Il suicidio

da Wikipedia

Spazio per psicologi, counselor, psicoterapeuti e tutti coloro che vogliono offrire - o ricevere - un servizio inerente alla psicologia e all'approccio empirico.
Database di articoli propri o tratti da libri e siti internet, ma anche temi a scelta dell'autore.

Il suicidio

Messaggioda Royalsapphire » 07/04/2013, 9:40



Per suicidio (dal latino suicidium, sui occido, uccisione di sé stessi) si intende l'atto col quale un individuo si procura volontariamente e consapevolmente la morte.
Il suicidio è il gesto autolesionistico più estremo, tipico in condizioni di grave disagio psichico, particolarmente in persone affette da grave depressione e/o disturbi della personalità di tipo psicotico. Ovviamente essi possono essere determinati da eventi ben pratici, quali delusioni amorose, condizioni di salute o di estetica, condizioni sociali, ecc.
Dal punto di vista medico-psichiatrico, numerosi dati di letteratura indicano che è sicuramente possibile prevenire il suicidio nella popolazione generale, riducendo drasticamente il numero di morti, mediante apposite campagne di informazione e attraverso programmi e centri di aiuto e assistenza.
Sociologicamente il suicidio è stato trattato in modo molto approfondito da Émile Durkheim, il quale individua quattro tipi di suicidio collegati ai gradi di integrazione e regolamentazione sociale:
• egoistico
• altruistico
• anomico
• fatalista


Metodi

Le modalità con cui viene messo in pratica un suicidio sono molteplici. A volte, ma non sempre, il metodo usato può essere correlato alla causa che ha spinto il soggetto a togliersi la vita: il depresso spesso preferisce la via che gli appare meno dolorosa, quali overdose di farmaci o stupefacenti, mentre individui psicotici tendono a mettere in opera metodi più "spettacolari", quali l'impiccamento, il salto nel vuoto, il taglio delle vene dei polsi. Si è notata, statisticamente, una certa differenza nelle modalità suicide utilizzate dagli uomini rispetto a quelle applicate dal sesso femminile; le donne, infatti, tendono a prediligere tecniche di suicidio che non comportano danni esterni al corpo e all'ambiente circostante, quali ad es. ingestione di farmaci o avvelenamento da monossido di carbonio, come rifiuto del dolore fisico o della violenza.
Di seguito si riporta un elenco dei metodi più comuni, suddivisi in base alla causa della morte:
Overdose-avvelenamento
Assunzione di farmaci o veleni in quantità letali.
Danni fisici
La categoria comprende tutti i metodi che provocano una morte violenta, dovuta ad un danno da impatto, soffocamento, perforazione, ecc. In genere, questi metodi sono più diffusi di quelli nella categoria overdose-avvelenamento in quanto più accessibili: non è infatti necessaria nessuna sostanza particolare. In compenso, questi metodi sono solitamente più dolorosi e richiedono uno sforzo di volontà maggiore per poter essere utilizzati. Le tecniche più comuni sono:
• taglio delle vene;
• precipitazione;
• impiccamento per sospensione;
• impiccamento per rottura;
• uso di armi da fuoco.

Il taglio delle vene è uno dei metodi più diffusi in assoluto. Molto spesso, gli psicologi considerano i tentativi falliti più come richieste d'aiuto che come veri e propri tentati suicidi.
Anche i salti sono abbastanza comuni. Nella categoria possono essere compresi anche i salti contro auto, treni e veicoli in genere.
L'impiccamento per sospensione è la varietà meno conosciuta di impiccamento. Tra le due varietà di impiccamento questa è la più dolorosa: lo strofinio della corda sul collo e i problemi respiratori dovuti alla possibile compressione della trachea sono fonti di dolore non trascurabili.
L'impiccamento per rottura è molto simile a quella per sospensione; la differenza, è che in questo caso si rompe l'osso del collo.
L'uso delle armi da fuoco (secondo alcuni molto diffuso nei paesi in cui il possesso di armi è poco controllato, come nel caso degli USA trova pareri discordanti in altri autori che, riferendosi ad altre fonti di ricerca, rilevano indici statistici di maggior casistica di uso delle armi da fuoco in paesi dove sono meno diffuse legalmente come il Canada e il Giappone) è il classico colpo in testa.


Suicidio e legge

Lo status giuridico del suicidio in diritto italiano è oggetto di dibattito ma, secondo la dottrina dominante, questo è un atto lecito e comunque non può essere punito (ed infatti non è prevista alcuna sanzione civile o penale nei confronti di chi tenta il suicidio). Al contrario, vengono puniti gli atti che tentano di influire su una terza persona determinandola al suicidio. L'articolo 580 del codice penale punisce severamente l'istigazione al suicidio, il rafforzamento del proposito suicida, nonché l'agevolazione in qualsiasi modo del suicidio altrui. L'art. 14 della legge n° 58 8 febbraio 1948 sulla stampa sanziona con le pene di cui all'art. 528 Codice Penale, originariamente previste per le pubblicazioni e gli spettacoli osceni, le pubblicazioni destinate ai fanciulli ed agli adolescenti allorché, per la sensibilità ed impressionabilità ad essi proprie, siano idonee ad incitare al suicidio.
In molti stati, per esempio la California, dove sono in molti a recarsi per cercare la morte sul Golden Gate Bridge, a San Francisco, il tentato suicidio continua a costituire reato.


Il suicidio in azioni belliche e terroristiche

In ambito bellico le azioni suicide fanno spesso parte di una precisa strategia, messa in atto da eserciti o formazioni più deboli e tecnologicamente arretrate opposte ad eserciti più potenti e preparati.
Si tratta di un'arma antica (già nell'Antico Testamento si ricorda il caso dell'ebreo Sansone, che ricopriva peraltro la suprema carica di giudice), che viene qualificata come atto eroico da chi lo organizza e terroristico da chi lo subisce. Ha spesso uno spiccato impatto psicologico e propagandistico, come nel caso dei kamikaze giapponesi durante la seconda guerra mondiale.
Negli ultimi anni si è molto diffuso il fenomeno degli attentatori suicidi appartenenti alla cultura islamica (che sono chiamati con intento celebrativo "màrtiri", shahīd, pl. shuhadāʾ), che si fanno esplodere fra gli avversari indossando giubbetti carichi di esplosivo o che si fanno saltare in aria con un'autobomba), cercando di colpire luoghi nemici considerati da questi di alto valore simbolico.
Gli attentatori suicidi, in prevalenza uomini, sono, nella maggioranza dei casi, individui con una scarsa formazione scolastica e difficili condizioni di sussistenza. Organizzazioni di resistenza, che non rifuggono l'arma del terrorismo, sono accusate di sfruttare e strumentalizzare tale disagio, arruolandoli ed esortandoli al suicidio con la prospettiva (nel caso dell'appartenenza alla fede islamica) di un Aldilà dove - in virtù del loro atto (qualificato come "martirio" benedetto e non certo "suicidio", categoricamente vietato dall'Islam) - il caduto potrà godere senza fallo delle gioie paradisiache, secondo quanto promesso dallo stesso Corano per chi muoia "sulla strada di Dio" (fī sabīl Allāh) in combattimento contro un nemico.
Il fenomeno non è collegato a un preciso status sociale o a un qualche livello d'istruzione, né lo si riscontra solo tra uomini, coinvolgendo anche donne e bambini, espressamente educati dai "nuovi dotti" al sacrificio supremo di sé stessi in nome preteso dell'Islam. Questo tipo di azioni di guerriglia sono state inoltre in alcuni casi oggetto di finanziamento, come nel caso del defunto dittatore iracheno Ṣaddām Ḥusayn che aveva decretato una donazione di 25.000 dollari alle famiglie di ogni martire-suicida palestinese, sostenendo così tale tipo di lotta contro Israele.


Il suicidio dimostrativo

Fin dall'epoca dei romani il suicidio veniva utilizzato come strumento di protesta; Marco Porcio Catone Uticense decise di uccidersi proprio per protestare contro Cesare e la sua azione a discapito della repubblica.
Il suicidio come atto di protesta estrema nonviolenta venne alla ribalta nel 1963 quando alcuni monaci buddhisti si diedero pubblicamente alle fiamme per protestare contro le discriminazioni anti-buddiste del regime del Vietnam del Sud.
Analogo fu il gesto dimostrativo di Jan Palach, compiuto a Praga in piazza San Venceslao dopo l'invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia nell'agosto del 1968.
Altro atto di suicidio dimostrativo è quello di Alfredo Ormando, poeta omosessuale, che si diede fuoco in Piazza San Pietro il 13 gennaio 1998 per protesta contro la chiesa cattolica.
Rilevante fu anche il suicidio di Salvador Allende, presidente cileno, durante il colpo di stato del generale Augusto Pinochet l'11 settembre 1973.
Omicidi/suicidi nelle coppie
All'interno dell'ambito domestico o in generale delle relazioni affettive, è degno di nota il fenomeno degli omicidi-suicidi. In una situazione di forte conflittualità e violenza, agita e subita, tra i partner, il fenomeno si manifesta nel momento in cui una delle due parti decide di commettere l'omicidio dell'altra e togliersi, successivamente, la vita. Tra il gennaio e il dicembre 2003 i casi di suicidio ad opera dell'autore del delitto rilevati sono stati 42, di cui 38 commessi da uomini e 4 da donne. Solo in uno dei casi l'omicidio-suicidio era concordato da entrambe le parti.
Questo fenomeno si inserisce all'interno del più amplio e diffuso fenomeno della violenza domestica e, in generale, della violenza di genere.


Suicidio di massa

Il suicidio di massa è un evento estremamente raro, generalmente relegato a un gruppo di persone legate da un credo religioso o da una specifica cultura che lo preveda espressamente e che lo giudichi positivamente.
Nell'era moderna il suicidio di massa di maggiori dimensioni nella storia si ha il 18 novembre 1978. Quel giorno 912 persone, seguaci della congregazione religiosa del «Tempio del Popolo», si suicidarono in massa nella loro comune di Jonestown (nella giungla della Guyana) bevendo un cocktail al cianuro, secondo gli ordini del loro capo, il reverendo Jim Jones.
In passato il suicidio di massa era usato dal popolo per evitare di ridursi in schiavitù o nell'accettazione di una prevaricazione di potere da parte di un popolo estraneo. Un esempio al riguardo è il suicidio di 967 persone di Masada nel 74 d.C. oppure quello attuato dai capi daci col veleno nella celebre raffigurazione delle scene 104 e 108 della Colonna Traiana.


Psicologia

È il gesto estremo di una manifestazione psicologica di malessere. Dal punto di vista psicologico, esso può però essere anche interpretato, oltre che come estrema forma di richiesta di aiuto (in questo caso, spesso, il suicidio è la conclusione involontaria di un tentativo che si vorrebbe inconsciamente o consciamente volto al fallimento), come espressione di un bisogno, altrimenti inappagabile, di mettere a tacere una sofferenza, un disagio, cui il soggetto non riesce o non può dare risposta. Nella soppressione della vita, in realtà, il desiderio reale in questa interpretazione sarebbe quello di affermare l'ideale di una vita liberata, finalmente, da una sofferenza rivelatasi ingestibile e insostenibile per colui che la patisce. Difatti, contrariamente a quanto si tende comunemente a credere, il suicidio non è un desiderio di morire, ma di rinascere; fino al punto che ad attuarlo o desiderarlo non è chi ama poco la vita, ma chi l'ama troppo, ma nel caso in questione non quella che esso sta vivendo. Anche per tali motivi è del tutto errato definire il suicidio come autolesionismo, in quanto la persona non ha alcuna intenzione di autolesionarsi il corpo (spesso infatti, per esempio, paradossalmente lo si attua da distesi proprio per non farsi male cadendo), ma solo di eliminare la mente, come già detto con lo scopo inconscio non di morire, ma di rinascere, sfuggendo ai fantasmi e alle oppressioni mentali di cui è prigioniero. A volte, il suicida può decidere di compiere l'estremo gesto in un luogo distante da quello in cui risiede. Può trattarsi di un luogo scelto a caso come di un luogo simbolico che ha rappresentato qualcosa nella sua vita. Ciò non ha sempre a che vedere con una scelta logistica o simbolica, ma a volte con la necessità di trovarsi di fronte a un ricordo che accentui le motivazioni e quindi la volontà di portare a compimento il suicidio.


Statistiche

Il tasso di suicidi è cresciuto, negli ultimi 45 anni, del 60%, specialmente nei paesi in via di sviluppo ed è attualmente la decima causa di morte nel mondo: il numero di suicidi annuale è circa un milione, con un tasso globale di 16 suicidi ogni 100000 persone l'anno (uno ogni 40 secondi).

Suicidi in Italia
Grafico dei dati istat 2007 sul suicidio diviso per sesso[14]. Gli uomini sono rappresentati dal colore azzurro, le donne dal rosa. I numeri rappresentano il numero di suicidi in Italia per anno per i maschi, le femmine ed il totale.
In Italia la regione con il numero più basso di suicidi è la Campania con 2,6 suicidi per 100.000 abitanti, e la più alta il Friuli-Venezia Giulia (9,8 per 100.000 abitanti), nel 2007, seguita da Valle d'Aosta (9 su 100.000), Sardegna (8,9 su 100.000) e Trentino-Alto Adige (8,7 su 100.000) rispetto ad una media nazionale di 5,6.
Recentemente si è registrato un aumento di suicidi, si è passati dai 2828 suicidi del 2008 ai 3048 del 2010.
Immagine



Filosofia

Il suicidio è stato giudicato in diverse maniere lungo la storia della filosofia.
Nell'Etica Nicomachea Aristotele definisce il suicidio un atto di viltà; del resto, già il suo maestro Platone non ammetteva il suicidio se non per qualche necessità assolutamente ineluttabile, per il filosofo Seneca il saggio piuttosto che compromettere la propria integrità morale, deve essere pronto all'extrema ratio del suicidio.
Cicerone ribadisce le idee di Pitagora secondo il quale l'uomo non appartiene che alla divinità.[17] Platone condanna i suicidi e li considera dei vigliacchi, meritevoli di sepolture senza un nome ed in luoghi solitari. Per il filosofo greco il suicidio è un atto contro la divinità. [18]
Lo stoicismo è forse uno degli esempi più noti di filosofia che accetta il suicidio e, anzi, in determinate condizioni, lo descrive come un atto naturale. Seneca, filosofo che ha chiuso la sua vita con un atto volontario (sebbene dettato da Nerone, ma ricordiamo che uno stoico non fa nulla contro il proprio volere) o tecnicamente più di un atto - successivamente: cicuta, taglio delle vene dei polsi e dietro le ginocchia, bagni di vapore per spossare il corpo già dissanguato - spiega in più punti della sua opera che lo stoico, quando ritenga di aver compiuto la parte che il fato gli ha destinato, può decidere di uscire dalla vita. L'accettazione del suicidio è la conclusione di una filosofia che insegna che i mali spesso sono tali solo in apparenza, e la morte non fa eccezione. Bisogna però ricordare sempre che il suicidio è ammesso non come fuga, ma solo quando il proprio dovere è compiuto, e anche in questo caso è chiaramente solo una libera scelta.
Per Epicuro il suicidio è un'affermazione della libertà umana sulla legge della necessità che governa la natura. Epicuro scrive:"È una sventura vivere nella necessità, ma vivere nella necessità non è per niente necessario".
Nel III secolo d.C. Plotino scrisse un trattato riguardante il suicidio. Per via della propria impostazione naturalistica, e in parte panteista, egli critica aspramente le posizioni dello stoicismo; ritiene infatti necessario seguire il corso naturale della vita. La vita stessa, in quanto espressione dell'anima che illumina una natura inferiore, è concepita infatti in senso divino, quale prodotto ultimo della processione da Dio. "Non ti toglierai la vita, affinché l'anima non se ne vada", il suicidio provoca, secondo questa impostazione, un danno all'anima che viene cacciata di forza e in maniera innaturale. Non esiste il suicidio razionale, la violenza al proprio corpo è sempre accompagnata da "angoscia, dolore o ira". La vita è inoltre un percorso evolutivo per il filosofo, che permette di elevarsi attraverso la legge che regola il ciclo delle reincarnazioni: "E se il rango che ciascuno avrà lassù corrisponde alla sua condizione al momento della morte, non bisogna suicidarsi finché c'è la possibilità di progredire".
Se il suicidio affrontato per una causa giusta, come la libertà, è giustificato da alcuni filosofi antichi, la totale condanna di questo gesto, pur nell'umana pietà, è solitamente presente nelle filosofie cristiane o che hanno subito l'influsso del Cristianesimo. Il suicidio è infatti condannato come atto immorale o vile di fronte alla vita: "contraddice la naturale inclinazione dell'essere umano a conservare e perpetrare la propria vita", recita infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica; "al tempo stesso è un'offesa all'amore del prossimo perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale ed umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi".
Dante Alighieri colloca i suicidi nell'Inferno nel cerchio dei violenti contro sé stessi (XI, 40-45 ove condanna Pier delle Vigne. Tuttavia giustifica Catone, uccisosi ad Utica, collocandolo nel Purgatorio poiché aveva rinunciato alla vita per non sottomettersi al regime di Giulio Cesare. Presenta questo personaggio scrivendo:"libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta" (Purgatorio,I, 71-72).
Alfieri intende il suicidio come atto non di debolezza ma di ribellione: quando gli ostacoli della vita diventano insormontabili e l'uomo si sente sopraffatto da un destino che lo condanna inesorabilmente alla sconfitta, egli ricorre al gesto del suicidio, inteso come protesta a ciò che il destino gli ha riservato.
Il protagonista delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo di Foscolo, si uccide, atto che è insieme una liberazione e una protesta: liberazione dal dolore e protesta contro la natura, che ha destinato l'uomo all'eterna infelicità.
Giacomo Leopardi fa una distinzione su quelli che potevano essere i motivi di suicidio per le genti del passato e quelli della sua epoca. Dice che gli antichi si uccidevano “per eroismo per illusioni per passioni violente”; mentre i suoi contemporanei lo fanno perché sono “stanchi e disperati di questa esistenza”. Sostiene che il suicidio non può essere considerato un atteggiamento folle, ma al contrario la conseguenza di un logico ragionamento di una fredda analisi razionale. Nonostante il suo pessimismo cosmico definisce il suicidio "la cosa più mostruosa in natura”. Il poeta tratta l'argomento del suicidio nel Dialogo di Plotino e di Porfirio nelle Operette morali. Per Immanuel Kant il suicidio è immorale poiché non può diventare una legge universale.
Secondo Schopenhauer l'obiettivo per liberarsi dal dolore dell'esistenza è superare la volontà di vivere, ma non attraverso il suicidio, il quale non è una soluzione ma una delle massime manifestazioni della volontà di vivere; Schopenhauer sostiene che proprio perché si ama troppo la vita e non la si vuole vivere in una condizione sgradevole ci si libera con il suicidio.
« Il suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate. »
(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, par 69, 1818.)
Philipp Mainländer, nel suo lavoro centrale, Die Philosophie der Erlösung (Filosofia della redenzione) - secondo Theodor Lessing, "forse il più radicale sistema pessimistico noto in tutta la letteratura filosofica mondiale" -, intende tanto la verginità come strumento d'elezione dell'elusione procreativa, quanto il suicidio, come un assecondamento del processo dissolutivo universale; ed, in effetti, nella notte del 1º aprile del 1876, si impicca a trentaquattro anni nella sua residenza ad Offenbach am Main, ove un mucchio di copie fresche di stampa della Filosofia della Redenzione, giuntegli nella giornata appena conclusa, gli servono proprio come piedistallo.
Nietzsche scrive: "Muori al momento giusto [...] Io lodo la mia morte che giunge perché la voglio io".
Secondo Heidegger il suicidio è una forma di anticipazione non autentica della morte; togliendosi la vita, infatti, l'essere umano sfugge alla progettazione di un essere-per-la-morte autentico, ovvero alla comprensione che la sua esistenza è tale nella sua autenticità solo in quanto concepita a partire da un riferimento costante alla propria morte, come momento estremo che definisce il tempo della propria vita come una totalità temporale.
Emil Cioran, in qualche modo ricollegandosi al pensiero di Heidegger, intende il costante riferimento alla morte come indispensabile alla fondazione della morale soggettiva; caratteristica è quindi la sua posizione sul suicidio, senza il pensiero del quale, egli dice esplicitamente, non sarei riuscito a sopravvivere. Il suicidio è interpretato così non come gesto effettivo, ma come possibilità estrema che, in quanto mantenuta nella sua possibilità e non attuata, rende possibile ogni altra azione.


Letteratura

Il suicidio ha sempre affascinato gli scrittori e gli artisti in generale. Ricordiamo alcune opere significative che trattano questo tema:
• Aiace, Antigone, Edipo re, tragedie di Sofocle, 430-420 a.C.
• La Divina Commedia di Dante Alighieri (1300-1321 circa).
• Romeo e Giulietta (1600 ca.) di William Shakespeare.
• Saul, Bruto secondo, Virginia, Mirra e altre opere di Vittorio Alfieri, 1782-1789
• I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang Goethe, 1774.
• Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, 1801.
• Operette morali di Giacomo Leopardi, 1827
• Madame Bovary di Gustave Flaubert, 1856.
• Teresa Raquin, romanzo di Émile Zola, 1867.
• I demoni di Fedor Dostoevskij, 1871.
• La mite, racconto di Fedor Dostoevskij, 1876.
• Anna Karenina di Lev Tolstoj, 1877.
• Hedda Gabler di Henrik Ibsen, 1890
• Il trionfo della morte di Gabriele D'Annunzio, 1894
• Jude l'Oscuro, romanzo di Thomas Hardy, 1895.
• Martin Eden di Jack London
• La signorina Else di Arthur Schnitzler, 1924.
• Il gorgo, racconto di Beppe Fenoglio, 1954.
• Fratelli d'Italia di Alberto Arbasino, 1963.
• Post Mortem, racconto di Albert Caraco, 1968.
• Il mare della fertilità, tetralogia, di Yukio Mishima, 1970
• L'uragano di novembre, romanzo di Bohumil Hrabal, 1990.
• Le vergini suicide di Jeffrey Eugenides, 1994.
• Veronika decide di morire di Paulo Coelho, 1998.
• L'eleganza del riccio di Muriel Barbery, 2006.
• I figli di Húrin di J.R.R. Tolkien e Christopher Tolkien, 2007 (versione completa)
• Viaggio nella notte di Massimiliano Santarossa, 2012


Musica

Il gesto disperato e insieme eroico del suicidio è stato spesso drammatizzato, in chiave per lo più sublime, nel teatro d'opera. È celebre l'aria della protagonista nell'ultimo atto della Gioconda di Amilcare Ponchielli su libretto di Arrigo Boito, che inizia appunto con la parola Suicidio! ("Suicidio! ... in questi / Fieri momenti / Tu sol mi resti ...").
Nella musica contemporanea è famosa la canzone di Roberto Vecchioni intitolata Tommy. Fabrizio De André dedicò alcuni suoi più commoventi brani proprio ai suicidi, tra questi Preghiera in gennaio, dedicata a Luigi Tenco, ma che rappresenta un vero e proprio atto di pietà e comprensione nei confronti di coloro che: "...all'odio e all'ignoranza preferirono la morte". Di De Andrè va ricordata anche La ballata del Michè, dove parla del suicidio di un uomo che preferisce morire piuttosto che sopportare il carcere dopo la condanna per aver ucciso un rivale in amore, Nancy, traduzione di un brano di Leonard Cohen, Andrea. Anche Renato Zero ha trattato il tema, spesso per lanciare un messaggio a favore della rinuncia al suicidio: ad esempio in Un altro pianeta, scritto da Mariella Nava e La grande assente scritta nel 1998 e dedicata all'amica Mia Martini. I Queen hanno scritto due canzoni, entrambe con testo di Freddie Mercury, che affrontano il tema del suicidio, Don't Try Suicide (dall'album The Game) e Keep Passing The Open Windows (dall'album The Works).
Da ricordare anche Adam's Song dei Blink-182, Suicidio di Fausto Rossi, Breve invito a rinviare il suicidio di Franco Battiato, in cui il cantante riprende temi filosofici alla Cioran, affermando che la vita è infelice, chi si suicida ne ha tutte le ragioni, ma per ora è meglio rimandare; tema uguale hanno alcuni versi di Far finta di essere sani di Giorgio Gaber. Vestita di bianco di Michele Pecora, parla di un uomo che decide di togliersi la vita con discrezione, lontano dagli altri, per separarsi da un mondo che non gli ha mai voluto bene. Ti regalerò una rosa di Simone Cristicchi, parla invece di un uomo internato in un manicomio per molti anni, che alla fine si suicida "volando" dal tetto. La locomotiva di Francesco Guccini racconta, in maniera romanzata, la vera storia del tentativo fallito di suicidio del giovane ferroviere anarchico Pietro Rigosi nel 1893, un esempio di suicidio simbolico a sfondo politico, per protesta contro le dure condizioni di lavoro degli operai e dei contadini e le disuguaglianze sociali. Dello stesso autore anche Primavera di Praga, che narra un altro suicidio di protesta, quello di Jan Palach nel 1968.
In Guardati indietro di Umberto Tozzi, l'aspirante suicida ascolta la sua coscienza e decide di rinunciare a compiere l'estremo gesto, così come accade anche al protagonista di Meraviglioso di Domenico Modugno. In un altro brano di Tozzi, Luci ed ombre invece il protagonista si toglie la vita perché non può sopportare la perdita della sua ragazza, e lo stesso avviene in Preghiera dei Cugini di Campagna. Il tema è affrontato anche in Lamette di Donatella Rettore, Albergo a ore di Herbert Pagani, Ultimo amore di Vinicio Capossela, Suicidio d'amore di Gianna Nannini, Morire di leva di Claudio Lolli.
Lo stesso tema è stato affrontato più volte nel rock, nel grunge (ad esempio dai Nirvana di Kurt Cobain, il quale si suicidò egli stesso) e nell'emo statunitensi, ma in particolar modo nel metal estremo. Questo tema viene affrontato molto spesso nel genere chiamato depressive black metal. Qui il suicidio è visto come la fonte di liberazione dalle sofferenze, come qualcosa di estremamente romantico e sublime. Sempre nell'ambito dell'extreme metal si possono ricordare due macabri episodi di suicidio, ovvero quello dell'ex cantante dei Mayhem Per Yngve Ohlin, che l'8 aprile 1991 si uccise tagliandosi la gola e le vene dei polsi e sparandosi un colpo di fucile alla testa, e la morte di Jon Nödtveidt, ex cantante e chitarrista dei Dissection, avvenuta la notte del 16 agosto 2006 a causa di un colpo di pistola autoinflittosi alla testa. Da ricordare, inoltre la canzone Suicide is painless di Johnny Mandel (musica) e Mike Altman (testo), colonna sonora della serie televisiva MASH, seguitissima negli USA. Oggetto di controversie anche Gloomy Sunday che parla di un "lucido" suicidio, interpretato nella versione originale, simile ad una marcia funebre, da Diamanda Galas. E in versioni più "soft" da svariati artisti tra cui Billie Holiday e Emilie Autumn. Le controversie stanno nel fatto che non solo il compositore del pezzo si sia suicidato ma anche la sua fidanzata e numerose altre persone, per via, si dice, del brano.


Citazioni

• A che serve | sbarazzarsi del mondo, | quando nessun'anima mai sfugge al destino eterno della vita? (Edgar Lee Masters)
• Amici! Ora io sono dinanzi al sipario, e mi appresto ad alzarlo per vedere se dietro di esso ci sia più pace che di qua. Non si tratta dell'impulso di una folle disperazione. Conosco troppo bene la catena dei miei giorni dai pochi anelli che ho vissuti. Sono stanco di andare avanti. Qui io voglio morire completamente o almeno rimanere per la notte. Qui riprenditi, o natura, la mia materia, impastala di nuovo nella massa degli esseri, fa' di me un cespuglio, una nube, tutto quello che vuoi, anche un uomo; ma non più me! Siano rese grazie alla filosofia se il corso dei miei pensieri non è ora turbato da alcuna pia commedia. Penso abbastanza, non temo nulla: bene, via dunque il sipario! (Discorso di un suicida scritto poco prima del gesto, in Georg Christoph Lichtenberg, Lo scandaglio dell'anima)
• Anche l'uomo più sano e più sereno può risolversi per il suicidio, quando l'enormità dei dolori e della sventura che si avanza inevitabile sopraffà il terrore della morte. (Arthur Schopenhauer)
• Bisogna amarsi molto per suicidarsi. (Albert Camus)
• Bisogna essere prudenti quando ci si ammazza, se no si fanno delle figure! (Giorgio Gaber)
• Ci si può domandare se è ragionevole e morale – questi due termini sono inseparabili – uccidersi.
No! Uccidersi è irragionevole, così come tagliare i polloni di una pianta che si vorrebbe estirpare. Essa non morrà, crescerà irregolarmente, ecco tutto. La vita è indistruttibile, al di là del tempo e dello spazio. La morte non può che cambiarne la forma, mettendo fine alla sua manifestazione in questo mondo. Ma rinunciando alla vita in questo mondo, io non so se la forma che essa prenderà altrove, mi sarà più gradita e in secondo luogo io mi privo della possibilità di imparare e di acquisire a profitto del mio io, tutto ciò che avrei potuto apprendere in questo mondo. D'altra parte e soprattutto, il suicidio è irrazionale perché, rinunciando alla vita a causa del disgusto che essa mi provoca, io mostro di avere un concetto errato dello scopo della mia vita, supponendo che serva al mio piacere, mentre essa ha per scopo, da un lato, il mio perfezionamento personale e dall'altro la cooperazione all'opera generale che si compie nel mondo.
Ed è per questo che il suicidio è immorale. All'uomo che si uccide, la vita era stata data con la possibilità di vivere fino alla sua morte naturale, a condizione di essere utile all'opera generale della vita e lui, dopo aver goduto della vita, finché gli è parsa gradevole, ha rinunciato a metterla al servizio dell'utilità generale, appena gli è divenuta spiacevole; mentre verosimilmente egli cominciava a divenire utile nel preciso istante in cui la sua vita si incupiva, perché ogni lavoro comincia con travaglio. (Lev Tolstoj)
• Come avviene a un disperato spesso, | che da lontan brama e disia la morte, | e l'odia poi che se la vede appresso, | tanto gli pare il passo acerbo e forte. (Ludovico Ariosto)
• Come le luci del penitenziario si smorzano quando viene accesa la corrente per la sedia elettrica, così trema il nostro cuore davanti a un suicidio, perché non vi è una sola morte volontaria per la quale l'intera società non sia da biasimare. (Cyril Connolly)
• Il gusto del suicidio è un dono. (Georges Bernanos)
• Il suicida è un carcerato che, nel cortile della prigione, vede una forca, crede erroneamente che sia destinata a lui, evade nottetempo dalla sua cella, scende giù e s'impicca da sé. (Franz Kafka)
• Il suicidio fu l'ultima virtù degli antichi. Nel pieno disfacimento d'ogni principio morale e di ogni credenza, essi formarono sotto il nome di stoicismo una filosofia della morte: non sapendo più vivere eroicamente, vollero saper morire da eroi. (Francesco De Sanctis)
• Il suicidio ha sempre un risvolto comico, e io non posso permettere di suscitare dell'ironia su di me. (L'amico di famiglia)
• Il suicidio! ma è la forza di quelli che non hanno più forza, è la speranza di quelli che non credono più, è il sublime coraggio dei vinti! Già: in questa vita c'è almeno una porta che possiamo sempre aprire per passare dall'altra parte! La natura ha avuto un moto di pietà: non ci ha imprigionati. (Guy de Maupassant)
• L'ossessione del suicidio è propria di colui che non può né vivere né morire, e la cui attenzione non si allontana mai da questa duplice impossibilità. (Emil Cioran)
• Lo sai cos'è il suicidio? [...] L'estremo vaff****** di chi vuole avere sempre l'ultima parola. (Patricia Cornwell)
• Non che il suicidio sia sempre follia. [...] Ma in genere non è in un accesso di ragione che ci si ammazza. (Voltaire)
• Non c'è rifugio dalla confessione tranne il suicidio, e il suicidio è una confessione. (Daniel Webster)
• Non ci si toglie la vita per vendicarsi di qualcuno; no, ci si toglie la vita perché non c'è più la forza di vivere... (Sof'ja Tolstaja)
• Non sprecate il vostro suicidio: ammazzate prima qualcuno che vi è odioso. (Marcello Marchesi)
• Pecca chi sostiene secondo le leggi di Dio che questo ragazzo è dannato perché si è tolto la vita. Io dico che è stato il diavolo a sopraffarlo. È più colpevole questo ragazzo per la disperazione che lo ha colto di un innocente ucciso a tradimento nel bosco da un brigante? (Luther - Genio, ribelle, liberatore)
• Per la maggior parte della gente il suicidio è come la roulette russa. (Jeffrey Eugenides)
• Quanto il cristianesimo abbia modificato la scienza e la morale e quindi l'arte antica, si può inferire da questo solo: il suicidio antico è virtù, il suicidio moderno è colpa: il suicida pagano è un eroe, il suicida cristiano è un codardo. (Francesco De Sanctis)
• Ricorda, al mondo c'è solo omicidio. Non esiste suicidio. (Evgenij Aleksandrovič Evtušenko)
• Si è liberi veramente quando ci si può suicidare senza arrecare danno o dolore o rimpianto a nessuno: la libertà è la forma intermedia della solitudine, il suicidio la forma estrema dell'unica compagnia che ti è rimasta. (Aldo Busi)
• [Alla domanda: «Di cosa ha paura oggi Fabrizio De André?»] Sicuramente della morte. Non tanto la mia che in ogni caso, quando arriverà, se mi darà il tempo di accorgermene, mi farà provare la mia buona dose di paura, quanto la morte che ci sta intorno, lo scarso attaccamento alla vita che noto in molti nostri simili che si ammazzano per dei motivi sicuramente molto più futili di quanto non sia il valore della vita. Io ho paura di quello che non capisco, e questo proprio non mi riesce di capirlo. (Fabrizio De André)


Cesare Pavese
• La difficoltà di commettere suicidio sta in questo: è un atto di ambizione che si può commettere solo quando si sia superata ogni ambizione.
• I suicidi sono omicidi timidi. Masochismo invece che sadismo.
• Più il dolore è determinato e preciso, più l'istinto della vita si dibatte, e cade l'idea del suicidio.
Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l'hanno fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio.


Baldassarre Poli
• Il suicidio è il non atto più grave e più lesivo del dovere di conservazione, quanto è il più comune a sostenersi coll'apparenza delle ragioni.
• Il suicidio [...] indiretto per azioni doverose e fatte a tale scopo è un dovere, una virtù. Quindi il soldato che corre alla morte sul campo di battaglia, i medici ed i filantropi che soccombono vittime del loro amore per gli altri lungi dal commettere il suicidio colpevole indiretto, toccano il grado sommo della moralità o dell'onesto.
• Il suicidio [...] non è altro che l'attentato qualunque alla propria esistenza, distinguendosi esso perciò in diretto ed indiretto secondo che la distruzione di noi stessi è propriamente diretta ed intenzionale, ovvero indiretta e di pura conseguenza.
• Le obbiezioni colle quali si pretende di legittimare o di scusare il suicidio, e che sono le più comuni, quanto sono le più apparenti o speciose noi le riscontriamo nelle seguenti:
1." La natura vuole l'uomo felice; dunque essa nell'infelicità autorizza il suicidio.
2" Tra due mali può sempre aver luogo la scelta del minore e perciò del suicidio.
3." La natura ci attornia di oggetti tendenti alla nostra distruzione, ella adunque approva il suicidio.
4." L'uomo quando è inutile a sé ed agli altri non offende più alcun dovere col suicidio.
5." Si può esporre la vita per altri doveri; dunque anche per quello della felicità.
6." Il suicidio si commette sempre nello stato di pazzia; dunque non può essere imputato a disonestà o a colpa.
7." Il suicidio è determinato da un'irresistibile tendenza nel punto nel quale si commette; dunque esso non è più imputabile, siccome non libero.
8." Il suicidio fu qualche volta ammesso dalle leggi e dai filosofi: dunque esso non è di quelle immoralità che si tennero sempre ed assolutamente per tali.
• Tutti i mali si rendono sopportabili colla speranza, coi molti beni che vi si ponno sempre contrapporre, coll'idea della felicità assoluta o futura. Dunque i mali stessi anche i più gravi ed indipendenti non sono mai una cagione plausibile per commettere il suicidio.

Proverbi italiani
• A morir si è sempre in tempo.
• A palate i guai, ma la morte mai.
• Di tutti i matti il maggiore è colui che s'impicca.
• È provvisto di poco sapere, colui che s'ammazza per quel che non può avere.
• Il male è per chi va, chi campa si rifà.
• Matto è chi invita la morte.
• Meglio vivere che morire.
• Ogni animale per non morir s'aiuta.
• Ogni cosa è meglio della morte.
• Tutto fuorché la morte.
• A tutto c'è rimedio tranne che alla morte.
  • 0

:tao: :rose: :mask: :luce: :home1:
Avatar utente
Royalsapphire
Admin
 
Stato:
Messaggi: 13254
Iscritto il: 12/11/2012, 18:07
Località: Svizzera - Italia
Occupazione: Farmacista e Counselor
Citazione: "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo" (Gandhi)
Genere: Femminile

Il suicidio

Messaggioda Royalsapphire » 07/04/2013, 9:59



contrariamente a quanto si tende comunemente a credere, il suicidio non è un desiderio di morire, ma di rinascere; fino al punto che, ad attuarlo o desiderarlo, non è chi ama poco la vita, ma chi l'ama troppo, ma nel caso in questione non quella che esso sta vivendo


Vorrei sapere che ne pensate. Siete d'accordo con questa visione?
Personalmente direi... sì, magari c'è chi si toglie la vita perchè la ama troppo e non regge alla vista di certe crudeltà e miserie che accadono ogni giorno davanti ai suoi occhi... Ma aggiungo anche che questi debba essere anche una persona molto fragile emotivamente. Perchè è proprio davanti alla miseria e alla crudeltà, che bisogna farsi più forti e lottare per cambiare le cose!
C'è un periodo nel quale un individio non ha potere decisionale, non ha i mezzi per dare corpo alle proprie idee, non vive una vita propria. Ma c'è anche un periodo, quello dell'indipendenza, in cui l'individuo deve cominciare a rendersi conto che non è più "a casa di mamma", che non è più la famiglia a gestire la sua vita, ma che può gestirsela da solo, che può muoversi secondo le sue volontà. Ed è a quel punto che occorre reagire! Occorre pensare a come cambiare le cose! Il mondo è grande, sì! Ma non è al mondo che bisogna pensare. Bisogna pensare a ciò che ognuno di noi può fare! E solo così, il mondo può cambiare! "Be the change you want to see in the world", diceva Gandhi. Esatto! Solo pensando a fare ciò che è in nostro potere, aiuteremo il mondo a cambiare.
  • 0

:tao: :rose: :mask: :luce: :home1:
Avatar utente
Royalsapphire
Admin
 
Stato:
Messaggi: 13254
Iscritto il: 12/11/2012, 18:07
Località: Svizzera - Italia
Occupazione: Farmacista e Counselor
Citazione: "Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo" (Gandhi)
Genere: Femminile

Il suicidio

Messaggioda Davy Jones » 07/04/2013, 11:03



Secondo me chi si suicida è disperato ma per se stesso. Io non credo uno si ammazzi perché vede qualche ingiustizia ai danni di altri, per la miseria e la crudeltà. Per me si suicida se la vive sulla sua pelle, magari anche indirettamente (ad esempio è afflitto dai sensi di colpa perché è lui stesso responsabile di quella miseria e crudeltà).
Considerare fragile chi si suicida in alcuni casi è corretto, in altri io penso sarebbe offensivo. Uno che si suicida solo perché l'ha lasciato la ragazzina probabilmente è fragile; uno che si suicida perché non ha i soldi neanche per mangiare, perché è distrutto da una vita o da esperienze molto gravi e negative forse è stata una delle persone più forti mai nate, ma si è piegato sotto un peso insopportabile per una persona.
La volontà conta fino ad un certo punto, la realtà può essere un ostacolo molto grande. Tentare di cambiare il mondo seriamente senza averne la capacità e la possibilità potrebbe essere una specie di "suicidio". Nobile magari, indubbiamente migliore che morire piagnucolando in uno stanzino, ma comunque distruttivo per la persona. Insomma secondo me serve molta forza per scegliere di fare il martire di una causa e bisogna essere disposti a pagare prezzi altissimi. Bisogna essere molto forti e coraggiosi. E sono qualità difficili da riscontrare, le persone spesso fanno qualcosa solo quando sono al sicuro e non ci rimettono nulla.

Io condivido pienamente l'affermazione che hai quotato, per me chi si suicida in realtà ama la vita più di tutti gli altri. La ama così tanto da non riuscire ad accettarla per ciò che è o da non riuscire a sopportare il fatto di non viverla come vorrebbe.
  • 0

Avatar utente
Davy Jones
Amico level nineteen
 
Stato:
Messaggi: 1206
Iscritto il: 28/01/2013, 0:21
Località: Lombardia
Citazione: Amici? Tuoi amici? Se chiudi loro insieme in stanza senza cibo per una settimana... allora tu vedi cosa è amici!
Genere: Maschile

Il suicidio

Messaggioda Dado » 07/04/2013, 12:18



Royalsapphire ha scritto:
contrariamente a quanto si tende comunemente a credere, il suicidio non è un desiderio di morire, ma di rinascere; fino al punto che, ad attuarlo o desiderarlo, non è chi ama poco la vita, ma chi l'ama troppo, ma nel caso in questione non quella che esso sta vivendo


Vorrei sapere che ne pensate. Siete d'accordo con questa visione?
Personalmente direi... sì, magari c'è chi si toglie la vita perchè la ama troppo e non regge alla vista di certe crudeltà e miserie che accadono ogni giorno davanti ai suoi occhi... Ma aggiungo anche che questi debba essere anche una persona molto fragile emotivamente. Perchè è proprio davanti alla miseria e alla crudeltà, che bisogna farsi più forti e lottare per cambiare le cose!
C'è un periodo nel quale un individio non ha potere decisionale, non ha i mezzi per dare corpo alle proprie idee, non vive una vita propria. Ma c'è anche un periodo, quello dell'indipendenza, in cui l'individuo deve cominciare a rendersi conto che non è più "a casa di mamma", che non è più la famiglia a gestire la sua vita, ma che può gestirsela da solo, che può muoversi secondo le sue volontà. Ed è a quel punto che occorre reagire! Occorre pensare a come cambiare le cose! Il mondo è grande, sì! Ma non è al mondo che bisogna pensare. Bisogna pensare a ciò che ognuno di noi può fare! E solo così, il mondo può cambiare! "Be the change you want to see in the world", diceva Gandhi. Esatto! Solo pensando a fare ciò che è in nostro potere, aiuteremo il mondo a cambiare.


A mio avviso questo discorso non è affatto pertinente circa le ragioni di un suicidio, è molto riduttivo. Chi si suicida chissà quante ne ha passate nella vita, e magari più e più volte ha provato a cercare di affrontare situazioni che sono diventate sempre più insormontabili, ferite interiori ed eventi devastanti quali lutti, malattie, allontanamento ed abbandono di persone care. E quindi si ammala di depressione, a volte si riesce a uscirne, altre volte la depressione specie se si ripresenta nel tempo risucchia e divora la volontà fino a ingoiarla tutta e per quanto un individuo voglia uscirne, viene risucchiato nel vortice nero della disperazione e vivere diventa un tormento inopportabile. Il suicidio è un atto di disperazione estrema di chi non ce la fa davvero più, e io che sono aspirante suicida purtroppo ne so qualcosa.
  • 0

Dado
Amico level seven
 
Stato:
Messaggi: 339
Iscritto il: 06/12/2012, 20:26
Genere: Maschile

Il suicidio

Messaggioda vercingetorige » 07/04/2013, 14:04



Royalsapphire ha scritto:
contrariamente a quanto si tende comunemente a credere, il suicidio non è un desiderio di morire, ma di rinascere; fino al punto che, ad attuarlo o desiderarlo, non è chi ama poco la vita, ma chi l'ama troppo, ma nel caso in questione non quella che esso sta vivendo


Vorrei sapere che ne pensate. Siete d'accordo con questa visione?
Personalmente direi... sì, magari c'è chi si toglie la vita perchè la ama troppo e non regge alla vista di certe crudeltà e miserie che accadono ogni giorno davanti ai suoi occhi... Ma aggiungo anche che questi debba essere anche una persona molto fragile emotivamente. Perchè è proprio davanti alla miseria e alla crudeltà, che bisogna farsi più forti e lottare per cambiare le cose!
C'è un periodo nel quale un individio non ha potere decisionale, non ha i mezzi per dare corpo alle proprie idee, non vive una vita propria. Ma c'è anche un periodo, quello dell'indipendenza, in cui l'individuo deve cominciare a rendersi conto che non è più "a casa di mamma", che non è più la famiglia a gestire la sua vita, ma che può gestirsela da solo, che può muoversi secondo le sue volontà. Ed è a quel punto che occorre reagire! Occorre pensare a come cambiare le cose! Il mondo è grande, sì! Ma non è al mondo che bisogna pensare. Bisogna pensare a ciò che ognuno di noi può fare! E solo così, il mondo può cambiare! "Be the change you want to see in the world", diceva Gandhi. Esatto! Solo pensando a fare ciò che è in nostro potere, aiuteremo il mondo a cambiare.


Conosco pressoché ogni riferimento contenuto nell'articolo, ho letto\ascoltato quasi tutta la bibliografia alla quale si riferisce ed alcuni brani li ho spediti giù a memoria, ed il testo è anzi piuttosto carente in alcuni ambiti, come quello cinematografico sul quale si sarebbero potute scrivere un'altra manciata, come minimo, abbondante di pagine. diciamo che avrei potuto scrivere dieci volte tanto.
Smonto pezzo per pezzo.

In primis hai fatto bene a citare Gandhi. Sì, hai fatto così bene che forse non sai che Gandhi tentò il suicidio in giovane età e non aveva in disprezzo l'atto suicida, ma anzi in determinate circostanze lo promuoveva per finalità morali collettive. Quindi hai cavato fuori proprio una citazione coerente col messaggio che volevi trasmettere, tanto coerente che va a tuo discapito. Secondariamente, che il suicidio abbia in sé latente un desiderio di rinascita è un'interpretazione di una corrente di pensiero su un gesto che non può essere decifrato in chiave univoca per via della sua natura molteplice, differente da contesto a contesto. Il suicidio di philipp mainlander, decisione alla quale è pervenuto a seguito del suo apparato filosofico secondo il quale -cito testualmente- "le determinazioni volitive attivate dalla raggiunta consapevolezza che il non-essere è meglio che l'essere, rappresentano il principio morale più alto di tutti, e, dunque, il più alto senso della vita.", è differente dal suicidio di un Jan Palach che si suicidò -cito testualmente- "per scuotere la coscienza del popolo". Oppure come il paladino al quale si ispirò jan palach, che il testo ha mancato di citare nello specifico, ovvero il monaco thich quang duc, che si immolò il 10 giugno del 1963 perché la sua morte fosse la scintilla che avrebbe attirato l'attenzione della politica internazionale sulle vessazioni che stava soffrendo la sua gente.
Ora, dimmi come si possono conciliare due suicidi diametralmente differenti come questi. Il primo suicidio non lascia spazio a nessuna possibile "rinascita", è molto chiaro. Mainlander vuole il nulla, desidera ardentemente il nulla e nient'altro che il nulla, nessuna vita ultraterrena o resurrezione come una fenice dalle proprie ceneri. Gli altri due casi di suicidio sono finalizzati ad un bene collettivo, e lo stesso Gandhi li avrebbe approvati.
Dici che chi si suicida è troppo fragile? Anche questa è un'assurdità, e non solo per i motivi enunciati sopra. Per sostenere una tesi del genere si deve essere della convinzione che l'inferno che si è vissuto nella propria personale esperienza rappresenti un vertice massimo della sofferenza, oppure il massimo stadio della sofferenza collettiva. Hai mai fatto esperienza della guerra? No, non credo, del resto neanche io. Ma ci sono condizioni che sovrastano, come appunto la guerra, e non stento a credere che fra i morti suicidi appartenga un ricco novero di persone che disponeva di una "volontà di vita" più ferrea di quelle che, invero, sono ancora fra i vivi. Tu pensi di essere più dotata di coraggio di qualunque morto suicida? Di ciascuno di quei morti che aumentano ogni 40 secondi? Perché così per loro oltre il danno c'è anche la beffa post-mortem. Conosci l'apice della crudeltà? Magari ad un morto suicida nei campi di concentramento gli si potrebbe andare a dire, se fosse redivivo, che si è dimostrato fragile, giusto? Conosci anche cosa significhi convivere con una malattia che cagiona atroci sofferenze quotidiane, o con una malattia che riduce alla paralisi totale? O vivere con una patologia psichiatrica che impossibilita di costruirsi una vita? Oppure conosci la povertà, la miseria, l'indigenza? O forse parli da un pulpito. Il mondo è un coro di grida di dolore, se ne alza una ogni 40 secondi.
Se si è vergini dell'orrore è sufficiente dare un'occhiata alle mutilazioni dei reduci di guerra, ma anche recarsi ad una mensa al servizio dei poveri e quantificare quanta gioia di vivere sprizza dal loro volto, oppure osservare dal vivo una persona che allo scoccare di ogni notte è in preda alle convulsioni per traumi passati.
Non siamo in uno scenario da cinema di serie z per teenager come "never back down- MAI ARRENDERSI", qui non c'è nessun biondino da prostrare a colpi per conquistare la cenerentola di turno e dimostrare al proprio mentore che "ao', ma se dimostriamo impegno e duro lavoro poxxiamo ottenere quello ke vogliamo!111!", non siamo nemmeno in una serie televisiva sulla falsa riga di "NON SMETTERE DI SOGNARE MAI" dove la massima difficoltà consiste nel superare le audizioni per il ruolo di ballerina\attrice\valletta, non siamo nemmeno in una letteratura da reparto dell'umido della raccolta differenziata stile twilight, dove l'amore in salsa commerciale trionfa sulle difficoltà (sempre in salsa commerciale). La filosofia della vita ad ogni costo, del mai arrendersi, è in parte un surrogato di un'eredità culturale esile di spessore, da reality show come il grande fratello dove l'orango tango dalle sembianze umane di turno sbatte le mani sui pettorali e ci impartisce la lezione che "ao', con la forza de volontà mascolina se po' fa' proprio de tutto". Basta rivolgerci a tradizioni culturali con qualche gradino di valore in più per constatare che il suicidio non solo non è condannato, ma è anzi accettato. Il seppuku\harakiri dei samurai era una prassi comune fra i samurai. È divenuta una pratica anacronistica a seguito della crisi dei valori della società giapponese dovuta alla sua occidentalizzazione (l'ultimo seppuku di fama mondiale è quello, giustappunto, dello scrittore yukio mishima nel 1970 che si uccise per -cito testualmente- "restituire al giappone il suo vero volto", ovvero si lamentava e profetizzava l'alienazione della società del sol levante). È un caso che il suicidio non venga più socialmente tollerato dalle civiltà che smarriscono il proprio patrimonio culturale e cedono il passo all'assenza di valori\cultura perciò all'alienazione? No, non lo è. Riprendendo il tema delle correnti di pensiero di matrice psichiatrica riguardo il suicidio, ormai l'esistenza delle pulsioni freudiane di morte, thanatos, è accettata quanto l'esistenza delle pulsioni di vita, eros. È sinonimo di civiltà prenderne coscienza. Lo psichiatra viktor frankl diceva che la volontà preponderante nell'uomo è "la volontà di significato" ma quando la vita si scuoia di ogni significato perde ogni colonna vertebrale che la regge, non merita d'essere vissuta.
Parli di coraggio, ma se quel coraggio consiste nel declassare le proprie aspirazioni fino al minimo sindacale per convivere vita natural durante con il suddetto minimo sindacale (e questo minimo sindacale può avere accezioni molteplici: depressione per fattori ereditari, povertà ed indigenza, malattia incurabile, perdita dei propri talenti, lutto della persona amata, contesto sociale di violenze fisiche\verbali costanti -dal microcosmo famigliare al macrocosmo sociale su larga scala: come la guerra-, mediocrità) non è una qualità degna d'essere apprezzata, ma è esclusivamente sintomo di idiozia.
Dici che siamo in obbligo di apportare miglioramenti al mondo, allora mi riallaccio ad heidegger, nominato di sfuggita nell'articolo, quando sosteneva che la condizione ontologica di "gettatezza" della natura umana la sgrava di qualsiasi forma di imperativo per via della propria gratuità, assenza di significato primigenio.
Infine la parte meno sensata dell'intervento: il mondo che cambia. Hai tirato in ballo, peraltro erroneamente, Gandhi, quindi implicitamente vedi in lui il massimo esponente della "filosofia del cambiamento in positivo". Bene.
Quando è nato Gandhi? 1869. Quando è morto Gandhi? 1948. La sua battaglia è stata così efficace su scala mondiale che parallelamente alla sua esistenza si sono edificati niente meno che i campi di concentramento nazisti. Sì, il mondo cambia. Cosa è avvenuto dopo Gandhi? Giusto per citare uno delle migliaia di possibili esempi: tra il 1960 e il 1975 la guerra del vietnam, dove si sono collezionati stupri, omicidi e stragi in onore della più totale assenza di etica umana. Sì, il mondo cambia. E dell'unità 731 ne vogliamo parlare? Il mondo cambia così tanto che venivano vivisezionate donne gravide e iniettata urina di cavallo nei bambini. In quell'inferno avevo letto che, in via ipotetica, si attestavano due possibili tentativi di suicido da parte di alcuni prigionieri. Erano troppo fragili anche loro? Però sì, il mondo cambia ed è sempre meraviglioso.
Ora il mondo è cambiato così tanto che siamo sulla soglia di un nuovo conflitto atomico, la crisi ha fatto impennare il numero di suicidi e falcidiato sino allo scheletro della miseria una massa imponente di persone, ci sono regioni geografiche dove si commettono le peggiori atrocità e i popoli che le abitano non conoscono i più basilari diritti umani, ed il mondo è cambiato così tanto che se contate quaranta secondi a partire da ora una persona si toglie la vita da sé, e voi siete ancora qui a dissertare su quant'è bello il mondo che cambia.
Abbiamo edificato le nostre vite su un cimitero dove si affollano i rigagnoli di sangue. Basta aprire un libro di storia per leggere che la sofferenza umana è di natura iterativa, che in passato, ed anche nel presente, il consorzio umano non è che un ricettacolo di guerre e pestilenze, e che ogni rivolta\cambiamento è stata una breve parentesi rapidamente fagocitata nel buio.
Mi puoi dire che allora ci dobbiamo accontentare di migliorare il mondo nel microcosmo delle nostre vite, ed allora ti chiedo: di quale cambiamento possiamo essere capaci se non sappiamo salvare dal buio la persona alla quale siamo affezionati? Se siamo impotenti davanti alla sofferenza di un nostro caro, siamo in ginocchio anche davanti alla sofferenza del mondo, ed il domani è buio su questa terra. Per voi il buio è domani, per me lo è già oggi.
  • 0

Avatar utente
vercingetorige
Amico level two
 
Stato:
Messaggi: 85
Iscritto il: 20/12/2012, 0:12
Località: inorganica
Genere: Maschile

Il suicidio

Messaggioda Dado » 07/04/2013, 14:56



Vercingetorige, condividio a pieno tutto quello che hai scritto. La tua risposta, così ben articolata e ricca di significato, per altro scritta in un italiano impeccabile e di un eleganza unica, è da Premio Nobel, metterti un semplice 10 e lode sarebbe riduttivo.
  • 0

Dado
Amico level seven
 
Stato:
Messaggi: 339
Iscritto il: 06/12/2012, 20:26
Genere: Maschile


Torna a Forum di Psicologia, Counseling, Coaching e Approccio empirico di MyHelp

Chi c’è in linea in questo momento?

Visitano il forum: Nessuno e 4 ospiti

Reputation System ©'