Spero di non annoiarvi

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Spero di non annoiarvi

Messaggioda Avogadro » 31/07/2013, 20:29



Mi scuso perché i tempi verbali non sono coordinati, forse ci sono anche frasi incomprensibili nel mezzo, ma ho scritto a fiume e non ho le forze di rileggere questa roba.

Credo che il modo più facile sia dire l’intera storia fin da subito, senza girarci attorno.
Da sempre sono sola, mi sono sentita sola anche quando conoscevo qualche persona che ritenevo amica, finché ero in compagnia tutto andava bene, ma non appena tornavo a casa, la desolazione.
Credo che tutto cominci da quando andavo all’asilo, prima abitavo vicino all’asilo che frequentavo, poi i miei si sono trasferiti in un paesino, come se non bastasse, la casa proprio all’inizio del paese e circondata solo da persone anziane e adulti. Qui non mi sono mai fatta amicizie. Mia madre, credendo che fosse meglio per me, mi ha mandata alla scuola elementare vicino al mio asilo, di modo che le amicizie che avevo proseguissero, ma a parte un’amica non avevo particolari rapporti. Alle elementari iniziano le prese in giro per il mio aspetto fisico e inizia la mia eterna umiliazione. Nonostante tutto le elementari mi piacciono, perché sono comunque un’evasione dai problemi in casa, mi piace fare i miei compiti e vado bene a scuola. Il giorno del mio settimo compleanno mia madre inizia un nuovo lavoro a turni, ovviamente inizia con il turno dalle due di pomeriggio alle dieci di sera, non ha la macchina ma solo un motorino scassato e d’inverno in montagna non è piacevole muoversi col motorino. Inizio ad essere ancora più sola, i pomeriggi sono abbandonata a me stessa, pranzo con mia nonna, ma poi lei deve tornare al suo negozio, divento sempre più solitaria e alle medie inizio anche a pranzare da sola perché non la sopporto più.

Mio padre era alcolizzato, smette di bere quando io sono alle elementari, non ricordo quanti anni avessi, ma mi vergognavo tremendamente del fatto che lui bevesse, lo odiavo, ogni sera che tardava a tornare speravo fosse perché aveva fatto un incidente e fosse morto. Avevo anche pensato di ucciderlo io, ma sapevo che avrei avuto la peggio contro la sua forza. Un giorno a cena ha tirato un bicchiere in faccia a mia madre, l’ha mancata di poco, colpendo l’armadio dove ancora c’è il segno ed il bicchiere è rimbalzato e ha rotto la finestra. Per cena c’era il risotto ai funghi. Non lo posso più sopportare ora, mi fa schifo anche solo vederlo nella pentola. Lo stato del suo fegato peggiorò e il medico gli diede due anni di vita. Io ero contenta, è stata la migliore notizia mai avuta per me. E invece, avendo visto un suo amico smettere di bere e rifiorire, decide di andare in clinica per un mese e smettere. Il mese in cui io e mia madre eravamo a casa sole non lo ricordo, ma so per certo che è stato un mese di pura tranquillità. Torna a casa, con una settimana di anticipo perché era riuscito a litigare pure con il medico. Non ricordo molto di questo periodo, l’unica cosa che ricordo è che poco dopo lui torna a casa con un regalo e me lo posa sul letto, ma io non ho il coraggio di aprirlo, penso che non sia per me. Lo lascio lì fino a che mia madre non torna a casa dal lavoro e mi dice che è per me e che lo posso aprire. A posteriori so per certo che è stata lei a dirgli di comprarmi un regalo, che lui di sua iniziativa non l’avrebbe mai fatto. Mi vergogno talmente tanto di lui che al ritorno dalle vacanze estive ho mentito alla maestra che aveva assegnato un compito sulla meta delle nostre vacanze, dicendo che non l’avevo fatto perché non eravamo andati in vacanza perché mio padre era stato operato di calcoli al fegato, non che io in vacanza non ci potevo andare perché tutti i soldi mio padre se li bevevo.

Arrivano finalmente le medie e penso: tutto migliorerà, non mi prenderanno più in giro. Ovviamente avevo anche paura, perché sarei andata in una scuola stavolta vicina al mio paese, dove non conoscevo nessuno.
Non mi sarei potuta sbagliare di più. Le prese in giro si moltiplicano esponenzialmente e il primo anno stento a fare anche solo qualche conoscenza, anche se verso la fine dell’anno inizio ad entrare in confidenza con una ragazza che per alcuni anni sarebbe stata una delle mie amiche più intime.
Anche alle medie vado bene a scuola, come al solito mi rifugio nello studio e nei compiti quando torno a casa, così da non sentire la solitudine. Tuttavia inizio una strana forma di autolesionismo verso gli 11-12 anni, che tuttora non so se sia realmente autolesionismo o meno.
Di nuovo mi dico: alle superiori tutto cambierà, le persone sono più mature, nessuno ti prenderà in giro, almeno non come ora.
Errore di nuovo, alle superiori ci sono gli immaturi che ti prendono in giro apertamente e poi ci sono i peggiori, doppiogiochisti, che si fingono tuoi amici, ma che scopri poi averti preso per il cu*o tutto il tempo tramite facebook (che io non avevo) e averti sfruttata per i compiti in classe. Non nego di aver avuto dei momenti sereni durante le superiori, ma i fatti avvenuti l’ultimo anno mi fanno dubitare della veridicità dei momenti avvenuti in precedenza. A marzo della quinta parto per la classica gita di una settimana. Lascio i miei amici del paese e dei paesi vicini che frequentavano altre scuole o altre classi, che erano partiti la settimana prima di me, quindi non ci saremmo visti per due settimane. In queste due settimane il mondo è crollato e non so ancora il perché. In gita come al solito ci si ubriaca. Ho scoperto a distanza di una anno che dopo molti drink, mi era stato offerto un drink fatto fare appositamente fortissimo, al solo scopo di divertirsi alle mie spalle. Con tanto di commenti su facebook: siamo riusciti ad affondarla la balena stavolta. Ma questo è il meno, erano miei compagni di classe con cui ritenevo di avere un bel rapporto ma nulla di più, un errore di valutazione che confrontato con altri non è nulla di disastroso. Quello che più mi perplime è quanto avvenuto con la cerchia più stretta dei miei amici, quelli appunto dello stesso paese o dei paesi vicini. Li conoscevo dalle medie, prendevamo la corriera insieme ogni giorno, ci fermavamo a parlare prima di andare a scuola e poi di nuovo il viaggio di ritorno a casa, inoltre si usciva spesso anche il sabato sera. Poi i primi hanno iniziato ad avere la patente, ad uscire con altre persone e a dimenticare la povera sfigata di turno che ero io. Al ritorno dalla suddetta gita di quinta, hanno smesso di parlarmi e perfino di guardami in faccia, senza nemmeno dire una misera parola di spiegazione. Quegli ultimi due mesi e mezzo di scuola sono stati l’inferno più assoluto, non capivo cosa avessi fatto, perché una mattina messi tutti in cerchio come al solito per ridere e scherzare nel piazzale delle corriere ad un certo punto avessero deciso di chiudere il cerchio e lasciarmi fuori dalla loro vita, dandomi le spalle, umiliandomi come non mai, facendomi sussurrare un “allora io vado, ciao” a cui nessuno a risposto.
Mi sono chiusa nella musica e in me stessa, in quell’estate ho frequentato una sola persona, anche lei ha poi deciso di prendere un’altra strada ovviamente. Dovevo decidere quale università frequentare. Volevo iscrivermi a ingegneria aerospaziale, ma con l’autostima più bassa che mai non me la sono sentita e sono finita a fare lingue, che ora odio con tutta me stessa.
Ho pensato: all’università tutto cambia, nessuno ti prenderà più in giro, nessuno tradirà più i tuoi sentimenti in questo modo.
Errore di nuovo. Non imparo mai dai miei errori. Dovevo andare ad abitare con questa ragazza che era rimasta mia amica, ma poi lei per problemi vari non c’era mai e dopo tre mesi ci hanno sfrattate dall’appartamento. Io sono andata ad abitare con altre coinquiline e lei non l’ho più sentita. So solo che ha abbandonato l’università.
Il primo semestre l’ho passato in solitudine, ma stavo bene. Bene davvero. Non volevo più conoscere nessuno, non volevo più essere ferita da nessuno. Ma poi, frequentando corsi di lingue con poche persone, è inevitabile suscitare la curiosità altrui ed è inevitabile non cedere alle lusinghe di nuove amicizie. Ho pensato che forse queste sarebbero state persone migliori. Ed effettivamente il primo anno è andato molto bene dal punto di vista sia accademico che delle nuove amicizie. Già all’inizio del secondo anno qualcosa si è incrinato, ci sono stati i primi problemi, persone che mi accusavano di essere cattiva e che incitavano le altre persone a smettere di frequentarmi, perché avrei fatto loro del male. Per fortuna queste due persone sono state isolate dalle altre che conoscevo. Al secondo anno iniziano i problemi anche dal punto di vista accademico, perdo il ritmo che avevo nel dare gli esami e anche i voti si abbassano. Conosco un nuovo amico che mi convince ad abbassare la guardia, che devo togliermi la maschera di finta felicità e mostrare quello che sono. Ho iniziato a farlo ed ho iniziato a perdere gli amici. Anche il rapporto con lui ora non è altro che a livello di un semplice conoscente. E questo mi fa malissimo tuttora. Ho provato a dirgli che ho bisogno della sua amicizia, ma dopo una birra presa insieme tutto è tornato come prima.

Al terzo anno, dopo tanti tentativi di autoconvinzione che così non era, mi innamoro. Inizia la mia autodistruzione. Mi dispero, piango talmente tanto da stare male, perché mi sento in colpa nei suoi confronti, perché io non dovevo permettere che ciò accadesse, perché prima di tutto siamo amici, e per fortuna lo siamo tuttora. Mi deprimo, inizialmente mi fiondo nei libri, do quattro esami in due mesi, numero per me decisamente alto, ma al contempo lo confido ad un paio di amici, tra cui proprio quello che mi aveva convinto a gettare la maschera. Inizio a perdere peso, mi nutro quasi solo di cioccolato e a volte nemmeno di quello. Vivo perennemente attaccata al computer per poterlo sentire il più possibile, quando sono in università dopo un po’ sento il bisogno di andare a casa, sono inquieta, devo tornare a casa a prendere la mia droga. Cerco consiglio in quasi tutti i miei amici di allora e alla fine, in un pomeriggio ad alto tasso di birra e canne, mando un messaggio a questo ragazzo. Avevo pianificato di dirglielo di persona, dopo una determinata lezione che frequentavamo insieme, ma lui aveva iniziato a non esserci più a quella lezione e il mio piano coraggioso era andato in fumo facendomi affossare e così ho preso la facile via del cellulare. Non ha risposto, il giorno dopo gli ho scritto spiegazioni tramite msn, poiché insomma, il messaggio era conciso e lui sapeva che ero ad un picnic altamente alcolico. Dopo la mia spiegazione ho ricevuto come risposta testuali parole: “tranqui XD” e poi a cambiato argomento. Io ho iniziato a prendere a testate il muro urlando “non è servito a un ca**o! Non è servito a un ca**o! Non è servito a un ca**o!” mi sono “calmata” per quanto possibile e ho continuato la conversazione con lui tramite msn. Mi sento ancora oggi una stupida, avrei dovuto subito avere la forza di spirito per obbligarlo a rispondermi qualsiasi cosa. Mi ero preparato qualsiasi reazione da parte sua, che non avrebbe più parlato, che mi avrebbe derisa, nei miei sogni c’era persino l’opzione “anche tu mi piaci” che sapevo essere pura fantascienza, ma che avrebbe cambiato argomento, no.
Sia prima che dopo averglielo confessato ho iniziato a bere e a mandare a puttane l’università. Uscivo con gli amici e bevevo, stavo in casa e bevevo ancora di più. Alle lezioni ci andavo poco. Un mese esatto dopo questa confessione c’è stata una festa di compleanno, a cui c’era anche lui. Io ero schifosamente inca**ata con lui, ho bevuto e fumato canne in quantità ed è finita in una pozza di vomito fuori dal locale, davanti a tutti i miei amici ovviamente. Il giorno dopo ho ripensato alla questione, ho pianto, pianto, pianto mentre parlavo con lui su msn, mentre lui mi chiedeva informazioni riguardo ad un esame che doveva dare e io avevo già dato, mentre dentro di me urlavo “NON ME NE FREGA UN c***o DEL TUO ESAME LO VUOI CAPIRE?”, ho deciso che la situazione non poteva andare avanti, che anche se io sapevo la risposta ancora prima di confessargli tutto, la risposta doveva venire dalla sua maledetta bocca. O tastiera, visto che siamo due codardi. Nel delirio più totale e in mezzo ad un fiume di lacrime che pareva incontenibile, gli ho scritto una mail delirante, dove tentavo di fargli capire quanto il contenuto della sua risposta in sé non mi interessasse, ma che volevo semplicemente che mi dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, che non fosse cambiare argomento. Credo che il suo cambio di argomento fosse stata una delle ferite più grandi mai infertemi, in quel momento tutte le prese in giro e gli amici che mi avevano voltato le spalle erano diventate nulla di fronte alla sua mancanza di quel minimo di coraggio per dirmi quello che pensava di quanto gli avevo detto, del fatto che gli avevo esternato i miei sentimenti. Questa volta ho ottenuto una risposta ed ho pianto di gioia quando ho capito che per lo meno saremmo restati amici, che non mi avrebbe mandata a fanc**o. Devo ammettere che per alcuni giorni seguenti sono stata anche bene, nella mail mi aveva detto che per me c’era e ci sarebbe stato.
Siamo giunti alla scorsa estate. Avevo vinto una borsa di studio per un corso estivo di un mese in Norvegia, ero contentissima perché non ci avevo proprio sperato, era stata una sorpresa, ma dall’altro lato, non volevo andarmene, perché sapevo che non l’avrei sentito per molto tempo, perché poi lui sarebbe stato via in agosto e i mesi senza sentirci sarebbero stati due.
Ma l’avevo visto come un’opportunità enorme questo mese in Norvegia, opportunità che ho sprecato nella depressione più totale, dormendo dodici ore al giorno e piangendo tra corso e ora di andare a letto. Ero decisa a non sentirlo, anche se avevamo l’opportunità di usare i computer dell’università. Tuttavia avevo promesso di mandare una mail ad un paio di amiche, quindi decido di andare in aula computer e di scrivere le mail. Entro nella mail, dalla quale allora si poteva anche chattare e tempo nemmeno dieci secondi lui mi contatta. E la mia anima è perduta. Inizio a passare i pomeriggi in aula computer, con la scusa di dover usare il dizionario ondine per fare i compiti che ci assegnano ai corsi, ma ovviamente voglio solo chattare con lui. Fino alla sua partenza le cose vanno così, io poi dovevo stare altri dieci giorni in Norvegia e ritorno alle mie dodici ore di sonno e pianti ininterrotti chiusa nella mia stanza. È qui che ho iniziato a pensare molto più seriamente al suicidio, ci penso da quando ho dodici anni, ma mi accorgo qui che finora era sempre stata un’ipotesi appetibile ma piuttosto astratta. Qui invece prende forma, acquisisce metodi e armi, tuttavia comunque poco realizzabile, la finestra dava su un bel prato scosceso e ricco di rocce ma l’altezza era poca e i tubi a cui volevo appendere la corda da bucato che avevo trovato nelle lavanderie erano troppo esili per reggermi. Quindi opto per la vita fino a metodo migliore. Inizia la voglia sfrenata di tagliarmi, guardo tutti i coltelli disponibili in cucina, ma non c’era nulla che tagliasse nemmeno il cibo, figuriamoci il mio braccio.
Ritorno a casa per le vacanze, fingo di studiare, ma in realtà non faccio nulla, se non aspettare che lui torni e mi scriva. Inizio a tagliarmi. Mia madre se ne accorge un giorno, mi chiede cos’ho fatto al braccio, “niente” dico, scappo in bagno e la questione è chiusa qui.
A settembre do un esame scritto giusto per dire che ho fatto qualcosa, che mi sono impegnata ma che sono stata bocciata, tanto i miei sono convinti che io stia sempre chiusa in camera a studiare, quindi la scusa l’avrebbero bevuta, non accorgendosi del mio eterno pazzeggio al computer. Agosto passa, ma lui non si fa sentire, a settembre mi scrive per dirmi che è tornato, ma poi sparisce, non si fa più sentire per dei mesi. Bevo, compro un bel coltellaccio da cucina affilato, mi taglio, non mi curo di nascondere nemmeno troppo i tagli. Pare che altre mie conoscenze l’abbiano fatto e mi dicevano: “è solo passeggero”, oppure anche “io l’ho fatto, tu sei solo una stupida” o ancora “anche io lo facevo perché non provavo più nulla”, ma qui si chiudevano le questioni e finivo a casa col mio amico coltello.
Varie persone sono sparite dopo l’estate, ma non ne sento la mancanza. Sento la mancanza di compagnia, ma non della loro in particolare. Ho iniziato a crearmi degli amici immaginari con cui mangio, per cui preparo dei pasti; li ho avuti altre volte prima, ma non erano mai stati così vivi, così veri. E lui è l’amico immaginario con cui sto più spesso. Spero che prima o poi realtà e fantasia si confondano, credo che allora sarò davvero felice.
Inizia la mia esperienza da studentessa fuori corso. Mi sento umiliata nell’esserlo, fallita.
Lui ritorna a scrivermi ed io ricomincio ad essere dipendente dal computer, anche se le conversazioni sono più brevi e più saltuarie di prima. E meno significative. Ma mi accontento.
Ora mi manca un esame, ma sono nelle stesse condizioni di un anno fa. Sento di non potercela fare a finire l’università entro marzo, la mia dipendenza mi assilla. Ho smesso di ascoltare musica, i miei soli interessi riguardano le cose materiali ormai, almeno quelle le posso avere. Ho smesso di tagliarmi per il solo fatto che in estate mi è impossibile nasconderlo, cosa che nemmeno mi importa troppo, ma non voglio che i miei genitori facciano domande. Io con loro non ho mai posato la maschera di finta serenità e non ho nessuna voglia di dirgli quanto male mi abbia fatto la loro assenza.
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Messaggioda Lord Le Fou » 01/08/2013, 2:36



282 ha scritto:Io con loro non ho mai posato la maschera di finta serenità e non ho nessuna voglia di dirgli quanto male mi abbia fatto la loro assenza.

Sarebbe un ottimo spunto; non rimetterebbe in sesto il passato (magari incasinerebbe ulteriormente anche il futuro, comunque già soqquadro), ma sarebbe un incipit a manifestare le emozioni che provi in presa diretta.
Anche esternare la tua insoddisfazione nei confronti di lui non sarebbe malvagio. Che te ne fai se si tratta di poca roba e pure scadente? Non è così, accontentandoti, che sei finita dove stai ora? Basta accontentarsi.
Da quanto hai scritto, questo è, tra i fattori della tua discesa, quello principe all'interno del tuo disagio: accontentarti lasciando correre sempre a tuo discapito.
Nota positiva: gli amici immaginari non siano male, però ti consiglio quelli in carne ed ossa, come quello su cui posso contare io (amico immaginario in carne ed ossa). In assenza di esso (anche perché ce n'è pochi in giro ... io l'ho ripescato in Francia, pensa te! Pisciavo in giro come un cane ed eccolo lì: saldo e luminoso come un lampione nella notte ... ) eviterei di rifugiarmi su animali e piante, non si può: improponibile.
Potresti anche rivalutare il computer come mezzo d'esercizio delle tue lingue. Avvertenze: se lo fai per esercitare le lingue non stringere legami con i tuoi interlocutori - sottolineo interlocutori -, approfondisci piuttosto linguaggi tecnici, slang e accenti intrattenendoti, ad esempio, con qualche brooker turkmeno nel settore degli idrocarburi gassosi, piuttosto che del cotone; insomma idee chiare sul da farsi (una vita di amicizie e conoscenze dovresti fartela fuori dai circuiti informatici).
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Messaggioda Avogadro » 01/08/2013, 9:28



Lord Le Fou ha scritto:Anche esternare la tua insoddisfazione nei confronti di lui non sarebbe malvagio. Che te ne fai se si tratta di poca roba e pure scadente?

È sempre stato piuttosto evanescente ed ora lo è solo diventato di più, ma pare che la cosa non riguardi solo me. Dopo la mail c'è stato il tacito accordo di chiudere lì il discorso e ora la scelta per me è o tenre il rapporto così com'è o chiuderlo io. Finchè frequentiamo la stessa università e a volte anche le stesse persone mi pare impossibile chiudere il rapporto. Ad essere sincera nemmeno lo voglio che lui sparisca dalla mia vita, anche se so che finchè ci sarà io non ne uscirò.
Lord Le Fou ha scritto:Non è così, accontentandoti, che sei finita dove stai ora? Basta accontentarsi.
Da quanto hai scritto, questo è, tra i fattori della tua discesa, quello principe all'interno del tuo disagio: accontentarti lasciando correre sempre a tuo discapito.

Il fatto è che ho imparato ad accontentarmi da quando ero alle elementari, mi sono sempre accontentata, pensando al fatto che il nulla forse sarebbe stato anche peggio. Mi rendo conto benissimo che così sono finita in una vita piuttosto mediocre, ma ormai mi è difficile rimediare a questa mia abitudine.
Lord Le Fou ha scritto:Nota positiva: gli amici immaginari non siano male, però ti consiglio quelli in carne ed ossa, come quello su cui posso contare io (amico immaginario in carne ed ossa).

Gli amici immaginari non sarebbero male se il 90% delle volte non fosse proprio che mi immagino di avere solo lui al mio fianco. E persino io mi rendo immaginaria, mi creo così come mi vorrei. O come sarei dovuta essere per evitare di essere presa in giro per tutta la vita.
Il problema delle amicizie in carne ed ossa è che io non ho mai saputo fare amicizia, se nessuno si interessa a me, io non ce la faccio ad aprire bocca. E il più delle volte queste amicizie dopo un tempo più o meno lungo si rovinano, o perchè con me sono più le volte che si piange che quelle che si ride, o perchè è difficile essere amici di una persona con continui cambi d'umore e spesso depressa, con un carattere schifoso per altro. Io sento il bisogno continuo della presenza di qualcuno, ma questo non è possibile, i pochi amici che ho hanno le loro vite, non li posso sentire in continuazione.
Lord Le Fou ha scritto:Potresti anche rivalutare il computer come mezzo d'esercizio delle tue lingue. Avvertenze: se lo fai per esercitare le lingue non stringere legami con i tuoi interlocutori - sottolineo interlocutori -, approfondisci piuttosto linguaggi tecnici, slang e accenti intrattenendoti, ad esempio, con qualche brooker turkmeno nel settore degli idrocarburi gassosi, piuttosto che del cotone; insomma idee chiare sul da farsi (una vita di amicizie e conoscenze dovresti fartela fuori dai circuiti informatici).

Sopravvaluti la mia conoscenza delle lingue purtroppo. Avevo un livello accettabile di norvegese, ma da un anno l'ho lasciato da parte completamente. Di tedesco l'università dice che ho un c1, io ci rido ampiamente sopra e se ho la capacità di ordinare un panino senza impappinarmi è già una vittoria. Mi ero iscritta ad un sito per conversare in lingua, ma i tedeschi non ho mai avuto il coraggio di contattarli e coi norvegesi la conversazione non è mai andata molto in là. Ero contattata solo da disperati dall'inglese stentato che dicevano che ero bellissima e che volevano sposarmi. A scopo cittadinanza italiana e vita migliore ovviamente.
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Messaggioda odessa » 12/08/2013, 16:56



rivedo nella tua storia anche alcune cose che conosco bene: padre alcolizzato (il mio però non ha mai smesso), solitudine, amici immaginari, amico fino ad innamorarsi, delusione, sfasciarsi di alcol e canne, fuoricorso all'università e relative sensazioni...ricordo che un giorno non sono andata a fare un esame perchè non riuscii ad alzarmi dal letto, alle due di pomeriggio.

ci sono passata qualche anno fa, provo a dire a te quello che ha fatto bene a me.

Anche io avevo questo "lui". Non ti spiegherò tutto nel dettaglio perchè qui parliamo della tua storia, non della mia, ma per grandi linee spero che il percorso che ho fatto io possa dare qualche suggerimento anche a te.

Dopo un rifiuto clamoroso lui resta effettivamente nei paraggi, nei fatti mi illude, sapendo che ero persa di lui, ma poi si nega. Però poi torna. Da amico secondo lui, vabbè.
Lascio la città in cui studio, lascio lui...all'inizio è andata bene nonostante non avessi amici perchè a me i nuovi inizi mi riempiono già, stavo lì a far progetti...Adesso so che però continuare a farmi le canne e a bere, che mi sollevava così tanto allora, mi impediva di fare quei grandi cambiamenti di cui avevo bisogno, ma non ne avevo idea e ho continuato ancora per tanti anni.

Almeno per non pensare più a lui però allontanarmi è servito. Vuoi la rabbia, la vergogna, la delusione, vuoi la nuova occasione di una nuova città...ma ho cominciato a pensare a lui sempre meno.

Per sostituirlo con un'altra illusione, e poi un'altra ancora.

PRIMO SUGGERIMENTO: materialmente e spiritualmente allontanati da lui, ma anche da quelli come lui. Fidati, ce ne sono tanti.

Passa quindi tanto tempo, nuova città. Dopo qualche mese in una casa da sola cambio appartamento e faccio amicizia con una delle coinquiline. Nulla di eccezionale, ma pian piano gli amici immaginari se ne vanno.

Per pura coincidenza conosco quello che sarà per diversi anni il mio ragazzo.
Cambio di nuovo città per stare con lui. Canne e alcol in compagnia d'ora in poi, ma con il passare del tempo capisco che non è il tipo di vita che voglio. Con lui sto bene, canne e birra ok ma voglio "mettere la testa a posto". Lui non è della stessa idea, io non mi ci vedo a stonarmi di canne davanti ai miei futuri figli come i suoi amici, soprattutto perchè so che significa avere genitori assenti e irresponsabili. A rafforzare le mie convinzioni arriva finalmente un lavoro (non pagato ma sempre lavoro è). Sto in un asilo con bimbi piccoli tutto il giorno, devo tenere aperti quattro occhi su ognuno di loro, devo essere sveglia e comincio a diminuire le canne sempre di più, fino a fumarle per abitudine e non più per voglia. Dopo vari tira e molla lascio il mio ragazzo e per non pensarci mi lascio prendere da un flirt con il primo venuto.
Questo era un tizio tutto precisino, lo conosco a malapena ma sapevo non ci sarebbe stato nessun futuro. Però mi piace e voglio piacergli. Sono pienamente assorbita dal pianificare le mie giornate per scambiare due chiacchiere e flirtare con lui. Smetto di fumare definitivamente (sigarette ma soprattutto canne).

La mia vita cambia di nuovo. Ero davvero una persona diversa, più forte e ottimista nonostante la batosta di cinque anni di convivenza appena conclusi, la vita mi è diventata davvero "nuova" agli occhi.

SECONDO SUGGERIMENTO: smetti di fumare. Tutto. Nulla che si possa spiegare se non ci passi.

Dopo quell'estate ho cominciato a lavorare un po' di più, e finalmente con uno stipendio, anche non più con bambini non ho ricominciato a fumare se non due anni dopo qualche sigaretta, ma mai più canne (anche perchè ho cambiato giri, interessi, pensieri, e l'occasione non mi è più capitata nè l'ho cercata). Ho cominciato a studiare per conto mio sempre si più alcuni aspetti del mio nuovo lavoro, fino a diventare davvero brava e competente. Questo significava che quando mi sentivo insicura potevo dire a me stessa che sapevo bene quello che facevo. Non avevo grandi amicizie ma la mia competenza mi faceva guadagnare rispetto tra i conoscenti dell'ambiente.

TERZO SUGGERIMENTO: può darsi che tu stia facendo qualcosa che fanno in molti, ma tu puoi essere la migliore.

Non mi sono mai sentita in equilibrio come in quel periodo.

Spero che qualcuna di queste tante parole possa essere utile in qualche strano modo anche a te.
In bocca al lupo ;)
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Messaggioda Avogadro » 12/08/2013, 19:06



odessa ha scritto:PRIMO SUGGERIMENTO: materialmente e spiritualmente allontanati da lui, ma anche da quelli come lui. Fidati, ce ne sono tanti.

Cosa non possibile finché frequentiamo la stessa università e le stesse persone.
odessa ha scritto:SECONDO SUGGERIMENTO: smetti di fumare. Tutto. Nulla che si possa spiegare se non ci passi.

Non fumo canne da un anno, non per mia scelta ma perchè colui che me le procurava è andato a vivere all'estero, ma in ogni caso non avevo di certo i soldi per farmele ogni giorno.
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Messaggioda odessa » 12/08/2013, 22:45



scusa non volevo darti soluzioni semplicistiche o da bacchetta magica.
spero tu trovi presto la chiave migliore.
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Messaggioda Avogadro » 12/08/2013, 22:51



Già, lo spero anche io.
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Messaggioda Bastet » 17/08/2013, 13:05



Ho letto la tua storia, e mi dispiace sinceramente per tutto quello che hai dovuto passare. Però su quel tizio concordo con Odessa: credo che possa farti solo male. Dici che non puoi allontanarlo. Ok, non puoi fisicamente. Ma puoi riuscire a smettere di essere dipendente da lui, o dalla sua "immagine". Un passo alla volta.
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Spero di non annoiarvi

Messaggioda Royalsapphire » 29/08/2013, 11:41



282 ha scritto:Mi scuso perché i tempi verbali non sono coordinati, forse ci sono anche frasi incomprensibili nel mezzo, ma ho scritto a fiume e non ho le forze di rileggere questa roba.

Credo che il modo più facile sia dire l’intera storia fin da subito, senza girarci attorno.
Da sempre sono sola, mi sono sentita sola anche quando conoscevo qualche persona che ritenevo amica, finché ero in compagnia tutto andava bene, ma non appena tornavo a casa, la desolazione.
Credo che tutto cominci da quando andavo all’asilo, prima abitavo vicino all’asilo che frequentavo, poi i miei si sono trasferiti in un paesino, come se non bastasse, la casa proprio all’inizio del paese e circondata solo da persone anziane e adulti. Qui non mi sono mai fatta amicizie. Mia madre, credendo che fosse meglio per me, mi ha mandata alla scuola elementare vicino al mio asilo, di modo che le amicizie che avevo proseguissero, ma a parte un’amica non avevo particolari rapporti. Alle elementari iniziano le prese in giro per il mio aspetto fisico e inizia la mia eterna umiliazione. Nonostante tutto le elementari mi piacciono, perché sono comunque un’evasione dai problemi in casa, mi piace fare i miei compiti e vado bene a scuola. Il giorno del mio settimo compleanno mia madre inizia un nuovo lavoro a turni, ovviamente inizia con il turno dalle due di pomeriggio alle dieci di sera, non ha la macchina ma solo un motorino scassato e d’inverno in montagna non è piacevole muoversi col motorino. Inizio ad essere ancora più sola, i pomeriggi sono abbandonata a me stessa, pranzo con mia nonna, ma poi lei deve tornare al suo negozio, divento sempre più solitaria e alle medie inizio anche a pranzare da sola perché non la sopporto più.

Mio padre era alcolizzato, smette di bere quando io sono alle elementari, non ricordo quanti anni avessi, ma mi vergognavo tremendamente del fatto che lui bevesse, lo odiavo, ogni sera che tardava a tornare speravo fosse perché aveva fatto un incidente e fosse morto. Avevo anche pensato di ucciderlo io, ma sapevo che avrei avuto la peggio contro la sua forza. Un giorno a cena ha tirato un bicchiere in faccia a mia madre, l’ha mancata di poco, colpendo l’armadio dove ancora c’è il segno ed il bicchiere è rimbalzato e ha rotto la finestra. Per cena c’era il risotto ai funghi. Non lo posso più sopportare ora, mi fa schifo anche solo vederlo nella pentola. Lo stato del suo fegato peggiorò e il medico gli diede due anni di vita. Io ero contenta, è stata la migliore notizia mai avuta per me. E invece, avendo visto un suo amico smettere di bere e rifiorire, decide di andare in clinica per un mese e smettere. Il mese in cui io e mia madre eravamo a casa sole non lo ricordo, ma so per certo che è stato un mese di pura tranquillità. Torna a casa, con una settimana di anticipo perché era riuscito a litigare pure con il medico. Non ricordo molto di questo periodo, l’unica cosa che ricordo è che poco dopo lui torna a casa con un regalo e me lo posa sul letto, ma io non ho il coraggio di aprirlo, penso che non sia per me. Lo lascio lì fino a che mia madre non torna a casa dal lavoro e mi dice che è per me e che lo posso aprire. A posteriori so per certo che è stata lei a dirgli di comprarmi un regalo, che lui di sua iniziativa non l’avrebbe mai fatto. Mi vergogno talmente tanto di lui che al ritorno dalle vacanze estive ho mentito alla maestra che aveva assegnato un compito sulla meta delle nostre vacanze, dicendo che non l’avevo fatto perché non eravamo andati in vacanza perché mio padre era stato operato di calcoli al fegato, non che io in vacanza non ci potevo andare perché tutti i soldi mio padre se li bevevo.

Arrivano finalmente le medie e penso: tutto migliorerà, non mi prenderanno più in giro. Ovviamente avevo anche paura, perché sarei andata in una scuola stavolta vicina al mio paese, dove non conoscevo nessuno.
Non mi sarei potuta sbagliare di più. Le prese in giro si moltiplicano esponenzialmente e il primo anno stento a fare anche solo qualche conoscenza, anche se verso la fine dell’anno inizio ad entrare in confidenza con una ragazza che per alcuni anni sarebbe stata una delle mie amiche più intime.
Anche alle medie vado bene a scuola, come al solito mi rifugio nello studio e nei compiti quando torno a casa, così da non sentire la solitudine. Tuttavia inizio una strana forma di autolesionismo verso gli 11-12 anni, che tuttora non so se sia realmente autolesionismo o meno.
Di nuovo mi dico: alle superiori tutto cambierà, le persone sono più mature, nessuno ti prenderà in giro, almeno non come ora.
Errore di nuovo, alle superiori ci sono gli immaturi che ti prendono in giro apertamente e poi ci sono i peggiori, doppiogiochisti, che si fingono tuoi amici, ma che scopri poi averti preso per il cu*o tutto il tempo tramite facebook (che io non avevo) e averti sfruttata per i compiti in classe. Non nego di aver avuto dei momenti sereni durante le superiori, ma i fatti avvenuti l’ultimo anno mi fanno dubitare della veridicità dei momenti avvenuti in precedenza. A marzo della quinta parto per la classica gita di una settimana. Lascio i miei amici del paese e dei paesi vicini che frequentavano altre scuole o altre classi, che erano partiti la settimana prima di me, quindi non ci saremmo visti per due settimane. In queste due settimane il mondo è crollato e non so ancora il perché. In gita come al solito ci si ubriaca. Ho scoperto a distanza di una anno che dopo molti drink, mi era stato offerto un drink fatto fare appositamente fortissimo, al solo scopo di divertirsi alle mie spalle. Con tanto di commenti su facebook: siamo riusciti ad affondarla la balena stavolta. Ma questo è il meno, erano miei compagni di classe con cui ritenevo di avere un bel rapporto ma nulla di più, un errore di valutazione che confrontato con altri non è nulla di disastroso. Quello che più mi perplime è quanto avvenuto con la cerchia più stretta dei miei amici, quelli appunto dello stesso paese o dei paesi vicini. Li conoscevo dalle medie, prendevamo la corriera insieme ogni giorno, ci fermavamo a parlare prima di andare a scuola e poi di nuovo il viaggio di ritorno a casa, inoltre si usciva spesso anche il sabato sera. Poi i primi hanno iniziato ad avere la patente, ad uscire con altre persone e a dimenticare la povera sfigata di turno che ero io. Al ritorno dalla suddetta gita di quinta, hanno smesso di parlarmi e perfino di guardami in faccia, senza nemmeno dire una misera parola di spiegazione. Quegli ultimi due mesi e mezzo di scuola sono stati l’inferno più assoluto, non capivo cosa avessi fatto, perché una mattina messi tutti in cerchio come al solito per ridere e scherzare nel piazzale delle corriere ad un certo punto avessero deciso di chiudere il cerchio e lasciarmi fuori dalla loro vita, dandomi le spalle, umiliandomi come non mai, facendomi sussurrare un “allora io vado, ciao” a cui nessuno a risposto.
Mi sono chiusa nella musica e in me stessa, in quell’estate ho frequentato una sola persona, anche lei ha poi deciso di prendere un’altra strada ovviamente. Dovevo decidere quale università frequentare. Volevo iscrivermi a ingegneria aerospaziale, ma con l’autostima più bassa che mai non me la sono sentita e sono finita a fare lingue, che ora odio con tutta me stessa.
Ho pensato: all’università tutto cambia, nessuno ti prenderà più in giro, nessuno tradirà più i tuoi sentimenti in questo modo.
Errore di nuovo. Non imparo mai dai miei errori. Dovevo andare ad abitare con questa ragazza che era rimasta mia amica, ma poi lei per problemi vari non c’era mai e dopo tre mesi ci hanno sfrattate dall’appartamento. Io sono andata ad abitare con altre coinquiline e lei non l’ho più sentita. So solo che ha abbandonato l’università.
Il primo semestre l’ho passato in solitudine, ma stavo bene. Bene davvero. Non volevo più conoscere nessuno, non volevo più essere ferita da nessuno. Ma poi, frequentando corsi di lingue con poche persone, è inevitabile suscitare la curiosità altrui ed è inevitabile non cedere alle lusinghe di nuove amicizie. Ho pensato che forse queste sarebbero state persone migliori. Ed effettivamente il primo anno è andato molto bene dal punto di vista sia accademico che delle nuove amicizie. Già all’inizio del secondo anno qualcosa si è incrinato, ci sono stati i primi problemi, persone che mi accusavano di essere cattiva e che incitavano le altre persone a smettere di frequentarmi, perché avrei fatto loro del male. Per fortuna queste due persone sono state isolate dalle altre che conoscevo. Al secondo anno iniziano i problemi anche dal punto di vista accademico, perdo il ritmo che avevo nel dare gli esami e anche i voti si abbassano. Conosco un nuovo amico che mi convince ad abbassare la guardia, che devo togliermi la maschera di finta felicità e mostrare quello che sono. Ho iniziato a farlo ed ho iniziato a perdere gli amici. Anche il rapporto con lui ora non è altro che a livello di un semplice conoscente. E questo mi fa malissimo tuttora. Ho provato a dirgli che ho bisogno della sua amicizia, ma dopo una birra presa insieme tutto è tornato come prima.

Al terzo anno, dopo tanti tentativi di autoconvinzione che così non era, mi innamoro. Inizia la mia autodistruzione. Mi dispero, piango talmente tanto da stare male, perché mi sento in colpa nei suoi confronti, perché io non dovevo permettere che ciò accadesse, perché prima di tutto siamo amici, e per fortuna lo siamo tuttora. Mi deprimo, inizialmente mi fiondo nei libri, do quattro esami in due mesi, numero per me decisamente alto, ma al contempo lo confido ad un paio di amici, tra cui proprio quello che mi aveva convinto a gettare la maschera. Inizio a perdere peso, mi nutro quasi solo di cioccolato e a volte nemmeno di quello. Vivo perennemente attaccata al computer per poterlo sentire il più possibile, quando sono in università dopo un po’ sento il bisogno di andare a casa, sono inquieta, devo tornare a casa a prendere la mia droga. Cerco consiglio in quasi tutti i miei amici di allora e alla fine, in un pomeriggio ad alto tasso di birra e canne, mando un messaggio a questo ragazzo. Avevo pianificato di dirglielo di persona, dopo una determinata lezione che frequentavamo insieme, ma lui aveva iniziato a non esserci più a quella lezione e il mio piano coraggioso era andato in fumo facendomi affossare e così ho preso la facile via del cellulare. Non ha risposto, il giorno dopo gli ho scritto spiegazioni tramite msn, poiché insomma, il messaggio era conciso e lui sapeva che ero ad un picnic altamente alcolico. Dopo la mia spiegazione ho ricevuto come risposta testuali parole: “tranqui XD” e poi a cambiato argomento. Io ho iniziato a prendere a testate il muro urlando “non è servito a un ca**o! Non è servito a un ca**o! Non è servito a un ca**o!” mi sono “calmata” per quanto possibile e ho continuato la conversazione con lui tramite msn. Mi sento ancora oggi una stupida, avrei dovuto subito avere la forza di spirito per obbligarlo a rispondermi qualsiasi cosa. Mi ero preparato qualsiasi reazione da parte sua, che non avrebbe più parlato, che mi avrebbe derisa, nei miei sogni c’era persino l’opzione “anche tu mi piaci” che sapevo essere pura fantascienza, ma che avrebbe cambiato argomento, no.
Sia prima che dopo averglielo confessato ho iniziato a bere e a mandare a puttane l’università. Uscivo con gli amici e bevevo, stavo in casa e bevevo ancora di più. Alle lezioni ci andavo poco. Un mese esatto dopo questa confessione c’è stata una festa di compleanno, a cui c’era anche lui. Io ero schifosamente inca**ata con lui, ho bevuto e fumato canne in quantità ed è finita in una pozza di vomito fuori dal locale, davanti a tutti i miei amici ovviamente. Il giorno dopo ho ripensato alla questione, ho pianto, pianto, pianto mentre parlavo con lui su msn, mentre lui mi chiedeva informazioni riguardo ad un esame che doveva dare e io avevo già dato, mentre dentro di me urlavo “NON ME NE FREGA UN c***o DEL TUO ESAME LO VUOI CAPIRE?”, ho deciso che la situazione non poteva andare avanti, che anche se io sapevo la risposta ancora prima di confessargli tutto, la risposta doveva venire dalla sua maledetta bocca. O tastiera, visto che siamo due codardi. Nel delirio più totale e in mezzo ad un fiume di lacrime che pareva incontenibile, gli ho scritto una mail delirante, dove tentavo di fargli capire quanto il contenuto della sua risposta in sé non mi interessasse, ma che volevo semplicemente che mi dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, che non fosse cambiare argomento. Credo che il suo cambio di argomento fosse stata una delle ferite più grandi mai infertemi, in quel momento tutte le prese in giro e gli amici che mi avevano voltato le spalle erano diventate nulla di fronte alla sua mancanza di quel minimo di coraggio per dirmi quello che pensava di quanto gli avevo detto, del fatto che gli avevo esternato i miei sentimenti. Questa volta ho ottenuto una risposta ed ho pianto di gioia quando ho capito che per lo meno saremmo restati amici, che non mi avrebbe mandata a fanc**o. Devo ammettere che per alcuni giorni seguenti sono stata anche bene, nella mail mi aveva detto che per me c’era e ci sarebbe stato.
Siamo giunti alla scorsa estate. Avevo vinto una borsa di studio per un corso estivo di un mese in Norvegia, ero contentissima perché non ci avevo proprio sperato, era stata una sorpresa, ma dall’altro lato, non volevo andarmene, perché sapevo che non l’avrei sentito per molto tempo, perché poi lui sarebbe stato via in agosto e i mesi senza sentirci sarebbero stati due.
Ma l’avevo visto come un’opportunità enorme questo mese in Norvegia, opportunità che ho sprecato nella depressione più totale, dormendo dodici ore al giorno e piangendo tra corso e ora di andare a letto. Ero decisa a non sentirlo, anche se avevamo l’opportunità di usare i computer dell’università. Tuttavia avevo promesso di mandare una mail ad un paio di amiche, quindi decido di andare in aula computer e di scrivere le mail. Entro nella mail, dalla quale allora si poteva anche chattare e tempo nemmeno dieci secondi lui mi contatta. E la mia anima è perduta. Inizio a passare i pomeriggi in aula computer, con la scusa di dover usare il dizionario ondine per fare i compiti che ci assegnano ai corsi, ma ovviamente voglio solo chattare con lui. Fino alla sua partenza le cose vanno così, io poi dovevo stare altri dieci giorni in Norvegia e ritorno alle mie dodici ore di sonno e pianti ininterrotti chiusa nella mia stanza. È qui che ho iniziato a pensare molto più seriamente al suicidio, ci penso da quando ho dodici anni, ma mi accorgo qui che finora era sempre stata un’ipotesi appetibile ma piuttosto astratta. Qui invece prende forma, acquisisce metodi e armi, tuttavia comunque poco realizzabile, la finestra dava su un bel prato scosceso e ricco di rocce ma l’altezza era poca e i tubi a cui volevo appendere la corda da bucato che avevo trovato nelle lavanderie erano troppo esili per reggermi. Quindi opto per la vita fino a metodo migliore. Inizia la voglia sfrenata di tagliarmi, guardo tutti i coltelli disponibili in cucina, ma non c’era nulla che tagliasse nemmeno il cibo, figuriamoci il mio braccio.
Ritorno a casa per le vacanze, fingo di studiare, ma in realtà non faccio nulla, se non aspettare che lui torni e mi scriva. Inizio a tagliarmi. Mia madre se ne accorge un giorno, mi chiede cos’ho fatto al braccio, “niente” dico, scappo in bagno e la questione è chiusa qui.
A settembre do un esame scritto giusto per dire che ho fatto qualcosa, che mi sono impegnata ma che sono stata bocciata, tanto i miei sono convinti che io stia sempre chiusa in camera a studiare, quindi la scusa l’avrebbero bevuta, non accorgendosi del mio eterno pazzeggio al computer. Agosto passa, ma lui non si fa sentire, a settembre mi scrive per dirmi che è tornato, ma poi sparisce, non si fa più sentire per dei mesi. Bevo, compro un bel coltellaccio da cucina affilato, mi taglio, non mi curo di nascondere nemmeno troppo i tagli. Pare che altre mie conoscenze l’abbiano fatto e mi dicevano: “è solo passeggero”, oppure anche “io l’ho fatto, tu sei solo una stupida” o ancora “anche io lo facevo perché non provavo più nulla”, ma qui si chiudevano le questioni e finivo a casa col mio amico coltello.
Varie persone sono sparite dopo l’estate, ma non ne sento la mancanza. Sento la mancanza di compagnia, ma non della loro in particolare. Ho iniziato a crearmi degli amici immaginari con cui mangio, per cui preparo dei pasti; li ho avuti altre volte prima, ma non erano mai stati così vivi, così veri. E lui è l’amico immaginario con cui sto più spesso. Spero che prima o poi realtà e fantasia si confondano, credo che allora sarò davvero felice.
Inizia la mia esperienza da studentessa fuori corso. Mi sento umiliata nell’esserlo, fallita.
Lui ritorna a scrivermi ed io ricomincio ad essere dipendente dal computer, anche se le conversazioni sono più brevi e più saltuarie di prima. E meno significative. Ma mi accontento.
Ora mi manca un esame, ma sono nelle stesse condizioni di un anno fa. Sento di non potercela fare a finire l’università entro marzo, la mia dipendenza mi assilla. Ho smesso di ascoltare musica, i miei soli interessi riguardano le cose materiali ormai, almeno quelle le posso avere. Ho smesso di tagliarmi per il solo fatto che in estate mi è impossibile nasconderlo, cosa che nemmeno mi importa troppo, ma non voglio che i miei genitori facciano domande. Io con loro non ho mai posato la maschera di finta serenità e non ho nessuna voglia di dirgli quanto male mi abbia fatto la loro assenza.


Ciao 282,
mi dispiace per il ritardo immenso con cui ti scrivo, ma solo oggi ho avuto occasione di leggere la tua storia.
Intanto ti faccio i complimenti per come hai argomentato tutto. Hai saputo mettere a fuoco i dettagli della tua vita, e mi hai permesso di farmi un quadro della situazione.

Quella che segue è la mia opinione in merito.
Tutto è iniziato dall'assenza dei tuoi genitori che, per motivi di lavoro, ti hanno trascurato. Quando dico "trascurato" intendo su una vasta gamma di circostanze: la stanchezza del lavoro e i problemi familiari li hanno portati a non avere la forza di sorridere con te, di dare importanza a quello che facevi, di farti sentire desiderata e importante, e soprattutto di seguirti e orientarti per la tua strada.
Inevitabilmente hai cercato altrove coccole, attenzione e guida. E dove potevi cercarle? Tra i tuoi compagni!
Il pensiero di "finite le elementari andrà meglio" - "finita la media andrà meglio" - "finito il liceo andrà meglio", lo pensano in tanti, te lo assicuro! Sai perché capita che non funzioni? Non per te! Ma per l'ambiente che trovi.
Pensaci, anche se fossi stata piena di amici, rispettata, un idol della scuola, avresti comunque avuto il comportamento che hai visto avere negli anni a tutti quei bulletti? Non credo! E tu non sei un'aliena, ma una ragazza come tutti! Quindi se in tutti questi anni non sei riuscita a legare con gli altri, o sei stata presa in giro, non è dovuto a te ma alle persone che hai avuto attorno che non erano brave persone! Tu penserai "impossibile, non può capitare in 5 anni di scuola elementare, in 3 di scuola media, in altri 5 di liceo, e pure all'università"! E invece ti dico che è possibile! Soprattutto se vivi in un paese. Nei paesi tendono ad essere tutti uguali, ed essendo ragazzini infantili si tende a imitare e ricercare e plasmarsi come le pecore nere! Penserai, "possibile che siano tutti furbi tranne me?". Ebbene, sì è possibile!
Tu avresti fatto ubriacare un compagno per poi prenderlo in giro su fb? Ecco, non devi pensare che ciò è stato fatto a te, ma più in generale a ciò che è stato fatto! All'azione! Quei ragazzi che hanno fatto questo, lo avrebbero fatto comunque a qualcuno. Ok lo hanno fatto a te, ma ciò su cui devi riflettere è che quei ragazzi hanno avuto il coraggio di fare del male. Capendo questo capirai che, non eri tu ma il contesto stociale ad essere totalmente inadeguato a te! Nella vita forse tu avrai occasione di insegnare a tuo figlio che non si prende in giro nessuno, specie se più debole; loro invece gli insegneranno a come fregare la gente, e questa è la via della solitudine! Nelle scuole e in ambienti chiusi, possono attirare un po' di pecorelle, ma fuori nella vita, a contatto con fiumi di persone, non riusciranno a costruire un solo legame serio e duraturo, e le loro amicizie saranno superficiali e di interesse.
Quanto alle tue speranze di fare amicizia all'università, anche qui non credere che per quando sei in mezzo a dei ventenni, questi possano avere un briciolo di cervello! Io, alla facoltà di farmacia, ho conosciuto solo branchi di idioti! E pensavo "e questi saranno i futuri farmacisti, i miei futuri colleghi?!". Sembrava di essere tornati alle elementari tra quelli che si sparlavano alle spalle, quelli che si fregavano gli appunti, quelli che litigavano tra couinquilini perché c'era chi si rubava il cibo degli altri, chi non faceva le pulizie, chi non pagava. In più c'erano anche tante paia di corna che fioccavano un po' qua e un po' là.
La cosa veramente disarmante in tutto questo è che nessuno prendeva seriamente lo studio. Avevano i genitori che facevano tanti sacrifici per farli studiare, e loro se ne fregavano altamente. Pensavano solo a uscire, a sparlare, a fregare gli altri. Vedevi amicizie rompersi e riformarsi nel giro di giorni. E più lo facevano e più si sentivano importanti, più la loro autostima cresceva.
Passando ad altro, mi dispiace che tu non abbia avuto l'autostima sufficiente per non scegliere ingegneria (bella facoltà).
Lingue non è affatto male come indirizzo, oggi che le lingue straniere sono sempre più richieste!
Il fatto che tu abbia completamente perso di vista l'università, è perché non hai avuto dei veri e propri obiettivi (ciò dovuto largamente alla trascuratezza da parte dei tuoi). Hai detto che per quel ragazzo piantonavi il computer e tutto il resto non contava, e che quando lui non c'era, il resto contava ancora meno! Sai perché si è verificato questo? Perché tu hai voluto trovare in quel ragazzo la figura genitoriale che ti è da sempre mancata! Lui è stato la tua Stella Cometa, la tua guida! Infatti con lui ti sentivi come se andasse tutto bene, e quando lui scompariva, tutto decadeva. Questo è indice di quanto tu abbia bisogno di un punto di riferimento. Secondo me se i tuoi ti stessero vicino e si interessassero a quello che fai, tu diventeresti un mostro di bravura in tutto ciò che fai. Ma il punto è che sei gia un mostro di bravura. E' così. Ogni volta che ti sei impegnata in qualcosa e hai creduto in te stessa tu hai ottenuto ottimi risultati! Pensaci. Non hai avuto problemi con lo studio. Hai dato 4 materie in 2 mesi (impressionante!), hai vinto la borsa di studio in Norvegia!! E se non avessi avuto questi alti e bassi con te stessa, ti saresti laureata in tempo e a pieni voti!
Ascolta, io so cosa significa passare ciò che hai passato (e stai ancora passando). L'ho provato anch'io. Ci si sente smarriti quando ci si accorge di essere soli e si perdono obiettivi, gioia, sicurezza, voglia di fare.
Lui non è la guida giusta! La guida giusta, si preoccuperebbe di pensare al tuo bene, ti inciterebbe a finire l'università, ti aiuterebbe a scoprire cosa vuoi diventare e cosa vuoi costurire nella vita, sarebbe felice di pensare a come vivere insieme, al meglio, gli anni che verranno.
Tu devi chiederti: "E' giusto che io riduca in questo stato la mia vita perché chi mi circonda è troppo preoccupato a viversi la sua?".
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Spero di non annoiarvi

Messaggioda Avogadro » 23/10/2013, 7:58



RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

Ho passato l’estate nella depressione, dormire quanto più possibile era la parola d’ordine, stare a letto fino a 17 ore senza alzarmi. Se non c’era il letto, c’era il computer. Fissare lo schermo vuoto, senza fare nulla, leggere nulla, senza vedere nulla. Sempre peggio. Sempre più voglia di farmi quei tagli che in quel momento non potevo fare, trovo armi di fortuna con cui pensavo di non riuscire nemmeno a farmi un graffio e invece qualche misero graffio rosso lo riesco anche a fare; la soddisfazione non è la stessa ma almeno dona 5 miseri minuti di calma alla mia anima. Sempre meno capacità di studiare per quell’ultimo schifoso esame. Primo settembre: dopo 40 giorni di completa clausura, riparto per l’università. Posso finalmente mollare la maschera che devo tenere di fronte ai miei. Non ricordo nemmeno come, ma qualcosa lo riesco a studiare. Tra il primo settembre e il 19 c’è il buio, non ricordo praticamente nulla. So di aver studiato, non so come ma di certo male e di aver ripreso a tagliarmi, tagli sempre più carichi di odio, sempre più profondi. Mi sono presentata all’esame avendo letto la metà del materiale indicato, forse meno. Sapendo forse la metà di quello che avevo letto, mi vergogno di essermi presentata a questo modo; di tutti gli esami dati, questa è stata l’unica volta in cui non ho letto tutto almeno una volta. Ho avuto molta fortuna, finalmente libera da esami di cui non mi importa più.

Qui sono precipitata. Giorni di bevute feroci, tagli, digiuni, vomito autoindotto, qualsiasi cosa, pur di farmi quanto più male possibile. E di nuovo dormire quanto più possibile. Ogni volta mi dicevo: lunedì metto la sveglia e ricomincio una vita normale, inizio la tesi. Non ho ancora iniziato.

Ho parlato per la prima volta di persona alla mia amica di me. Le ho detto tutto, dal cosa provo a tagliarmi, al fatto che vivo logorandomi, alla mia infanzia, a tutti i modi in cui ho pensato di farmi fuori. Non avrei mai creduto possibile una confessione così corposa.

Ho capito che non voglio più vivere, che non mi importa più nulla. Sono stanca. Troppo stanca per avere solo 23 miseri anni. Voglio lasciarmi scivolare la vita addosso morendo a poco a poco. Ma c’è un ma.

Il 22 ottobre ho scoperto che, forse, questi 23 anni non sono stati poi così inutili.
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