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breve autobiografia

MessaggioInviato: 08/12/2018, 1:22
da Teramene
Sono figlio unico. Quando sono nato i miei si erano sposati da meno di un anno, mia madre era andata a vivere nella casa di mio padre dove vivevano ancora i miei nonni paterni. Dunque nei primi anni della mia infanzia eravamo in cinque. Mia madre mi ha raccontato spesso che da piccolo ero molto tranquillo, nel senso che piangevo solo quando avevo un buon motivo (e cioè quando stavo male a causa di coliche o di acetone). Mi diceva che i miei capricci non erano mai "rumorosi" (cioè che non usavo il pianto per manifestare le mie pretese o lamentele). Altre cose che mi diceva riguardo alla prima infanzia hanno a che fare con la mia "ricettività". Mi ha detto ad esempio che mi piaceva la musica (reagivo positivamente quando la metteva). Altre cose le ricordo da me; ad esempio che ero molto curioso e che le facevo tantissime domande (eventualmente anche ad altri adulti, ma spesso mi scontravo con la loro indisponibilità e questo mi deludeva). Inoltre mi piaceva molto sfogliare libri e soprattutto enciclopedie, purché contenessero foto e illustrazioni descrittive; mi piacevano molto i documentari sugli animali. Il mio primo grande interesse sono stati appunto gli animali, che mi divertivo a riconoscere nelle foto e nei disegni dei libri. Di conseguenza, già da piccolo possedevo un ricco vocabolario zoologico. Inoltre ho dimostrato una precoce capacità linguistica, mi dicono che ho imparato prima a parlare che a camminare. Alla scuola materna le maestre dicevano che mi esprimevo bene, al di sopra della media. Ricordo infatti che mi veniva spesso la tentazione di correggere gli altri bambini quando si esprimevano male o quando si comportavano in modi a mio avviso goffi e inappropriati (modi per i quali mia madre mi avrebbe obbligato a correggermi). Ricordo ad esempio che quando raccoglievano da terra e ricominciavano a mangiare del cibo io li avvertivo del fatto che era scorretto mangiare cose sporche perché "contenevano microbi". Ovviamente tutti questi comportamenti non erano compresi dagli altri bambini, tanto meno ascoltati e questo mi dispiaceva. Alla scuola materna ricordo che passavo gran parte del mio tempo in disparte, percepivo sempre un senso di disagio molto forte e tale da impedirmi di partecipare spontaneamente ad attività collettive. Soprattutto non riuscivo ad immedesimarmi negli altri bambini quando diventavano chiassosi e iperattivi e quando partecipavano a giochi che prevedevano questo tipo di comportamento. Ero soprattutto un osservatore e tendevo a svolgere attività in qualche maniera "analitiche". Se capitava che anche altri bambini si trovassero a svolgere attività che li mettevano in comunicazione con me e con quello che stavo facendo ero felice di cercare il contatto con loro, diventando un interlocutore più che un compagno di giochi. In molte occasioni i nostri diventavano veri e propri dialoghi.
Alle elementari la mia tendenza ad isolarmi si è in qualche modo solidificata, nel senso che avevo due soli amici; con tutti gli altri mancava il feeling. Direi che già alle elementari si sono create le premesse per far sì che nascesse attorno a me una certa ostilità da parte di molti coetanei (sia maschi che femmine) e che si è poi tradotta in bullismo. Alle elementari in particolare era nata una forte ostilità tra me ed una compagna, che si distingueva per essere la più brava e che emergeva tra le altre come una sorta di reginetta (anche perché già allora era molto graziosa e devo ammettere che al di là dell'antipatia io stesso ne ero attratto). Lei aveva attorno a sé una cerchia di bambine che in qualche modo le creavano una mini corte. Io ne ero intimorito poiché lei aveva una capacità del tutto ineguagliata di irritarmi, sorridendomi beffardamente e provocandomi in vari modi (spesso non verbali). Io ho sempre reagito in maniera decisamente astiosa nei suoi confronti e tendevo così a far emergere forse i tratti più asociali della mia personalità, anche agli occhi degli altri bambini (forse è stata soprattutto questa esperienza a mettermi negativamente in risalto da allora in poi). Anche un'altra bambina mi era allora antipatica, poiché anche lei di tanto in tanto mi sfotteva in modi simili. Tuttavia lei non brillava nello studio e non era preminente tra le altre bambine, di conseguenza le sue provocazioni erano un po' meno fastidiose. Alcune cose che mi diceva erano più verbali e stereotipate, più simili alle impressioni generali che davo alla maggior parte dei miei compagni. Le maestre in generale avevano un giudizio positivo nei miei confronti, anche se di una di loro avevo paura. Questa insegnante era un tipo esuberante, poiché tendeva ad essere impetuosa nei rimproveri e al tempo stesso molto ironica (quando faceva prediche spettacolarizzava il suo intervento e quindi creava un vero e proprio show di pubblico sberleffo nei confronti del bambino che stava rimproverando). Già quando se la prendeva con qualcun altro io provavo un forte senso di vergogna poiché mi veniva da immedesimarmi con quel compagno. Quando rimproverava me mi sentivo morire dall'imbarazzo e dalla paura. Pur essendo nel complesso il maschio più bravo non ero comunque al livello della bambina sopramenzionata e di due sue amichette. Ero rimproverato il più delle volte per via del fatto che facevo molti errori di ortografia e perché ero spesso distratto. Questi "difetti" erano percepiti con viva preoccupazione anche da mia madre che in molte occasioni tentava in vari modi di indurmi a correggerli ed io spesso non capivo cosa ci fosse di tanto grave; attendevo quindi passivamente che finisse l'ennesima predica o che ricevessi un'imposizione che avrei capito meglio e che avrei saputo mettere in pratica. Prima di parlare degli anni delle medie, sarebbe il caso di soffermarmi anche su un'altra esperienza annuale. Ogni estate (fino all'età di 13/14 anni) mia madre mi mandava al mare da mia zia che viveva col marito e mia cugina ad Ortona (in provincia di Chieti).
Per me si trattava di un'esperienza nell'insieme positiva poiché mia zia non era mai severa con me, soprattutto le sue imposizioni erano molte di meno rispetto a quelle che mi dava mia madre. Il marito era un tipo semplice e ancor più lassista. Inoltre mi attraeva sempre l'idea di stare in compagnia di mia cugina (di oltre 6 anni più grande di me), in veste di ragazza adolescente e quindi molto diversa dalle persone che normalmente mi circondavano (quasi esclusivamente adulti anziani o di mezza età). Tuttavia il fatto che lei finisse col passare gran parte del suo tempo fuori casa con i suoi amici mi dava un forte dispiacere, pur essendo consapevole che non poteva esserci un contatto tra me e lei data la differenza di età e di sesso. Dunque passavo gran parte del mio tempo con mia zia, durante il quale, pur sentendomi più libero dai doveri che in genere m'imponeva mia madre, mi annoiavo spesso (sia che l'accompagnassi in città a fare la spesa, sia che andassi al mare con lei). Ricordo che trascorrevo molto del mio tempo da solo a guardare la tv oppure giocando per conto mio. Poiché per diversi anni in estate trascorrevamo il tempo in una casa in campagna ricordo che passavo interi pomeriggi a giocare all'aperto con cose inanimate tipo foglie, rami e conchiglie che facevo diventare personaggi e facevo vivere loro storie fantasiose. In certi periodi si fermava lì anche mia madre e spesso per reazione io mi scoprivo più insofferente al ripresentarsi dei miei obblighi di fronte a lei, tanto che non di rado in quei periodi subivo duri rimproveri. Mia zia si stupiva del fatto che finché mia madre era stata via io mi ero comportato bene (nel senso che di capricci non ne facevo quasi mai). Al mare mi ero fatto un amico, aveva 3 anni meno di me, era un tipo svelto ma al tempo stesso tranquillo (aveva anche lui interessi relativamente complessi e non aveva alcun comportamento irrequieto, pertanto gradiva la mia compagnia). Parlavamo molto e svolgevamo diversi passatempi insieme, ogni tanto anche di natura "agonistica", ma spesso mi arrabbiavo di fronte alla sua tendenza ad imbrogliare quando si trattava di misuraci su qualcosa.
I tre anni di scuola media sono stati un periodo positivo sotto certi aspetti e molto negativo sotto altri. Sono stati un periodo positivo poiché la classe in cui mi trovavo era abbastanza ridotta e mancavano elementi con i quali avevo particolari antagonismi (soprattutto mancava quella coetanea con la quale avevo avuto molte tensioni alle elementari). Benché il mio comportamento tendenzialmente suscettibile e polemico mi fosse fatto notare spesso da compagni e professori, allo stesso tempo sentivo di trovarmi in un ambiente più amichevole di quello delle classi elementari e arrivato alla fine mi ero reso conto con dispiacere che tutto stava finendo proprio nel momento in cui la maggior parte dei miei compagni di classe stava accantonando definitivamente l'immagine più negativa di me. Dei due amici che mi ero fatto alle elementari uno era rimasto nella classe delle medie.
Nel corso di questi tre anni stavo lentamente instaurando un rapporto di amicizia anche con altri due compagni di classe (anche questo interrottosi appena finite le medie, con uno dei due ho continuato a mantenere un rapporto amichevole tutte le volte che ci siamo incontrati in seguito, ma senza riuscire a mantenere una frequentazione). Inoltre nei periodi estivi delle medie avevo preso l'abitudine di uscire il pomeriggio e di andare a trovare (a piedi non molto distante da casa mia) uno dei miei due amici (con l'altro ci vedevamo meno di frequente e mai all'aperto perché lui viveva con angoscia l'ambiente del nostro paese). Da lui passavo il tempo in vari modi: giocando, chiacchierando e cose simili. Invece al di fuori della mia classe le cose erano assai peggiori. La fama alquanto negativa che mi circondava aveva assunto alle medie i connotati giusti per fare di me un bersaglio per non pochi bulli. In particolare a prendermi di mira erano ragazzi della classe inferiore che benché più giovani avevano sviluppato negli anni una condotta ben più aggressiva e sfrontata di quella media dei miei coetanei. Delle loro angherie (benché non tanto gravi rispetto ai casi di bullismo di cui si parla oggi in televisione) conservo ancora adesso brutti ricordi. Altro loro bersaglio era il mio amico che frequentavo sempre a tu per tu (altro motivo che gli impediva di vederci in contesti simili a quelli nei quali frequentavo l'altro amico). Devo dire anzi che lui di angherie ne aveva subite probabilmente di più pesanti e frequenti, ma credo che per via del suo carattere meno ansioso e pessimista del mio abbia saputo superare meglio questa brutta fase. Questo periodo è stato difficile anche in ambito familiare, poiché i miei genitori hanno iniziato ad angustiarsi con sempre più insistenza dinanzi a due miei limiti. Uno era rappresentato dalla mia indisposizione per l'attività fisica (sia a livello d'interesse che di capacità), tanto che fin dalle elementari mi obbligavano ogni anno a praticare un'attività fisica. In particolare al 3° anno di elementari ho dovuto frequentare un corso di nuoto (è stata l'esperienza sportiva più traumatica per me, poiché dovevo imparare a nuotare, l'acqua mi spaventava molto, tanto che tutti i pomeriggi prima di cambiarmi dovevo vomitare per sfogare la tensione). Negli anni seguenti mia madre mi ha prontamente iscritto ad attività sportive pomeridiane presso la palestra della scuola. Queste ultime (che ho continuato a frequentare fino alle medie) le ho sapute gestire meglio poiché non dovevo più avere a che fare con l'acqua, ma avvenivano in un contesto ostile poiché i compagni di scuola che ci andavano venivano da altre classi (e quindi mi vedevano nel modo che ho già descritto) oppure erano esclusivamente le mie compagne di classe (incluse quelle che avevano sempre avuto l'iniziativa di deridermi e che quindi trascinavano con se anche altre compagne).
L'altro oggetto delle preoccupazioni e delle prediche dei miei genitori era la mia asocialità.
Già a partire dagli anni delle elementari avevano cominciato a farmi notare con ansia il fatto che io trascorressi a casa gran parte del mio tempo extrascolastico e poco a poco hanno iniziato a sommergermi di prediche periodiche, davanti alle quali sentivo di soffocare poiché istintivamente non capivo cosa ci fosse di tanto sbagliato nelle mie abitudini e soprattutto mi spaventava molto intuire che per accontentarli avrei dovuto fare cose che mi spaventavano molto (uscire di casa e cercare quegli stessi coetanei che mi giudicavano un tipo strano, che andava più che altro deriso o provocato). Il tormento maggiore me lo dava mio padre che, dopo un'infanzia nella quale mi aveva ignorato quasi del tutto, mi sommergeva di prediche e di critiche senza alcuna capacità di starmi mai ad ascoltare e di dialogare con me (nemmeno nelle occasioni in cui non mi doveva fare prediche). Mi rendevo conto che dopo un'infanzia di lontananza egli non poteva conoscermi affondo e poteva solo lasciarsi suggestionare dal mio comportamento esteriore e pretendere di farsi ascoltare e ubbidire senza la minima mediazione. Spesso dovevo uscire di casa, farmi una camminata per il paese (nella speranza di non incontrare coetanei), per poi tornare senza parlare di quello che avevo fatto (se facevo loro capire che andavo sempre da solo ne avrebbero approfittato subito per ripartire in quarta con le loro prediche). Era un'abitudine che avevo preso senza alcun entusiasmo, poiché sapevo che l'unica cosa che potevo dimostrare, a mio padre in particolare, era che non passavo tutto il mio tempo a casa in panciolle.
Prima di proseguire con gli anni del liceo dovrei fare una parentesi che ha a che fare soprattutto con gli anni dell'infanzia e che avevo tralasciato, e cioè la mia amicizia più importante (quella che ho avuto con mio cugino).
L'amicizia con mio cugino è stata la più importante fra le poche che ho avuto. In realtà però quest'amicizia si è mantenuta tale soprattutto negli anni dell'infanzia. Fino all'età di 8 anni (io e lui siamo quasi coetanei anche se al millesimo avrei un anno di meno) la sua famiglia viveva a Rieti, poi mio zio si è trasferito (per circa un anno in Abruzzo, poi definitivamente in provincia di Parma). Fino a quel momento siamo stati grandi compagni di giochi, ci vedevamo spesso, sempre all'interno del contesto familiare. Con lui avevo una simbiosi che non ho avuto con nessun altro coetaneo. Le nostre diversità erano tali da compensarsi a vicenda. Il gioco che facevamo più spesso era quello che ci vedeva nel ruolo di supereroi ed era tanto piacevole poiché ciascuno di noi due lo arricchiva con elementi che mancavano all'altro. Io ero quello passivo che spesso dava qualche suggerimento e restava calmo e tendeva spesso a stare a guardare. Mio cugino infatti era un tipo più vivace, nel senso che ha sempre avuto una grande autostima che fra le altre cose gli ha sempre conferito la tendenza ad esibirsi (da bambini si esibiva molto nel gioco, ora è un cantautore e chitarrista). Anche lui mostrava una certa dose d'inventiva, ma si trattava spesso di modelli e stereotipi che prendeva dall'esterno (soprattutto dai cartoni animati), mentre io tendevo maggiormente ad inventare ex novo (benché avessi anch'io dei modelli ai quali ispirarmi). Dopo che si sono trasferiti ho potuto rivederlo nelle sole occasioni in cui venivano a trovarci. Per un po' di anni riuscivamo ancora a prenderci come quando eravamo piccoli, ma poi progressivamente le differenze fra noi si sono acuite enormemente. Ora siamo talmente diversi che riusciamo a stento a capirci e su pochissimi argomenti, per il resto si è creato tra noi un gelo profondo e sconfortante. Io ho proseguito gli studi e posseggo una vasta cultura; lui non ha terminato gli studi, ha svolto lavori temporanei, è fidanzato da anni e tranne la musica non ha molti interessi. Dopo che ci siamo dovuti perdere di vista da bambini ho sofferto molto e non ho assolutamente trovato figure capaci di rimpiazzarlo; con i due amici che mi sono fatto a scuola non ho mai avuto un'amicizia di pari intimità, che mi consentisse di stringere con loro un legame paragonabile a quello che avevo con mio cugino.Un'altra persona che per me ha rappresentato una presenza significativa in ambito familiare è stata la mia nonna materna. Prima di tutto è la sola fra i miei nonni che ho avuto modo di conoscere bene (il mio nonno materno è morto nel 1989 e i miei nonni paterni sono morti entrambi nel 1991, quando avevo ancora 8 anni; tutti è tre inoltre erano notevolmente più vecchi di lei). Non mi sento in grado di descrivere in poche parole il suo carattere. Essendo una casalinga non aveva certo una cultura profonda e su molti aspetti aveva una mentalità abbastanza antiquata (soprattutto dimostrava una notevole dose di maschilismo). Tuttavia era una persona molto attiva e sensibile. Era curiosa e dimostrava una notevole acutezza nel comprendere la situazione in cui vivevano gli altri (sia fra parenti che fra conoscenti). Amava moltissimo conversare, era molto attiva nelle faccende domestiche e nelle occasioni di ritrovo tra parenti. Viveva nel suo appartamento a Rieti, che per tanti anni è stato il principale luogo d'incontro e soggiorno temporaneo per le famiglie dei due fratelli di mia madre (che quando venivano a trovarci rispettivamente dall'Abruzzo e dall'Emilia, non potevano che incontrarsi lì), nonché per le visite occasionali di altri parenti. Essendo mio padre a sua volta figlio unico ho sempre vissuto scarsi contatti con i parenti del suo ramo. Il rapporto con mia nonna è stato quasi sempre positivo e questo per due ragioni principali: la prima è dovuta al fatto che in me sono sempre mancati i difetti caratteristici di molti bambini (irrequietezza e indisciplina), la seconda è sicuramente dovuta alla sua mentalità permeata di maschilismo, che la portava spesso a raffrontare me e mio cugino in senso positivo rispetto alle mie due cugine più grandi (quella abruzzese e la sorella maggiore di mio cugino), che avevano avuto un'amicizia paragonabile alla nostra e che pare avessero dimostrato negli anni precedenti una maggiore irrequietezza nel tempo trascorso insieme. Tuttavia non sono mancate le occasioni nelle quali mia nonna si arrabbiava con me. Capitava ad esempio nei periodi estivi durante i quali veniva al mare da mia zia insieme a me. In quelle occasioni, data la natura del suo carattere, si trovava ad essere particolarmente irrequieta e lunatica e pertanto capitava facilmente che anche io la scontentassi (dal momento che in assenza di mia madre potevo abbandonarmi maggiormente a comportamenti "indisciplinati"). Inoltre mi sentivo spesso seccato della sua presenza dal momento che dovendo trascorrere in casa di mia zia tutti i momenti nei quali non c'era occasione di uscire (anche perché non potevo seguire mia cugina nel frequentare i suoi coetanei). In quei momenti la sua presenza era sempre assicurata, inoltre dovevo spesso dormire con lei, dal momento che in quanto ospiti dovevamo stare nella stessa camera. Negli anni seguenti, con la mia maturazione, anche quelle poche occasioni nelle quali lei poteva rimproverarmi sono andate svanendo e dunque il nostro rapporto è rimasto sereno e a volte anche piacevole. Purtroppo un brutto periodo con lei l'ho vissuto nei suoi ultimi due anni di vita. Nel 2002 le era stato diagnosticato il morbo di Alzheimer e l'anno dopo mia madre ha deciso di portarla a casa nostra per poterla assistere. Sono stati due anni duri, soprattutto per mia madre. Mia nonna è passata da una fase di disturbi comportamentali, durante i quali era diventata aggressiva e astiosa nei nostri confronti, ad una seconda ed ultima fase in cui (pur calmandosi) aveva cominciato ad avere disturbi fisici via via sempre più difficili da controllare (le crescenti difficoltà motorie e soprattutto l'incontinenza). La morte l'ha colta nell'autunno 2005 per complicazioni circolatorie ed è stato un sollievo sia per noi che per lei (dal momento che aveva appena raggiunto lo stadio letargico della malattia e da 2 mesi l'avevamo ricoverata in un istituto per anziani, se fosse sopravvissuta poteva anche trascorrere degli anni in uno stato praticamente vegetativo).I 5 anni di liceo sono stati un periodo relativamente lungo, contraddistinti anch'essi da elementi positivi e negativi. L'elemento positivo è stato soprattutto la cessazione quasi definitiva di tutte le precedenti esperienze di bullismo che avevo subito alle medie. D'altra parte è stato anche traumatico dover cambiare scuola e città (per la prima volta andavo a scuola a Rieti, mentre fino alle medie ero rimasto in paese). Soprattutto i primi tempi ero spaventato all'idea che oltre al senso di smarrimento (dovuto al fatto di dovermi abituare ad una scuola più grande, con classi assai più consistenti e con quasi tutti nuovi compagni), si sarebbe presto ripetuto il tormento di nuovi bulli pronti a darmi addosso.
In realtà mi sono progressivamente reso conto del fatto che l'ambiente liceale era assai più dispersivo e caotico di quello delle scuole precedenti e questo contribuiva notevolmente a distogliere l'attenzione di occhi indiscreti su di me (una cosa che temevo molto). Ma allo stesso tempo questa freddezza di contatti fra coetanei mi si è palesata in tutta la sua negatività molto tempo dopo (quando ormai stavo per finire i miei studi lì). In merito alla mia asocialità potrei dire che col liceo ho compiuto un vero salto. Il mio senso di inadeguatezza nel trovarmi catapultato in una nuova realtà sociale e il sentirmi tormentato dalla preoccupazione anche per il rendimento scolastico, mi hanno fatto irrigidire come non mi era mai capitato prima in ambito scolastico. Sono rapidamente apparso a tutti come lo strano per antonomasia; nel senso che non ho mai stretto vere amicizie, mantenevo una comunicazione scarsa con tutti e passavo tutto il mio tempo in disparte. D'altra parte i miei compagni di classe me lo hanno fatto notare fino ad un certo punto, dal momento che anche fra loro, in 5 anni, non è mai germogliato un feeling particolare (benché esteriormente il loro comportamento potesse apparire spesso loquace). In questi 5 anni dunque la mia condotta di compagno di classe è stata quella di un muto e misterioso spettatore, che si distingueva per l'eccessiva calma e la quasi totale apatia esteriore. Una delle esortazioni "amichevoli" che più di frequente mi sentivo rivolgere dai compagni di classe era "devi essere più reattivo!". In questo periodo ho sperimentato anche un livello d'infatuazione più intenso per alcune coetanee. Anche se esperienze di attrazione per compagne di scuola si era già verificato fin dalla scuola materna, al liceo per la prima volta l'ho vissuto con un'intensità nuova. In particolare la mia attrazione era rivolta ad una compagna di classe alla quale mi ritrovavo a pensare quando ero solo con un'intensità inedita (spesso l'associavo a delle canzoni che ascoltavo). Ma ovviamente anche di queste cose all'esterno non trapelava nulla di me e nessuno avrebbe potuto sospettare da chi ero attratto a meno che non me lo chiedesse.
Comunque la questione che maggiormente mi ha tormentato in quei 5 anni è stato il mio rendimento scolastico, che si è rapidamente rivelato meno soddisfacente delle aspettative che si erano fatti i miei. Avendo terminato le medie con buoni voti e con la "fama" di maschio più bravo della classe, mia madre fu abbastanza determinata ad esortarmi a seguire il suo consiglio di iscrivermi al liceo scientifico. In realtà già alle medie stavano emergendo alcune mie lacune in determinate materie e questo m'induceva a fare una scelta più prudente riguardo alle scuole superiori da prendere. Comunque alla fine ho seguito il consiglio dei miei ed ho lasciato che m'iscrivessero al liceo. Rapidamente però l'impatto con questa nuova realtà scolastica è stato forte e negativo. Soprattutto nei primi anni sono riuscito a mantenere una media stentatamente superiore a quella degli ultimi della classe e comunque ben lontana da quella dei più bravi. Questo fatto ha profondamente turbato mia madre, che nei primi tempi aveva reagito con risentimento nei miei confronti; come se volesse persuadersi dell'idea che stavo semplicemente venendo meno alla mia buona volontà e che bastasse un atteggiamento di rimprovero per farmi rapidamente rimettere in pari. Progressivamente, col passare degli anni, la mia media è migliorata; anche se in materie come la matematica non ho mai raggiunto la sufficienza. Questo fatto ha contribuito a far sentire i miei delusi e li ha indotti più volte a persuadermi che se m'impegnavo di più avrei rapidamente superato lo scoglio e non avrei avuto problemi in seguito ad intraprendere studi universitari scientifici (del resto era stato il mio interesse per gli animali e le scienze ad indurre gli stessi insegnanti delle medie a giudicarmi portato per le discipline scientifiche, l'esperienza del liceo ha dimostrato l'esatto contrario). Quest'illusione non è scomparsa del tutto nemmeno dopo il liceo, dal momento che mi ero inizialmente iscritto alla facoltà di chimica, ma dopo un anno (convincendomi definitivamente e con grande delusione di avere lacune troppo grandi con le materie scientifiche) ho deciso di cambiare e mi sono iscritto alla facoltà di storia. Dopodiché non ho più avuto difficoltà di rilievo nello studio. Gli anni universitari sono stati un periodo relativamente lungo ma anche molto movimentato; tanto che li ho sentiti passare rapidamente. L'esperienza universitaria è stata foriera di numerosi cambiamenti e in particolare due sono stati gli anni che hanno costituito momenti di grande transizione. Il primo è stato ovviamente il 2002, anno nel quale ho terminato il liceo scientifico con risultati abbastanza soddisfacenti (se rapportati ai primi anni difficili di liceo). Ho conseguito la maturità con un voto abbastanza soddisfacente di 80/100. Questo fatto mi ha indotto a scegliere ancora una volta un indirizzo di studi scientifico. Mi sono iscritto alla facoltà di chimica di Perugia. Subito mi si è presentata la difficoltà di dovermi ambientare in un contesto completamente nuovo, di dover trascorrere settimane quasi intere fuori casa. Ma soprattutto, a partire dall'estate, mi si è presentato il grosso scoglio della sistemazione da trovare a Perugia. È stato veramente arduo e stancante, ma alla fine sono riuscito a farmi accettare al collegio universitario. Dunque almeno per l'alloggio sono riuscito a far risparmiare i miei genitori (tranne per i primi due mesi, durante i quali mi aveva ospitato una famiglia come in un bed and breakfast). Fino a quel momento tuttavia sono riuscito a superare questi ostacoli, grazie al fatto di avere ancora un morale alto davanti alla nuova esperienza universitaria. Ma presto le mie aspettative si sono andate sempre più disfacendosi. Le difficoltà che incontravo nello studio si sono fatte sempre maggiori. Il senso di delusione e frustrazione si sono fatti sempre più insopportabili, anche perché potevo constatare di essere ormai collocato nella fascia di rendimento più mediocre della mia nuova classe. Sentivo di avere pochissime risorse per accattivarmi il rispetto e la stima dei miei colleghi. Gli esami del primo semestre li ho superati, ma con voti troppo bassi per sentirmi realizzato nella mia scelta e nelle mie aspettative. Quindi all'inizio della primavera (di fronte a difficoltà crescenti, tali da rendere certa la perdita di mezzo anno, e quindi anche il privilegio di restare in collegio) ho preso la decisione di abbandonare chimica e spostarmi a biologia (dal momento che il mio interesse per le scienze era nato tramite la passione per la zoologia e perché mi era parsa una facoltà meno ostica sotto il profilo tecnico). Ma a quel punto l'opposizione che ho incontrato a casa è stata forte e inaspettata. Mia madre era stata comprensiva e si era mostrata disposta ad appoggiare la mia decisione; a mettersi di traverso è stato mio padre. Lui in quel periodo era ossessionato dall'idea che alcuni corsi di laurea fossero scelte fallimentari certe (fra le quali anche la biologia) ed era convinto che solo poche opzioni (che solo lui pretendeva di saper individuare) potevano dare chance lavorative. Quando ho provato ad insistere lui ha posto un vero e proprio veto (minacciando di non pagarmi un centesimo se avessi fatto di testa mia).
L'estate 2003 è stata un periodo stressante e deprimente poiché alla frustrazione per il fallimento in chimica si sommava il dilemma di dover scegliere una prospettiva universitaria che non scontentasse me e nemmeno mio padre. Alla fine, senza molto entusiasmo, ho scelto la facoltà di storia dell'università dell'Aquila. È stata una scelta dettata anche dalla necessità di rendere meno problematica la frequentazione universitaria (sia per la minor distanza che per la maggiore economicità della città). È vero che la mia scelta era dettata anche dalla predilezione per la storia, disciplina che sentivo di prediligere maggiormente in campo umanistico, e perché sapevo che in questo settore di studi non avevo lacune (come invece avevo amaramente constatato in campo scientifico); tuttavia per un po' di tempo il senso di delusione e di sconfitta nel non essere riuscito ad intraprendere un percorso di studi scientifici è perdurato. Mio padre stavolta non mi ha ostacolato poiché, sulla base delle sue "personali" valutazioni, questa scelta prefigurava la strada dell'insegnamento nelle scuole (ed era invece l'ultima cosa che avrei voluto fare una volta laureato). Verso la fine di quell'estate un evento ha contribuito a rasserenare il mio umore, e cioè il sopraggiungere del mio vecchio amico e compagno di scuola a farmi compagnia all'università. Lui (che aveva ripetuto un anno di liceo e che quindi cominciava allora l'università) ed io ci siamo messi insieme a cercare un appartamento da affittare all'Aquila (lui aveva deciso di iscriversi alla facoltà d'informatica). Alla fine, senza le difficoltà che avevo avuto a Perugia, abbiamo trovato un appartamento poco distante dalla stazione dei treni (che mi consentiva di raggiungere a piedi il centro storico).Da allora ha avuto inizio la stagione universitaria dell'Aquila, un periodo relativamente sereno, grazie al fatto di poter contare su un buon rendimento universitario e sulla tranquillità garantita da una città più piccola, vicina e per niente caotica. All'università ho anche avuto modo di stringere amicizia con due colleghi (benché la loro frequentazione non mi abbia consentito di estendere ulteriormente il mio raggio di conoscenze). D'altra parte già dal secondo anno il mio amico se ne era andato poiché aveva bisogno di un appartamento più vicino alla sua facoltà. Ho così dovuto trascorrere gli ultimi due anni di università all'Aquila più isolato nell'appartamento (dove viveva il proprietario, attempato ma tranquillo, ed affittato ad altri due ragazzi, tranquilli ma abbastanza riservati). Mi sono laureato con lode nel gennaio 2007, tuttavia già allora la mia situazione psicologica aveva iniziato a mutare in peggio.
Infatti il 2007 è stato il secondo dei due anni di transizione di cui parlavo all'inizio. Questo anno è stato segnato da una serie di eventi spiacevoli che hanno di certo contribuito al disfacimento del mio equilibrio psicologico.
È stato un anno di transizione per tre ragioni principali (cioè a causa di tre esperienze negative che hanno condizionato gli anni successivi fino ad oggi). La prima è dovuta al fatto che nel gennaio di quell'anno mi sono laureato. Pertanto a partire dalla primavera successiva è iniziata a tutti gli effetti la frequentazione del nuovo corso di specializzazione in storia contemporanea a l'università La Sapienza. Il trasferimento dall'Aquila a Roma è stato tutto fuorché sereno e piacevole. L'iscrizione l'ho fatta nel novembre antecedente alla discussione della tesi all'Aquila. Durante l'inverno è emerso però che per un cavillo burocratico la mia iscrizione rischiava di essere respinta per quell'anno accademico. Pertanto ho passato 2/3 mesi circa a fare avanti e indietro dalla segreteria della Sapienza e discutere con gli impiegati. Alla fine dopo un bel po' di arrabbiature e di caos ho fatto un'istanza al rettore in cui pretendevo di farmi restituire i soldi d'iscrizione se quest'ultima per quell'anno fosse stata respinta. Finalmente a marzo ho avuto notizia del fatto che la mia istanza era passata e così ho potuto occuparmi del nuovo piano di studi. Quest'ultimo ha a sua volta richiesto dell'altro tempo per essere preparato e convalidato. Finalmente ad aprile ho iniziato frequentare le prime lezioni.
Nel frattempo, durante l'inverno, a questa esperienza già sgradevole, se n'è sommata un'altra decisamente peggiore. Era già da almeno due anni che avevo compreso di avere una disfunzione ai genitali (che mi provocava un'erezione scorretta e dolorosa). Fin dall'autunno avevo avuto modo di contattare e farmi visitare da specialisti nel settore, all'ospedale dell'Aquila.
Avevo finalmente prenotato un intervento chirurgico di correzione di questa disfunzione, presso una clinica fuori l'Aquila. L'intervento l'ho subito a febbraio. È stata un'esperienza molto più traumatica e dolorosa di quanto mi aspettassi. È stata necessaria un'anestesia totale, inoltre era la prima volta che mi trovavo a dover essere ricoverato per più giorni. Al risveglio dall'operazione mi sentivo malissimo, sia per gli effetti dell'anestetico, sia per il fastidio delle medicazioni che mi sono ritrovato addosso. Nei due giorni successivi mi sono ritrovato a non potermi muovere dal letto, intontito e sofferente per l'anestesia, con medicazioni fastidiosissime, con una temperatura della stanza eccessivamente alta, con una sensazione permanente di sudore e appiccicume dei disinfettanti. Tutte queste cose sommate mi facevano sentire talmente sofferente da farmi desiderare di morire. Tuttavia ho stretto i denti ed ho sopportato sommessamente quei due giorni orrendi. Dopo che mi hanno rilasciato il fastidio non è del tutto svanito. Per parecchie settimane ho dovuto continuare a portare e cambiare quotidianamente quelle medicazioni ai genitali. Ogni volta dovevo anche disinfettarmi. Alla fine, poco a poco, quel tormento è cessato col passare dei mesi. Direi che comunque quest'esperienza mi ha segnato, poiché ora l'idea di ritrovarmi ricoverato in ospedale in condizioni analoghe mi terrorizza.La terza esperienza negativa di quell'anno ha a che fare con la mia condizione sentimentale e sessuale. Quello che ho vissuto alla fine del 2007 è stato solo l'inizio di un tormento che ha raggiunto il culmine l'anno dopo e che ancora continua a persistere, come avevo già premesso. A dicembre infatti ho vissuto la mia prima esperienza sentimentale. Si trattava di una ragazza con la quale ero in contatto via internet già da qualche mese. Una sera, dopo una lunga conversazione, lei mi ha fatto capire di essere rimasta colpita da me e mi ha indotto ad aprirmi a mia volta con lei. Io mi sono sentito assai lusingato e toccato e nell'arco di due giorni le ho confessato cose molto intime, inclusa l'emozione che mi stava dando il rapporto con lei. Ma poi allo scadere di questi due giorni lei si è tirata indietro, giustificandosi con l'ammissione di essersi lasciata troppo andare. Io ci sono rimasto malissimo ed ho iniziato a protestare per il suo comportamento. Ero arrivato a scriverle una lunga lettera per farle capire quanto forte fosse in me la delusione per il suo ripensamento e quanto profondo fosse divenuto il mio interessamento nei suoi confronti. Per un po' lei è sembrata propensa a ripensarci, tanto che nei giorni successivi abbiamo continuato a parlarci di cose molto personali. Ma poi poco a poco lei ha cominciato a defilarsi sempre più fino a non farsi più sentire. A quel punto le ho chiesto spiegazioni e lei mi ha fatto capire che stavolta si sarebbe tirata indietro senza esitazioni. A quel punto ho deciso di non insistere ed ho lasciato perdere.
La delusione, benché in parte ridimensionata, mi ha portato ad iscrivermi in un forum di psicologia (frequentato da persone con problemi psicologici di tutti i tipi). Fin dalla mia iscrizione ho parlato del fatto che sentivo di avere da un po' di tempo problemi di umore e soprattutto di sentirmi tanto afflitto per la mia situazione sentimentale. Ho cominciato a fare amicizia con un po' di persone e a febbraio sono andato per la prima volta ad un raduno organizzato dal forum, dove ho conosciuto dal vivo qualcuno dei forumisti. Fra di loro vi era anche una ragazza con la quale prima non avevo preso confidenza in rete. Dopo quel primo incontro ho cominciato a comunicare più spesso con lei. Il mese dopo ho avuto modo di rincontrarla a Roma e passare un pomeriggio a parlarci. Ci siamo dunque conosciuti meglio ed io fin da quell'occasione ho cominciato a sentirmi attratto da lei. Per un po' ho cercato di non dare peso alla cosa (anche perché sapevo che lei era fidanzata). Tuttavia pensare a lei era diventato per me una routine sempre più difficile da evitare. Tanto che una sera ho confessato al mio amico di Rieti (che era iscritto da prima di me nel forum e che conosceva anche lui quella ragazza) di essere attratto da lei. Lui mi ha prontamente spronato a tentare di corteggiarla, sostenendo che non avevo alcuna responsabilità del fatto che fosse già fidanzata. Alla fine, arrivato ad aprile, mi sono deciso a togliermi questo peso (anche perché avevo saputo che il suo fidanzamento era in crisi). Avevamo avuto una nuova occasione d'incontrarci ad un raduno e nel rivederla la mia determinazione e i miei sentimenti verso di lei si sono acuiti ulteriormente. Sono solo riuscito a dirle che avevo una cosa importante da dirle e che non avevo la forza di dirglielo dal vivo. Così lei è rimasta in attesa e il giorno dopo le ho confessato di essere innamorato di lei (questa certezza mi si è palesata la sera prima mentre tornavo a casa da Roma, tanto che mi sono messo a piangere dall'emozione). Mi aspettavo che lei mi rispondesse prontamente di no adducendo al fatto che era già fidanzata e invece mi ha risposto di essere confusa e di aver bisogno di un po' di tempo per rifletterci. Io ho provato ad insistere e le ho detto che se la mia confessione l'aveva turbata aveva tutte le ragioni per chiedermi di non rivederla, ma lei ha insistito a rassicurarmi e a dirmi che era tutto a posto, tanto che nei giorni successivi abbiamo continuato a conversare amichevolmente in internet. Visto il mio stato non ho potuto fare a meno di essere speranzoso e felice, poiché la sensazione di averla toccata a sufficienza ormai non mi abbandonava più. E invece, passato qualche altro giorno, dopo una tranquilla conversazione lei mi ha detto a bruciapelo che era meglio che non mi facessi illusioni nei suoi confronti (quindi che i miei sentimenti non erano corrisposti). A quel punto mi sono sentito devastato dal dolore.Nei giorni successivi mi sono sentito male sia psicologicamente che fisicamente (ero diventato fiacco, apatico e soprattutto stitico). I pensieri suicidi si sono fatti intensi e ossessivi (già da qualche mese avevo cominciato a formularli, ma non con questa intensità). Dopo circa una settimana questi sintomi fisici sono svaniti, ma comunque il dolore quotidiano (momenti di pianto e di disperazione) per lei è perdurato qualche mese. Ho provato a far capire al mio psichiatra (che mi seguiva dall'ottobre 2007) che avevo bisogno di una terapia antidepressiva oltre che "cognitiva" (avevamo basato la terapia inizialmente solo sui miei problemi sociali), ma lui ha insistito a proseguire senza intoppi la terapia avviata dal principio. Il 2008 è trascorso in questo modo senza particolari cambiamenti. Fa eccezione una nuova infatuazione per una ragazza avvenuta in estate (un'altra ragazza del forum conosciuta ad un raduno di fine luglio). Ma nel suo caso la consapevolezza del fallimento è stata tempestiva ed io, benché deluso, ho superato la cosa senza particolari sofferenze (da allora in poi ho imparato a non lasciarmi coinvolgere nei sentimenti). Intanto il mio rapporto con la ragazza di cui ero innamorato si è protratto in maniera altalenante (il mio risentimento nei suoi confronti si è alternato a momenti in cui ho tentato invano di riconciliarmi amichevolmente con lei). Sentivo sempre più di odiarla poiché la sofferenza che provavo a causa sua era troppo forte per consentirmi di razionalizzare e vederla in modi differenti. Soprattutto mi è parso fin troppo evidente il suo atteggiamento schivo e pavido nei miei confronti (che l'ha sempre portata a fare la misteriosa e a non invitarmi mai ad avere un chiarimento definitivo con lei in modo da mostrarsi amica nei fatti oltre che a parole, come più volte sosteneva). Inoltre sapevo che nel frattempo lei aveva comunque lasciato il fidanzato, per poi mettesi con un altro ragazzo del forum (a settembre). Arrivato a ottobre ho così deciso di troncare per sempre i rapporti con lei e le ho rivolto parole durissime con le quali le ho fatto capire di odiarla e che non volevo più avere niente a che fare con lei. Poiché il dolore della sua sola presenza nel forum era troppo forte ho deciso di lasciare del tutto il forum stesso, anche perché le varie conoscenze che avevo stabilito lì non mi avevano giovato affatto. Da allora in poi ho frequentato altri forum e la mia permanenza in ciascuno di essi ha mantenuto caratteristiche analoghe.
Nel corso di questi ultimi due anni ho conosciuto molte altre ragazze (quasi tutte nel virtuale e qualcuna anche dal vivo) e sono arrivato ad accumulare una decina di tentativi di corteggiamento, tutti irrimediabilmente falliti. Nel frattempo il mio sconforto dovuto alla mia condizione, aggravata dallo scorrere del tempo, non mi ha mai abbandonato e mi ha portato a formulare pensieri suicidi senza interruzioni. Un certo miglioramento l'ho vissuto solo dopo che (dall'agosto 2009) ho iniziato una nuova terapia farmacologica con uno psichiatra della mia città. Tuttavia il mio umore, benché più stabile di prima, è rimasto fondamentalmente basso e i momenti di sconforto profondo e disperazione (benché non più quotidiani) non sono mai svaniti.
Nel 2011 ho preso la laurea specialistica in storia contemporanea con un buon voto (110), nel 2012 ho portato a compimento un master in editoria, giornalismo e management culturale. Contemporaneamente ho protratto i miei studi di tedesco (di cui un soggiorno di 4 settimane a Brema nell'estate 2012) in vista di un possibile trasferimento in Germania per cercare lavoro. Da quando ho terminato gli studi universitari ad oggi ho vissuto un periodo di perenne disillusione dovuta (non più solamente) alla mia situazione sociale, affettiva e sentimentale; ma anche per le continue porte chiuse che ho trovato nei miei diversi sforzi di trovare uno straccio di lavoro. Il master che ho fatto non mi è servito a niente (ho contattato tante case editrici e nessuna si è mostrata minimamente disponibile). All'inizio del 2015 è morto mio padre e così io e mia madre ci siamo ritrovati soli e con crescenti difficoltà economiche; tanto che nell'autunno seguente ci siamo trasferiti nell'ex appartamento di mia nonna a Rieti (per risparmiare su carburante e bollette). Nell'estate 2016 mi sono deciso a fare un viaggio in Germania per trovare qualche opportunità di lavoro, ma il soggiorno era troppo costoso e i tempi ristretti, tanto che sono dovuto tornare a casa dopo appena una decina di giorni. A causa del terremoto dell'estate-autunno di quell'anno, la nostra vecchia casa di paese ha subito danni ed è stato necessario farla ristrutturare. In quanto casa terremotata il comune ha rimborasto una parte dei costi di ristrutturazione, ma mia madre ha comunque dovuto sborzare molti soldi e se poi non riusciremo a vendere la casa sarà un bel guaio. Nel frattempo io sto continuando ad accarezzare il progetto di andarmene all'estero per trovarmi un lavoro; ma continuo a trovare ostacoli di varia natura; nel frattempo la mia depressione incalza e nemmeno i farmaci possono bastare a compensare un senso di vuoto perenne e legato troppo a fattori esterni.

breve autobiografia

MessaggioInviato: 11/12/2018, 12:20
da Camel
già, soprattutto ironico.

breve autobiografia

MessaggioInviato: 11/12/2018, 14:42
da Teramene
se ti sono parso troppo lungo non te l'ha ordinato il dottore di leggermi e poi fare battute di spirito :sleep:

breve autobiografia

MessaggioInviato: 11/12/2018, 15:37
da Camel
Teramene ha scritto:se ti sono parso troppo lungo non te l'ha ordinato il dottore di leggermi e poi fare battute di spirito :sleep:


"troppo lungo"? la tua è una wall of text di tutto rispetto!