Cogliere la vita in ogni respiro, la morte nella bellezza del suo istante. E’ questa l’essenza del Bushido: codice etico del samurai. Letteralmente bu è un ideogramma giapponese che rappresenta il guerriero in tutta la sua essenza bellica. Shi sta per uomo virilmente e spiritualmente inteso. Do è invece la via, il metodo per raggiungere un obiettivo. Nella sua interezza, la parola bushido indica la strada (do) che ogni guerriero (Bushi) deve compiere per il completamento spirituale e morale di sé, rispettando per tutta la vita sette regole fondamentali: onore, onestà e giustizia, coraggio eroico, compassione, cortesia, sincerità, dovere e lealtà. Questi sette pilastri erano alla base dell’educazione di ogni guerriero, la loro violazione significava il disonore, la morte. Col Bushido è possibile vivere, affrontare ogni sfida, lottare e morire nella consapevolezza materiale di sé, nella fermezza del proprio animo.
Il bushido è l’etica di una casta, quella dei samurai, che governò la società Giapponese fino alla Restaurazione Meiji (XIX secolo) quando le riforme e le guerre mosse dall’Imperatore contro lo Shogun Tokugawa (capo delle forze militare) determinarono il lento declino del potere dei samurai all’interno dell’Impero del Sol Levante. Il codice morale alla base del Bushido, simile a quello dei cavalieri medievali europei, è stato conosciuto e tramandato oralmente dai combattenti dell’Isola per secoli, probabilmente dal 500 a.C. Le regole che lo compongono sono state, nel corso degli anni, riviste, adattate ai tempi, ma la loro essenza è rimasta immutata. Una prima rielaborazione si è avuta nel pieno del feudalesimo nipponico (XV sec.), ma solo nel 1600 il codice d’onore contenente le sette norme è stato messo per la prima volta per iscritto da Tsuramoto Tashiro nel volume Hagakure (All’ombra delle foglie). Tashiro riportò nella sua opera il “codice del guerriero giapponese” scritto ed interpretato anni prima dal monaco combattente Yamamoto Tsunemoto. Quest’ultimo attraverso storie, aforismi, metafore e racconti, volle manifestare l’essenza del samurai, nonchè l’indissolubile legame che vincola il guerriero al suo padrone ed alla sua spada. L’opera di Tashiro, stampata solo nel 1906, anche dopo la fine del feudalesimo ( con la Restaurazione Meiji) ha continuato ad influenzare l’intera società giapponese. La morale bellica non è mai scomparsa dagli spiriti del popolo del Sol Levante. E neppure il rogo Hagakure imposto dagli Americani nel dopo guerra per sopprimere il risveglio del “demone” nazionalista non riuscì ad assopire l’animo ed valori di quella gente tanto legata alla spada, all’onore e alla lealtà. Lo stesso Yukio Mishima, prima del suicidio rituale, s’adoperò strenuamente per la riscoperta e la circolazione di Hagakure e del Bushido, attraverso uno suo magnifico commento all’opera di Tsunemoto. Quei sette pilastri, ora raccolti in un libro, rappresentano una civiltà ed una classe dominante, al vertice di una gerarchia sociale. Sono il simbolo di un periodo storico nel quale le èlite guerriere dominavano la società. E mai nostalgicamente, ma con distaccata ammirazione, bisogna guardare a chi, nella fermezza dell’animo, affrontava la vita, il nemico e la morte.
Risulta abbastanza chiaro che se i nostri soldati e l’intera collettivitàdel nostro tempo coltivasse principi del genere con la stessa risolutezza dei samurai oggi non parleremo di psicosi, depressione, cattiveria, prepotenza, insoddisfazioni, fobie, abusi sessuali, pedofilia, di personalità maniacale e perfino di stress. I Samurai avevano una tale fibra morale da non farsi condizionare dagli altri, cioè della mentalità del sistema decadente che si stava espandendo in quel epoca e che segnò la loro fine con lo sterminio. La loro forza e la loro determinazione nel gestire la vita con nobiltà e senza sofferenza interiore era il risultato dei valori inderogabli del Bushido che coltivavano senza tregua ogni giorno.
Impariamo dunque dai samurai che c’è una via, la via dell’azione corretta, la via del’azione giusta che può portare enorme beneficio al nostro benessere personale. È sufficiente essere disposti a sacrificare le nostre ambizioni sensoriali sull’altare della verità (Makoto) come fecero i Samurai. E ricordiamoci che non erano delle persone tristi o insoddisfatte, tutt’altro!
Il Bushidō o via del guerriero (武士道, in giapponese) è un codice di condotta e un modo di vita che ricorda il concetto europeo di Cavalleria, adottato dai guerrieri giapponesi. A differenza di altri addestramenti militari nel Bushidō sono raccolte, oltre le norme di disciplina militari, anche quelle morali che presero forma in Giappone durante gli shogunati di kamamura (1185-1333) e Muromachi (1336-1573), formalmente definiti e applicati ne periodo Tokugawa (1603-1867).
Ispirato a principi di buddismo e confucianesimo riadattati alla casta dei guerrieri, il Bushidō esigeva il rispetto dei valori di onestà, lealtà, giustizia, pietà, dovere e onore da perseguire fino alla morte. Il venir meno a questi principi causava il disonore del guerriero, che espiava attraverso il suicidio rituale, il il seppuku (切腹) o harakiri (腹切り).
Di seguito i sette principi.
義, Gi: Onestà e Giustizia
Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
勇, Yu: Eroico Coraggio
Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L’eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.
仁, Jin: Compassione
L’intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d’aiuto ai propri simili e se l’opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.
礼, Rei: Gentile Cortesia
I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.
誠, Makoto o 信, Shin: Completa Sincerità
Quando un Samurai esprime l’intenzione di compiere un’azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l’intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di “dare la parola” né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.
名誉, Meiyo: Onore
Vi è un solo giudice dell’onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.
忠義, Chugi: Dovere e Lealtà
Per il Samurai compiere un’azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il Samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.
Gian Luca Rossi
Il segreto della forza dei samurai
Aldilà della fede in cui riponevano i Samurai, che possiamo condividere o meno, essi erano detentori di una forza d’animo, di una determinazione e di un controllo emotivo fuori dal comune. È
difficile pensare ad un soldato odierno capace di governare la propria aggressività, non scivolare in un linguaggio scurrile e non farsi guidare da istinti che provengono da sotto la cinta. Soldati del nostro tempo e samurai erano entrambi guerrieri, uomini dedicati alla difesa, chi della nazione e chi dell’imperatore. Eè noto però che in tempo di guerra i nostri soldati commettono orrori inenarrabili che includono la tortura, gli omicidi a sangue freddo e ingiustificati, gli stupri, la distruzione di massa incluso civili e indifesi. Queste azioni erano del tutto inesistente per un samurai. Certo, lui uccideva il nemico, ma senza accanisrsi. Non c’erano violenze sessuali né forme di crudeltà gratuite. il nemico veniva ucciso e, se catturato, decapitato. Il samurai era un uomo rispettabile, magari parte di una comunità chiusa di clan, come tipico della cultura giapponese, ma diversamente dal resto dei loro connazionali vivevano con grade onore e rigore. Nessun linguaggio da caserma, nessuna menzogna, nessun inganno. Il rispetto era grande sia per l’amico che per il nemico. Da noi oggi non si può dire altrettanto.
Da dove proviene questa abissale differenza? Da una personalità collettiva che si è sviluppata all’ombra di geni eroici da una parte e distorti dall’altra? No!
I samurai possedevano un codice di onore, il Bushido, che significa “via del guerriero”.
Si trattava di un codice di comportamento per disciplinare la loro casta. Nel Bushido si trovavano elementi del buddismo zen e dello scintoismo. Il samurai era tenuto a seguire il codice d’onore con assoluta disciplina poiché in essa risiedeva la rispettabilità della sua persona. Doveva dimostrare impassibilità e autocontrollo in tutte le circostante, dacché un allenamento costante e per la sua intera vita. Era proprio la pratica costante a creare nel samurai la padronanza assoluta di se stesso in qualsiasi circostanza.
I sette principi su cui si fondava il Bushido erano i seguenti:
義, Gi: Onestà e Giustizia
Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell’onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
勇, Yu: Coraggio
Un Samurai deve possedere un coraggio eroico.
仁, Jin: Compassione
il samurai deve usare la sua forza per il bene comune.
礼, Rei: Gentilezza
I Samurai non si comportano in modo crudele e rimane cortese. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.
誠, Makoto o 信, Shin: Verità – Sincerità
Il samurai non promette. Parlare e agire sono la medesima cosa.
名誉, Meiyo: Onore
Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà .
忠義, Chugi: Dovere e Lealtà
il Samurai si assume la responsabilità delle sue parole e delle sue azioni. Egli resta fedele a coloro di cui è responsabile.
Era proprio il Bushido, questo codice morale, a guidare il comportamento onorevole del samurai. Un soldato odierno non possiede alcun Bushido, perché la sua morale è il frutto di tendenze collettive depositate nel tessuto sociale, per cui c’è un’etica soggettiva , un’idea personale so come ci si deve comportare. E così, imprecare diventa una questione di gusto o di mutevole rituale sociale, la verità è una questione senza risposta, l’applicazione della giustizia dipende dalle emozioni del momento, il dovere va interpretato, la gentilleza va dato a pochi meritevoli, l’uso delle parolacce fa parte di una necessità convivviale e così via. E perciò ecco due guerrieri completamente diversi.
Ma non è una malattia! A ben guardare, a parte le pressioni della cultura e le influenze delle persone che spingono affinché ciascuno sia inghiottito dal medesimo baratro, è una scelta!
Articolo a cura di Florian Cortese
Il Bushido – Il codice d’onore e di comportamento per i samurai (e per gli uomini di oggi)
Coraggio, rispetto, compassione, onore e lealtà sono alcuni tra i precetti che formavano il bushido, la via dei Samurai (1)
Il samurai è la prima figura che riporta alla mente la cultura orientale.
Paragonarlo al guerriero feudale sarebbe poca cosa, perché – almeno nei suoi tratti originari – il samurai aveva un’ideologia particolare, che gli impediva di uscire dagli schemi e di comportarsi senza onore. Anzi, dell’onore aveva fatto il suo caposaldo e il suo obiettivo di vita.
Il codice di leggi che il samurai faceva proprio si chiamava bushido.
Letteralmente significa “la via del guerriero”, essendo bushi la parola giapponese per “guerriero” e do per “via”, intesa come il cammino migliore da seguire per perseguire un obiettivo (che può essere anche un obiettivo di vita; il termine do corrisponde al cinese tao, da cui ha le radici il taoismo). Non regolava soltanto il comportamento sul campo di battaglia, ma anche l’etichetta all’interno del clan e nei confronti del capo. I suoi principi, infatti, si ispiravano ai dettami del buddhismo, del confucianesimo e dello zen.
Formalmente era presente già dopo l’anno 1100 (e nella sua forma grezza anche molto prima), ma dobbiamo aspettare fino al periodo Edo, dopo il 1600, perché prenda il suo vero nome.
La filosofia del bushido traspare in modo particolare nel libro Hagakure di Yamamoto Tsunetomo (lo tratterò in dettaglio in un prossimo articolo), un monaco samurai che ha raccolto aforismi capaci di trasmettere la vera essenza del codice guerriero. L’Hagakure, in effetti, rappresenta la massima espressione del bushido. Ma la potete trovare anche nel Libro dei cinque anelli di Musashi Miyamoto, uno tra i guerrieri samurai più rispettati e conosciuti, tanto da innalzarsi al rango di leggenda.
Come trattare il bushido al giorno d’oggi?
Se continuate a leggere, capirete che ogni singolo punto può essere adattato alla vita di tutti i giorni. Si tratta di un codice di condotta, non soltanto di regole marziali. Che sia applicato sul campo di battaglia vero e proprio (la guerra) o nel campo di battaglia figurato (il lavoro, la famiglia, l’interazione con la società) il concetto è sempre lo stesso e vale la pena di paragonarlo al nostro modo di vivere.
Quando si riflette sulla figura del guerriero giapponese, la prima parola che viene alla mente è il concetto dell’onore. Si immaginano i samurai compiere anche le azioni più efferate, pur di salvare il proprio onore. Se in alcuni casi vi furono sicuramente degli eccessi, non va dimenticato però che il bushido esortava a far sì che l’onore non offuscasse mai altre virtù che dovevano guidare la vita, come la comprensione, il perdono, la magnanimità.
Il samurai che smarriva l’autocontrollo e l’autodisciplina era compatito e il suo stesso onore messo in discussione. Il bushi era tenuto quindi a mantenere un compotamento consono, distaccato. Il suo coraggio, così come l’audacia e la capacità di sopportazione, erano valori apprezzati al massimo, ma non dovevano però essere applicati ciecamente fino alla sconsideratezza. La mancanza di timore per la propria sorte in battaglia era considerata come avventata e, se avveniva senza motivo, veniva bollata quale “valore illegittimo”.
Storia dei samurai e del bujutsu, di Roberto Granati
Nel bushido si esaltavano dunque i valori che un samurai doveva dimostrare a se stesso e pubblicamente. Possiamo riassumerli in sette punti.
Il senso di giustizia dei samurai era assoluto. Le vie di mezzo non esistevano e non dovevano esserci esitazioni nel punire un’ingiustizia (5)
Intesa come onestà e senso di giustizia. Non doveva esserci confusione tra giusto e sbagliato. Questo significa che per un samurai le vie di mezzo non esistevano: vedeva bianco o nero (una regola strettamente legata al sentimento di fedeltà). La strada scelta doveva essere abbandonata se la si reputava sbagliata. Questo senso di giustizia doveva essere esteso agli altri e intervenire se lo si vedeva venir meno.
Era anche un modo per evitare esitazioni nel compiere un’azione.
Una scena tratta dal film “L’ultimo samurai”. Il bushido non contempla la resa: il coraggio e la volontà sono indispensabili (2)
Eliminare ogni tipo di paura è l’arma più efficacie. Quando la folla trema e si nasconde, il samurai reagisce. Non si tratta di essere sconsiderati: l’azione va fatta con intelligenza e saggezza, ma una volta scelto di agire non si torna indietro. La resa non è contemplata.
E’ uno dei motivi che portò i giapponesi a non avere rispetto per i nemici arresi (come successe, per esempio, nella seconda guerra mondiale).
Come liberarsi della paura della morte? I samurai attingevano alla pratica Zen, il cui scopo era di “liberare” la mente dell’uomo. Uno stato chiamato “senza-pensiero” (mushin), in cui corpo e spirito diventano un tutt’uno e si ha un distacco dalle cose materiali: in questo distacco la paura non può trovare posto, perché è sostituita dall’accettazione e dalla calma.
Nell’Hagakure, Tsunetomo propone un metodo più estremo:
[…]
Ogni giorno, con il corpo e la mente rilassati dovreste contemplare mentalmente queste scene: di venire squarciati dalle frecce, dai colpi di fucile, da lance e spade; di venire trascinati dalle onde impetuose o gettati in mezzo a un fuoco divampante; di essere dilaniati dal fulmine o di venire travolti da un tremendo terremoto; di cadere da un precipizio altissimo; di morire di malattia o di fare seppuku (ndr: il suicidio rituale fatto per riparare a un disonore) in seguito alla morte del signore. Ogni giorno, senza permettervi la minima trascuratezza o negligenza dovreste considerarvi morti.
Un detto degli antichi dice: «Appena esci di casa, annoverati tra i morti; appena dietro al portone, avverti la presenza del nemico». In certi casi, non è questione di attenzione o di cautela. E’ che, piuttosto, dovreste considerarvi morti già prima del tempo.
Solidarietà (jin)
Intesa come pietà nei confronti del più debole. Se si ha più potere della massa, non lo si deve usare per se stessi ma per aiutare gli altri. Le qualità possedute, che rendono il samurai migliore degli altri, vanno sfruttate aiutando chi non può avvalersi di queste qualità.
Se l’opportunità di aiutare gli altri non si mostra, deve essere il samurai a ricercarla.
La posizione di saluto in seiza (cioè seduti sui talloni) fa parte delle forme di rispetto giapponesi: l’uomo diventa così momentaneamente vulnerabile (3)
La cortesia e il rispetto nei confronti di un uomo è essenziale, anche se si tratta di un nemico. Non importa quale sia lo schieramento o l’ideologia di un uomo: va in ogni caso rispettato per il fatto di essersi messo in gioco. Se anche l’avversario si comporta con onore, si tratterà di una battaglia (vera o figurata) che si ricorderà in futuro; in caso contrario il samurai non sarà in torto.
Sincerità (makoto)
L’onestà deve essere ben chiara nelle proprie azioni. Il samurai non mente, non finge e non ha bisogno di fare promesse: quello che dice deve essere già di per sé una promessa e chiunque sarà certo che l’intento da lui mostrato sarà portato a termine.
Come si può capire, è qualcosa che va oltre alla semplice verità, perché si riconduce alla fermezza nel carattere: una volta presa una decisione, non si torna indietro, sia nelle piccole che nelle grandi imprese.
Onore (meiyo)
L’harakiri di Asano Naganori, che portò alla nascita dei leggendari 47 ronin. Il suicidio rituale era l’atto estremo fatto per rinsaldare il proprio onore perduto (4)
L’onore è forse il sentimento più difficile da capire della cultura orientale. Associarlo alla vendetta sarebbe sbagliato: non si limita, infatti, a spingere il samurai a vendicarsi per un insulto subito.
Quello che ruota attorno al concetto è, in poche parole, il cercare di raggiungere la perfezione; il dimostrare la propria condizione (che deve essere buona). Il samurai preferiva morire che cadere in disgrazia. Se poi veniva ricordato nelle generazioni future, allora aveva raggiunto lo scopo. Per questo motivo, in battaglia, gridava il suo nome e cercava di elevarsi sopra agli altri.
Il precetto dell’onore nasce e muore con se stessi. Nessun altro dovrebbe dire se le azioni di un samurai sono onorevoli, perché dovrebbe essere lui stesso a saperlo.
Lealtà (chugi)
In quest’ambito ricade il concetto di dovere, molto sentito dagli orientali. Il samurai era legato anima e corpo al suo signore (daimyo), ma anche alla via che aveva scelto. La fedeltà non si fermava qua: il samurai era legato a chiunque decidesse di proteggere. Soprattutto, il legame verso i genitori era forte e saldo quasi quanto quello che aveva nei confronti di un signore. Un samurai era disposto a difendere con la morte sia i genitori che il suo signore.
Il senso di dovere è da estendere a ogni azione. Fatta un’azione, si diventa responsabili delle conseguenze, qualsiasi esse siano.
Manuel Marangoni