
Ora racconto la mia storia. La depressione vera e propria inizia nella tarda adolescenza, ma ho pensato bene di raccontare anche qualche episodio antecedente, per dare un'idea di me più completa.
Da quel che ricordo della mia infanzia, ero una bambina felice; avevo i miei amici, andavo bene a scuola, giocavo con la mia sorellina e avevo un ottimo rapporto con i miei genitori. Due sole "pecche": ero troppo sensibile ed esigente nei miei confronti, pretendevo la perfezione da me. Per fare un esempio, mi punivo da sola se mi accorgevo di aver sbagliato qualcosa; niente di esagerato: non guardavo i cartoni, o più semplicemente, evitavo di fare ciò che mi rendeva felice, in modo da imparare la lezione. Tengo a precisare che i miei, in tutto questo, non rientravano minimamente. Non mi hanno mai punita in vita mia, anche perché non ne hanno mai visto il motivo. Ma io ne vedevo eccome di motivi, dunque "facevo da sola".
Però ripeto, a parte questi miei aspetti caratteriali, ero felice.
Questo fino ai 9 anni, quando mi dovetti trasferire con la mia famiglia. Fu un trauma per me. Persi tutto e tutti. A settembre iniziò la scuola e dovetti inserirmi in una classe di persone che si conoscevano fin dall'asilo. Era un gruppo bello compatto e subito capii che avrei fatto molta fatica per entrare a farne parte. "Non ci riuscirò mai" mi dicevo e questo fu ancora più chiaro quando capii di stare antipatica a tutte le ragazze. Iniziarono a cercare modi per emarginarmi, inventando bugie, trovando qualunque pretesto per arrabbiarsi con me. Alla fine delle medie, riuscirono ad isolarmi completamente.
E qui inizia tutto: ho 14 anni, sono sola. Perché a me?
Così cominciai a convincermi che se tutte quelle persone ce l'avevano con me, qualcosa di sbagliato dovevo per forza averlo! Carattere? Aspetto? Non lo sapevo, dunque decisi di "attaccarmi" su entrambi i fronti, per cambiare e diventare come loro mi volevano. Perché ormai il "come mi volevo io" non aveva più alcuna importanza, io dovevo essere accettata dagli altri. Questa era la cosa fondamentale.
Cominciai ad avere problemi con il mio corpo. Il mio riflesso allo specchio era la cosa più disgustosa che io avessi mai visto in vita mia, e non importava affatto che tutti, TUTTI mi dicessero che ero bella (compresi quei miei compagni, in passato).
Mi iscrissi ad una palestra, ma quando mi accorsi che i risultati erano troppo lunghi da aspettare, presi delle decisioni più drastiche, che riguardavano la mia alimentazione. Iniziai dei periodi di digiuno, che come sempre si alternavano a periodi di abbuffate. Il mio carattere cambiò radicalmente e i rapporti con la mia famiglia si deteriorarono, per non tornare più gli stessi di una volta. Avevo sempre il muso, ero sempre triste, incazzata con me e con il mondo che mi circondava. Ogni giorno, ogni singolo dannatissimo giorno, litigavo con i miei genitori e mi chiudevo sempre più in me stessa, in quello che da lì a pochi anni, sarebbe diventato il vortice distruttivo della mia depressione.
Eppure devo essere sempre stata brava a recitare, perché fino alla quarta superiore, nessuno (al di fuori della mia famiglia) si era accorto di questo mio disagio. In fondo, andavo bene a scuola, mi facevo vedere sorridente, scherzavo... Sembravo a tutti gli effetti una persona normale!
Ma quando mi chiudevo la porta di casa alle spalle, cadeva ogni maschera. Me ne andavo in camera mia, al buio, mi distendevo sul letto e, tra una crisi di rabbia e una di pianto, cominciavo ad odiarmi sempre di più. Mi facevo così tanto schifo che dovevo per forza punirmi in qualche modo... Non uscii più da quella stanza: niente scuola, niente compagni, niente cibo. Dormivo di giorno e stavo sveglia la notte. Volevo solamente spegnermi, smettere di esistere. Ogni volta che mi addormentavo, speravo di non dovermi più svegliare.
I miei erano veramente molto preoccupati per me e diventai il loro pensiero fisso. Chiesero aiuto al mio medico di base, che gli consigliò di contattare uno psicologo. Tra urla e litigi, mi costrinsero a farmi vedere. Odiavo quella persona, odiavo i miei per avermi obbligata ad andarci. Non mi aiutò per niente, ma pensai bene di far credere ai miei il contrario, così da potermene stare in pace. Ricordate quando ho detto che ero brava a recitare? Ecco, di colpo, "guarii".
Tornai a mangiare, ad uscire dalla mia stanza, lavorai la stagione estiva al mare e poi tornai a scuola (una sede diversa). Cambiai compagni, insegnanti... E finsi così bene che riuscii a convincermi io stessa di essere guarita! Avevo delle amicizie ed entrai facilmente in un gruppetto di ragazze con le quali mi divertivo veramente e compresi cosa fosse la vera amicizia. Ero me stessa, ero di nuovo la ragazza felice di un tempo. Mi sentivo una persona normale, divisa tra doveri e piaceri, come tutti!
Esami di maturità: li passai brillantemente, ma non erano certo la mia priorità. Io volevo vivere, volevo uscire... E così sarebbe stato, se l'ultimo giorno di esami non mi fosse arrivato un sms da quel gruppetto di ragazze, che mi diceva che sì, era stato bello essere amiche, ma che non ci saremmo più viste.
Mi crollarono addosso tutte le sicurezze che ero riuscita a costruirmi con fatica negli ultimi due anni di vita, ma decisi che non mi avrebbero distrutta più!
Quella stagione tornai a lavorare al mare e poi mi iscrissi all'università. Lì feci delle amicizie, ma la facoltà che avevo scelto non faceva per me. Primo fallimento.
Decisi di cambiare facoltà, con qualcosa che da sempre era stato più nelle mie corde, le lingue straniere. Io studiavo, conoscevo bene gli argomenti. Provai con uno scritto e lo superai con un voto decisamente alto. Ma l'esame non poteva considerarsi concluso, senza affrontare anche la prova orale. E lo stesso valeva per tutti gli esami. "Ok, si può fare" mi dissi.
Chiusa nella mia stanza, con tutta la buona volontà, mi mettevo a studiare. Tre, quattro, sette ore. Sfogliavo le pagine, per poi accorgermi che non mi ricordavo nulla di ciò che avevo letto e ripetuto. Ci riprovai, mattina, pomeriggio, sera e notte. Leggevo, schematizzavo, sottolineavo. Niente, niente di niente. Tempo perso. Riguardavo gli appunti e sembravano scritti da altre persone, non mi ricordavo nulla. Giorni, settimane, mesi. Le cose non cambiavano. Le date degli esami passavano e io non li affrontavo, perché nonostante i miei sforzi, era come se non avessi nemmeno mai ascoltato una lezione. Gli argomenti, letti e studiati così tante volte, risultavano praticamente nuovi per me! Ma cosa mi stava succedendo? E intanto vedevo le altre persone andare avanti, superare gli esami, passare ai corsi successivi... E io ferma. I miei compagni delle medie e delle superiori erano già al secondo o terzo anno. E io sempre ferma. Secondo fallimento.
Mi ritrovai di nuovo da sola. E questa volta non avevo nemmeno qualcuno che mi dicesse cosa dovevo fare, non avevo la scuola da fare obbligatoriamente, non avevo più dei binari da seguire.
Tornai a non mangiare e non me ne accorsi nemmeno. Avevo troppe preoccupazioni per la testa. Cominciai a non dormire più la notte. A restare a letto per tutto il giorno, a pensare. I miei, dopo numerosi litigi, mi obbligarono a farmi vedere di nuovo da uno psicologo, diverso dal primo. Questo mi prescrisse diversi psicofarmaci da prendere. Che schifo, che incapace: ce la facevano tutti e io ero lì, a non fare niente, ad avere paura di tutto, a rimbambirmi con i farmaci. A continuare a fallire. Ma che senso aveva continuare? Io non avevo più la benché minima intenzione di continuare in quel modo, di vedere gli anni passare, mentre io non riuscivo a risolvere nulla. Non volevo ritrovarmi in futuro a pensare "eccomi, sono sempre allo stesso punto". Decisi di farla finita la prima volta. Al termine di un litigio con mia madre, decisi di correre verso il terrazzo, per buttarmi. Mi fermò prima che io ci riuscissi e mi portò al pronto soccorso. Feci un giorno di ospedale e poi venni ricoverata in un centro di salute mentale. Ci passai 2 mesi, poi mi resi conto che non serviva a nulla e che ero stufa, quindi ecco di nuovo che decisi di recitare e far finta che tutto andasse bene. Mi fecero tornare a casa, e tra alti e bassi, tentai di nuovo di farla finita, prendendo tutti i farmaci di una settimana in una volta sola e bevendo dell'alcol. Mi portarono in ospedale e poi di nuovo al centro, ma non mi trattennero. Così tornai a casa e lì ci provai una terza volta, tagliandomi. Paradossalmente, vedevo questi tentativi come ulteriori fallimenti: "non sono brava nemmeno ad ammazzarmi" pensavo.
Ecco una foto di come ero: una ragazza di 23 anni, 47 chili per 1 metro e 72, imbottita di psicofarmaci (ben undici al giorno), senza un lavoro, senza un'idea di cosa fare nel futuro, con l'unico desiderio di morire e con una famiglia distrutta.
Ecco una foto di come sono, qualche mese dopo: una ragazza di 24 anni, sempre senza un lavoro, sempre senza un'idea di cosa fare nel futuro. Ora prendo solo due farmaci. Non sono più uno scheletro, anzi ora sono in preda alle abbuffate... Sono sempre sola e non esco di casa... Tecnicamente, "sto migliorando". Almeno non tento più di uccidermi, anche se a volte ci penso.
Non so più cosa dire...
Grazie per aver letto e scusate per la lunghezza del racconto
