EFFETTI DEI TRAUMI

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EFFETTI DEI TRAUMI

Messaggioda Royalsapphire » 19/12/2013, 19:31



Noi sappiamo che l’abuso non è un episodio isolato, ma un’interazione continuativa, prolungata nel tempo, ma a fini esemplificativi proviamo ad analizzare un momento specifico di una relazione abusante. Un bambino durante il pranzo ha fame e cerca di pren dersi l’insalata. Questo comportamento normalmente è accettato dai genitori. Ma questa volta il padre s’arrabbia e grida al figlio di aspettare il proprio turno. Il padre è molto violento ed impulsivo, senza che sia pr
evedibile per il bambino sapere come, quando e perché potrà scattare lo scoppio di rabbia del padre. Quando viene il proprio turno il bambino si rifiuta di mangiare l’insalata. Il padre allora s’infuria e rovescia l’insalatiera sulla testa de
l bambino. Evidentemente l’abuso che si realizza in questo episodio non è principalmente un maltrattamento fisico, benché non faccia fisicamente piacere a quel bambino ritrovarsi in testa e in faccia l’unto dell’olio e il bruciore dell’aceto. L’abuso si realizza essenzialmente nella trasmissione dal genitore al figlio di un flusso di informazioni cariche di disprezzo e di negatività, l’abuso si consuma nella ferita di bisogni emotivi fondamentali del bambino. Se facciamo riferimento alla teoria dei bisogni di Kohut possiamo osservare che: a) un episodio di questo genere frustra il bisogno di rispecchiamento positivo del bambino, veicola un messaggio che negativizza e sporca oltre al viso del bambino la sua immagine di sé, la sua identità; b) in secondo luogo la violenza del padre non rispetta assolutamente il bisogno del bambino di vedere nel padre una figura da idealizzare, da stimare, su cui appoggiarsi idealmente ed emotivamente; c) in terzo luogo la reazione paterna non soddisfa certo il bisogno di gemellarità, di comunione del bambino: quest’ultimo con l’insalata in testa non si sentirà certo un piccolo ometto, umano, fra gli umani, ma piuttosto una bestia, un essere non riconosciuto nella propria umanità.
Se vogliamo schematizzare in grossa approssimazione il rapporto tra trauma e sentimenti del bambino possiamo distinguere 4 livelli:

1. Ad un primo livello il trauma produce immediatamente nel suo accadimento sentimenti penosi: la violenza fisica determina per es. sensazioni di malessere nel corpo, sentimenti di protesta, di rabbia, di rivalsa; la violenza sessuale può generare per es. sentimenti di confusione, ma anche piacere fisico, eccitazione, illusione di ottenere rassicurazioni affettive, ecc... Ma questo primo livello non produce di per sé una sofferenza destrutturate.
Del resto ci sono tante esperienze della vita di un bambino, che possono produrre in lui nel loro accadere sentimenti più o meno dolorosi: la povertà della famiglia, la morte di un parente, la separazione dei genitori o, a un livello meno grave, il trasferimento in un’altra città, una malattia che costringe a stare per un certo periodo a letto. Tutte queste esperienze ingenerano emozioni spiacevoli, ma che non necessariamente assumono un carattere gravemente traumatico se questo bambino può comunicare i propri sentimenti penosi ad un testimone soccorrevole, ad un interlocutore empatico capace in qualche modo di capire e di condividere tali sentimenti.
2. L’abuso vero e proprio si manifesta ad un secondo livello. Il bambino, che ha problematiche sessuali o ha subito addirittura approcci sessuali da parte di un adulto, che è vittima di violenze e di trascuratezze o che sta vivendo esperienze difficili in famiglia, è costretto a restare da solo con la propria pena, senza nessuno con cui parlare, senza
nessuno che si ponga come avvocato difensore, come testimone soccorrevole della sua sofferenza.
3. Un terzo livello di relazione tra l’abuso e sentimenti del bambino è caratterizzato dalla confusione. Il bambino lasciato solo non può mettere ordine dentro di sé, non può fare nessuna chiarezza sui propri sentimenti.
Per esempio i bambini vittima di situazioni di grave abuso psicologico vivono in nuclei familiari con acutissimi conflitti fra i genitori: questi bambini finiscono per assorbire le modalità sado-masochistiche della coppia genitoriale e per interiorizzare le strategi e incestuose con cui un genitore cerca di sedurre e di usare il figlio contro l’altro genitore. Questi bambini sono caratterizzati da un forte movimento di affetti e di eccitazioni emotive e d’altra parte e da un altrettanto grande paralisi intellettiva. Essi finiscono per vivere come in una torre di Babele emotiva: l’odio si confo
nde con l’amore, l’affetto con la paura, il litigio con l’eccitazione. Uno di questi bambini affermava significativamente: “Quando i miei mi mettono fuori per litigare ho tanta voglia di entrare per giocare anch’io... quando mi abbracciano mi viene voglia di scappare perché mi sembra di essere bastonato” .
4. Un quarto livello di relazione fra l’abuso e la vita emotiva del bambino è ancora più profondo e destrutturante. Di fronte ad una relazione traumatica all’abbandono affettivo da parte della figura materna, il bambino non solo perde la propria autostima sentendosi un bambino cattivo, indegno, non meritevole di essere amato, ma addirittura perde la possibilità di mantenere un contatto con una parte della propria vita emotiva individuale.


Il bambino abbandonato che subisce questa grave frustrazione del proprio bisogno di vedersi rispecchiato in modo positivo e continuativo dalla propria madre non può vivere neppure in se stesso i propri sentimenti, le proprie esigenze individuali. Un ragazzo abbandonato a due anni dalla propria madre e vissuto per molti anni in istituto è riuscito a comunicarmi in analisi che quando era in compagnia e provava desiderio di un panino o di una Coca Cola, non solo si sentiva obbligato mostrarsi superiore a queste esigenze di fronte agli altri, ma anche doveva spegnere queste esigenze dentro di sé, doveva anche cancellare il proprio bisogno del panino o della Coca Cola per timore di essere percepito
dentro la propria mente dai suoi coetanei, non avendo un’identità ben coesa e ben definita nei propri confini rispetto
agli altri. Non solo dunque doveva esibire una superiorità grandiosa rispetto ai bisogni e rispetto ai desideri, ma an
che si sentiva costretto a staccare il contatto con questi bisogni dentro di sé, a tagliare i fili del collegamento con questi bisogni interni.
Non è semplice comprendere questa esperienza di vuoto, di mancanza di contatto fra il soggetto e se stesso, fra il soggetto e i propri bisogni, fra il soggetto e i propri sentimenti ed altrettanto difficile riuscire ad empatizzare sul piano emotiva con chi vive questa “scissione verticale” del proprio Sé.
Un altro bambino abbandonato a tre anni dai propri genitori biologici aveva un tale bisogno di compiacenza nei confronti dei genitori adottivi da non riuscire mai ad esprimere un sentimento di rabbia o di fastidio nei loro confronti. Questo bambino aveva chiesto, e purtroppo ottenuto dai propri genitori adottivi, di cambiare il proprio nome di battesimo da Carmelo a Giorgio, nel tentativo di cancellare il proprio passato e tutta la vita emotiva connessa a questo passato. I genitori adottivi erano stati selezionati, come spesso succede, senza ricorrere al criterio della sensibilità e del rispetto per la vita emotiva e, dopo l’inserimento adottivo del bambino, non erano stati affatto sostenuti ed aiutati. Questi genitori, nel tentativo di fare del figlio adottivo il figlio ideale che avevano sempre desiderato, avevano colluso con la tendenza del bambino a cancellare Carmelo per far vivere un Giorgio ideale pieno di buone intenzioni. Ovviamente i sentimenti di rabbia e di fastidio scissi dalla vita mentale del bambino non potevano essere cancellati, tant’è vero che dopo qualche anno Giorgio incendiò, senza neppure dare l’allarme, la cantina di casa. Giorgio in realtà non riusciva a provare sentimenti di fastidio o di odio ed era pieno di buone intenzioni, ma Carmelo dentro di lui
rimaneva profondamente arrabbiato: nella parte “Carmelo” rimasta dentro Giorgio ardeva il fuoco incendiario dell’odio.

fonte: http://users.libero.it/hansel.e.gretel/ ... amento.pdf
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