
Bisognerebbe, senza perdere di vista i propri obiettivi e la propria vita trovare il tempo di riposarsi, divertirsi, staccare la spina e ricordarsi che non si può sfuggire a sè stessi.




Attacco di panico e agorafobia: un fulmine a ciel sereno


Un fulmine a ciel sereno. All’improvviso e, senza apparente motivo, si scatena un uragano di sensazioni: palpitazioni galoppanti, col cuore che batte all'impazzata, tremori, dispnea, sensazione di soffocamento, dolore al petto, formicolio o torpore in qualche distretto corporeo, sudorazione fredda, brividi, vampate di calore, vertigini, nausea, sensazione di vuoto alla testa e di sbandamento, senso di svenimento, derealizzazione (cioè: senso di perdita del contatto con la realtà), depersonalizzazione (cioè: senso di perdita del contatto con se stessi), paura di perdere il controllo o di impazzire, sensazione di stare per morire. Questo è l'attacco di panico.

Spesso la persona che ne è colpita prova a ‘gestirlo’ mettendo in atto una serie di comportamenti protettivi (ad esempio, inizia a respirare molto rapidamente) che nella maggior parte dei casi peggiorano la situazione amplificando le sensazioni del panico (l’iperventilazione, ad esempio, può peggiorare le sensazioni di vertigine, disorientamento e confusione).

Nell'angoscia di chi soffre di attacchi di panico, c'è sempre il riferimento a una terribile "prima volta" che lascia un ricordo talmente penoso che diventa, di per sé, un disturbo continuo. Gli attacchi di panico sono esperienze tremende, che fanno stare terribilmente male, e che, a loro volta, suscitano un'angoscia anticipatoria. I pazienti sono disposti a tutto, pur di evitare di ritrovarcisi.

Spesso i pazienti vivono nel terrore che l’attacco di panico possa ripresentarsi e mettono in atto strategie di evitamento preventivo che tendono a diventare così massicce e pervasive, da portare progressivamente i pazienti a evitare ogni novità, ogni imprevisto, ogni occasione di vita, con grave disagio e infelicità. Non di rado dunque, all’intensa e persistente preoccupazione che l’attacco possa ripresentarsi, segue l’evitamento di situazioni (quali ad esempio, luoghi affollati, mezzi pubblici, code, ecc.) in cui non sarebbe disponibile aiuto o da cui sarebbe difficile allontanarsi in caso di attacco (agorafobia).

Anche un solo attacco può sensibilizzare la persona rispetto ai segnali dell’ansia portandola a sviluppare una vera e propria paura della paura. E’ rilevante sottolineare che gli attacchi di panico successivi al primo, spesso non sono tanto crisi di angoscia diretta, ma sono crisi di paura che si riattivi l'angoscia di quella "prima volta". Paura della paura. Una sorta di "paura di secondo grado". Il fatto è che l'angoscia della "prima volta" è sentita come "non sopportabile", come "insostenibile". Così insostenibile, da non riuscire talvolta neppure a pensarla, ma soltanto a nominarla in modo implicito per accenni ("Non voglio più che accada quella cosa", "Pensarci mi fa sentire male").

Questo particolare tipo di paura (nota in letteratura scientifica con il nome inglese di anxiety sensitivity) porta l’individuo a interpretare come gravemente minacciosi per la propria integrità fisica o mentale i segnali di attivazione neurovegetativa (anche quelli del tutto fisiologici) e dunque a reagire ad essi in modo ansioso. L’ansia che ne deriva spaventa a sua volta la persona avviando un vero e proprio circolo vizioso che può condurla in breve tempo ad un attacco. La paura della paura, insieme agli effetti indesiderati dei comportamenti protettivi, è perciò in buona misura responsabile della comparsa di nuovi attacchi di panico e, in definitiva, dello sviluppo e mantenimento del disturbo.

E’ interessante notare quanto l’esperienza del panico sia intrinsecamente legata all’etimologia del termine. La parola "PANICO" deriva dal nome dell'antico Dio greco Pan. Il nome Pan deriva dal greco "paein", pascolare, ma letteralmente pan significa "tutto" perché, secondo la mitologia greca, Pan era lo spirito di tutte le creature naturali e questa accezione lo lega alla foresta, all'abisso, al profondo. L’abisso, in accezione psicologica, corrisponde a ciò che non è conosciuto, ciò che si muove al di sotto della nostra consapevolezza, ed in effetti, il panico si nutre proprio delle nebbie che avvolgono il nostro funzionamento mentale.

Dal nome Pan deriva il termine panico, infatti il dio si adira con chi lo disturba, ed emette urla terrificanti provocando nel disturbatore la paura. Alcuni racconti ci dicono che lo stesso Pan venne visto fuggire per la paura da lui stesso provocata, così come la persona che soffre di attacchi di panico tenta di fuggire dalla sua paura.
Purtroppo non tutti sanno che il disturbo da attacchi di panico, se adeguatamente trattato attraverso una psicoterapia, porta ad una remissione dei sintomi in circa il 90% dei casi.



L'attacco di panico è una manifestazione d'ansia fortemente intensa, breve e transitoria, (generalmente dura solo qualche minuto) ma che causa, a chi la subisce, una notevole angoscia. Secondo il DSM-IV ( il manuale statistico psichiatrico) si ha la diagnosi di attacco di panico se sono presenti almeno 4 dei seguenti sintomi:

1) palpitazioni o tachicardia;
2) sudorazione;
3) tremori;
4) dispnea o sensazione di soffocamento;
5) sensazione di asfissia;
6) dolore al petto;
7) nausea o disturbi addominali;
8)sensazioni di sbandamento, instabilità o svenimento;
9) derealizzazione o depersonalizzazione;
10) paura di perdere il controllo o di impazzire;
11) paura di morire;
12)parestesie (sensazioni di torpore o formicolio);
13 brividi o vamapate di calore.

Se sono presenti meno di 4 sintomi durante l'attacco si parlerà di attacco paucisintomatico.



L'attacco di panico, a meno che non sia provocato da una situazione altamente stressante o di pericolo (come un naufragio ad esempio), arriva, almeno le prime volte, in maniera improvvisa e del tutto imprevista, come "un fulmine a ciel sereno". L'esperienza soggettiva riferita, piu' comunemente, è di stare sul punto di morire o di subire un infarto miocardico o un ictus cerebrale. Infatti quasi tutti quelli che subiscono il primo attacco si precipitano al pronto soccorso dell'ospedale o chiamano il proprio medico temendo il peggio. Ma puntualmente i primi accertamenti escludono qualsiasi tipo di patologia fisica.
Il disturbo di panico (DP) è una condizione patologica caratterizzata da ripetuti attacchi di panico (AP) associati ad una serie di sintomi di lunga durata e di comportamenti presenti anche nel periodo libero dagli attacchi. Dato che gli AP possono essere osservati sia nel corso di altre condizioni psichiatriche sia in soggetti sani, gli attuali criteri per la diagnosi del DP richiedono un numero minimo di attacchi oppure che il verificarsi di uno o più AP inaspettati sia seguito dalla preoccupazione persistente di avere altri attacchi, dalla preoccupazione a proposito delle implicazioni o delle possibili conseguenze dell’attacco, o da una significativa alterazione del comportamento correlata con gli attacchi. Il DP tende generalmente ad avere un decorso cronico con fasi di miglioramento e fasi di riesacerbazione della sintomatologia. Manifestazioni associate comuni sono l’ansia anticipatoria, l’agorafobia, l’ipocondria, la demoralizzazione secondaria, l’abuso di sostanze (prevalentemente benzodiazepine ed alcol).
L’attacco di panico
L’attacco di panico (AP) è definito come un periodo ben delimitato di intensa paura o disagio accompagnato da sintomi somatici e psichici. L’attacco ha un esordio improvviso e raggiunge rapidamente la massima intensità in breve tempo(generalmente entro 10 minuti).
È caratterizzato da sintomi cognitivi quali il senso di pericolo imminente, la paura di morire, di svenire, di perdere il controllo, di impazzire. L’aspetto nucleare dell’attacco è rappresentato dalla sintomatologia neurovegetativa: si hanno sintomi cardiocircolatori (palpitazioni, tachicardia, dolore/oppressione al petto), respiratori (dispnea, sensazione di soffocamento o di asfissia), vertigini, tremori fini o grandi scosse, tensione muscolare, parestesie, sudorazione, nausea o disturbi addominali, brividi di freddo o vampate di caldo. Spesso i sintomi somatici sono predominanti su quelli ansiosi e i pazienti inizialmente consultano medici non psichiatri. L’attacco può essere anche caratterizzato da sintomi cosiddetti psichici quali: ipersensibilità agli stimoli visivi ed uditivi, sensazione di testa leggera o svenimento, depersonalizzazione (sensazione soggettiva di sentirsi separati dal proprio corpo) o derealizzazione (percezione alterata della realtà circostante), parestesie, dejavu.
Generalmente l’individuo colpito dalla crisi d’ansia interrompe le attività che stava svolgendo e sviluppa un desiderio impellente di fuggire dal luogo in cui si è verificato l’attacco, spesso dirigendosi verso un ambiente più rassicurante per il soggetto stesso. L’attacco che di per sé, come detto, è di breve durata, è seguito da una fase post-critica che può persistere per varie ore e che si caratterizza per un senso di spossatezza e malessere, disagio e apprensione, tensione, sensazione di confusione e scarsa lucidità, debolezza muscolare.
A seconda della gravità dell’attacco, il DSM-IV differenzia gli AP completi (“full blown”) dagli AP paucisintomatici. Gli AP completi sono accompagnati da almeno quattro dei 13 sintomi somatici o cognitivi elencati nel DSM. Gli attacchi caratterizzati da meno di quattro sintomi somatici o cognitivi sono indicati come AP paucisintomatici e sono molto frequenti nei soggetti con DP.
L’AP può tuttavia verificarsi occasionalmente anche in persone sane sotto tutti gli altri punti di vista, senza particolari conseguenze patologiche (i cosiddetti AP sporadici). Gli AP possono perfino verificarsi durante il sonno, inducendo risveglio improvviso, terrore ed iperarousal. Questa evenienza risulta essere piuttosto frequente nei pazienti con DP. Il 40% circa di questi infatti, hanno sperimentato AP durante il sonno.
Gli studi elettroencefalografici indicano che tali AP non si verificano mai durante la fase REM del sonno.
Fondamentalmente possiamo distinguere due tipi di Panico, a seconda della presenza o assenza di situazioni scatenanti: attacchi di panico inaspettati, nei quali l’esordio non è associato a situazioni scatenanti (AP spontanei, “a ciel sereno”), e attacchi di panico provocati dalla situazione, i quali si verificano quasi invariabilmente nel momento o subito prima dell’esposizione ad una situazione che funziona da stimolo. Una terza variante potrebbe essere quella degli AP predisposti dalla situazione, che si verificano con maggior probabilità in occasione dell’esposizione ad una certa situazione, ma non sono invariabilmente associati allo stimolo e non necessariamente si verificano immediatamente dopo l’esposizione (ad esempio, attacchi che si verificano più probabilmente durante la guida, pur essendoci casi in cui l’individuo guida senza avere l’attacco e casi in cui l’attacco si verifica dopo che l’individuo ha guidato per mezz’ora).


Diagnosi Differenziale
Per porre la diagnosi di DP, il clinico si deve solitamente basare su una indagine retrospettiva “raccontata” dal paziente.
L’ansia caratteristica dell’AP può essere differenziata dall’ansia generalizzata per la sua natura intermittente, parossistica, e per la sua severità, tipicamente maggiore.
I sintomi dell’AP possono presentarsi in varie situazioni: sforzi fisici, uso o astinenza da sostanze, condizioni mediche come ipertiroidismo, iperparatiroidismo, feocromocitoma, ipoglicemia, disfunzioni vestibolari, epilessie, embolia polmonare, malattie cardiache (aritmie, infarto). In generale, tutte le malattie cardiopolmonari acute e tutte le situazioni che provocano un’improvvisa ed intensa attivazione del sistema simpatico possono produrre gli stessi sintomi del panico. Per questa ragione i criteri del DSM-IV per l’AP richiedono l’esclusione esplicita di cause organiche [Criterio C: “L’attacco di panico non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio, sostanza d’abuso, farmaco) o ad una condizione medica generale (ad esempio, ipertiroidismo)”]. Anche nel campo dei disturbi mentali, l’AP è parte di molte altre condizioni, oltre al DP, inclusi tutti gli stati fobici. Ne consegue pertanto che prima di effettuare la diagnosi di DP, è importante considerare il contesto in cui si verificano i sospetti AP ed effettuare un’accurata valutazione dei sintomi riportati dal paziente.

Decorso
Per la diagnosi sono richiesti almeno due AP inaspettati, tuttavia la maggior parte dei soggetti con DP ne presenta molti di più. La frequenza degli AP è molto variabile: alcuni soggetti hanno attacchi moderatamente frequenti (ad esempio, una volta alla settimana) che si verificano regolarmente per periodi di mesi; altri riportano brevi periodi di attacchi più frequenti (ad esempio, una volta al giorno per una settimana), separati da settimane o mesi senza alcun attacco o con attacchi meno frequenti (ad esempio, un attacco al mese). Nel corso del DP si osservano solitamente sia AP completi che paucisintomatici. È abbastanza comune osservare che la frequenza degli AP completi tende a diminuire nel corso della malattia, mentre gli attacchi paucisintomatici possono persistere per periodi di tempo più lunghi. Il pattern che comunemente si osserva nel corso degli anni è infatti caratterizzato da una riduzione della frequenza degli attacchi maggiori con la persistenza di quelli sottosoglia.
Dopo il primo o i primi AP, molti pazienti sviluppano la paura che si verifichi un altro attacco, sviluppano cioè l’ansia anticipatoria. Durante gli intervalli tra gli attacchi, quindi, i livelli d’ansia aumentano e l’individuo vive nel terrore di poter sviluppare un nuovo attacco di panico. L’ansia anticipatoria aumenta quando l’individuo si avvicina alle situazioni in cui si sono verificati i primi attacchi o a situazioni in cui sarebbe difficile fuggire o ricevere aiuto nel caso di un attacco di panico.
Agorafobia
Secondo il DSM-IV, la caratteristica essenziale dell’agorafobia è l’«ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un attacco di panico inaspettato o sensibile alla situazione, o di sintomi tipo panico (ad esempio, avere un improvviso attacco di vertigini o un improvviso attacco di diarrea)». Altre caratteristiche distintive sono i cambiamenti fisiologici associati agli AP che l’accompagnano. Questi possono includere palpitazioni, sensazione di testa leggera, debolezza, dolore toracico atipico e dispnea. La maggior parte degli agorafobici esprime anche la paura di perdere il controllo, impazzire, mettere in imbarazzo se stessi o gli altri, svenire o morire. L’ansia tipicamente porta all’evitamento di varie situazioni, che possono includere l’essere solo fuori casa o l’essere solo in casa, l’essere in mezzo ad una folla, il viaggiare in automobile, treno, autobus o aereo, l’essere su un ponte o su un ascensore. Il livello di disagio può andare da un leggero malessere (senza evitamento) ad una grave angoscia, con evitamento marcato. Alcuni individui sono in grado di esporsi alle situazioni temute; ma sopportano tali esperienze con notevole timore. Solitamente un individuo è in grado di affrontare una situazione temuta in presenza di un accompagnatore, anche se quest’ultimo è chiaramente incapace di fornire aiuto, come un bambino o anche un cane; altre forme di rassicurazione, come portare con sé un bastone o un ombrello, possono essere utili. Quando l’agorafobia è severa, l’evitamento di molte situazioni può compromettere gravemente la capacità dell’individuo di uscire di casa, lavorare o affrontare le responsabilità domestiche. Nella sua forma estrema, l’agorafobia è totalmente invalidante: il soggetto non può in nessuna maniera uscire di casa e non può nemmeno stare in casa da solo. L’agorafobia deve dunque essere vista come un sintomo potenzialmente molto disabilitante. Nei campioni psichiatrici, il 75% dei pazienti con DP presenta forme più o meno gravi di agorafobia, mentre nelle indagini epidemiologiche l’agorafobia si associa al DP nel 30-50% dei casi. Tutte le descrizioni cliniche concordano che quasi invariabilmente il panico precede l’agorafobia. L’inizio dell’agorafobia segue il primo AP con un intervallo di tempo variabile da pochi giorni a parecchi anni. Come indica Klein, il DP comincia con l’AP iniziale, seguito dalla paura di ulteriori attacchi (ansia anticipatoria) e poi dall’evitamento di situazioni che sono credute essere scatenanti gli AP o essere imbarazzanti o pericolose in caso di un nuovo attacco. Tuttavia, la relazione tra panico ed agorafobia è ancora controversa. Roth per primo osservò che, anche se il primo AP spesso si sviluppa improvvisamente, «un’indagine più dettagliata spesso rivela che il disturbo non è emerso in un cielo completamente sereno e che il complesso repertorio dei comportamenti di evitamento e di dipendenza indifesa dagli altri non era completamente privo di antecedenti premorbosi». Fava e collaboratori confermano l’osservazione di Roth: la maggior parte dei pazienti (90%) soffre di leggeri sintomi fobici o ipocondriaci prima dell’esordio degli AP. Anche ansia, timori e convinzioni ipocondriache sono estremamente comuni. Questi dati sono in accordo con i dati epidemiologici sull’esistenza dell’agorafobia senza AP. Il decorso dell’agorafobia e la sua relazione con il corso degli AP è variabile. In alcuni casi, una riduzione o remissione degli AP è seguita da una corrispondente diminuzione dell’evitamento fobico e dell’ansia. In altri casi, l’agorafobia può diventare cronica indipendentemente dalla presenza degli AP. I sistemi di classificazione variano a seconda della prevalenza relativa dell’agorafobia o del panico. Nel 1980, il DSM-III considerava tre distinte categorie: DP, agorafobia con DP e agorafobia senza DP. Tuttavia, vari ricercatori successivamente cominciarono a sospettare che l’agorafobia non fosse un’entità separata, ma piuttosto una risposta secondaria al DP. Nel 1987 il DSM-III-R riclassificò l’agorafobia principalmente come una sequela del DP, il quale si può presentare sia con che senza agorafobia, e questa classificazione è mantenuta nel DSM-IV. L’agorafobia senza AP tuttavia, è rimasta in entrambi i sistemi di classificazione. DSM-III-R e DSM-IV, dunque, privilegiano l’interpretazione del panico come manifestazione centrale, con l’agorafobia vista come una complicazione. L’ICD-10, invece, classifica l’associazione del panico con l’agorafobia tra i disturbi fobici, accettando la posizione che l’attitudine fobica sia l’aspetto nucleare del disturbo.
Ipocondria
La maggior parte dei pazienti con DP sviluppa una particolare attenzione verso le proprie sensazioni somatiche, con una sensibilità esagerata anche nei confronti di cambiamenti minimi e normali. Il soggetto all’inizio associa certi sintomi somatici all’esperienza soggettiva dell’AP, per cui questi sintomi agiscono come stimoli condizionati. Successivamente, il verificarsi di tali sintomi, qualunque sia la loro origine, provoca per condizionamento i sintomi ansiosi soggettivi dell’attacco. Questo meccanismo, chiamato “condizionamento enterocettivo”, porta alcuni soggetti ad evitare attività che provocano sensazioni fisiche che possono essere interpretate come simil-ansiose (ad esempio, fare sforzi fisici, bere caffè, ecc.). Molti pazienti (circa il 20%) sviluppano una franca elaborazione ipocondriaca, per cui sono seriamente preoccupati o anche persuasi di essere malati. Le preoccupazioni ipocondriache riguardano principalmente la paura di malattie cardiache o di ictus cerebrali.
Demoralizzazione
Alcuni pazienti con DP o DP e agorafobia (circa il 30%) sviluppano sentimenti di tristezza, colpa, anedonia. In genere questo stato può essere considerato come una demoralizzazione psicologicamente derivabile, dovuta al fatto che la loro capacità di vivere normalmente e di raggiungere obiettivi nell’ambito della vita sociale è gravemente compromessa dal disturbo; in altri casi, tuttavia, deve essere considerata la possibilità di un episodio depressivo vero e proprio.

EPIDEMIOLOGIA
La prevalenza del DP è simile in diversi Paesi. Secondo il Cross-National Group la prevalenza annuale del disturbo va dall’1,7% nella Germania dell’Ovest allo 0,2% a Taiwan, un Paese che ha bassi tassi relativamente a tutti i disturbi psichiatrici. La prevalenza nel corso della vita va dal 3,8% in Olanda allo 0,4% a Taiwan. La prevalenza nel corso della vita rilevata da studi più recenti risulta due volte più elevata di quella riportata dall’Epidemiological Catchment Area (ECA) (1,7 %). Questa divergenza potrebbe essere dovuta a differenze tra i criteri del DSM-III e del DSM-III-R per il DP: il DSM-III richiedeva tre AP in un periodo di tre settimane, mentre i criteri del DSM-III-R usati negli ultimi studi sono più ampi, perché includono la preoccupazione persistente di avere un altro attacco. Il DSM-III R, inoltre, include un altro sintomo (nausea o dolore addominale) tra i criteri di definizione dell’AP. Bisogna però tenere in considerazione anche la possibilità di un effetto legato al periodo, con un aumento reale dei tassi nel tempo, tra l’ECA, condotta nei primi anni Ottanta, e gli altri studi, effettuati nei primi anni Novanta. La prevalenza nel corso della vita del DP con agorafobia è intorno all’1,5%. La prevalenza nel corso della vita dell’agorafobia senza anamnesi di DP varia, nei diversi studi epidemiologici, dal 2,1 % al 7,8 % e appare pertanto più elevata rispetto a quella del DP. Contrariamente a quanto osservato nelle casistiche cliniche, nelle quali l’agorafobia senza anamnesi di DP risulta una condizione molto rara, gli studi epidemiologici riportano una maggior prevalenza di agorafobia senza AP rispetto al DP senza agorafobia e all’agorafobia senza AP. Le ricerche effettuate sulla popolazione generale evidenziano infatti una notevole proporzione, dal 30 al 50%, di pazienti agorafobici che non presentano una storia di attacchi di panico. Diversi fattori sembrano tuttavia limitare la validità di queste osservazioni: l’impiego di gerarchie diagnostiche, che prevedono l’esclusione del DP in presenza di altri disturbi, come la depressione, può avere condotto ad una sottostima della condizione morbosa; inoltre in alcuni studi le interviste diagnostiche sono state condotte da esaminatori non clinici ed è possibile che disturbi ad andamento fasico, come gli AP, siano meno facilmente rilevabili rispetto ai disturbi cronici, come l’agorafobia. Una ricerca epidemiologica a livello di popolazione generale condotta nel nostro Paese, utilizzando intervistatori clinici esperti nella diagnosi di disturbi d’ansia, ha riportato tassi di prevalenza nel corso della vita dell’ordine dell’1,4 % per il DP, dello 0,9 % per l’agorafobia con AP e dello 0,5% per l’agorafobia senza AP, dati più congruenti con le osservazioni cliniche. Il tasso di incidenza del DP varia nei diversi studi dall’1,43 per 1000 per anno/persona di esposizione al 5,8 per 1000 anno/persona. La diversa distribuzione di età non spiega la differenza osservata tra i due studi, poiché ciascun campione aveva approssimativamente la stessa proporzione di soggetti tra le età a rischio per l’esordio del DP. Probabilmente la differenza è dovuta al diverso intervallo tra le osservazioni (13-15 anni nel primo studio, un anno nel secondo). Un intervallo lungo potrebbe portare a dimenticare gli AP meno severi, e quindi ad una stima dell’incidenza minore. La prevalenza nel corso della vita degli AP paucisintomatici, molto frequenti nei soggetti con DP ma possibili anche in soggetti senza DP, è stata stimata intorno al 2 %. La frequenza degli AP sporadici o infrequenti supera quella di tutti gli altri tipi di panico che possono essere nosograficamente codificati: è stato riportato che nella popolazione generale un consistente numero di casi ha almeno un AP senza ulteriori conseguenze; le stime epidemiologiche variano dall’1,8 % al 12 %. Riguardo a tali dati possono essere suggerite due interpretazioni: a) gli AP in se stessi non sono forme intrinsecamente patologiche; nella maggior parte dei casi non ricorrono e non provocano conseguenze sull’adattamento sociale o sulla qualità della vita. Altri fattori sono necessari per determinare la frequente ripetizione delle crisi e/o la loro evoluzione in forme chiaramente patologiche; b) la seconda possibilità è che gli AP sporadici rappresentino la forma più sfumata, subclinica, del DP. In tal caso un precoce riconoscimento di questa forma sarebbe essenziale per prevenire la sua possibile evoluzione in un disturbo di intensità maggiore. Il numero di anni di istruzione è correlato con forti e significative differenze nelle probabilità di AP, DP e DP con agorafobia. Soggetti con meno di 12 anni di istruzione hanno una probabilità quattro volte maggiore di avere AP, più di dieci volte maggiore di avere il DP e più di sette volte maggiore di avere il DP con agorafobia rispetto a un gruppo di riferimento con un’istruzione di livello universitario (16 anni o più di studio). Il pattern non è lineare, in quanto i soggetti che non hanno completato l’università hanno una probabilità simile a quella dei soggetti che l’hanno completata, e i soggetti che non hanno terminato la scuole superiori hanno una probabilità simile a quella dei soggetti che le hanno terminate ma non hanno ricevuto un’ulteriore educazione. Quindi il verificarsi del panico potrebbe essere correlato con situazioni stressanti nelle quali l’individuo si trova in un relativo svantaggio rispetto agli altri. D’altra parte, il panico potrebbe essere strettamente mediato da fattori cognitivi che coinvolgono la valutazione del rischio. Persone che lavorano, sposate e che vivono con gli altri hanno generalmente una prevalenza più bassa del DP. Coloro che vivono in città sembrano avere una prevalenza del panico un po’ più alta, ma questo risultato non è statisticamente significativo. La prevalenza stimata del panico e delle esperienze correlate è molto differente tra gli uomini e le donne. La preponderanza di donne tra i pazienti con disturbi d’ansia è un dato sia epidemiologico che clinico. In tutte le categorie di gravità crescente di DP, la prevalenza è poco più che due volte maggiore tra le donne rispetto agli uomini, come anche nei risultati dell’ECA: nelle indagini epidemiologiche il rapporto tra femmine e maschi varia da 1,3 a 5,8. Tra gli agorafobici le donne predominano largamente: più dei tre quarti dei pazienti con DP che manifestano estese condotte di evitamento sono donne. Le donne inoltre sviluppano con maggior probabilità sintomi fobici, presentano più spesso ansia generalizzata ed hanno più frequentemente depressione. I pazienti maschi hanno una durata di malattia significativamente più lunga rispetto alle femmine. Le donne soffrono con una frequenza significativamente maggiore di ansia anticipatoria e di umore depresso in atto o pregresso. Nonostante la maggior durata di malattia nei pazienti maschi, la minor frequenza del verificarsi di concomitanti evitamenti fobici e di disturbi depressivi indica che gli uomini potrebbero essere compromessi meno severamente rispetto alle donne. Gli uomini inoltre mostrano meno frequentemente ricerca di aiuto. La necessità economica degli uomini di lavorare potrebbe aiutare a ridurre l’agorafobia.

Fattori di rischio
Eventi di vita precoci
È stato suggerito che ci sia un legame tra l’esperienza di eventi di vita traumatici durante l’infanzia e l’adolescenza e lo sviluppo di disturbi d’ansia nell’età adulta: Raskin e collaboratori, esaminando gli antecedenti di sviluppo in vari tipi di disturbi d’ansia, indicarono che il 53% dei soggetti appartenenti al gruppo del DP aveva qualche evento di separazione dai genitori durante l’infanzia. È emerso che i pazienti agorafobici con AP sperimentano un maggior numero di eventi di vita drammatici (come morte dei genitori, separazione prolungata dai genitori, divorzio dei genitori) durante l’infanzia e l’adolescenza rispetto ai soggetti normali. Sebbene parte dell’eccesso di questi eventi sia il risultato di una maggior prevalenza di disturbi psichiatrici nelle loro famiglie, ciò non rende conto completamente della differenza e si dovrebbe considerare una relazione causa-effetto tra eventi di vita precoci traumatici e disturbi d’ansia. Quasi tutti gli studi che considerano gli effetti dei traumi precoci sulla psicopatologia dell’adulto concordano nel riportare che gli eventi precoci sono associati con un rischio aumentato per tutti i disturbi ansiosi e depressivi, per la somatizzazione e per una maggiore comorbidità, ma con scarsa specificità per ogni singolo disturbo. D’altra parte, almeno restringendo il campo di osservazione al fenomeno panico/agorafobia, il verificarsi di eventi di separazione durante l’infanzia e/o l’adolescenza sembra essere specificamente associato con un successivo sviluppo di agorafobia. Infatti, i due terzi dei pazienti con panico e agorafobia mostrano almeno un evento traumatico nei primi 16 anni di vita, contro il 22 % dei pazienti con panico senza agorafobia. Eventi precoci di separazione possono portare ad esperienze di profonda insicurezza. Queste, da parte loro, in assenza di figure protettive, possono scoraggiare il normale comportamento esploratorio. Il soggetto, quindi, si trova di fronte ad un mondo dove sente la propria precarietà e dove molte situazioni sono viste come pericolose. Insieme ai sentimenti di rabbia e disperazione, che tengono il sistema vegetativo in uno stato di continua allerta, la necessità di essere indipendente può portare a pattern di attaccamento disfunzionali. Recentemente c’è stato un crescente interesse nei confronti dei maltrattamenti dei bambini come fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi mentali. Saunders e collaboratori hanno riportato che, in bambini vittime di abusi fisici e sessuali prima dell’età di cinque anni, il più comune disturbo psichiatrico da adulti è l’agorafobia, che si verifica nel 44 % dei casi, mentre Swanston e collaboratori hanno segnalato un aumento di ansia generalizzata in bambini sottoposti ad abusi sessuali seguiti per 5 anni dopo l’evento. Di un campione di 59 giovani adulti cambogiani che sopravvissero ad una catastrofe di massa di bambini, un numero significativo di quelli con disturbo post-traumatico da stress (DPTS) (59%) aveva uno o più disturbi addizionali di asse I secondo il DSM-IV. La depressione maggiore e il disturbo d’ansia generalizzata erano i disturbi più comuni presenti in comorbidità. Inoltre, il tasso di diagnosi di DPTS trovato in questo campione 15 anni dopo il trauma mostra che gli effetti del trauma vissuto nell’infanzia persiste nella giovane età adulta. Ancora una volta, dunque, mentre sembra acquisito che l’abuso nell’infanzia porta ad un rischio aumentato di psicopatologia durante l’età adulta, la specificità di questi traumi per il DP/agorafobia è discutibile.
Iperprotezione materna
È un’impressione clinica comune che i genitori dei pazienti con DP appaiono essere iperprotettivi, severi e rigidi. In campo empirico, Terhune, Webster e Tucker hanno tutti descritto un retroterra di iperprotezione genitoriale (soprattutto materna) nei loro pazienti agorafobici. Tra gli studi controllati, usando il Maternal Overprotection Questionnaire, Solyom e collaboratori trovarono che le madri degli agorafobici erano più protettive di quelle dei soggetti normali di controllo. Parker, usando il Parental Bonding Instrument (PBI), riportò che entrambi i genitori di pazienti che soffrivano di nevrosi d’ansia risultavano significativamente meno in grado di prendersi cura dei figli e più iperprotettivi rispetto a quelli dei soggetti normali di controllo, mentre un altro studio trovò che gli agorafobici differivano dai controlli solo nella scala che misurava la capacità materna di prendersi cura del figlio, che era ridotta nei pazienti. Usando il PBI in pazienti con DP definito in maniera operativa, fu trovato che tali soggetti riportavano durante l’infanzia interazioni con genitori significativamente meno in grado di prendersi cura e più tendenti al controllo rispetto ai soggetti sani.
Ansia di separazione
Evidenze crescenti indicano un’associazione tra l’ansia durante l’infanzia e il DP durante l’età adulta, sebbene alcuni studi non confermino tale associazione. Silove e collaboratori dimostrarono che l’ansia da separazione in età precoce era associata con un significativo rischio di DP nell’età adulta e che soggetti con una storia lifetime di DP-agorafobia avevano più sintomi di ansia di separazione rispetto a quelli con disturbo d’ansia generalizzata o altri disturbi fobici senza storia di DP. Pollak e collaboratori riportarono che il 55% dei pazienti adulti con DP soddisfaceva i criteri di qualche disturbo d’ansia dell’infanzia, e trovarono che questi casi avevano un tasso più alto di disturbi d’ansia in comorbidità nell’età adulta. I pazienti con una storia di disturbi d’ansia durante l’infanzia erano anche caratterizzati da un maggior evitamento e da una maggior paura dei sintomi ansiosi, anche se non dimostravano una maggiore gravità complessiva del DP. È stato condotto solo uno studio prospettico su bambini con ansia da separazione ben diagnosticata: il DP non era molto frequente in questi casi, ma era significativamente più elevato che nei controlli. Kagan e collaboratori riportarono che l’inibizione comportamentale durante l’infanzia può essere un fattore di rischio per il successivo sviluppo di disturbi d’ansia. Rosenbaum e collaboratori hanno descritto un alto tasso di inibizione comportamentale in figli di soggetti con DP e agorafobia. Per indagare ulteriormente il legame tra l’inibizione comportamentale e i disturbi d’ansia, Biederman e collaboratori esaminarono i correlati psichiatrici dell’inibizione comportamentale valutando un campione di figli di soggetti con DP e agorafobia e un campione di bambini epidemiologicamente derivato, seguito durante un periodo di sette anni da Reznick e collaboratori. Tali autori trovarono che i bambini inibiti avevano un aumentato rischio per molteplici disturbi d’ansia e disturbi fobici, soprattutto la fobia sociale. Ulteriori evidenze del legame tra la psicopatologia ansiosa dell’infanzia e dell’età adulta provengono da studi familiari che riportano alti tassi di problematihe durante l’infanzia legate all’ansia nei figli di pazienti adulti con DP; se l’ansia durante l’infanzia predisponga l’individuo al DP durante l’età adulta influenzando le reazioni cognitive o comportamentali ai sintomi o se sia una manifestazione precoce del disturbo stesso non è ancora chiaro.

Personalità
Osservazioni aneddotiche riportano che i soggetti con DP hanno una personalità premorbosa normale o anche socievole e brillante. Anche se questo appare vero ad un’osservazione superficiale, i clinici hanno a lungo sospettato che i pazienti con agorafobia avessero una frequenza maggiore di tratti di personalità dipendenti rispetto alla media della popolazione generale. Andrews ipotizzò che la dipendenza dagli altri fosse uno dei principali stili di coping dei pazienti agorafobici. Qualcosa di analogo fu riportato anche da Shafar, la quale, usando stime indefinite, concluse che problemi di dipendenza erano presenti nel 38 % dei suoi pazienti agorafobici; e da Buglass e collaboratori, che, pur riportando uno studio nel complesso negativo, rilevarono che il 27 % dei loro pazienti e nessuno dei loro soggetti di controllo erano consapevoli di una tendenza alla dipendenza, di cui erano risentiti. Infine, Torgersen, nel suo studio su gemelli monozigoti, indicò che i gemelli agorafobici avevano maggior probabilità di essere dipendenti. La personalità dei soggetti con DP durante le fasi di remissione è caratterizzata da pessimismo, preoccupazione eccessiva per le funzioni fisiche, insicurezza, egocentrismo, immaturità, ruminazione eccessiva, indecisione e standard di moralità eccessivamente elevati. Il Maudsley Personality Inventory evidenziò elevati livelli di neuroticismo, e la Sensation Seeking Scale mostrò il desiderio dei soggetti agorafobici di far fronte a quelle situazioni che essi non riuscivano ad affrontare nella realtà. Poiché tutti questi studi sono retrospettivi, non è chiaro se i tratti di personalità dipendenti osservati siano primari o secondari al verificarsi dei sintomi. Da una parte, la possibilità che queste caratteristiche possano costituire una condizione predisponente allo sviluppo del DP è supportata dai dati di Nystrom e Lyndegard: in uno studio prospettico di più di 3000 soggetti, questi autori trovarono tratti di personalità premorbosa dipendenti in soggetti che successivamente svilupparono disturbi d’ansia. Quindi non è irrazionale credere che tratti o disturbi di personalità contribuiscano alla sviluppo della malattia. D’altra parte, può essere che i disturbi di personalità siano secondari al DP, specialmente quando quest’ultimo è complicato da evitamento fobico. Alcuni pazienti dichiarano che prima dell’inizio del loro disturbo fobico erano indipendenti e sicuri di sé, in contrasto con l’attaccamento timoroso ad un compagno che successivamente ha caratterizzato la loro malattia. Una personalità evitante e uno stile cognitivo fobico potrebbero aver contribuito allo sviluppo di una dipendenza non benvenuta. Hoffart, esaminando la relazione tra tipi di personalità psicoanalitici ed agorafobia prima e dopo il trattamento, trovò che punteggi più alti alla scala orale predicevano un corso peggiore dei sintomi nell’anno immediatamente successivo al trattamento. I punteggi alla scala orale diminuivano con il miglioramento dei sintomi agorafobici e generali, ma non raggiungevano un livello normale. Questi risultati supportano un modello combinato di predisposizione-stato per la relazione tra tratti orali ed agorafobia. Skodol e collaboratori esaminarono i pattern di comorbidità dei disturbi d’ansia secondo il DSM-III-R con i disturbi di personalità. I risultati evidenziarono che il DP, in atto o pregresso, era associato con i disturbi di personalità borderline, evitante e dipendente; i disturbi d’ansia associati con i disturbi di personalità erano caratterizzati da cronicità e da più bassi livelli di funzionamento rispetto ai disturbi d’ansia senza disturbi di personalità. I risultati di uno studio di Noyes e collaboratori indicarono che i pazienti con fobia sociale e quelli con DP erano distinguibili sulla base delle caratteristiche di personalità. In particolare, i fobici sociali avevano una patologia di personalità più grave, punteggi più alti nei cluster ansioso e schizoide e differivano dai soggetti con panico nell’avere più tratti evitanti di personalità; i soggetti con DP avevano più tratti dipendenti. e collaboratori hanno ipotizzato che antecedenti personologici e prodromici rappresentino un putativo substrato temperamentale fobico-ansioso presente in almeno il 30% del loro campione; questo temperamento sembrerebbe essere di origine familiare e in sua presenza la malattia tenderebbe a manifestarsi più precocemente.

Altri fattori sono stati associati al DP, tra cui la familiarità (l’avere un familiare affetto da DP, agorafobia, depressione o disturbo bipolare aumenta consistentemente il rischio di DP) ed alcuni fenomeni legati a fattori biologici. Dal momento che questi fattori sono abitualmente affrontati in chiave eziopatogenetica, non li prenderemo in considerazione in questa sede.

ESORDIO DEL DP
Età di esordio
L’età di esordio del DP varia notevolmente, ma più tipicamente si colloca nella prima metà del terzo decennio, con un esordio più tardivo riportato negli studi tedeschi (età di esordio: 35,5 anni) ed in Corea (età di esordio: 32,1 anni). Nei campioni clinici l’età media di esordio è intorno ai 25 anni; la prevalenza stimata totale degli AP e del DP è maggiore nei soggetti di età compresa tra i 15 e i 24 anni. L’associazione con l’età sembra differire a seconda del sesso, con un esordio più precoce per gli uomini. Il pattern suggerisce una distribuzione bimodale sia per gli uomini che per le donne: la moda precoce cade nell’intervallo 15-24 anni e la moda tardiva si verifica nell’intervallo 45-54 anni. Un piccolo numero di casi comincia durante l’infanzia. In circa il 15 % dei pazienti l’esordio è dopo i 40. Il rischio straordinariamente elevato di DP nei parenti dei soggetti con DP ad esordio prima o all’età di 20 anni suggerisce che l’età di esordio potrebbe essere utile nel differenziare sottotipi familiari di DP e che gli studi genetici sul DP dovrebbero considerare l’età di esordio. Mentre il DP senza agorafobia prevale durante la seconda metà del terzo decennio, il DP con agorafobia si sviluppa più frequentemente durante la prima metà del terzo decennio.

Situazioni d’esordio
Riguardo al contesto nel quale si verifica il primo AP, Lelliott e collaboratori hanno riportato che il 92% dei loro pazienti agorafobici con AP sperimenta il primo attacco in luoghi pubblici piuttosto che in casa. Tali circostanze sono solitamente un insieme agorafobico vagamente definito di stimoli riguardanti luoghi pubblici, come strade, negozi, mezzi di trasporto pubblici, auditorium e folle, e in maniera meno centrale ascensori, tunnel, ponti, spazi aperti ed altezze. Questi dati sono in accordo con quelli riportati da Faravelli e collaboratori: essi rilevarono che tale tipo di esordio è significativamente meno comune tra i pazienti con DP che non sviluppano successivamente agorafobia. L’associazione tra esordio pubblico ed agorafobia merita un interesse speciale. Un’interpretazione possibile è che una sorta di agorafobia subclinica potrebbe preesistere al panico clinicamente conclamato, supportando così la visione precedentemente menzionata secondo la quale una qualche predisposizione viene prima dell’esordio acuto del DP. Lelliott e collaboratori. suggeriscono il ruolo di un fattore etologico (una vulnerabilità evoluzionisticamente determinata all’extraterritorialità), in associazione con le componenti biologiche e di apprendimento del disturbo. Un’altra interpretazione, più semplice, potrebbe essere presa in considerazione. Il diverso significato psicologico del contesto nel quale si verifica l’AP potrebbe spiegare l’evoluzione del disturbo. Lo sperimentare il dramma di un AP inaspettato in una circostanza in cui oggettivamente non è disponibile aiuto ha un impatto psicologico differente rispetto allo sperimentare gli stessi sintomi in una situazione protetta (ad esempio, a casa). È possibile che il subire un’esperienza stressante come l’avere un attacco in un contesto nel quale si è senza aiuto possa influenzare il decorso successivo del disturbo. In tal caso, il nucleo centrale del disturbo sarebbe l’evoluzione patologica del panico, piuttosto che il panico stesso. Lelliott e collaboratori hanno segnalato anche che, almeno in Gran Bretagna, il primo AP si verifica più spesso nella tarda primavera-estate e nei periodi caldi piuttosto che in inverno e nei periodi freddi. Il caldo potrebbe costituire la stimolazione necessaria per raggiungere un grado intollerabile di sudorazione o di qualche altro malessere mediato dal sistema nervoso autonomo, che è percepito come ansia o panico quando il soggetto si trova in luoghi pubblici. D’altra parte, il bel tempo potrebbe semplicemente aumentare la probabilità di trovarsi fuori casa. Un’altra possibile spiegazione del fatto che il primo AP si verifica più frequentemente nei mesi primaverili-estivi e durante le ore diurne è che la stimolazione luminosa potrebbe favorire il verificarsi di AP in soggetti predisposti. Tale fotosensibilità dei soggetti con DP, emergente da dati epidemiologici, sembrerebbe confermata dall’osservazione clinica del fatto che questi soggetti solitamente assumono condotte fotofobiche, e da dati sperimentali che dimostrano la capacità della luce intermittente fluorescente di evocare sintomi somatici e psicosensoriali tipici dell’AP.

Eventi di vita stressanti
Descrizioni cliniche non controllate hanno riportato che il primo AP è spesso preceduto da qualche evento di vita stressante. Studi controllati generalmente confermano l’eccesso di stress prima dell’esordio del DP. È stato trovato che i pazienti sperimentano più eventi di vita stressanti nell’anno che precede l’inizio della malattia rispetto a soggetti di controllo sani e che la maggior concentrazione di stress si verifica nei mesi precedenti l’inizio dei sintomi. Tuttavia tali studi non hanno confermato i dati riportati da Finlay-Jones e Brown, i quali indicarono che gli eventi pericolosi erano significativamente più rappresentati tra i pazienti con “ansia” piuttosto che tra i pazienti con “depressione”. Questa informazione ci porta ad attribuire agli eventi di vita un ruolo di fattori precipitanti l’esordio del DP, ma in una maniera piuttosto aspecifica. Il grado di associazione tra eventi stressanti e DP, tuttavia, non è in realtà molto elevato: il “population attributable risk”, che misura quanto del disturbo è effettivamente dovuto al fattore in esame, varia infatti tra il 30 e il 39 %. Molti pazienti con DP riportano che il loro primo AP si è verificato dopo piuttosto che durante, un periodo della loro vita considerato particolarmente stressante, e che essi comunque hanno gestito in maniera abbastanza adeguata. A parte il ruolo ovvio di meccanismi psicogenetici nel verificarsi di questi sintomi, un’altra possibile interpretazione è in termini di esaurimento o sensibilizzazione biologica o anche in termini di interruzione degli schemi cognitivi. Roy-Byrne e collaboratori hanno esaminato il decorso della malattia in pazienti con DP in funzione del fatto che l’inizio fosse o no preceduto da grosse separazioni o perdite. I loro risultati suggeriscono che il verificarsi di gravi perdite prima dell’esordio non è correlato con la severità dei successivi sintomi ansiosi, ma appare essere in relazione con il successivo verificarsi di episodi depressivi maggiori. Poiché agli eventi che precedono l’esordio del disturbo è generalmente attribuito un ruolo causale-precipitativo, è plausibile suggerire che lo stesso tipo di eventi potrebbe avere un ruolo nel mantenere o esacerbare il disturbo. Questo sarebbe in accordo con uno studio dimostrante che i pazienti agorafobici che continuano a sperimentare eventi di vita avversi dopo una terapia comportamentale hanno un esito peggiore.

DECORSO CLINICO
Esito a breve e a lungo termine
Dopo la riclassificazione ad opera del DSM-III dei disturbi d’ansia, molti studi si sono focalizzati sull’esito a lungo termine del DP. Descrizioni retrospettive fatte da individui visti in contesti clinici suggeriscono che il decorso della malattia è solitamente cronico, con remissioni e riacutizzazioni. Alcuni individui possono avere brevi episodi separati da anni di remissione, altri possono avere una sintomatologia grave continua. Studi specifici di follow-up confermano in generale la cronicità del DP, sebbene con una grande varietà di possibili esiti.
Nonostante i primi studi, che includevano periodi di follow-up relativamente brevi, mostrassero una prognosi relativamente buona, con tassi di guarigione varianti dal 25 al 72 % dopo 1 o 2 anni, studi successivi riportarono esiti meno favorevoli. Dopo 5 anni di follow-up, solo il 10-12 % dei pazienti era completamente guarito (assenza di sintomi e di trattamento). Inoltre, in questi pazienti sono stati riportati rischi più alti di suicidio, episodi depressivi maggiori, malattie cardiovascolari, insieme ad un tasso aumentato di morbilità generale e di mortalità. Tuttavia, poiché il DP è frequentemente in comorbidità con altri disturbi di asse I o di asse II, l’esito a lungo termine potrebbe dipendere dalle condizioni in comorbidità piuttosto che dal DP stesso.
Studi recenti sembrerebbero confermare questa posizione: le conseguenze peggiori in termini di mortalità, morbilità ed abuso di sostanze sembrano essere correlate con le condizioni associate. Noyes e collaboratori segnalarono che pazienti con evitamento fobico esteso o agorafobia avevano una forma più severa di DP, con una durata di malattia più lunga, sintomi più gravi e maggior maladattamento sociale rispetto ai soggetti senza o con limitato evitamento fobico. Breier e collaboratori, Lesser e collaboratori e Noyes e collaboratori trovarono che, tra i soggetti con DP, quelli con demoralizzazione secondaria (presente o passata) costituivano un gruppo caratterizzato da una maggiore gravità del disturbo: erano stati ammalati più a lungo ed avevano sintomi d’ansia più gravi, AP più frequenti ed evitamenti fobici più estesi, e più frequentemente avevano disturbi di personalità in comorbidità.
Ci sono evidenze del fatto che i disturbi di personalità concomitanti influenzano l’esito dei pazienti con DP: la presenza di un disturbo di personalità predice infatti una risposta meno favorevole al trattamento. Faravelli e collaboratori riportano che, quando il DP è la condizione psicopatologica primaria, il tasso di guarigione è relativamente basso (12%) e il disturbo tende ad avere un andamento cronico; l’esito a lungo termine mostra una grande variabilità ed il risultato più comune è quello intermedio di un soggetto che non sta molto male ma non è completamente guarito. Tra i predittori presi in considerazione in tale studio, solo la durata del disturbo prima del trattamento mostrava una stretta relazione con l’esito: i pazienti trattati più precocemente sperimentavano più frequentemente una guarigione completa o una remissione e riportavano meno ricadute. In questo campione, il numero dei comportamenti suicidiari era piccolo.
Usando i dati dello studio ECA, Markowitz e collaboratori mostrarono che il DP (con o senza agorafobia) era associato con un rischio più alto di scarsa salute fisica e psichica, abuso di alcol e altre sostanze, tentativi di suicidio, peggior funzionamento di coppia e maggior dipendenza dal punto di vista finanziario. Inoltre, molte delle variabili considerate, come l’abuso di alcol e la dipendenza dal punto di vista finanziario, erano associate con un rischio superiore di DP rispetto a quello di depressione maggiore. Secondo l’ECA, i tassi di suicidio per le diagnosi separate di DP e di depressione maggiore erano simili ed erano più alti dei tassi presenti nella popolazione generale. I pazienti con DP avevano livelli di salute mentale e di funzionamento nel proprio ruolo sostanzialmente più bassi di quelli dei pazienti con altre gravi condizioni mediche generali. Il DP è associato con una qualità di vita scadente. Sebbene i soggetti con AP sporadici riportino una qualità di vita peggiore rispetto ai controlli, i soggetti con DP hanno una maggior disabilità ed una qualità di vita peggiore rispetto ai soggetti con AP sporadici. I predittori di disabilità in ambiente lavorativo includono la frequenza degli AP, l’atteggiamento da malato e l’insoddisfazione familiare.
Coryell, rivedendo precedenti studi pubblicati dal 1936 al 1986, conclude che i pazienti con stati ansiosi sembrano avere la stessa probabilità di suicidio dei soggetti con depressione primaria. Weissman e collaboratori descrivono tassi di tentativi di suicidio e di ideazione suicidiaria molto elevati, anche indipendentemente dalla copresenza di episodi depressivi maggiori o alcolismo. Lepine e collaboratori riportano che il 42 % dei pazienti ambulatoriali con DP aveva tentato il suicidio almeno una volta nel corso della propria vita: le caratteristiche demografiche associate a tentativi di suicidio erano simili a quelle presenti nelle altre popolazioni cliniche, ad esempio quella dei pazienti depressi. I tentativi di suicidio erano più frequenti in soggetti non sposati, divorziati o in donne vedove. In questo studio gli autori trovarono che la durata del DP era significativamente maggiore in coloro che avevano tentato il suicidio, mentre la gravità del peggior episodio non differiva tra quelli che avevano tentato e quelli che non avevano tentato il suicidio. Essi trovarono inoltre che i tentativi di suicidio nei soggetti con DP erano spesso associati con una diagnosi lifetime di depressione maggiore e di abuso di alcol e/o di altre sostanze.
Warshaw e collaboratori riportano che il comportamento suicidiario nei soggetti con DP sembra essere più correlato con fattori non riguardanti il DP in sé: presenza di depressione, disturbo post-traumatico da stress, disturbi dell’alimentazione, abuso o dipendenza da sostanze, disturbi di personalità (in particolare borderline o antisociale) e fattori correlati con la qualità di vita (infatti essere sposati, avere figli e lavorare a tempo pieno sembrerebbero essere fattori protettivi).

Associazione con altre patologie
Il DP è spesso associato con altri disturbi d’ansia e con la depressione. Basandosi sui tassi lifetime, l’odds ratio di comorbilità del DP con l’agorafobia va da 7,5 nell’ECA a 21,4 a Porto Rico, e quello del DP con la depressione maggiore va da 3,8 a Savigny a 20,1 a Edmonton. Nel National Comorbidity Survey l’odds ratio è 10,6 per l’agorafobia e 5,7 per la depressione maggiore. La compresenza dell’agorafobia con il DP caratterizza un disturbo più severo e comporta una probabilità maggiore di una o più diagnosi in comorbidità. Goisman e collaboratori trovarono che il DP con o senza agorafobia coesiste con almeno un altro disturbo d’ansia nel corso della vita nel 37 % dei casi. Klerman e collaboratori mostrarono che il 33 % di 254 soggetti con DP aveva in comorbidità agorafobia e che il 72 % di questi 254 aveva in comorbidità agorafobia, depressione maggiore, abuso di alcol o di altre sostanze. Johnson e collaboratori indicarono che più dei due terzi dei soggetti dell’ECA con DP nel corso della vita soddisfacevano i criteri per almeno due fra le 10 altre diagnosi di asse I. Cassano e collaboratori trovarono che il 70 % di 302 pazienti con diagnosi di DP attuale secondo il DSM-III-R aveva in atto anche almeno una di sette altre sindromi, delle quali la più comune era il disturbo d’ansia generalizzata (DAG). C’è una maggior probabilità di trovare da solo il DP non complicato, ma anche tale eventualità si verifica in meno del 50 % dei casi. Anche in questo studio il GAD e l’agorafobia sono risultate essere le diagnosi più frequenti in comorbidità. Il DP con agorafobia si trova come unica diagnosi nel corso della vita nel 40 % dei casi. Le diagnosi in comorbidità, presenti a tassi simili (circa il 20 %) sono la fobia semplice, la fobia sociale e il GAD. Joyce e collaboratori trovarono che nel corso della vita la diagnosi di GAD secondo il DSM-III era più frequente nei soggetti con storia di AP con moderato evitamento fobico piuttosto che in quelli con storia di soli AP. I soggetti con agorafobia senza storia di AP avevano almeno due diagnosi addizionali ed almeno una frequenza doppia di disturbi in comorbidità rispetto ai soggetti con DP non complicato; il GAD era il disturbo più frequentemente associato, seguito dalla fobia sociale e dalla fobia semplice; il 32 % dei soggetti aveva l’agorafobia senza storia di AP come unica diagnosi. Una possibile spiegazione dell’alto tasso di comorbidità tra i disturbi d’ansia è che questi disturbi possono condividere alcune vie eziopatogenetiche. Barlow notò che l’esperienza di alcuni sintomi d’ansia può portare all’anticipazione di un’ansia maggiore: quest’anticipazione, infatti, è essa stessa sorgente di ansia, portando ad un’attesa aumentata, ad un riconoscimento del pattern e ad un’ulteriore attesa. Se così è, allora è probabile che avere un disturbo d’ansia possa abbassare la soglia da raggiungere per averne un altro.
Gli studi indicano che la seconda diagnosi è spesso il GAD: questo dato potrebbe portare a considerare di abolire il GAD come entità separata e considerarlo solo come un prodotto non specifico, talvolta inevitabile, dell’avere uno qualsiasi di un gran numero di disturbi d’ansia cronici. Anche il DP appare più probabilmente essere preceduto da altri disturbi psichiatrici piuttosto che essere una condizione cronologicamente primaria. A parte i disturbi affettivi, ci sono relativamente poche altre condizioni psichiatriche che appaiono dopo l’esordio del DP. Questi dati sembrerebbero implicare che alcuni disturbi primari (ad esempio, fobia semplice, fobia sociale, abuso di sostanze) possano rappresentare una predisposizione specifica allo sviluppo del DP. Dal 35 al 91 % dei pazienti con DP soffre anche di depressione maggiore nel corso della propria vita129-131. Dati provenienti da studi familiari e su gemelli hanno suggerito che ansia e depressione sono presenti in forma pura nei parenti dei probandi, ma che un certo grado di sovrapposizione nella trasmissione di questi disturbi si verifica spesso: questi dati non sono in grado di concludere se una condizione predisponga all’altra o se ci sia un’eziologia comune. Leckman e collaboratori trovarono che i parenti di primo grado dei pazienti con doppia diagnosi di depressione maggiore e DP avevano un rischio marcatamente aumentato di comorbidità per depressione, panico, fobie e alcolismo. In molti casi, entrambi i disturbi si verificano contemporaneamente. In altri, il DP si verifica prima dell’esordio del disturbo depressivo o prima dell’inizio dell’abuso di sostanze. Breier e collaboratori rilevarono che pazienti con DP e/o agorafobia che avevano un episodio depressivo maggiore in atto o pregresso mostravano più sintomi gravi sia di ansia che di depressione rispetto a quelli che non erano mai stati depressi. In uno studio naturalistico, Van Valkenburg e collaboratori riportarono che pazienti con depressione secondaria avevano un’età d’esordio del DP più precoce, ma che non differivano dai pazienti con DP non depressi nella risposta al trattamento o nell’adattamento psicosociale.
Sembrerebbe d’altra parte ragionevole aspettarsi che pazienti depressi abbiano sofferto di DP più a lungo rispetto a quelli non depressi, soggetti con e senza storia di depressione hanno avuto il DP per periodi di tempo simili. Inoltre, sebbene sarebbe concepibile che pazienti con evitamento agorafobico più grave sperimentino con maggior probabilità la depressione rispetto ai pazienti con evitamento meno grave, tale pattern non è supportato da evidenze empiriche. Dunque, ci sono pochi argomenti a favore dell’ipotesi che la depressione che frequentemente complica il DP sia eziologicamente secondaria agli effetti demoralizzanti a lungo termine dell’evitamento agorafobico cronico. La compresenza di fobia sociale e DP non è rara. In uno studio di Segui e collaboratori, i pazienti con fobia sociale e DP in comorbidità avevano un’età d’esordio del DP più precoce, presentavano più frequentemente il disturbo ossessivo-compulsivo e una maggiore gravità alla scala della fobia sociale del Fear Questionnaire di Marks and Mathews. Tuttavia, né la durata del DP, né la gravità dell’agorafobia erano correlate con una storia di depressione maggiore, la diagnosi concomitante di fobia sociale era associata con un rischio lifetime di depressione significativamente maggiore. Tali dati, tuttavia, non possono essere usati per supportare una relazione causale. È possibile che, nel fare la diagnosi di fobia sociale, si identifichi un sottogruppo di pazienti con DP con una costellazione di tratti di personalità che includono bassa autostima, estrema autoconsapevolezza e tendenza verso una considerazione di sé negativa. Tale sottogruppo potrebbe essere a notevole rischio di depressione sulla base di fattori psicologici, in particolare cognitivi. Inoltre, l’isolamento sperimentato come risultato dell’evitamento sociale potrebbe contribuire alla tendenza a sviluppare la depressione.
Alternativamente, la fobia sociale concomitante potrebbe semplicemente essere un marker di una malattia più grave. La copresenza di sintomi ossessivo-compulsivi significativi aumenta il rischio di depressione nel corso della vita nei pazienti con DP. Un altro rischio nel DP è lo sviluppo dell’abuso di alcol, che alcuni vedono come un’automedicazione. Senza dubbio, l’assunzione di alcol inizialmente diminuisce l’ansia anticipatoria, ma successivamente l’alcolismo diventa una complicazione. Parecchi studi suggeriscono che il DP ha una prevalenza tra gli alcolisti più elevata di quella attesa, paragonata con la prevalenza nella popolazione generale. Marazziti e collaboratori trovarono che i disturbi d’ansia in atto, specialmente il panico e le condizioni correlate, erano i disturbi psichiatrici più comuni associati con la cefalea. Questi dati erano veri soprattutto per il sottogruppo dell’emicrania con aura; nei relativamente pochi pazienti con disturbi dell’umore, la depressione era quasi sempre in comorbidità con il DP e una storia passata di depressione era una caratteristica più tipica del sottogruppo della cefalea da tensione. Questi dati sono compatibili con l’ipotesi che l’emicrania, specialmente quella con aura, il DP e alcune forme della malattia depressiva siano parte di uno stesso spettro.
La sindrome del colon irritabile è abbastanza comune in pazienti che ricercano un trattamento per DP: in uno studio di Kaplan, il 46,3 % dei pazienti con DP soddisfaceva i criteri per la sindrome del colon irritabile. I pazienti con DP e sindrome del colon irritabile riportavano con maggior frequenza dolore alla schiena e una storia di malattie intestinali rispetto ai pazienti con DP ma senza sindrome del colon irritabile. Nei soggetti con DP sono state riportate anomalie otoneurologiche; anomalie vestibolari sono più frequenti nei pazienti con DP con agorafobia moderata o grave. Disfunzioni vestibolari erano associate con disagio nello spazio e nel movimento e con una maggior frequenza di sintomi vestibolari negli intervalli tra, ma non durante, gli attacchi. Il pattern del test vestibolare più specifico per l’agorafobia era quello indicante una disfunzione vestibolare periferica compensata.
Quindi una disfunzione vestibolare subclinica potrebbe contribuire alla fenomenica del DP, in particolare allo sviluppo dell’agorafobia nell’ambito del disturbo. Il DP e il panico subsindromico sono relativamente comuni e possono non essere riconosciuti e trattati in maniera inadeguata in pazienti che si presentano con sintomi respiratori. Non ci sono significative differenze tra i pazienti con e senza panico nella gravità delle anomalie funzionali polmonari o nella risposta ai broncodilatatori. Tuttavia, i pazienti con AP riportano più frequentemente dispnea a riposo e sintomi di colon irritabile e tendono a riportare difficoltà nel deglutire. Bouwer e Stein trovarono una specifica associazione tra il DP e una storia di soffocamento traumatico, che risultò essere significativamente più frequente tra i pazienti con DP rispetto ai soggetti di controllo. Tra i soggetti con DP, i pazienti con una storia di soffocamento traumatico avevano una probabilità maggiore di manifestare principalmente sintomi respiratori in AP notturni, mentre i pazienti senza tale storia avevano una probabilità più alta di manifestare principalmente sintomi cardiovascolari, otovestibolari e agorafobia.

Terapia
Farmacoterapia: antidepressivi triciclici o SSRI ed eventualmente benzodiazepine, ma solo all’inizio del trattamento antidepressivo oppure utilizzate al bisogno durante l’attacco.
Psicoterapia: terapia cognitivo-comportamentale.


Caso clinico:
A. è un uomo di 32 anni in condizioni di buona salute fisica, celibe, lavora nel campo pubblicitario. Presenta familiarità positiva per disturbi di tipo ansioso. Nelle caratteristiche premorbose di A. non risultano tratti ansiosi come ansia di separazione nell’infanzia o altre manifestazioni dello Spettro Panico-Agorafobico. E’ descritto come una persona socievole, allegra, che ha grande facilità ad instaurare rapporti interpersonali e con una notevole predisposizione ad essere un leader in ambito sociale e lavorativo; riferisce di avere la tendenza a legarsi molto alle persone. Nel Giugno del 1994, dopo una settimana particolarmente stressante sul lavoro, durante la quale si era sentito più stanco ed aveva avvertito qualche capogiro, improvvisamente , mentre guidava la macchina, riferisce di aver visto “tutto bianco” e di essersi sentito come paralizzato; l’ambiente, quello di sempre, non era più familiare, ma irreale e strano, era come se il suo corpo non gli appartenesse più. Il cuore batteva all’impazzata. Venne colto istantaneamente da un’intensa paura di morire, tanto che dovette fermare la macchina e chiedere aiuto. Fu portato poi in ospedale, dove non gli riscontrarono alcuna alterazione organica.

Caso Clinico:
B. è una donna di 28 anni. Ha una familiarità positiva per disturbi d’ansia; riferisce inoltre una storia di ansia da separazione dai 10 ai 12 anni; sono presenti tratti dipendenti di personalità. Due anni prima di arrivare all’osservazione clinica la pz ha iniziato a presentare episodi critici nel cuore della notte, durante i quali si risvegliava col “fiato corto”, sudata, tremante, con palpitazioni e la sensazione di essere sul punto di morire. Nel giro di 6 mesi le crisi sono divenute più frequenti, sino a manifestarsi ¾ volte la settimana. Dopo circa 1 anno la paziente ha cominciato a presentare episodi simili anche durante il giorno, soprattutto in situazioni particolari come essere chiusa negli ascensori o in stanze piccole, viaggiare in autostrada, stare in posti affollati. Da qualche tempo la pz ha iniziato ad evitare tutte le situazioni suddette che affronta solo se accompagnata. Presenta inoltre notevole ansia prima di esporsi alle situazioni fobiche e la sere prima di andare a letto. Nel momento in cui arriva all’osservazione medica la pz presenta mancanza di fiducia nelle proprie capacità e si rammarica delle limitazioni imposte dal disturbo alla sua indipendenza.



Altre fonti sull'argomento
L'ATTACCO DI PANICO

Gli Attacchi di Panico possono manifestarsi nel contesto di qualsiasi Disturbo d’Ansia come pure in altri disturbi mentali (per es., Disturbi dell’Umore, Disturbi Correlati a Sostanze) ed in alcune condizioni mediche generali (per es., cardiache, respiratorie, vestibolari, gastrointestinali). La caratteristica essenziale di un Attacco di Panico è un periodo preciso di paura o disagio intensi in assenza di vero pericolo accompagnati da almeno 4 sintomi somatici o cognitivi su 13. I sintomi possono essere somatici o cognitivi ed includono palpitazioni, sudorazioni, tremori fini o a grandi scosse, sensazioni di dispnea o di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, vertigini o sensazione di testa leggera, derealizzazione o depersonalizzazione, paura di perdere il controllo o di ‘‘impazzire’’, paura di morire, parestesie e brividi o vampate di calore. L’attacco ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice (di solito in 10 minuti o meno), ed è spesso accompagnato da un senso di pericolo o di catastrofe imminente e da urgenza di allontanarsi. L’ansia che è caratteristica di un Attacco di Panico può essere differenziata dall’ansia generalizzata per la sua precisa, quasi parossistica natura e per la sua gravità tipicamente maggiore. Gli attacchi che soddisfano tutti gli altri criteri, ma sono caratterizzati da meno di 4 sintomi somatici o cognitivi, sono considerati attacchi paucisintomatici. Esistono tre tipi caratteristici di Attacchi di Panico: inaspettati (non provocati), causati dalla situazione (provocati) e sensibili alla situazione. Ciascun tipo di Attacco di Panico è definito da un set diverso di relazioni fra l’esordio dell’attacco e la presenza o l’assenza di fattori scatenanti situazionali che includono stimoli esterni (per es., un soggetto con claustrofobia ha un attacco mentre si trova in un ascensore bloccato fra i piani) o interni (per es., percezioni catastrofiche riguardo le irradiazioni di palpitazioni cardiache). Gli Attacchi di Panico inaspettati (non provocati) sono definiti come quelli in cui il soggetto non associa l’esordio dell’attacco con un fattore scatenante situazionale interno o esterno (cioè l’attacco di panico viene avvertito come spontaneo, a ‘‘ciel sereno’’). Gli Attacchi di Panico causati dalla situazione (provocati) sono definiti come quelli in cui l’attacco si manifesta quasi invariabilmente, subito durante l’esposizione a, o nell’attesa di, uno stimolo o fattore scatenante situazionale (per es., un soggetto con Fobia Sociale che ha un Attacco di Panico che inizia pensando di parlare in pubblico). Gli Attacchi di Panico sensibili alla situazione sono simili agli Attacchi di Panico causati dalla situazione, ma non sono invariabilmente associati allo stimolo e non si manifestano necessariamente subito dopo l’esposizione (per es., è più probabile che gli attacchi si manifestino durante la guida, ma alcune volte l’individuo guida e non ha un Attacco di Panico oppure l’Attacco di Panico si manifesta dopo aver guidato per una mezz’ora).

Gli individui che richiedono cure per Attacchi di Panico inaspettati descrivono solitamente la paura come intensa e riferiscono di avere pensato di essere in procinto di morire, di potere perdere il controllo, di avere un infarto del miocardio o un ictus o di “impazzire”. Riferiscono di solito anche un desiderio urgente di fuggire dal luogo in cui si sta manifestando l’attacco. Con il ripetersi degli Attacchi di Panico inaspettati, nel tempo gli attacchi tipicamente diventano causati o provocati dalla situazione, benché possano persistere attacchi inaspettati.

Per la diagnosi di Disturbo di Panico (con o senza Agorafobia) è richiesto il manifestarsi di Attacchi di Panico inaspettati. Gli attacchi causati dalla situazione e sensibili alla situazione sono frequenti nel Disturbo di Panico, ma si manifestano anche nel contesto di altri Disturbi d’Ansia e di altri disturbi mentali. Per esempio, gli Attacchi di Panico causati dalla situazione sono vissuti dalla maggior parte dei soggetti con Fobia Sociale (per es., la persona ha un Attacco di Panico ogni volta che deve parlare in pubblico) e con Fobie Specifiche (per es., una persona con una Fobia Specifica per i cani ha un Attacco di Panico ogni volta che incontra un cane che abbaia), mentre gli Attacchi di Panico sensibili alle situazioni si manifestano più tipicamente nel Disturbo d’Ansia Generalizzato (per es., dopo aver visto in televisione nuovi programmi che annunciano una recessione economica, la persona si fa sopraffare dalle preoccupazioni relative alle sue finanze e si aggrava fino ad avere un Attacco di Panico) e nel Disturbo Post-traumatico da Stress (per es., la vittima di una violenza sessuale talvolta ha un Attacco di Panico quando si confronta con situazioni che ricordano l’evento traumatico, quali vedere un uomo che le ricorda l’assalitore).

Nel determinare il significato diagnostico differenziale di un Attacco di Panico, è importante considerare il contesto in cui l’Attacco di Panico si manifesta. La distinzione fra gli Attacchi di Panico inaspettati e gli Attacchi di Panico sia causati dalla situazione che sensibili alla situazione è critica, poiché per una diagnosi di Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e Con Agorafobia) sono richiesti ricorrenti attacchi inaspettati. Determinare se una storia di Attacchi di Panico giustifichi una diagnosi di Disturbo di Panico è, tuttavia, complicato dal fatto che non sempre esiste una relazione esclusiva fra il tipo di Attacco di Panico e la diagnosi. Per esempio, benché una diagnosi di Disturbo di Panico richieda per definizione che almeno alcuni Attacchi di Panico siano inaspettati, i soggetti con Disturbo di Panico frequentemente riferiscono di aver avuto anche attacchi causati dalla situazione o sensibili alla situazione. Come tale, l’accurata considerazione del nucleo dell’ansia associato con gli Attacchi di Panico è importante anche nella diagnosi differenziale. Come esempio, si consideri una donna che ha un Attacco di Panico prima di parlare in pubblico. Se questa donna indica il nucleo della sua ansia nella possibilità di morire per un attacco di cuore imminente, allora, presumendo che altri criteri diagnostici siano soddisfatti, ella può avere un Disturbo di Panico.

Se d’altra parte questa donna identifica il nucleo dell’ansia non come l’Attacco di Panico stesso, ma come il sentirsi imbarazzata e umiliata, allora più probabilmente può avere Fobia Sociale. I problemi diagnostici riguardanti i casi al limite vengono discussi nella “Diagnosi Differenziale” dei disturbi nell’ambito dei quali possono comparire Attacchi di Panico.

# tratto dal DSM



ALtre fonti:

Panico

Episodio acuto d'ansia caratterizzato da tensione emotiva e terrore intollerabile che ostacola un'adeguata organizzazione del pensiero e dell'azione. Il p., è accompagnato da turbe vegetative quali ipersudorazione, pallore, palpitazioni, dispnea e tremore. Una crisi di p. può esprimere un'intensa reazione emotiva che si riferisce o a un pericolo reale o a tensioni interne, avvertite come minacciose. Tende a esaurirsi spontaneamente, lasciando un senso di marcata prostrazione.



Attacco Di Panico (DAP)

L'espressione indica quegli episodi di breve durata e a insorgenza improvvisa, di intensa ansia, apprensione, paura o terrore, spesso associati a sentimenti di morte imminente. Durante questi attacchi compaiono vari sintomi fra cui: palpitazioni o tachicardia, sudorazione intensa, tremore, difficoltà a respirare o sensazione di mancanza d'aria, dolori o fastidi al torace, nausea o disturbi addominali, sensazione di sbandamento o svenimento, sensazione di irrealtà o di essere distaccati da se stessi, paura di perdere il controllo, di impazzire o di morire, formicolii, brividi o vampate di calore. Spesso durante questi episodi la persona ha un desiderio di fuggire urgentemente dal luogo in cui si trova. Chi ha provato un attacco di p. spesso descrive questa esperienza come una delle più brutte della propria vita. Gli attacchi di p. possono essere inaspettati, nel senso che la loro insorgenza non è associata a un determinato fattore scatenante ma si manifesta in modo imprevisto. Nel disturbo di p. una persona ha attacchi di p. inaspettati e ricorrenti, teme di averne ancora e che siano sintomatici di una grave patologia, oppure ha paura di ciò che potrebbe fare se si ripresentassero. Dopo aver avuto uno o più attacchi di p., a volte i pazienti ne associano la comparsa a qualche situazione particolare che cominciano a temere e ad evitare; così si possono sviluppare delle fobie. A volte chi soffre di disturbo di p. incomincia a temere molti luoghi o situazioni in cui potrebbe essere difficile o imbarazzante allontanarsi o cercare aiuto nel caso in cui dovesse comparire un attacco di p.; compare, così, anche l'agorafobia. Gli attacchi di p. non sono sempre inaspettati; possono anche essere collegati a determinate circostanze, nel senso che si manifestano più spesso o sempre quando ci si trova in una certa situazione, oppure quando si prevede di dovercisi trovare. Quando una persona con una fobia sa di dover affrontare l'oggetto della sua fobia può avere un attacco di p. non appena entra in tale situazione oppure anche prima, al solo pensiero di doverlo fare. Per esempio, una persona con la fobia degli aeroplani potrebbe avere un attacco di p. ogni volta che si trova costretta a dover salire su un aeroplano. Oppure, una persona che ha sviluppato un disturbo post-traumatico da stress dopo essere stata vittima di un'attentato potrebbe avere un attacco di p. ogni volta che torna sul luogo dell'attentato.
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Una domanda semplice...

Messaggioda Lupo di carta » 24/01/2016, 23:14



Ciao a tutti.
Innanzi tutto mi scuso per aver usato il mio pseudonimo
per iscrivermi a questo forum, ma il mio nome era gia' preso
e non ho avuto la pazienza di cercarmi un'altro nome, che
comunque non sarebbe stato il mio in ogni caso.
Dunque ho usato il mio nick con il quale mi si conosce via
web, "Lupo di carta", ma non preoccupatevi, non mordo eh ! :-)
A chi interessasse, il mio nome e' Andrea.

Bene, detto questo voglio porre una domanda in questa sezione
dedicata al PTSD che mi porto dietro ormai da piu' di 15 anni con
tutti i sintomi tipici conosciuti ed anche qui descritti bene.
Ptsd e' solo un modo di definire " l'inferno in terra " che se non
capito uno rischia di non finire mai d'attraversarlo.

Ora, la domanda, visto che oltre al PTSD ho sofferto anche di
attacchi di panico.
Ho fatto molte ricerche e alcuni siti americani soprattutto riportano
che tra i sintomi vari del PTSD vi puo' essere anche l'attacco di panico.
Vorrei chiedervi, puo' essere plausibile ?
Qualcuno sa dirmi se vi possa essere una relazione tra PTSD e
l'ìnsorgere di attacchi di panico ?
O meglio puo' l'attacco di panico incasellarsi tra i sintomi del
disturbo post traumatico ?
Lo chiedo perche' prima di un evento molto violento occorsomi
in eta' giovanile, si insomma, fino ai miei 17 anni non ho mai sofferto
di attacchi di panico.
Dopo un certo evento drammatico ( attacco diretto alla mia vita )
ho svilluppato tra i vari classici anche l'attacco di panico.
Molti medici di cui non faccio il nome perche' non sono qui per diffamare,
diciamo solo famosi in Italia che mi hanno visitato, scartavano a pie'
pari la diagnosi di ptsd e mi ritenevano un Dap, dicendomi che l'evento
traumatico non potev aver dato avvio ad un ptsd e che ero solamente
una sorta di malato genetico di dap.
Solo dopo 13 anni mi e' stato diagnosticato un vero e proprio disturbo
post traumatico da stress perche' ho incontrato fortuitamente un dottore
ferrato in materia e che facendomi fare una lista di sintomi al momento
di un ricovero ospedaliero ha riconosciuto in me il disturbo del veterano
del Viet Nam.
Ma sul panico e i suoi insensati attacchi non ho ben chiara la faccenda,
non so se imputarli al mio ptsd o meno.

Se qualcuno mi puo' rispondere glie ne saro grato.

Grazie

"Lupo di carta" o Andrea, come preferite...
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Una domanda semplice...

Messaggioda Bonifacio » 25/01/2016, 20:13



Lupo di carta ha scritto:(...)


benvenuto.
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Bonifacio
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Cos'è l'Attacco Di Panico (DAP) ?

Messaggioda kathellyna » 31/01/2016, 17:19



benvenuto.
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Cos'è l'Attacco Di Panico (DAP) ?

Messaggioda Lilly24 » 30/07/2018, 23:05



Ciao a tutti, sono nuova in questo forum... Ho deciso di iscrivermi perché ho seriamente di aiuto. Soffro di attacchi di panico da ben 9 anni e per cercare di risolvere il problema ho cercato ogni tipo di soluzione a me nota (psicanalisi, cure farmacologiche, tecniche di esposizione graduale,etc.). In questi anni ho avuto solo qualche limitato miglioramento, ma purtroppo non sono riuscita a guarire... Non appena ho una qualche difficoltà, piccola o grande che sia, i miei disturbi di panico diventano sempre più invalidanti. Per fortuna ho un lavoro che mi piace e molti amici, ma faccio molta fatica a uscire di casa, soprattutto da sola, è ancora più spesso non riesco a stare da sola in casa. Ultimamente le crisi di panico sono accompagnate anche da crisi di pianto che non riesco a calmare. La difficoltà nel risolvere questa situazione sta nel fatto che nel mio caso so benissimo qual è la causa Delle mie sofferenze. La mia famiglia è composta unicamente da mia madre, la quale ha dovuto divorziare da mio padre dopo aver scoperto che per anni aveva abusato di me quando ero molto piccola. Oltre a ciò, aveva spesso l'abitudine di lasciarmi da sola in casa anche per giornate intere. Tutto ciò, unito alla solitudine in cui io e lei viviamo, ha creato in me questa sensazione continua di essere abbandonata e aggredita dal mondo intero. L situazione è diventata per me ancora più insostenibile per il fatto che fra pochi mesi dovrò trasferirmi per lavoro in una città in cui non conosco nessuno. Ho paura di non essere in grado di vivere questa nuova esperienza a causa Delle mie paure. Vi chiedo se conoscete qualche mezzo per aiutare chi soffre di attacchi di panico diverso da quelli che ho sopra elencato... Io sto pensando in questo periodo di provare l'ipnosi, ma non so se è una buona idea. Chiedo inoltre se qualcuno sa dirmi se esiste una chat o un numero verde a cui chiamare per avere un aiuto in caso di attacco di panico, a cui gli operatori rispondano realmente XD la maggior parte Delle volte mi basta sentire la voce di una persona amica per calmarmi... Grazie in anticipo! :)
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Lilly24
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Cos'è l'Attacco Di Panico (DAP) ?

Messaggioda NaturalKiller » 31/07/2018, 19:35



Lilly24 ha scritto:Ciao a tutti, sono nuova in questo forum... Ho deciso di iscrivermi perché ho seriamente di aiuto. Soffro di attacchi di panico da ben 9 anni e per cercare di risolvere il problema ho cercato ogni tipo di soluzione a me nota (psicanalisi, cure farmacologiche, tecniche di esposizione graduale,etc.). In questi anni ho avuto solo qualche limitato miglioramento, ma purtroppo non sono riuscita a guarire... Non appena ho una qualche difficoltà, piccola o grande che sia, i miei disturbi di panico diventano sempre più invalidanti. Per fortuna ho un lavoro che mi piace e molti amici, ma faccio molta fatica a uscire di casa, soprattutto da sola, è ancora più spesso non riesco a stare da sola in casa. Ultimamente le crisi di panico sono accompagnate anche da crisi di pianto che non riesco a calmare. La difficoltà nel risolvere questa situazione sta nel fatto che nel mio caso so benissimo qual è la causa Delle mie sofferenze. La mia famiglia è composta unicamente da mia madre, la quale ha dovuto divorziare da mio padre dopo aver scoperto che per anni aveva abusato di me quando ero molto piccola. Oltre a ciò, aveva spesso l'abitudine di lasciarmi da sola in casa anche per giornate intere. Tutto ciò, unito alla solitudine in cui io e lei viviamo, ha creato in me questa sensazione continua di essere abbandonata e aggredita dal mondo intero. L situazione è diventata per me ancora più insostenibile per il fatto che fra pochi mesi dovrò trasferirmi per lavoro in una città in cui non conosco nessuno. Ho paura di non essere in grado di vivere questa nuova esperienza a causa Delle mie paure. Vi chiedo se conoscete qualche mezzo per aiutare chi soffre di attacchi di panico diverso da quelli che ho sopra elencato... Io sto pensando in questo periodo di provare l'ipnosi, ma non so se è una buona idea. Chiedo inoltre se qualcuno sa dirmi se esiste una chat o un numero verde a cui chiamare per avere un aiuto in caso di attacco di panico, a cui gli operatori rispondano realmente XD la maggior parte Delle volte mi basta sentire la voce di una persona amica per calmarmi... Grazie in anticipo! :)


Benvenuta! :welcome: ti consiglio di aprire un topic apposito per avere più visibilità. Spero tu possa trovare delle risposte, io purtroppo non sono informato a riguardo. Ti faccio i miei migliori auguri, a presto! :hi:
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