I sette principi del Bushidō

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I sette principi del Bushidō

Messaggioda Royalsapphire » 21/02/2016, 15:11



Cogliere la vita in ogni respiro, la morte nella bellezza del suo istante. E’ questa l’essenza del Bushido: codice etico del samurai. Letteralmente bu è un ideogramma giapponese che rappresenta il guerriero in tutta la sua essenza bellica. Shi sta per uomo virilmente e spiritualmente inteso. Do è invece la via, il metodo per raggiungere un obiettivo. Nella sua interezza, la parola bushido indica la strada (do) che ogni guerriero (Bushi) deve compiere per il completamento spirituale e morale di sé, rispettando per tutta la vita sette regole fondamentali: onore, onestà e giustizia, coraggio eroico, compassione, cortesia, sincerità, dovere e lealtà. Questi sette pilastri erano alla base dell’educazione di ogni guerriero, la loro violazione significava il disonore, la morte. Col Bushido è possibile vivere, affrontare ogni sfida, lottare e morire nella consapevolezza materiale di sé, nella fermezza del proprio animo.

Il bushido è l’etica di una casta, quella dei samurai, che governò la società Giapponese fino alla Restaurazione Meiji (XIX secolo) quando le riforme e le guerre mosse dall’Imperatore contro lo Shogun Tokugawa (capo delle forze militare) determinarono il lento declino del potere dei samurai all’interno dell’Impero del Sol Levante. Il codice morale alla base del Bushido, simile a quello dei cavalieri medievali europei, è stato conosciuto e tramandato oralmente dai combattenti dell’Isola per secoli, probabilmente dal 500 a.C. Le regole che lo compongono sono state, nel corso degli anni, riviste, adattate ai tempi, ma la loro essenza è rimasta immutata. Una prima rielaborazione si è avuta nel pieno del feudalesimo nipponico (XV sec.), ma solo nel 1600 il codice d’onore contenente le sette norme è stato messo per la prima volta per iscritto da Tsuramoto Tashiro nel volume Hagakure (All’ombra delle foglie). Tashiro riportò nella sua opera il “codice del guerriero giapponese” scritto ed interpretato anni prima dal monaco combattente Yamamoto Tsunemoto. Quest’ultimo attraverso storie, aforismi, metafore e racconti, volle manifestare l’essenza del samurai, nonchè l’indissolubile legame che vincola il guerriero al suo padrone ed alla sua spada. L’opera di Tashiro, stampata solo nel 1906, anche dopo la fine del feudalesimo ( con la Restaurazione Meiji) ha continuato ad influenzare l’intera società giapponese. La morale bellica non è mai scomparsa dagli spiriti del popolo del Sol Levante. E neppure il rogo Hagakure imposto dagli Americani nel dopo guerra per sopprimere il risveglio del “demone” nazionalista non riuscì ad assopire l’animo ed valori di quella gente tanto legata alla spada, all’onore e alla lealtà. Lo stesso Yukio Mishima, prima del suicidio rituale, s’adoperò strenuamente per la riscoperta e la circolazione di Hagakure e del Bushido, attraverso uno suo magnifico commento all’opera di Tsunemoto. Quei sette pilastri, ora raccolti in un libro, rappresentano una civiltà ed una classe dominante, al vertice di una gerarchia sociale. Sono il simbolo di un periodo storico nel quale le èlite guerriere dominavano la società. E mai nostalgicamente, ma con distaccata ammirazione, bisogna guardare a chi, nella fermezza dell’animo, affrontava la vita, il nemico e la morte.


Risulta abbastanza chiaro che se i nostri soldati e l’intera collettivitàdel nostro tempo coltivasse principi del genere con la stessa risolutezza dei samurai oggi non parleremo di psicosi, depressione, cattiveria, prepotenza, insoddisfazioni, fobie, abusi sessuali, pedofilia, di personalità maniacale e perfino di stress. I Samurai avevano una tale fibra morale da non farsi condizionare dagli altri, cioè della mentalità del sistema decadente che si stava espandendo in quel epoca e che segnò la loro fine con lo sterminio. La loro forza e la loro determinazione nel gestire la vita con nobiltà e senza sofferenza interiore era il risultato dei valori inderogabli del Bushido che coltivavano senza tregua ogni giorno.

Impariamo dunque dai samurai che c’è una via, la via dell’azione corretta, la via del’azione giusta che può portare enorme beneficio al nostro benessere personale. È sufficiente essere disposti a sacrificare le nostre ambizioni sensoriali sull’altare della verità (Makoto) come fecero i Samurai. E ricordiamoci che non erano delle persone tristi o insoddisfatte, tutt’altro!

Il Bushidō o via del guerriero (武士道, in giapponese) è un codice di condotta e un modo di vita che ricorda il concetto europeo di Cavalleria, adottato dai guerrieri giapponesi. A differenza di altri addestramenti militari nel Bushidō sono raccolte, oltre le norme di disciplina militari, anche quelle morali che presero forma in Giappone durante gli shogunati di kamamura (1185-1333) e Muromachi (1336-1573), formalmente definiti e applicati ne periodo Tokugawa (1603-1867).
Ispirato a principi di buddismo e confucianesimo riadattati alla casta dei guerrieri, il Bushidō esigeva il rispetto dei valori di onestà, lealtà, giustizia, pietà, dovere e onore da perseguire fino alla morte. Il venir meno a questi principi causava il disonore del guerriero, che espiava attraverso il suicidio rituale, il il seppuku (切腹) o harakiri (腹切り).
Di seguito i sette principi.

義, Gi: Onestà e Giustizia
Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

勇, Yu: Eroico Coraggio
Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

仁, Jin: Compassione
L’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.

礼, Rei: Gentile Cortesia
I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

誠, Makoto o 信, Shin: Completa Sincerità
Quando un Samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di “dare la parola” né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.

名誉, Meiyo: Onore
Vi è un solo giudice dell’onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.

忠義, Chugi: Dovere e Lealtà
Per il Samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il Samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.


Gian Luca Rossi





Il segreto della forza dei samurai

Aldilà della fede in cui riponevano i Samurai, che possiamo condividere o meno, essi erano detentori di una forza d’animo, di una determinazione e di un controllo emotivo fuori dal comune. È
difficile pensare ad un soldato odierno capace di governare la propria aggressività, non scivolare in un linguaggio scurrile e non farsi guidare da istinti che provengono da sotto la cinta. Soldati del nostro tempo e samurai erano entrambi guerrieri, uomini dedicati alla difesa, chi della nazione e chi dell’imperatore. Eè noto però che in tempo di guerra i nostri soldati commettono orrori inenarrabili che includono la tortura, gli omicidi a sangue freddo e ingiustificati, gli stupri, la distruzione di massa incluso civili e indifesi. Queste azioni erano del tutto inesistente per un samurai. Certo, lui uccideva il nemico, ma senza accanisrsi. Non c’erano violenze sessuali né forme di crudeltà gratuite. il nemico veniva ucciso e, se catturato, decapitato. Il samurai era un uomo rispettabile, magari parte di una comunità chiusa di clan, come tipico della cultura giapponese, ma diversamente dal resto dei loro connazionali vivevano con grade onore e rigore. Nessun linguaggio da caserma, nessuna menzogna, nessun inganno. Il rispetto era grande sia per l’amico che per il nemico. Da noi oggi non si può dire altrettanto.

Da dove proviene questa abissale differenza? Da una personalità collettiva che si è sviluppata all’ombra di geni eroici da una parte e distorti dall’altra? No!
I samurai possedevano un codice di onore, il Bushido, che significa “via del guerriero”.

Si trattava di un codice di comportamento per disciplinare la loro casta. Nel Bushido si trovavano elementi del buddismo zen e dello scintoismo. Il samurai era tenuto a seguire il codice d’onore con assoluta disciplina poiché in essa risiedeva la rispettabilità della sua persona. Doveva dimostrare impassibilità e autocontrollo in tutte le circostante, dacché un allenamento costante e per la sua intera vita. Era proprio la pratica costante a creare nel samurai la padronanza assoluta di se stesso in qualsiasi circostanza.

I sette principi su cui si fondava il Bushido erano i seguenti:

義, Gi: Onestà e Giustizia
Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
勇, Yu: Coraggio
Un Samurai deve possedere un coraggio eroico.
仁, Jin: Compassione
il samurai deve usare la sua forza per il bene comune.
礼, Rei: Gentilezza
I Samurai non si comportano in modo crudele e rimane cortese. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.
誠, Makoto o 信, Shin: Verità – Sincerità
Il samurai non promette. Parlare e agire sono la medesima cosa.
名誉, Meiyo: Onore
Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà .
忠義, Chugi: Dovere e Lealtà
il Samurai si assume la responsabilità delle sue parole e delle sue azioni. Egli resta fedele a coloro di cui è responsabile.

Era proprio il Bushido, questo codice morale, a guidare il comportamento onorevole del samurai. Un soldato odierno non possiede alcun Bushido, perché la sua morale è il frutto di tendenze collettive depositate nel tessuto sociale, per cui c’è un’etica soggettiva , un’idea personale so come ci si deve comportare. E così, imprecare diventa una questione di gusto o di mutevole rituale sociale, la verità è una questione senza risposta, l’applicazione della giustizia dipende dalle emozioni del momento, il dovere va interpretato, la gentilleza va dato a pochi meritevoli, l’uso delle parolacce fa parte di una necessità convivviale e così via. E perciò ecco due guerrieri completamente diversi.

Ma non è una malattia! A ben guardare, a parte le pressioni della cultura e le influenze delle persone che spingono affinché ciascuno sia inghiottito dal medesimo baratro, è una scelta!



Articolo a cura di Florian Cortese




Il Bushido – Il codice d’onore e di comportamento per i samurai (e per gli uomini di oggi)

Coraggio, rispetto, compassione, onore e lealtà sono alcuni tra i precetti che formavano il bushido, la via dei Samurai (1)

Il samurai è la prima figura che riporta alla mente la cultura orientale.
Paragonarlo al guerriero feudale sarebbe poca cosa, perché – almeno nei suoi tratti originari – il samurai aveva un’ideologia particolare, che gli impediva di uscire dagli schemi e di comportarsi senza onore. Anzi, dell’onore aveva fatto il suo caposaldo e il suo obiettivo di vita.

Il codice di leggi che il samurai faceva proprio si chiamava bushido.
Letteralmente significa “la via del guerriero”, essendo bushi la parola giapponese per “guerriero” e do per “via”, intesa come il cammino migliore da seguire per perseguire un obiettivo (che può essere anche un obiettivo di vita; il termine do corrisponde al cinese tao, da cui ha le radici il taoismo). Non regolava soltanto il comportamento sul campo di battaglia, ma anche l’etichetta all’interno del clan e nei confronti del capo. I suoi principi, infatti, si ispiravano ai dettami del buddhismo, del confucianesimo e dello zen.
Formalmente era presente già dopo l’anno 1100 (e nella sua forma grezza anche molto prima), ma dobbiamo aspettare fino al periodo Edo, dopo il 1600, perché prenda il suo vero nome.

La filosofia del bushido traspare in modo particolare nel libro Hagakure di Yamamoto Tsunetomo (lo tratterò in dettaglio in un prossimo articolo), un monaco samurai che ha raccolto aforismi capaci di trasmettere la vera essenza del codice guerriero. L’Hagakure, in effetti, rappresenta la massima espressione del bushido. Ma la potete trovare anche nel Libro dei cinque anelli di Musashi Miyamoto, uno tra i guerrieri samurai più rispettati e conosciuti, tanto da innalzarsi al rango di leggenda.

Come trattare il bushido al giorno d’oggi?
Se continuate a leggere, capirete che ogni singolo punto può essere adattato alla vita di tutti i giorni. Si tratta di un codice di condotta, non soltanto di regole marziali. Che sia applicato sul campo di battaglia vero e proprio (la guerra) o nel campo di battaglia figurato (il lavoro, la famiglia, l’interazione con la società) il concetto è sempre lo stesso e vale la pena di paragonarlo al nostro modo di vivere.

Quando si riflette sulla figura del guerriero giapponese, la prima parola che viene alla mente è il concetto dell’onore. Si immaginano i samurai compiere anche le azioni più efferate, pur di salvare il proprio onore. Se in alcuni casi vi furono sicuramente degli eccessi, non va dimenticato però che il bushido esortava a far sì che l’onore non offuscasse mai altre virtù che dovevano guidare la vita, come la comprensione, il perdono, la magnanimità.
Il samurai che smarriva l’autocontrollo e l’autodisciplina era compatito e il suo stesso onore messo in discussione. Il bushi era tenuto quindi a mantenere un compotamento consono, distaccato. Il suo coraggio, così come l’audacia e la capacità di sopportazione, erano valori apprezzati al massimo, ma non dovevano però essere applicati ciecamente fino alla sconsideratezza. La mancanza di timore per la propria sorte in battaglia era considerata come avventata e, se avveniva senza motivo, veniva bollata quale “valore illegittimo”.

Storia dei samurai e del bujutsu, di Roberto Granati

Nel bushido si esaltavano dunque i valori che un samurai doveva dimostrare a se stesso e pubblicamente. Possiamo riassumerli in sette punti.

Il senso di giustizia dei samurai era assoluto. Le vie di mezzo non esistevano e non dovevano esserci esitazioni nel punire un’ingiustizia (5)

Intesa come onestà e senso di giustizia. Non doveva esserci confusione tra giusto e sbagliato. Questo significa che per un samurai le vie di mezzo non esistevano: vedeva bianco o nero (una regola strettamente legata al sentimento di fedeltà). La strada scelta doveva essere abbandonata se la si reputava sbagliata. Questo senso di giustizia doveva essere esteso agli altri e intervenire se lo si vedeva venir meno.
Era anche un modo per evitare esitazioni nel compiere un’azione.

Una scena tratta dal film “L’ultimo samurai”. Il bushido non contempla la resa: il coraggio e la volontà sono indispensabili (2)

Eliminare ogni tipo di paura è l’arma più efficacie. Quando la folla trema e si nasconde, il samurai reagisce. Non si tratta di essere sconsiderati: l’azione va fatta con intelligenza e saggezza, ma una volta scelto di agire non si torna indietro. La resa non è contemplata.
E’ uno dei motivi che portò i giapponesi a non avere rispetto per i nemici arresi (come successe, per esempio, nella seconda guerra mondiale).
Come liberarsi della paura della morte? I samurai attingevano alla pratica Zen, il cui scopo era di “liberare” la mente dell’uomo. Uno stato chiamato “senza-pensiero” (mushin), in cui corpo e spirito diventano un tutt’uno e si ha un distacco dalle cose materiali: in questo distacco la paura non può trovare posto, perché è sostituita dall’accettazione e dalla calma.
Nell’Hagakure, Tsunetomo propone un metodo più estremo:

[…]
Ogni giorno, con il corpo e la mente rilassati dovreste contemplare mentalmente queste scene: di venire squarciati dalle frecce, dai colpi di fucile, da lance e spade; di venire trascinati dalle onde impetuose o gettati in mezzo a un fuoco divampante; di essere dilaniati dal fulmine o di venire travolti da un tremendo terremoto; di cadere da un precipizio altissimo; di morire di malattia o di fare seppuku (ndr: il suicidio rituale fatto per riparare a un disonore) in seguito alla morte del signore. Ogni giorno, senza permettervi la minima trascuratezza o negligenza dovreste considerarvi morti.
Un detto degli antichi dice: «Appena esci di casa, annoverati tra i morti; appena dietro al portone, avverti la presenza del nemico». In certi casi, non è questione di attenzione o di cautela. E’ che, piuttosto, dovreste considerarvi morti già prima del tempo.


Solidarietà (jin)

Intesa come pietà nei confronti del più debole. Se si ha più potere della massa, non lo si deve usare per se stessi ma per aiutare gli altri. Le qualità possedute, che rendono il samurai migliore degli altri, vanno sfruttate aiutando chi non può avvalersi di queste qualità.
Se l’opportunità di aiutare gli altri non si mostra, deve essere il samurai a ricercarla.

La posizione di saluto in seiza (cioè seduti sui talloni) fa parte delle forme di rispetto giapponesi: l’uomo diventa così momentaneamente vulnerabile (3)

La cortesia e il rispetto nei confronti di un uomo è essenziale, anche se si tratta di un nemico. Non importa quale sia lo schieramento o l’ideologia di un uomo: va in ogni caso rispettato per il fatto di essersi messo in gioco. Se anche l’avversario si comporta con onore, si tratterà di una battaglia (vera o figurata) che si ricorderà in futuro; in caso contrario il samurai non sarà in torto.
Sincerità (makoto)

L’onestà deve essere ben chiara nelle proprie azioni. Il samurai non mente, non finge e non ha bisogno di fare promesse: quello che dice deve essere già di per sé una promessa e chiunque sarà certo che l’intento da lui mostrato sarà portato a termine.
Come si può capire, è qualcosa che va oltre alla semplice verità, perché si riconduce alla fermezza nel carattere: una volta presa una decisione, non si torna indietro, sia nelle piccole che nelle grandi imprese.


Onore (meiyo)

L’harakiri di Asano Naganori, che portò alla nascita dei leggendari 47 ronin. Il suicidio rituale era l’atto estremo fatto per rinsaldare il proprio onore perduto (4)

L’onore è forse il sentimento più difficile da capire della cultura orientale. Associarlo alla vendetta sarebbe sbagliato: non si limita, infatti, a spingere il samurai a vendicarsi per un insulto subito.
Quello che ruota attorno al concetto è, in poche parole, il cercare di raggiungere la perfezione; il dimostrare la propria condizione (che deve essere buona). Il samurai preferiva morire che cadere in disgrazia. Se poi veniva ricordato nelle generazioni future, allora aveva raggiunto lo scopo. Per questo motivo, in battaglia, gridava il suo nome e cercava di elevarsi sopra agli altri.
Il precetto dell’onore nasce e muore con se stessi. Nessun altro dovrebbe dire se le azioni di un samurai sono onorevoli, perché dovrebbe essere lui stesso a saperlo.
Lealtà (chugi)

In quest’ambito ricade il concetto di dovere, molto sentito dagli orientali. Il samurai era legato anima e corpo al suo signore (daimyo), ma anche alla via che aveva scelto. La fedeltà non si fermava qua: il samurai era legato a chiunque decidesse di proteggere. Soprattutto, il legame verso i genitori era forte e saldo quasi quanto quello che aveva nei confronti di un signore. Un samurai era disposto a difendere con la morte sia i genitori che il suo signore.
Il senso di dovere è da estendere a ogni azione. Fatta un’azione, si diventa responsabili delle conseguenze, qualsiasi esse siano.



Manuel Marangoni
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I sette principi del Bushidō

Messaggioda ilungamwepu » 21/02/2016, 21:43



Non importa cadere.
Prima di tutto.
Prima di tutti.
E' proprio del fior di ciliegio
cadere nobilmente
in una notte di tempesta.


Yukio Mishima
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Re: I sette principi del Bushidō

Messaggioda RESCUER IN THE DARK » 22/02/2016, 12:43



Mishima [BLACK HEART SUIT]

Piccola nota: 勇 si scrive con l'allungamento vocalico, yū.
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Re: I sette principi del Bushidō

Messaggioda RESCUER IN THE DARK » 22/02/2016, 14:18



Oh, pure la U di chūgi.
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L’Hagakure – Il testo giapponese che riassume il bushido, codice d'onore

Messaggioda Royalsapphire » 22/03/2016, 9:30



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Ognuno di noi ha, o almeno a mio modo di vedere dovrebbe avere, dei punti di riferimento a livello etico e morale. Possono essere grandi uomini del presente o del passato come Nelson Mandela o il Mahatma Gandhi, oppure opere che possono essere dei modelli a cui riferirsi.

Nella mia vita ho studiato molti testi, ed uno di quelli che mi ha maggiormente formato a livello etico è senza ombra di dubbio l'Hagakure.

L'Hagakure era il codice etico, un tempo segreto, dei samurai. Scritto nella prima metà del settecento, raccoglie le conversazioni tra Yamamoto Tsunetomo, ed il suo allievo Tashiro Tsuramoto che le trascrisse per circa sette anni. Tsunetomo chiese espressamente che alla sua morte tutto fosse bruciato, ma così non fu.

L'Hagakure, che nella sua versione estesa è composta da undici volumi, è stato per oltre un secolo e mezzo considerato il fulcro della via del samurai, alla stregua di un testo sacro. Pieno di autentiche perle di saggezza, e di un profondo rigore etico, è stato però il testo più controverso della storia del paese del Sol levante per l'utilizzo fattone da parte del Giappone imperialista nelle guerre fatte nel sudest asiatico nella prima metà del novecento.

Con l'inizio della Seconda guerra mondiale si assistette all'apice della sua mistificazione.

La nota affermazione "la Via del samurai è la morte" fu portata alle estreme conseguenze e alimentò il fanatismo dei giovani arruolati nel corpo speciale dei kamikaze. Alla fine del conflitto l'Hagakure, considerato l'origine del militarismo e dell'esaltazione dei soldati giapponesi venne messo al bando dagli Alleati. Migliaia di copie furono bruciate...

Fu attraverso il suicidio rituale in diretta televisiva di Yukio Mishima,il più noto scrittore giapponese, nel 1970, che l'opera venne conosciuta in occidente. Mishima decise di fare seppuku, erroneamente chiamato harakiri, in segno di protesta per la perdita di valori dilagante nella società giapponese ed in nome degli alti ideali contenuti appunto nel libro segreto dei samurai. Scrisse anche un libro di commento intitolato "La via del samurai".

Letto ed interpretato nel modo corretto l'Hagakure è un testo di una profondità notevole. L'autore, Yamamoto Tsunetomo, trascorse l'ultima parte della sua vita, in seguito alla morte del suo daimio, il suo signore, come monaco buddista, ed è interessante notare come nel testo s'intrecciano saggezza buddista zen e confuciana insieme all'etica marziale tipica del bushido.

Quando nell'Hagakure si legge che la "Via del samurai è la morte" s'intende non la morte fisica, ma bensì di sopprimere il proprio ego e la propria soggettività per raggiungere la perfezione nella fedeltà ai propri ideali.

Questa è l'essenza del bushido, del codice etico e marziale dei samurai, che ribadisce che l'addestramento non finisce mai, e che chi crede di avere raggiunto la perfezione inevitabimente cadrà.

"Quando si è determinati, l'impossibile non esiste:allora si possono muovere cielo e terra. Ma quando l'uomo è privo di coraggio, non può persuadersene. Muovere cielo e terra senza sforzo è una semplice questione di concentrazione."
Hagakure-Yamamoto Tsunetomo (I,144)

kinnall.blogspot.it



L’autore dell’Hagakure era un monaco buddhista e un samurai. Il tempo di pace lo costrinse al ritiro, ma non gli impedì di diffondere i suoi insegnamenti.

L’Hagakure kikigaki («Annotazioni su cose udite all’ombra delle foglie») è probabilmente il testo che riassume nel modo più completo l’essenza del codice di comportamento dei samurai, che nei secoli prese il nome di bushido (“la via del guerriero”). Del bushido ho ampiamente parlato in un articolo dettagliato, dove abbiamo visto come i samurai non solo si tramandassero valori di coraggio, lealtà e onore, ma anche si imponessero il rispetto, la compassione e la ricerca della perfezione.
Nell’Hagakure l’autore Yamamoto trascrive tutti questi valori in centinaia di precetti, aneddoti e riflessioni personali. Un’opera che ha tutto il sapore di un’età perduta, unita a quello stato di abbandono verso cui si stava dirigendo la casta dei samurai.

Yamamoto Tsunetomo era un monaco buddhista. All’età di 9 anni è entrato a far parte della prefettura di Saga nella provincia di Hizen, nel Kyushu, e ha cominciato a servire come un samurai il suo signore, Mitsushige Nabeshima. Fu alla morte di quest’ultimo per malattia che, all’età di vent’anni, decise di seguire un’altra strada invece di eseguire il seppuku (suicidio rituale per riparare a un disonore) come invece si usava tra i samurai che avevano perduto il proprio signore: divenne monaco.
Cambiò il nome in Yamamoto Jocho e si ritirò tra le montagne. Qui, da vecchio, tra il 1709 e il 1716 ebbe un dialogo frequente con il samurai Tsuramoto Tashiro, che fortunatamente decise di trascrive il contenuto diversi anni più tardi con il nome di Hagakure. Dobbiamo aspettare però fino al 1906 per vedere la prima pubblicazione.


La filosofia che racchiude l’onore giapponese e l’idea di perfezione
La perfezione era il primo obiettivo di ogni guerriero, che coincideva con la piena conoscenza di se stessi.

Di cosa parla nel dettaglio l’Hagakure?
Yamamoto aveva vissuto alla fine del 1600, in pieno periodo Edo, il lungo tempo di pace che vide il tramonto delle battaglie combattute tra i samurai. Prima di allora, infatti, era cosa comune vedere in campo eserciti di guerrieri combattere in onore di un signore feudale e cercare di far crescere il clan al quale appartenevano.
Yamamoto rimpiangeva le antiche battaglie a cui non ebbe l’occasione di partecipare. Condannava la decadenza della casta dei samurai e il fatto che non rispettassero il bushido, il loro codice d’onore.


A differenza di altre opere, il monaco si rivolgeva anche ai ronin, samurai vagabondi rimasti senza padrone per cause che non dipendevano dalla loro volontà.
Il tema principale è la morte. Non fraintendete questo termine. Nel pensiero orientale la morte ha un significato diverso da come lo intendiamo noi: non è vista come “la fine della vita”, ma come la soppressione della propria esitazione, del proprio “io”. In pratica la sconfitta della thanatofobia (per l’appunto, la paura della morte).
Come fare in modo di non esitare davanti a niente? Per Yamamoto (e per i samurai in genere) era semplice: appiattire le emozioni e pensare di continuo che l’istante vissuto poteva essere l’ultimo. In questo modo si elimina qualsiasi paura e si cerca di portare a termine ogni azione nel modo più perfetto possibile.
Il concetto è difficile da capire, ma non dovete fare l’errore di guardarlo in superficie. Gli aforismi che riporto sotto vi daranno un’idea di cosa intendo.

L’Hagakure non è solo un’opera di guerra. Anzi, può essere vista come un cammino nella vita di tutti i giorni, tanto che molti imprenditori prendono i suoi precetti come esempio per dirigere con successo un’azienda (un altro testo che gli imprenditori sono soliti “confrontare” è il Libro dei cinque anelli di Musashi Miyamoto, che tratterò in futuro). Sono trattati, infatti, dei consigli morali e di comportamento in pubblico per raggiungere la perfezione in ogni azione.

La versione dell’Hagakure che ho letto è quella pubblicata dalla RCS Libri nel 2003 e si intitola “Hagakure – Il codice dei samurai”.
Il libro originale è composto da ben 11 volumi e non sono mai stati tradotti completamente in italiano. Nella versione citata, si leggono 349 aforismi.


Riporto qua sotto alcuni tra gli aforismi più significativi. Al tempo in cui sono stati redatti parlavano del comportamento dei guerrieri (che dovevano essere impavidi, ma anche giudiziosi e onorevoli), dell’etichetta da tenere in pubblico e della lealtà che si deve dimostrare verso il proprio signore e i propri genitori.
Se la guardate in chiave moderna, però, scoprite che possono essere ancora validi come linea di condotta da seguire. Buona lettura.

[3] Ho scoperto che la Via del samurai consiste nella morte.

[19] Talvolta anche una persona apparentemente inutile si rivela un abile samurai dalla forza di mille uomini, dimostrando di poter rinunciare alla vita e che il suo cuore si è completamente identificato con quello del suo padrone.

[40] Esiste un livello che trascende [gli altri]: quello di chi trionfa nella Via. Poiché ci si addentra in profondità nella Via, si scopre che i suoi effetti sono infiniti e che l’addestramento non si può mai ritenere concluso. Si comprendono effettivamente le proprie carenze, e non si pensa più alla completezza; si finisce per non coltivare più l’idea dell’orgoglio, un senso di depressione o di inferiorità.

[42] Oggi siamo più abili di ieri, domani saremo più abili di oggi. Per tutta la vita, giorno per giorno, siamo sempre migliori.

[60] […] Se la pioggia vi sorprende a metà strada, e camminate più in fretta per trovare un riparo, nel passare sotto alle grondaie o nei punti scoperti vi bagnerete ugualmente. Se invece ammettete sin dall’inizio la possibilità di bagnarvi, non vi darete pena, pur bagnandovi lo stesso.

[65] Sul campo di battaglia ci si dovrebbe prefiggere di vincere un avversario valoroso. Giorno e notte, si ambisca di abbattere un nemico possente con impeto e infaticabilmente.

[75] Quando senti parlare di un maestro eccellente, non devi credere, deprimendoti, di non poterlo eguagliare. Anche il maestro è un uomo, uno come te. Se pensi di essergli inferiore, entrerai subito nello stato d’animo corrispettivo.

[103] Non esiste l’impossibile. Se si è animati da un forte proposito, si può scuotere con il pensiero il mondo intero. Si può fare tutto. Per la sua fragilità, la mancanza di spirito e la paura l’uomo non è determinato. E’ stato detto che si può muovere l’universo persino senza fatica; beninteso, se ci si concentra unicamente su questo.

[139] […] Si devono coltivare tre qualità interiori: la saggezza (chi), la solidarietà (gin) e il coraggio (yù). […] La saggezza consiste semplicemente nel saper conversare; dalla pratica del dialogo deriva una saggezza inestimabile. La solidarietà consiste nell’agire per gli altri; ci si paragona agli altri, e se ne vuole il bene. Il coraggio consiste nel mostrare i denti; ci si fa avanti senza pensare alle conseguenze, eliminando ogni perplessità. […]

[152] Yasuda Ukyo ha detto che l’ultimo bicchiere di sake è determinante. Parlando di una vita, vale lo stesso principio: la fine è determinante.

[157] Uesugi Kenshin ha detto: «Non mi curo della vittoria finale, ma solo di non perdere terreno».

[167] Persino con la testa recisa, si può ancora fare qualcosa. Quando si è decisi a compiere azioni valorose e si possiede la furia di uno spirito malvagio o affamato, ancorché decapitati non si è ancora morti.

[189] In verità, la vita umana è breve. Meglio, dunque, fare le cose che ci piacciono. In questo mondo, che ha la stessa realtà del sogno, è sciocco amareggiarsi per limitarsi alle cose che non piacciono. […]

[261] «Vittoria» significa trionfare sui propri alleati. «Trionfare sui propri alleati» significa trionfare su se stessi. «Trionfare su se stessi» significa trionfare sul proprio corpo. Un guerriero deve trovarsi nel bel mezzo della mischia, al fianco di diecimila alleati, dei quali nessuno possa azzardarsi a toccarlo. Egli vi riuscirà solo se dominerà il cuore, la mente e il corpo.

[266] […] Se la spada si spunta, vuol dire che si colpirà con le mani. Se le mani sono state troncate, si colpirà con le spalle. Se le spalle sono state troncate, si addenteranno al collo dieci o quindici nemici. In questo consiste l’audacia.

[297] Nell’opera “Nozioni di strategia militare” sta scritto così: «Innanzitutto vinci, e poi combatti». […]

[313] Un uomo appartiene all’epoca, ma la sua fama è eterna.

Bibliografia

Hagakure di Yamamoto Tsunetomo, RCS Libri, 2003

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