Una storia banale
Inviato: 16/07/2019, 17:35
Buongiorno a tutti.
Sono diversi mesi che sporadicamente seguo il forum, ma è la prima volta che scrivo. Ne approfitto per ringraziare lo staff e tutti gli utenti.
Non voglio dilungarmi troppo e quindi inizierei a raccontare la mia vita dalle superiori in poi. Sono sempre stato uno studente modello e non ho mai avuto grandi problemi con la scuola, anzi. Nonostante i miei ottimi voti non sono mai apparso come il "secchione" della classe, perchè essendo molto riservato la cosa non era nota a tutti (i voti delle verifiche e degli orali nel mio istituto rimanevano spesso privati) e non ci tenevo che lo diventasse. Giocavo a calcio, leggevo molti libri, mi divertivo con i miei compagni di classe e mi ritenevo soddisfatto della vita che stavo facendo. Le due cose anomale erano, primo, il fatto che non avessi instaurato un vero rapporto profondo con nessuno dei miei amici del tempo, sempre per la mia grande riservatezza (non ho nulla da nascondere, ma sono fatto così...), e secondo, che non avessi avuto alcuna relazione amorosa di alcun tipo (un po' strano per un ragazzo di quell'età). L'università iniziò quindi con l'idea che con il cambio di ambiente ci sarebbe stato anche un cambio di vita e che avrei avuto la possibilità di instaurare delle amicizie più profonde e trovare l'amore. Nulla fu più sbagliato... Decisi di smettere di giocare a calcio, di leggere e soprattutto di vivere. Tutto per concentrarmi al 100% nel mio percorso universitario, dopo il quale sarei stato felice e avrei ottenuto i frutti del mio duro lavoro (come la società ci insegna). Ma non è stato così... Poco prima della mia laurea triennale qualcosa in me si è rotto. Ho preso consapevolezza del fatto che quello che stavo studiando non mi interessava più, che ero solo (0 amici con un rapporto serio e ovviamente senza nemmeno essermi mai innamorato realmente di una donna) e soprattutto che ero infelice. Questa condizione mi ha portato alla depressione (oppure è stata che la depressione mi ha portato a lasciare tutto all'inizio dell'università? Non ho ancora capito...), cosa che inizialmente mi ha spinto a reagire e a provare a cambiare qualcosa nella mia vita. Ho deciso quindi di iscrivermi alla magistrale (nonostante non fossi nelle condizioni psichiche di affrontare altri anni di studio), di rinnovare il mio aspetto fisico e di provare a trovarmi una fidanzata una volta per tutte. I primi mesi della magistrale andarono relativamente bene, i risultati erano come sempre ottimi (a dimostrazione che la passione e l'interesse contano poco o nulla nel raggiungimento degli obiettivi rispetto all'impegno che si mette per raggiungerli) e la depressione sembrava essersi affievolita o comunque essere diventata sopportabile. "Il peggio è passato", pensai. Mi sbagliavo enormemente. Dopo qualche mese tornò più forte che mai e nonostante riuscissi incredibilmente a nasconderla agli altri e nei miei risultati accademici, arrivai a un punto di non ritorno. Iniziai a pensare costantemente al suicido, al punto tale che ero consapevole di essermi innamorato dell'idea di morire, dal momento che era ciò a cui pensavo costantemente durante tutta la giornata. I pensieri si tradussero in fatti, ma l'istinto di sopravvivenza, che fa parte dell'uomo e che si manifesta solo in circostanze disperate, mi impedì di andare fino in fondo, portandomi ad interrompere con successo un processo già in atto che mi avrebbe portato molto probabilmente all'amato traguardo. Dopo quel giorno, la mia vita è cambiata per sempre. Mi ero convinto che avevo un'altra possibilità e che potevo farcela. Avevo solo 22 anni, ottimi risultati accademici, e ancora tutta la vita davanti. Non era quello il momento di arrendersi. Nonostante tutti questi buoni propositi, non cambiò praticamente nulla e la mia amata morte tornava periodicamente a farmi visita, al punto tale che il mio sogno era (ed è) ormai quello di morire il più giovane possibile. Sì, perchè dopo il tentativo di suicidio ho capito quanto sia difficile davvero farla finita e la speranza di una via di "salvezza" si è affievolita, andando lentamente ad aumentare il mio stato depressivo. Mi trovavo (e mi lo sono tuttora) in un illogico circolo vizioso (purtroppo sono pienamente consapevole della condizione in cui mi trovo e pagherei per non esserlo).
La fine della magistrale significò anche la fine della mia ottima carriera universitaria e la speranza che (ancora una volta) il nuovo ambiente in cui mi sarei presto inserito avrebbe portato a un cambiamento anche in me stesso. Arrivò però una scoperta che mi tolse anche le ultime speranze: il mio brillante percorso universitario non valeva nulla nel mondo del lavoro (e ci tengo a sottolineare che ho un titolo di studio di tutto rispetto). Capii ben presto che nemmeno nel lavoro avrei trovato ciò che mi mancava per essere felice o per dare una svolta reale alla mia vita. E oggi sono qui, con un lavoro che non mi piace e non mi soddisfa, senza amici, single e ancora peggio di ogni altra cosa: senza più sogni o ambizioni.
La mia famiglia (che ha compreso il mio stato depressivo) mi dice di andare avanti, di tenere duro, di buttarmi che l'amore lo troverò ("sei un bel ragazzo, se ti metti sul mercato chissà quante ne trovi" cit.), che il lavoro non è tutto nella vita e che c'è chi sta peggio di me (frase verissima, ma che non fa altro che aumentare il senso di disagio di un depresso. Se tanti altri stanno peggio di me e ce la fanno, perchè io invece fallisco?). Il pensiero di farla finita (e questa volta per davvero, perchè come dicono le statistiche si ha molta più probabilità di riuscire dopo un tentativo fallito) è ormai diventato un'abitudine e ormai ho la certezza che la mia fine sarà quella. Il dubbio è solo quando, nonostante mi sento ogni giorno più vicino. Il senso di inutilità raggiunto durante i miei pochi anni di esistenza, di cui molti sprecati in un percorso di studi che ho scoperto essere inutile e per cui ho rinunciato a tutto, è tale che ormai non provo più alcuna emozione. Non so nemmeno perchè sto scrivendo questa noiosa storia...
Sono diversi mesi che sporadicamente seguo il forum, ma è la prima volta che scrivo. Ne approfitto per ringraziare lo staff e tutti gli utenti.
Non voglio dilungarmi troppo e quindi inizierei a raccontare la mia vita dalle superiori in poi. Sono sempre stato uno studente modello e non ho mai avuto grandi problemi con la scuola, anzi. Nonostante i miei ottimi voti non sono mai apparso come il "secchione" della classe, perchè essendo molto riservato la cosa non era nota a tutti (i voti delle verifiche e degli orali nel mio istituto rimanevano spesso privati) e non ci tenevo che lo diventasse. Giocavo a calcio, leggevo molti libri, mi divertivo con i miei compagni di classe e mi ritenevo soddisfatto della vita che stavo facendo. Le due cose anomale erano, primo, il fatto che non avessi instaurato un vero rapporto profondo con nessuno dei miei amici del tempo, sempre per la mia grande riservatezza (non ho nulla da nascondere, ma sono fatto così...), e secondo, che non avessi avuto alcuna relazione amorosa di alcun tipo (un po' strano per un ragazzo di quell'età). L'università iniziò quindi con l'idea che con il cambio di ambiente ci sarebbe stato anche un cambio di vita e che avrei avuto la possibilità di instaurare delle amicizie più profonde e trovare l'amore. Nulla fu più sbagliato... Decisi di smettere di giocare a calcio, di leggere e soprattutto di vivere. Tutto per concentrarmi al 100% nel mio percorso universitario, dopo il quale sarei stato felice e avrei ottenuto i frutti del mio duro lavoro (come la società ci insegna). Ma non è stato così... Poco prima della mia laurea triennale qualcosa in me si è rotto. Ho preso consapevolezza del fatto che quello che stavo studiando non mi interessava più, che ero solo (0 amici con un rapporto serio e ovviamente senza nemmeno essermi mai innamorato realmente di una donna) e soprattutto che ero infelice. Questa condizione mi ha portato alla depressione (oppure è stata che la depressione mi ha portato a lasciare tutto all'inizio dell'università? Non ho ancora capito...), cosa che inizialmente mi ha spinto a reagire e a provare a cambiare qualcosa nella mia vita. Ho deciso quindi di iscrivermi alla magistrale (nonostante non fossi nelle condizioni psichiche di affrontare altri anni di studio), di rinnovare il mio aspetto fisico e di provare a trovarmi una fidanzata una volta per tutte. I primi mesi della magistrale andarono relativamente bene, i risultati erano come sempre ottimi (a dimostrazione che la passione e l'interesse contano poco o nulla nel raggiungimento degli obiettivi rispetto all'impegno che si mette per raggiungerli) e la depressione sembrava essersi affievolita o comunque essere diventata sopportabile. "Il peggio è passato", pensai. Mi sbagliavo enormemente. Dopo qualche mese tornò più forte che mai e nonostante riuscissi incredibilmente a nasconderla agli altri e nei miei risultati accademici, arrivai a un punto di non ritorno. Iniziai a pensare costantemente al suicido, al punto tale che ero consapevole di essermi innamorato dell'idea di morire, dal momento che era ciò a cui pensavo costantemente durante tutta la giornata. I pensieri si tradussero in fatti, ma l'istinto di sopravvivenza, che fa parte dell'uomo e che si manifesta solo in circostanze disperate, mi impedì di andare fino in fondo, portandomi ad interrompere con successo un processo già in atto che mi avrebbe portato molto probabilmente all'amato traguardo. Dopo quel giorno, la mia vita è cambiata per sempre. Mi ero convinto che avevo un'altra possibilità e che potevo farcela. Avevo solo 22 anni, ottimi risultati accademici, e ancora tutta la vita davanti. Non era quello il momento di arrendersi. Nonostante tutti questi buoni propositi, non cambiò praticamente nulla e la mia amata morte tornava periodicamente a farmi visita, al punto tale che il mio sogno era (ed è) ormai quello di morire il più giovane possibile. Sì, perchè dopo il tentativo di suicidio ho capito quanto sia difficile davvero farla finita e la speranza di una via di "salvezza" si è affievolita, andando lentamente ad aumentare il mio stato depressivo. Mi trovavo (e mi lo sono tuttora) in un illogico circolo vizioso (purtroppo sono pienamente consapevole della condizione in cui mi trovo e pagherei per non esserlo).
La fine della magistrale significò anche la fine della mia ottima carriera universitaria e la speranza che (ancora una volta) il nuovo ambiente in cui mi sarei presto inserito avrebbe portato a un cambiamento anche in me stesso. Arrivò però una scoperta che mi tolse anche le ultime speranze: il mio brillante percorso universitario non valeva nulla nel mondo del lavoro (e ci tengo a sottolineare che ho un titolo di studio di tutto rispetto). Capii ben presto che nemmeno nel lavoro avrei trovato ciò che mi mancava per essere felice o per dare una svolta reale alla mia vita. E oggi sono qui, con un lavoro che non mi piace e non mi soddisfa, senza amici, single e ancora peggio di ogni altra cosa: senza più sogni o ambizioni.
La mia famiglia (che ha compreso il mio stato depressivo) mi dice di andare avanti, di tenere duro, di buttarmi che l'amore lo troverò ("sei un bel ragazzo, se ti metti sul mercato chissà quante ne trovi" cit.), che il lavoro non è tutto nella vita e che c'è chi sta peggio di me (frase verissima, ma che non fa altro che aumentare il senso di disagio di un depresso. Se tanti altri stanno peggio di me e ce la fanno, perchè io invece fallisco?). Il pensiero di farla finita (e questa volta per davvero, perchè come dicono le statistiche si ha molta più probabilità di riuscire dopo un tentativo fallito) è ormai diventato un'abitudine e ormai ho la certezza che la mia fine sarà quella. Il dubbio è solo quando, nonostante mi sento ogni giorno più vicino. Il senso di inutilità raggiunto durante i miei pochi anni di esistenza, di cui molti sprecati in un percorso di studi che ho scoperto essere inutile e per cui ho rinunciato a tutto, è tale che ormai non provo più alcuna emozione. Non so nemmeno perchè sto scrivendo questa noiosa storia...