Sindrome dell’abbandono: le fragilità nell’infanzia e ripercussioni in età adulta

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Sindrome dell’abbandono: le fragilità nell’infanzia e ripercussioni in età adulta

Messaggioda Royalsapphire » 17/10/2016, 13:15



Durante la crescita il bambino subisce un processo intrusivo transizionale: passaggio dalla dipendenza biologica a quella affettiva. In questo senso il bambino assume la totale dipendenza dal genitore da cui dipende la sua sopravvivenza; si innesca dunque un meccanismo emotivo che se non superato o canalizzato nel modo corretto, in età adulta risulterà invalidante per la crescita dell’autostima o della personalità.


La paura di separazione, che si sviluppa nel secondo semestre di vita, configura la paura della morte, di essere rapito (anche da entità misteriose) o di cadere. Inoltre dà luogo ad ansie abbandoniche (nevrosi) rendendo difficoltoso per il bambino qualsiasi allontanamento dalla persona o dai luoghi conosciuti. Da qui la difficoltà più o meno grave al momento dell’inserimento nella scuola materna, fino a configurare una vera fobia della scuola.

Come avviene uno shock di “abbandono”? Per fattore shock-induttivo endogeno

Per motivo endogeno
Qualche esempio:
per la separazione dei genitori
per la morte improvvisa del genitore o parentale
per improvviso trasferimento d’abitazione
per improvviso distacco della suzione del ciuccio
per malattia improvvisa
per la scomparsa improvvisa del giocattolo preferito

Il caso: il bambino ha subito un shock di separazione dei genitori a 3 anni; è molto probabile che a 6 anni a nove anni a 12 ecc, si ripresenterà lo shock, con cadenza triennale. Ora il bambino ha 6 anni, Il cervello biologico scatta da solo ed elabora; poiché a 3 anni ha subito un abbandono, ora è arrivato il momento di rivivere lo stesso shock.

Per motivo endogeno: il bambino già nasce con il problema dell’abbandono, magari ereditato dai suoi genitori che hanno alle spalle storie di abbandono, per cui cerca di riproporre la stessa paura in modo di superarla in maniera più efficace.

Effetti: quando si ripresenta il problema, il bambino, per giustificare il proprio stato d’animo, andrà in cerca di motivi che possono avvalere le sue sensazioni. In questo modo troverà pretesti per litigi ed altri comportamenti che possono suscitare l’irritazione del genitore in modo da sentirsi giustamente cattivi e quindi “abbandonabili”. In questa prospettiva lo shock programmante configura diverse patologie quali maniaco depressive, l’autolesionismo e disturbo della dipendenza.

Particolari fisici: ci sono alcune caratteristiche molto visibili anche nella loro postura: la schiena curva, il corpo ipotonico con una spalla più bassa della norma.

Cosa può fare un genitore?

Il passaggio da una dipendenza biologica (vita uterina) a quella affettiva (vita extrauterina), è del tutto normale ed è altrettanto fisiologica l’evoluzione dell’infante; ma come può intervenire un genitore se scorge nel proprio figlio i segnali della “paura dell’abbandono“? E’ importante ricordare che il bambino non va rimproverato quando esprime concetti di morte/rapimento/simile, piuttosto il genitore dovrà deviare l’attenzione del bambino verso altri contesti.

Cosa si può fare?

-Mostrare al bambino album fotografici di nipoti e parenti. Il vissuto del bambino è molto limitato e il database mnemonico deve essere ampliato con nuovi concetti di vita. Il piccolo dovrà acquisire il senso dell’evoluzione e della continuità.

-Responsabilizzare il bambino. In tal modo, il piccolo non si sentirà parte passiva del contesto familiare ma parte attiva, pertanto meno dipendente. Con le “piccole responsabilità”, inconsciamente il bambino capirà che è “importante”, utile nella famiglia, quindi l’idea della morte andrà scemando. Per un genitore, le responsabilità destinate al bambino possono sembrare banali, per un bambino, invece, acquisteranno tutta un’altra dimensione. Le responsabilità prevedono piccolissime cose, alcuni esempi: chiedere al piccolo di stilare insieme a voi la lista della spesa, decidere insieme cosa cucinare e consultarlo nelle scelte domestiche.



Sindrome dell’abbandono, dinamiche nella coppia

Di solito, le persone che soffrono della sindrome di abbandono vivono una condizione di vera e propria “fame” che è prodotta dalla sensazione di non essere state sufficientemente nutrite dal punto di vista affettivo ed emotivo. Si tratta infatti di una patologia che riguarda il senso di sé e del prendersi cura: in qualche modo, non riconoscono le risorse personali né il senso della “costanza oggettiva” che consentirebbe di sentirsi affettivamente nutriti anche quando l’altra persona non è presente e non supporta costantemente “come una madre” ed ovviamente anche quando si è soli.

Queste persone non si sono sentite sufficientemente protette e contenute e non hanno sviluppato quella “base sicura” che consentirebbe di sentirsi stabili e sicuri all’interno, padroni delle risorse necessarie ad affrontare perdite, in grado di fronteggiare con le proprie forze ansie e drammi emotivi. Proprio lo stato di continuità e la percezione di “poter contare” sono fondamentali per strutturare un “mondo stabile interiore” che superi la paura dell’abbandono facendo leva sulla solidità emotiva e sul senso di valore personale. La persona che soffre di questa sindrome ha una grande paura di “restare sola” e vive questa eventualità come una vera e propria morte.

Da questa percezione di vuoto e di fragilità interiore nascono poi tutte le dinamiche di difesa che sono finalizzate ad impedire che il partner possa abbandonare. Le strategie che vengono adottate sono aggrappamento, manipolazione, eccessivo senso di fragilità che danno vita a ipercontrollo e ricatto emotivo, tutto per evitare ciò che temono di più al mondo: “la perdita”. In una parola queste persone sviluppano una forte “dipendenza affettiva” che le pone anche nel ruolo della “vittima” che, anche se del tutto inconsciamente, è strettamente funzionale al loro problema e serve ad attirare l’attenzione altrui.



Sindrome dell’abbandono, caratteristiche

Ci sono alcune caratteristiche interessanti e molto visibili in questa tipologia di persone, alcune visibili anche nella loro postura: spesso hanno la schiena curva e un corpo ipotonico con le spalle più basse del normale.
Altra caratteristica tipica di chi soffre di sindrome abbandonica è la paura di prendere decisioni: in genere deriva dal timore di alienarsi l’attenzione altrui.
Hanno inoltre continuamente bisogno di chiedere consigli (che poi non seguono perché a loro non interessa il “consiglio”, bensì il supporto che ottengono in questo modo)
Altra loro caratteristica è la grande paura di lasciare: usano spesso frasi quali “devo proprio andare… devo lasciarti”.. a conferma della loro reale difficoltà nello staccarsi da qualsiasi cosa, persona o circostanza.

In fondo, ciò che temono più di tutto è la solitudine; per questo motivo finiscono dentro a situazioni e relazioni tragiche anche se la vivono con tanta sofferenza. Tuttavia, dal loro punto di vista, è comunque meno drammatica rispetto quella che deriverebbe dall’abbandono e dalla solitudine che credono di non poter in alcun modo gestire.

La risoluzione di questa sindrome passa attraverso una terapia che dia sostegno e supporto fino a che il soggetto non trovi dentro di sé le risorse necessarie per affrontare le dinamiche emotive che tanto gli fanno paura e che teme di non riuscire a reggere.

E’ importante per queste persone avere dei progetti chiari in cui investire e in cui dirigere le proprie energie; spesso nelle persone dipendenti vi è la convinzione di dover sacrificare i propri bisogni ed è qui che si auto-ingannano creando invece le situazioni in cui possano sentirsi deboli, fragili e soli.
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Sindrome dell’abbandono: le fragilità nell’infanzia e ripercussioni in età adulta

Messaggioda Lyra » 13/12/2016, 4:15



Ho trovato interessanti alcuni punti di questo topic.
Comunque volevo fare una domanda.

Royalsapphire ha scritto:Per motivo endogeno: il bambino già nasce con il problema dell’abbandono, magari ereditato dai suoi genitori che hanno alle spalle storie di abbandono, per cui cerca di riproporre la stessa paura in modo di superarla in maniera più efficace.


Secondo te (o qualsiasi altro utente che leggerà, e ha un'opinione in proposito) in queste due righe si intende qualcosa del tipo il trauma della simbiosi?

Riporto una breve spiegazione (trovata su internet) di seguito:
"Il trauma della simbiosi si crea dal contatto del bambino con genitori traumatizzati. Il bambino non può instaurare un legame sano e sicuro soprattutto con sua madre.
Le sue esigenze simbiotiche di vicinanza, calore, amore, appartenenza, sostegno, orientamento e l'essere accudito amorevolmente non vengono esaudite.
I sintomi che ne seguono sono molteplici. Comprendono problemi di identità, instabilità emotiva, consumo di droghe e comportamenti da dipendenza, paure di abbandono e soprattutto problemi relazionali."
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Sindrome dell’abbandono: le fragilità nell’infanzia e ripercussioni in età adulta

Messaggioda Randolph Carter » 06/01/2017, 14:35



Nell'adulto si può manifestare con delle regressioni infantili che hanno li scopo di attirare l'attenzione su sé stessi ? Dovrebbero essere pure affliti da un senso di vuoto interiore che viene colmato cercando continua approvazione dalla gente o in alcuni casi mangiando soprattutto durante gli stati di euforia che si alternano a stati più o meno lievi di depressione.
Come compensazione possono avere tratti narcisisti?
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Sindrome dell’abbandono: le fragilità nell’infanzia e ripercussioni in età adulta

Messaggioda Royalsapphire » 11/02/2017, 23:38



Si intende che le emozioni vissute dai genitori, se non ancora superate, continuano ad essere vissute ed emanate dai genitori, e vengono passate al figlio. Il figlio è in grado di percepire tutto ciò che i genitori provano, tutto ciò che sono e che non sono, e li clona.
Quando si nasce si è senza paura. Vivendo impariamo ad acquisirne alcune sì e alcune no. Esempio stupido: il solo atto di vestirsi. Perché mai ci sono bambini che crescono e a un certo punto imparano a coprirsi agli occhi dei loro genitori, e ci sono altri bambini che non hanno vergogna a farlo? La risposta è non tanto perché il genitore gli insegna a coprirsi al suo cospetto, quanto perché è il primo che inizia a coprirsi davanti al figlio. Il figlio lo registra, e lo imita. In modo istintivo.
La paura dell'abbandono, se non te la insegnano mamma e papà, chi vuoi che te la insegni? E se credi che non sia così, se credi che a 30 anni eri tranquillo e sicuro di te, ma poi venendo lasciato dalla tua ragazza, ti è improvvisamente arrivata questa paura, non ritenere lei responsabile di questo. Semplicemente ha risvegliato in te un vecchio meccanismo, una paura antica, che non avevi rielaborato, e che viveva ancora dentro di te, esplodendo al susseguirsi di situazioni analoghe.
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