
Avevano chiesto espressamente il seme di un donatore bianco. Si sono ritrovate con una bambina (bellissima) di etnia mista.
Il caso delle due donne lesbiche, caucasiche, che hanno fatto causa per un risarcimento alla Midwest Sperm Bank , banca del seme di Chiacago, sta infiammando l’America (e il mondo) in questi giorni.
Una vicenda che sta scoperchiando il vaso di Pandora sui privilegi dei bianchi. Ma sono tante le questioni in ballo: la fecondazione eterologa e l’eugenia, il diritto delle coppie omosessuali di avere figli e l’incapacità – proprio da parte di una coppia probabilmente discriminata -di accettare la figlia per quello che è, per paura della discriminazione.
Jennifer Cramblett, 36 anni, aveva scelto il seme di un donatore coi capelli biondi e gli occhi azzurri, in modo che il bambino assomigliasse il più possibile a lei e alla sua compagna. Ma per un errore banale – pare uno scambio di numero sulla provetta – la donna è stata inseminata con lo sperma di un donatore di colore.
La bambina, Payton, che ora ha due anni, è sana e bellissima, ma è anche di etnia mista. E Jennifer nella richiesta di risarcimento dipinge un quadro di sconforto e disperazione: nessuna delle due conosce la cultura nera, non comprendono le persone di colore, non sanno nemmeno come pettinare i capelli della bambina.
No, non è uno scherzo: Jennifer si è lamentata del fatto che, per tagliare i capelli a Payton, è costretta ad andare da un parrucchiere in un quartiere nero della città, dove non è “vista di buon occhio” in quanto bianca.
Eppure questa signora è convinta di non essere razzista.
“Personalmente, non ho nessun problema ad avere una bimba di etnia mista” ha detto ai microfoni della NBC, e, in lacrime, ha aggiunto “Amo la mia bimba, però vorrei che crescesse in un ambiente meno razzista. Mia figlia capirà che non era lei il problema, che il problema non è “Non volevamo te ma un bimbo bianco”.
E allora il problema esattamente quale sarebbe? Questo: “Siamo costrette a vivere ogni giorno nella paura, nell’ansia, siamo incerte di che futuro potrà avere la nostra bambina qui a Uniontown, cittadina razzista e intollerante; inoltre le nostre famiglie sono chiuse verso le persone di colore e io stessa non so molto di questa gente. Sono stata cresciuta negli stereotipi verso le persone non bianche”.
Quindi, siccome Jennifer è stata cresciuta in una famiglia razzista, non può crescere una figlia di colore, non perché lei sia razzista a sua volta, ma perché la sua famiglia lo è e perché lei non ha avuto la possibilità di non esserlo. Pazzesco.
Viene da chiedersi se le due donne si fossero mai rese conto di vivere in un contesto tanto razzista prima di avere Payton.
Evidentemente no, anzi, nel loro ambiente e nei loro privilegi stavano bene, se ora sono così terrorizzate dall’idea di perderli…
E poi ci chiediamo: se verrà stabilito un risarcimento per lo “stress” di crescere un figlio di colore in un’America di privilegi bianchi, non dovrebbero per assurdo, risarcire tutte le donne afroamericane?
Comunque, Jennifer ha intenzione di usare i soldi della causa – se vincerà – per trasferirsi con la famiglia un una cittadina “meno razzista”.
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