Eccomi qui

Ecco qui, sono Clarisse (nome in arte). Da dove incominciare? Dal punto di vista medico penso di essere una miracolata. Ho tentato il suicidio tante di quelle volte che ho perso il conto. Ma non sempre era per farlo sul serio, a volte era solo per dire agli altri quando stavo male.
L'infanzia e l'adolescenza non sono stati idilliaci. Quattro anni fa mio padre si è ammalato di cancro. Io vivevo con mia madre che è stata una persona fortemente disturbata e agressiva. Sembrava che, nei momenti di maggior stress, ci provasse gusto a dirmi cose orribili, cattiverie, a stressarmi. Quando mio padre era malato ricordo la stanchezza, la stanchezza perenne, l'ansia, dover tornare a casa dal lavoro e dovermi mettere a pulire perchè lei non aveva fatto niente anceh se era stata in casa tutto il giorno; l'ansia di lei che urlava e urlava dietro la porta della mia camera ed io che mi tappavo le orecchie per non sentirla. Sono una donna, più che maggiorenne, ma per anni ho vissuto quasi come ostaggio di mia madre.
Mio padre era un alcolista, era divorziato da mia madre e quando seppe di essere ammalato si ubriacò per settimane. E così fece, tra una chemioterapia e l'altra. I suoi fratelli e mia madre mi dicevano che era colpa mia, che non gli stavo abbastanza accanto.
In quel periodo, visto il grande stress che mi portavo dentro ho deciso di intraprendere una psicoterapia. Ero veramente molto molto stressata da tutta la situazione. Alla fine mio padre è morto, ma le cose in casa hanno peggiorato. Più stavo male, più mia madre mi trattava da pazza. Ma non dolcemente, come un rifiuto. Non riuscivo più a dormire la notte. Mia madre urlava attraverso la porta "E starai sempre peggio!" Un giorno, quando le comunicai che a volte, per consolarmi mi piaceva pensare a mio padre come ad un angelo che vegliava su di me e mi proteggeva, lei aspettò il suo momento di furia per dirmi "Clarisse, ma lo vuoi capire che non c'è nessuno che ti protegge? Tu ti rifiuti di accettare la realtà e la realtà è che tuo padre sta marcendo dentro ad una bara"
Non credo che mia madre avrebbe potuto trovare qualcosa di più crudele da dirmi. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non inorridii, non piansi, non esplosi, non urlai come dovevo fare. Finsi di stare bene e progettai con cura il mio suicidio. Pulii la mia stanza, gettai via il mio diario, mi preparai e mi vestii come se dovessi uscire; aspettai la sera per ingoiare le pillole; così avrei avuto tutta la notte il tempo di entrare in coma e morire senza che nessuno se ne accorgesse.
Ho ingoiato una quantità incongrua di sonniferi, sperando che bastasse. Ho scritto persino una lettera di addio sul mio pc portatile chiedendo scusa a tutti quelli che lasciavo. Alcuni dicono che il suicidio è un atto egoistico, ma non si sa che quando si soffre troppo e non c'è soluzione, è solo visto come una liberazione.
Ho iniziato a faticare a stare seduta, e poi, mi sono accorta che non riuscivo più ad alzarmi in piedi. Ogni votla che lo facevo cadevo violentemente a terra come una sacco di patate. Era ormai sera, l'ora di andare a letto. Avevo progettato tutto. Mi sdraiai sul letto e mi coprii con il piumino. La morte era dolce, era una liberazione. Mi posi poche domande e pochissimi minuti dopo sprofondai nel sonno.
Il giorno dopo mi svegliai un po' più tardi del solito. Constatai che ero viva, e con nessun danno, almeno per quando mi pareva. Cercai di inventarmi la scusa dell'influenza con mia madre per poter passare tutta la giornata chiusa in camera a disintossicarmi dalle pillole. Ma, sentendo il mio tono di voce impastato, intuì tutto e chiamò un'ambulanza. Mi ricoverarono in ospedale e mi riempirono di medicine fino agli occhi. Tanto da rendermi inebedita. Tanto da non capire più niente. Tanto da perdere la memoria di mesi della mia vita. I neurolettici, i fantastici neurolettici, con i loro terribili effetti collaterali. Fare pipì massimo due volte al giorno, muoversi come un robottino, non riuscire più a piegare le braccia, non trovare mai una posizione comoda. Fu in quegli stessi giorni che il mio terapeuta, che mi seguiva ormai da un paio d'anni, mi disse per telefono che non mi considerava più una sua paziente.
Mia madre non cambiò anzi mi rimproverò per il mio gesto adducendolo ad una messinscena. Non cambio neanche, quando, uscita dall'ospedale ero ancora debole. Era estate, avevamo qualche problema con due tubi del lavandino che si erano staccati ed io dovevo tenerli fermi mentre lei avvitava qualcosa. Non ce la facevo anche perchè i neurolettici mi avevano causato problemi nel controllare i muscoli delle mani. Ero lì, in ginocchiata, al caldo, e lei si mise di nuovo ad inveire contro di me.
Mi salvò mia sorella da una vita dove continuavo a pensare al suicidio, autolesionarmi, imbottirmi io stessa di sonniferi, per non sentire mia madre, per dormire e dimenticare.
Andò a parlare con i medici di mia madre, e finalmente a mia sorella diedero ascolto credo, perchè le prescrissero la cura giusta. In pochi giorni mia madre smise di essere così perversamente cattiva, agressiva, ad avere le sue crisi sproporzionate di rabbia. Però pochi mesi dopo iniziò il suo disinteresse per il mondo. A volte sto male a vederla così apatica, e mi sembra che le stiamo rubando la sua vita. Poi però mi ricordo anche tutte le cattiverie che ha fatto e penso: o me, o lei. Se non le davano questo farmaco, a quest'ora mi sarei suicidata sicuramente.
E poi c'è il mio ex terapeuta. Ci penso spesso e mi chiedo perchè? Perchè mi ha lasciato proprio in quel momento? L'unico punto fermo della mia vita, l'unica persona che valesse qualcosa per me in quel momento. Le sedute bisettimanali, che mi pagavo con i soldi del mio lavoro, costavano troppo a parere di mia madre, ed ai tempi del mio ricovero, insistette anceh su questo punto con i medici. Che lo chiamarono e gli dissero che non aveva più alcun diritto di seguirmi. In cambio ne ebbi una utilissima seduta con uno psichiatra di 20 minuti circa al mese.
Poi un'antidepressivo naturale, il samyr, mi ha restituito un po' di ottimismo. Ma ci sono giornate, come questa, in cui rimpiango il passato, sono triste , mi sento sola e mi chiedo: perchè? Appoggio una lametta sui miei polsi e vorrei mostrare a tutti quanto soffro. Tempo fa un'amica mi ha scritto che non è vero che il passato è passato, il passato torna sempre. E fa male. Ed ha ragione.
questa sono io, questa è parte della mia vita. questo è il dolore che mi squarcia da dentro: non essere stata capita.
L'infanzia e l'adolescenza non sono stati idilliaci. Quattro anni fa mio padre si è ammalato di cancro. Io vivevo con mia madre che è stata una persona fortemente disturbata e agressiva. Sembrava che, nei momenti di maggior stress, ci provasse gusto a dirmi cose orribili, cattiverie, a stressarmi. Quando mio padre era malato ricordo la stanchezza, la stanchezza perenne, l'ansia, dover tornare a casa dal lavoro e dovermi mettere a pulire perchè lei non aveva fatto niente anceh se era stata in casa tutto il giorno; l'ansia di lei che urlava e urlava dietro la porta della mia camera ed io che mi tappavo le orecchie per non sentirla. Sono una donna, più che maggiorenne, ma per anni ho vissuto quasi come ostaggio di mia madre.
Mio padre era un alcolista, era divorziato da mia madre e quando seppe di essere ammalato si ubriacò per settimane. E così fece, tra una chemioterapia e l'altra. I suoi fratelli e mia madre mi dicevano che era colpa mia, che non gli stavo abbastanza accanto.
In quel periodo, visto il grande stress che mi portavo dentro ho deciso di intraprendere una psicoterapia. Ero veramente molto molto stressata da tutta la situazione. Alla fine mio padre è morto, ma le cose in casa hanno peggiorato. Più stavo male, più mia madre mi trattava da pazza. Ma non dolcemente, come un rifiuto. Non riuscivo più a dormire la notte. Mia madre urlava attraverso la porta "E starai sempre peggio!" Un giorno, quando le comunicai che a volte, per consolarmi mi piaceva pensare a mio padre come ad un angelo che vegliava su di me e mi proteggeva, lei aspettò il suo momento di furia per dirmi "Clarisse, ma lo vuoi capire che non c'è nessuno che ti protegge? Tu ti rifiuti di accettare la realtà e la realtà è che tuo padre sta marcendo dentro ad una bara"
Non credo che mia madre avrebbe potuto trovare qualcosa di più crudele da dirmi. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non inorridii, non piansi, non esplosi, non urlai come dovevo fare. Finsi di stare bene e progettai con cura il mio suicidio. Pulii la mia stanza, gettai via il mio diario, mi preparai e mi vestii come se dovessi uscire; aspettai la sera per ingoiare le pillole; così avrei avuto tutta la notte il tempo di entrare in coma e morire senza che nessuno se ne accorgesse.
Ho ingoiato una quantità incongrua di sonniferi, sperando che bastasse. Ho scritto persino una lettera di addio sul mio pc portatile chiedendo scusa a tutti quelli che lasciavo. Alcuni dicono che il suicidio è un atto egoistico, ma non si sa che quando si soffre troppo e non c'è soluzione, è solo visto come una liberazione.
Ho iniziato a faticare a stare seduta, e poi, mi sono accorta che non riuscivo più ad alzarmi in piedi. Ogni votla che lo facevo cadevo violentemente a terra come una sacco di patate. Era ormai sera, l'ora di andare a letto. Avevo progettato tutto. Mi sdraiai sul letto e mi coprii con il piumino. La morte era dolce, era una liberazione. Mi posi poche domande e pochissimi minuti dopo sprofondai nel sonno.
Il giorno dopo mi svegliai un po' più tardi del solito. Constatai che ero viva, e con nessun danno, almeno per quando mi pareva. Cercai di inventarmi la scusa dell'influenza con mia madre per poter passare tutta la giornata chiusa in camera a disintossicarmi dalle pillole. Ma, sentendo il mio tono di voce impastato, intuì tutto e chiamò un'ambulanza. Mi ricoverarono in ospedale e mi riempirono di medicine fino agli occhi. Tanto da rendermi inebedita. Tanto da non capire più niente. Tanto da perdere la memoria di mesi della mia vita. I neurolettici, i fantastici neurolettici, con i loro terribili effetti collaterali. Fare pipì massimo due volte al giorno, muoversi come un robottino, non riuscire più a piegare le braccia, non trovare mai una posizione comoda. Fu in quegli stessi giorni che il mio terapeuta, che mi seguiva ormai da un paio d'anni, mi disse per telefono che non mi considerava più una sua paziente.
Mia madre non cambiò anzi mi rimproverò per il mio gesto adducendolo ad una messinscena. Non cambio neanche, quando, uscita dall'ospedale ero ancora debole. Era estate, avevamo qualche problema con due tubi del lavandino che si erano staccati ed io dovevo tenerli fermi mentre lei avvitava qualcosa. Non ce la facevo anche perchè i neurolettici mi avevano causato problemi nel controllare i muscoli delle mani. Ero lì, in ginocchiata, al caldo, e lei si mise di nuovo ad inveire contro di me.
Mi salvò mia sorella da una vita dove continuavo a pensare al suicidio, autolesionarmi, imbottirmi io stessa di sonniferi, per non sentire mia madre, per dormire e dimenticare.
Andò a parlare con i medici di mia madre, e finalmente a mia sorella diedero ascolto credo, perchè le prescrissero la cura giusta. In pochi giorni mia madre smise di essere così perversamente cattiva, agressiva, ad avere le sue crisi sproporzionate di rabbia. Però pochi mesi dopo iniziò il suo disinteresse per il mondo. A volte sto male a vederla così apatica, e mi sembra che le stiamo rubando la sua vita. Poi però mi ricordo anche tutte le cattiverie che ha fatto e penso: o me, o lei. Se non le davano questo farmaco, a quest'ora mi sarei suicidata sicuramente.
E poi c'è il mio ex terapeuta. Ci penso spesso e mi chiedo perchè? Perchè mi ha lasciato proprio in quel momento? L'unico punto fermo della mia vita, l'unica persona che valesse qualcosa per me in quel momento. Le sedute bisettimanali, che mi pagavo con i soldi del mio lavoro, costavano troppo a parere di mia madre, ed ai tempi del mio ricovero, insistette anceh su questo punto con i medici. Che lo chiamarono e gli dissero che non aveva più alcun diritto di seguirmi. In cambio ne ebbi una utilissima seduta con uno psichiatra di 20 minuti circa al mese.
Poi un'antidepressivo naturale, il samyr, mi ha restituito un po' di ottimismo. Ma ci sono giornate, come questa, in cui rimpiango il passato, sono triste , mi sento sola e mi chiedo: perchè? Appoggio una lametta sui miei polsi e vorrei mostrare a tutti quanto soffro. Tempo fa un'amica mi ha scritto che non è vero che il passato è passato, il passato torna sempre. E fa male. Ed ha ragione.
questa sono io, questa è parte della mia vita. questo è il dolore che mi squarcia da dentro: non essere stata capita.