Spenta, forse per sempre.

Sono Daniela, una normalissima (o quasi) adolescente complessata e un po’ depressa.
Vivo in un piccolo paese dove la maggior parte delle persone ha la classica mentalità chiusa, e dove o diventi anche tu una capra, o divieni l'idiota emarginato. Bene, iniziamo il racconto un po' più nel dettaglio adesso.
Sono la terza e ultima figlia di una famiglia all'apparenza tranquilla. Mia sorella mi passa undici anni, strano vero? Un altro figlio dopo tutto questo tempo, vabbè...
Fin da piccola ho avuto molto a che fare con la solitudine. I miei genitori non c'erano quasi mai a causa del lavoro. Quando finalmente rientravano, la sera tardi, essendo troppo stanchi e irritabili, non avevano molto tempo per me. A volte si dimostravano addirittura infastiditi di avermi attorno...
Mio fratello e mia sorella erano impegnati con la scuola.
Stavo sempre con una baby sitter di cui non conservo che qualche vago ricordo. Non appena ebbi l'età adatta, venni abbandonata in un asilo, dove per altro mi trovavo anche male. Essendo cresciuta in un ambiente diverso, con tante persone più grandi, mi rapportavo in modo un po' diverso. Inoltre ero molto timida e introversa, e ciò mi portò ad essere presa di mira. A peggiorare le cose erano i miei genitori. Non venivano nemmeno a prendermi.
Aspettavo lì, seduta sui gradini della mia aula, mentre osservavo i miei compagni che abbracciavano la loro mamma o il loro papà. Si faceva tardi, e non rimaneva più nessuno ad aspettare con me, così i maestri che dovevano chiudere l'asilo, mi riaccompagnavano a casa. Ogni volta mi guardavano sconsolati...
Avevo una zia a cui volevo un gran bene, ma era molto malata... E mi lasciò.
Arrivarono le elementari. Cercavo di fare amicizia, ma come al solito venivo tagliata fuori. Riuscì a stringere una sola amicizia, con una bambina disabile, che veniva emarginata proprio come me.
Più passava il tempo e più l'atmosfera di appesantiva. Poi in terza, alcuni dei miei compagni misero in giro delle false voci sul mio conto. Dicevano che ero depressa e che volevo suicidarmi, così la maestra, che si era preoccupata, avvisò i miei genitori. Loro mi mandarono da una psicologa, ma secondo lei ero una bambina matura e intelligente, e non c'era motivo di preoccuparsi, ma non si convinsero e cominciarono a guardarmi con disprezzo.
La sera si lamentavano di me. Non lo facevano neppure a bassa voce. E' evidente che il non essere ascoltati non era esattamente una loro priorità.
Quello stesso anno, durante una cena a casa di una mia zia, subii un abuso da parte di una mia cugina più grande. Mentre tornavamo in macchina con i miei, ne parlai, ma mia madre anziché credermi e aiutarmi, mi rimproverò.
Iniziarono le medie. Ricordo che mi ero illusa di poter fare qualche amicizia e di non dover continuare a venire esclusa, ma sbagliai.
La mia vecchia amica delle elementari mi pugnalò alle spalle, rimettendo nuovamente in giro quelle voci, che mi perseguitarono anche per quegli insulsi tre anni.
Mi ritrovai sola.
Passavo i pomeriggi chiusa in casa. A mia madre non andava bene, così ebbe la brillante idea di costringermi a uscire.
Mi disse proprio così: "Non mi importa se non ti trovi bene, mi basta non averti più tra i piedi!" Che poi, nemmeno c'era mai... Vabbè.
Profondamente scossa da quelle parole, iniziai con dei tentativi disperati.
Mi iscrissi allo stesso catechismo delle mie compagne, e anche alla loro stessa scuola di ballo. Cercai di unirmi alle loro uscite, anche se questo comportava essere la solita scema che cammina dietro da sola.
Non servì a nulla, se non a farmi apparire ancor più patetica e penosa ai loro occhi.
Mi venne inviato per posta elettronica un album di fotografie di un compleanno al quale non ero stata invitata, e al terzo e ultimo anno non mi avvisarono nemmeno di aver organizzato una festa, per poi dire ovviamente che io mi ero rifiutata di andarci, in quanto asociale.
A tutto questo, si aggiunse la mia prima storia d'amore finita male.
La rabbia, l'odio per me stessa e per gli altri, la tristezza e l'amarezza mi invasero completamente, e una sera, in preda allo sconforto e all'angoscia, afferrai un paio di forbici e lo affondai con forza nel mio braccio.
Iniziai così a sprofondare...
In tutto questo marciume però, accadde qualcosa. Riallacciai i rapporti con una vecchia compagna d'asilo, che divenne la mia unica vera amica.
Dopo la delusione delle medie, preferii evitare di farmi altre aspettative per le superiori.
Ero sempre più spenta e demotivata. Le mie giornate si svuotavano sempre più, poiché purtroppo, nemmeno la mia amica riusciva a starmi vicina.
Per un periodo sembrava che mi stessi riprendendo. Studiavo e andavo bene a scuola, avevo imparato a fregarmene dell'opinione delle persone stupide, la mia amica mi stava accanto e ci divertivamo. Ma questo non fu che un breve assaggio di felicità. Già, perché dopo qualche mese, ecco che la tristezza tornò ad avvolgermi.
Il ragazzo che ebbi amato moltissimo, tornò a farsi vivo. Si era trasferito vicino a me e si comportava in modo carino. I miei sentimenti per lui, che avevo faticosamente cercato di seppellire, erano riemersi.
Cercai di combinare vari incontri ai quali lui puntualmente non si presentò mai.
Dopo tre giorni di tentativi inutili, scoprii che era tornato insieme alla sua ex, la quale per altro era anche una mia amica, che mi sosteneva per farmi rimettere con lui.
Mi arrabbiai moltissimo all'inizio, e troncai i rapporti con entrambi. Poi sprofondai nella depressione. La mia amica per fortuna mi aiutò ad uscirne.
Ad aprile, feci la conoscenza (online) di un ragazzo dalla vita molto complicata. Si era lasciato andare. Fumava, beveva e si tagliava. Ci capivamo e ci sostenevamo a vicenda. Mi presi una cotta per lui, che pian piano di trasformò in quello che sembrava amore. Lui però a volte aveva scatti d'ira e mi trattava male. Altre volte neanche mi parlava, oppure si dimostrava freddo e tagliente. Io ci stavo male, ma facevo comunque del mio meglio per stargli accanto, poi però successe qualcosa, un incidente...
Era sopravvissuto per miracolo, ed era rimasto in ospedale per parecchio tempo, ma quando tornò era cambiato. Non mi voleva più... Così ferita, e delusa, uscii dalla sua vita e ripresi a sprofondare.
Questa volta rialzarmi fu più difficile. Talmente difficile che per poco non persi l'anno. E da lì fu sempre peggio.
Mi sentivo sempre più vuota e triste. I miei genitori mi umiliavano e basta, sapevano soltanto etichettarmi come un fallimento, una rovina, oppure mi paragonavano a chi era migliore di me. A furia di sentirmi dire che facevo pena me ne convinsi. Feci la spiacevole conoscenza della bulimia. Ripresi a tagliarmi e a stare male. Iniziai anche a fumare e a bere.
Non dissi niente a nessuno, nemmeno la mia amica lo sapeva. Aveva stretto una nuova amicizia, e dopo una gita scolastica si era ulteriormente allontanata da me.
Era estate ormai, e io passavo tutte le giornate a casa, davanti al pc a giocare a vari giochi online, con lo scopo di tenermi impegnata.
Odiavo la mia vita, non c'era niente che mi piacesse, e volevo solo morire. La sera mi sedevo sul davanzale della finestra e cercavo delle ragioni per cui vivere, ma purtroppo, più tempo passava e meno ne contavo. E ciò non faceva altro che avvilirmi di più.
Iniziai a pensare alla morte molto spesso, e a volte addirittura la progettavo. Una volta tentai di buttarmi giù da un terrazzo, ma un uomo mi afferrò prima che potessi precipitare giù.
Così mi limitai a contemplare il suicidio solo da lontano.
Intrapresi la via dell'autodistruzione. Cercavo di far diventare la mia vita talmente orribile da ritrovare il coraggio di togliermela. E così, una sera, mentre cercavo divertimento squallido con estranei online, conobbi quello che ora è il mio ragazzo.
Lui fu come un sole abbagliante. Mi prese di peso e mi trascinò fuori dal baratro.
Feci di lui il centro della mia esistenza, la mia ragione di vita.
Essendo una relazione a distanza, non ci vedevamo quasi mai e il mio immenso bisogno di affetto non venne colmato.
Si alternarono alti e bassi tra noi, e io stetti molto male.
Con la mia amica era di nuovo tutto apposto.
Per un po' le cose sembravano andar bene, ma poi eccomi di nuovo a sprofondare.
Nessuno riusciva a starmi vicino.
Ero costantemente depressa, avevo frequenti crisi di pianto, avevo ripreso a tagliarmi e a non mangiare. Mi sentivo sempre stanca e sola. Mi iscrissi a questo forum, sperando così di riuscire a controllare la cosa e di non dover così continuare ad angosciare le persone a cui tenevo.
Inutile dire che non servì. La situazione non fece altro che peggiorare e così ora mi ritrovo nuovamente qui, sull'orlo del baratro. Seduta, mentre lascio ciondolare distrattamente le mie gambe nel vuoto, con lo sguardo perso nell'orizzonte.
E' questa la storia di una persona all'apparenza forte (a volte) e distaccata, ma in realtà fragile e sofferente.
Vivo in un piccolo paese dove la maggior parte delle persone ha la classica mentalità chiusa, e dove o diventi anche tu una capra, o divieni l'idiota emarginato. Bene, iniziamo il racconto un po' più nel dettaglio adesso.
Sono la terza e ultima figlia di una famiglia all'apparenza tranquilla. Mia sorella mi passa undici anni, strano vero? Un altro figlio dopo tutto questo tempo, vabbè...
Fin da piccola ho avuto molto a che fare con la solitudine. I miei genitori non c'erano quasi mai a causa del lavoro. Quando finalmente rientravano, la sera tardi, essendo troppo stanchi e irritabili, non avevano molto tempo per me. A volte si dimostravano addirittura infastiditi di avermi attorno...
Mio fratello e mia sorella erano impegnati con la scuola.
Stavo sempre con una baby sitter di cui non conservo che qualche vago ricordo. Non appena ebbi l'età adatta, venni abbandonata in un asilo, dove per altro mi trovavo anche male. Essendo cresciuta in un ambiente diverso, con tante persone più grandi, mi rapportavo in modo un po' diverso. Inoltre ero molto timida e introversa, e ciò mi portò ad essere presa di mira. A peggiorare le cose erano i miei genitori. Non venivano nemmeno a prendermi.
Aspettavo lì, seduta sui gradini della mia aula, mentre osservavo i miei compagni che abbracciavano la loro mamma o il loro papà. Si faceva tardi, e non rimaneva più nessuno ad aspettare con me, così i maestri che dovevano chiudere l'asilo, mi riaccompagnavano a casa. Ogni volta mi guardavano sconsolati...
Avevo una zia a cui volevo un gran bene, ma era molto malata... E mi lasciò.
Arrivarono le elementari. Cercavo di fare amicizia, ma come al solito venivo tagliata fuori. Riuscì a stringere una sola amicizia, con una bambina disabile, che veniva emarginata proprio come me.
Più passava il tempo e più l'atmosfera di appesantiva. Poi in terza, alcuni dei miei compagni misero in giro delle false voci sul mio conto. Dicevano che ero depressa e che volevo suicidarmi, così la maestra, che si era preoccupata, avvisò i miei genitori. Loro mi mandarono da una psicologa, ma secondo lei ero una bambina matura e intelligente, e non c'era motivo di preoccuparsi, ma non si convinsero e cominciarono a guardarmi con disprezzo.
La sera si lamentavano di me. Non lo facevano neppure a bassa voce. E' evidente che il non essere ascoltati non era esattamente una loro priorità.
Quello stesso anno, durante una cena a casa di una mia zia, subii un abuso da parte di una mia cugina più grande. Mentre tornavamo in macchina con i miei, ne parlai, ma mia madre anziché credermi e aiutarmi, mi rimproverò.
Iniziarono le medie. Ricordo che mi ero illusa di poter fare qualche amicizia e di non dover continuare a venire esclusa, ma sbagliai.
La mia vecchia amica delle elementari mi pugnalò alle spalle, rimettendo nuovamente in giro quelle voci, che mi perseguitarono anche per quegli insulsi tre anni.
Mi ritrovai sola.
Passavo i pomeriggi chiusa in casa. A mia madre non andava bene, così ebbe la brillante idea di costringermi a uscire.
Mi disse proprio così: "Non mi importa se non ti trovi bene, mi basta non averti più tra i piedi!" Che poi, nemmeno c'era mai... Vabbè.
Profondamente scossa da quelle parole, iniziai con dei tentativi disperati.
Mi iscrissi allo stesso catechismo delle mie compagne, e anche alla loro stessa scuola di ballo. Cercai di unirmi alle loro uscite, anche se questo comportava essere la solita scema che cammina dietro da sola.
Non servì a nulla, se non a farmi apparire ancor più patetica e penosa ai loro occhi.
Mi venne inviato per posta elettronica un album di fotografie di un compleanno al quale non ero stata invitata, e al terzo e ultimo anno non mi avvisarono nemmeno di aver organizzato una festa, per poi dire ovviamente che io mi ero rifiutata di andarci, in quanto asociale.
A tutto questo, si aggiunse la mia prima storia d'amore finita male.
La rabbia, l'odio per me stessa e per gli altri, la tristezza e l'amarezza mi invasero completamente, e una sera, in preda allo sconforto e all'angoscia, afferrai un paio di forbici e lo affondai con forza nel mio braccio.
Iniziai così a sprofondare...
In tutto questo marciume però, accadde qualcosa. Riallacciai i rapporti con una vecchia compagna d'asilo, che divenne la mia unica vera amica.
Dopo la delusione delle medie, preferii evitare di farmi altre aspettative per le superiori.
Ero sempre più spenta e demotivata. Le mie giornate si svuotavano sempre più, poiché purtroppo, nemmeno la mia amica riusciva a starmi vicina.
Per un periodo sembrava che mi stessi riprendendo. Studiavo e andavo bene a scuola, avevo imparato a fregarmene dell'opinione delle persone stupide, la mia amica mi stava accanto e ci divertivamo. Ma questo non fu che un breve assaggio di felicità. Già, perché dopo qualche mese, ecco che la tristezza tornò ad avvolgermi.
Il ragazzo che ebbi amato moltissimo, tornò a farsi vivo. Si era trasferito vicino a me e si comportava in modo carino. I miei sentimenti per lui, che avevo faticosamente cercato di seppellire, erano riemersi.
Cercai di combinare vari incontri ai quali lui puntualmente non si presentò mai.
Dopo tre giorni di tentativi inutili, scoprii che era tornato insieme alla sua ex, la quale per altro era anche una mia amica, che mi sosteneva per farmi rimettere con lui.
Mi arrabbiai moltissimo all'inizio, e troncai i rapporti con entrambi. Poi sprofondai nella depressione. La mia amica per fortuna mi aiutò ad uscirne.
Ad aprile, feci la conoscenza (online) di un ragazzo dalla vita molto complicata. Si era lasciato andare. Fumava, beveva e si tagliava. Ci capivamo e ci sostenevamo a vicenda. Mi presi una cotta per lui, che pian piano di trasformò in quello che sembrava amore. Lui però a volte aveva scatti d'ira e mi trattava male. Altre volte neanche mi parlava, oppure si dimostrava freddo e tagliente. Io ci stavo male, ma facevo comunque del mio meglio per stargli accanto, poi però successe qualcosa, un incidente...
Era sopravvissuto per miracolo, ed era rimasto in ospedale per parecchio tempo, ma quando tornò era cambiato. Non mi voleva più... Così ferita, e delusa, uscii dalla sua vita e ripresi a sprofondare.
Questa volta rialzarmi fu più difficile. Talmente difficile che per poco non persi l'anno. E da lì fu sempre peggio.
Mi sentivo sempre più vuota e triste. I miei genitori mi umiliavano e basta, sapevano soltanto etichettarmi come un fallimento, una rovina, oppure mi paragonavano a chi era migliore di me. A furia di sentirmi dire che facevo pena me ne convinsi. Feci la spiacevole conoscenza della bulimia. Ripresi a tagliarmi e a stare male. Iniziai anche a fumare e a bere.
Non dissi niente a nessuno, nemmeno la mia amica lo sapeva. Aveva stretto una nuova amicizia, e dopo una gita scolastica si era ulteriormente allontanata da me.
Era estate ormai, e io passavo tutte le giornate a casa, davanti al pc a giocare a vari giochi online, con lo scopo di tenermi impegnata.
Odiavo la mia vita, non c'era niente che mi piacesse, e volevo solo morire. La sera mi sedevo sul davanzale della finestra e cercavo delle ragioni per cui vivere, ma purtroppo, più tempo passava e meno ne contavo. E ciò non faceva altro che avvilirmi di più.
Iniziai a pensare alla morte molto spesso, e a volte addirittura la progettavo. Una volta tentai di buttarmi giù da un terrazzo, ma un uomo mi afferrò prima che potessi precipitare giù.
Così mi limitai a contemplare il suicidio solo da lontano.
Intrapresi la via dell'autodistruzione. Cercavo di far diventare la mia vita talmente orribile da ritrovare il coraggio di togliermela. E così, una sera, mentre cercavo divertimento squallido con estranei online, conobbi quello che ora è il mio ragazzo.
Lui fu come un sole abbagliante. Mi prese di peso e mi trascinò fuori dal baratro.
Feci di lui il centro della mia esistenza, la mia ragione di vita.
Essendo una relazione a distanza, non ci vedevamo quasi mai e il mio immenso bisogno di affetto non venne colmato.
Si alternarono alti e bassi tra noi, e io stetti molto male.
Con la mia amica era di nuovo tutto apposto.
Per un po' le cose sembravano andar bene, ma poi eccomi di nuovo a sprofondare.
Nessuno riusciva a starmi vicino.
Ero costantemente depressa, avevo frequenti crisi di pianto, avevo ripreso a tagliarmi e a non mangiare. Mi sentivo sempre stanca e sola. Mi iscrissi a questo forum, sperando così di riuscire a controllare la cosa e di non dover così continuare ad angosciare le persone a cui tenevo.
Inutile dire che non servì. La situazione non fece altro che peggiorare e così ora mi ritrovo nuovamente qui, sull'orlo del baratro. Seduta, mentre lascio ciondolare distrattamente le mie gambe nel vuoto, con lo sguardo perso nell'orizzonte.
E' questa la storia di una persona all'apparenza forte (a volte) e distaccata, ma in realtà fragile e sofferente.