Pagina 1 di 1
Temperamento, carattere, personalità

Inviato:
13/12/2013, 17:06
da Royalsapphire

Quando una costellazione di tratti della personalità è troppo rigida rispetto all’ambiente e alla cultura dell’individuo, al punto da compromettere seriamente il suo funzionamento sociale, lavorativo e relazionale e da produrre, nel soggetto, una grave sofferenza e un marcato disagio la probabilità che si configuri un disturbo della personalità è elevata. I disturbi della personalità possono dunque essere considerati esagerazioni o distorsioni degli stili di personalità e dei tratti sottostanti. L’OMS definisce un disturbo della personalità come un “grave disturbo della costituzione caratteriologica e delle tendenze comportamentali dell’individuo quasi sempre associato a conflitti sociali e personali”. Solo quando l’intero funzionamento dell’individuo è condizionato da certe caratteristiche
estreme e pervasive si può parlare di disturbo della personalità.
Personalità
La personalità è una modalità strutturata di pensiero, sentimento e comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori temperamentali, dello sviluppo e dell’esperienza sociale. Pur conservando significativi elementi di continuità la personalità non è fissa e immutabile e si evolve attraverso le situazioni che formano la storia dell’individuo. Il significato del termine personalità va riferito sia ad un criterio di “comunanza” (un insieme di caratteristiche, disposizioni, modi di agire comuni a diversi individui) sia ad un criterio di “singolarità” (che ci guida a riconoscere le combinazioni di tratti, atteggiamenti e comportamenti che distinguono una persona rispetto alle altre).
Carattere
Il concetto di carattere, originariamente riferito alle caratteristiche distintive che potevano intendersi come “marchio” per la persona, va inteso come quella combinazione di componenti psichiche individuali che riflette gli elementi di base dell’organizzazione e dello
stile della personalità di un dato soggetto,ovvero, il complesso delle caratteristiche individuali e delle disposizioni psichiche che distingue un soggetto dall’altro. La nozione di carattere tende ad accentuare gli aspetti di valore e conformità rispetto agli standard sociali attesi (“buon carattere”, “cattivo carattere”). La distinzione terminologica e concettuale tra carattere e personalità rimane comunque ambigua, soprattutto perché non poggia su criteri oggettivi e dipende dalla teoria scientifica di riferimento.
Temperamento
Il concetto di temperamento sottende l’ipotesi di un’influenza biologica ereditaria sulla personalità. Temperamento e personalità sono considerati indipendenti ma non opposti dal momento che le dimensioni della personalità si sviluppano sulla base dei tratti temperamentali.
APPROFONDIMENTO I termini temperamento, carattere e personalità sono entrati a far parte del linguaggio comune al punto tale che il loro reale significato, come costrutto psicologico, è andato perso o fortemente distorto. Ad esempio, capita abbastanza frequentemente che di fronte a qualche difficoltà nel cambiare modo di pensare o di agire si evochi il concetto di carattere come qualcosa di immodificabile ed innato: “il carattere non lo puoi cambiare, se uno nasce tondo non diventa quadrato”; o nel caso della fine di una relazione interpersonale si dica “avevamo caratteri incompatibili”. Inoltre è frequente sentire parlare di persone con un temperamento calmo, o aggressivo o irascibile, ecc. lasciando intendere che il temperamento è una modalità relazionale valutabile moralmente ed eticamente. Infine si può sentire definire la personalità forte o debole, dominante o succube, espansiva, introversa ecc. Tutti questi modi di dire e di definire la realtà confondono i piani della scienza e del pensiero comune, mescolando tra loro elementi che hanno una base teorica e quelli che sono solo una descrizione ingenua di elementi facilmente visibili. Proviamo quindi a chiarire e specificare alcune differenze.
Il concetto di temperamento è molto antico, dobbiamo, infatti, a Ippocrate (460-370 a.C.) la sua prima formulazione. Per il medico greco, la predominanza di uno dei quattro umori corporei (sangue, flemma, bile gialla, bile nera) costituiva la manifestazione di quattro tipologie di temperamento: sanguigno, flemmatico, collerico e melanconico. L’idea di Ippocrate fu poi ripresa ed ampliata da Galeno (130-200 d.C.), che distingueva tra spiriti vitali (nei vasi sanguigni) e spiriti animali (da cui dipende il sistema nervoso). Questo tipo di formulazione, spiegava come le caratteristiche fisiologiche fossero responsabili delle diverse manifestazioni comportamentali osservabili negli uomini, l’equilibrio tra i fluidi corporei dava quindi vita a persone sane, morali e intelligenti, mentre il loro squilibrio portava alla malattia, l’amoralità ed alla follia. Le idee di Ippocrate ed Galeno furono dominanti nel Rinascimento e si tramutarono, dalla fine del ottocento, in una correlazione tra caratteristiche fisiognomiche e manifestazioni comportamentali, nel tentativo di classificare diversi tipi di persone e prevederne le azioni. I maggiori esponenti di questa revisione della teoria ippo-galenica costituiscono la corrente dei costituzionalisti. Possiamo, ad esempio, ricordare Lombroso (1835-1909), il quale era convito che i tratti somatici fossero lo specchio della personalità e che dalla loro misurazione si potesse distinguere, tra le altre cose, tra i delinquenti ed i cittadini onesti, tra i “mattoidi” ed i sani di mente. Anche altri autori, in era più moderna, si sono spinti a classificare gli uomini in base alle caratteristiche fisiche e dedurne da esse caratteristiche psicologiche. Queste teorie, cosi come quelle astrologiche che declinano il temperamento in funzione dell’ influenza degli astri (persone gioviali – da Giove – saturnini – da Saturno – lunatici – dalla Luna- o marziali – da Marte), sono oggi riconosciute come prive di ogni fondamento scientifico, ma il loro dilagare nella psicologia del senso comune le rende ancora utilizzate. Purtroppo c’è sempre qualche nostalgico del medioevo pronto a definirti in base al giorno di nascita o guardando attentamente una tua fotografia.
Oggi la psicologia definisce temperamento:
“insieme di disposizioni comportamentali presenti sin dalla nascita le cui caratteristiche definiscono le differenze individuali nella risposta all’ambiente. Il temperamento riflette dunque una variabilità biologica” (Lingiardi, 1996:118).
In questi termini, si ristabilisce la dimensione genetica e biologica del temperamento, e si pone l’accento su un numero di risposte adattive all’ambiente presenti al momento della nascita. Ogni neonato reagisce a certi stimoli, mentre ne ignora altri, l’intensità e la frequenza di tali risposte definiscono il temperamento. Una ricerca di Cloninger (1993) indica gli aspetti: “ricerca del nuovo”, “evitamento del dolore”, “dipendenza dalla ricompensa” come elementi che combinati tra di loro danno vita a diversi tipi di temperamento. Come si può facilmente notare, tali caratteristiche non hanno in sé una valutazione morale o culturale del temperamento (come lo sono buono, cattivo, socievole o timido), ma sono legate alla neurochimica del cervello, e nello specifico, rispettivamente alla attività dopaminergica, serotoninergica e noradrenergica.
Se è abbastanza chiara la definizione di temperamento, più complessa è quella di carattere e personalità ed è quasi impossibile distingue tra i due termini. Non solo nel linguaggio comune, infatti, ma spesso anche nella letteratura psicologica i due costrutti si sono sovrapposti. Freud, Jung, ed i primi psicoanalisti, ad esempio, utilizzarono il termine carattere, mentre oggi si preferisce parlare di personalità. Entrambi i termini suggeriscono un’integrazione del substrato biologico (il temperamento) con l’ambiente psicologico e sociale. La personalità/carattere è quindi una modalità strutturata di pensare, sentire e comportarsi, risultante dall’interazione dell’ambiente sul proprio patrimonio genetico e culturale, ed è pertanto modificabile perché costruita dall’esperienza e dall’adattamento tra i propri bisogni e desideri e la realtà esterna.
Esistono molti modelli teorici di classificazione di personalità, il più universalmente riconosciuto dalla psicologia e psichiatria moderna è quello presente nel DSM-IV che individua 10 tipi di organizzazioni di personalità: paranoica, schizoide, schizotipica, istrionica, narcisista, antisociale, borderline, dipendente, evitante, ossessiva-compulsiva. La terminologia che indica questi diversi tipi di personalità è nato al solo scopo di descrivere delle modalità di essere, senza che a queste venisse data una accezione positiva o negativa, ma purtroppo il suo dilagare nel linguaggio quotidiano l’ha resa satura di significati negativi, tanto che viene associata costantemente alla psicopatologia. Al contrario, questi tipi di personalità esistono su un continuum che va dalla normalità alla patologia. Ad esempio, un individuo che loda apertamente le sue capacità, tende a ricercare l’ammirazione e la fiducia degli altri, è suscettibile alle critiche, aspira al successo ed al potere, può rientrare nel quadro di una personalità di tipo narcisistico. Queste caratteristiche, se presenti in modo limitato, possono ritrovarsi in individui perfettamente “sani” come segno di una elevata autostima. Se sono presenti in modo massiccio e rigido, senza possibilità di essere riviste o modificate, e se l’individuo che le possiede non tiene più conto della realtà circostante, né delle reali capacità interne, ed arriva a credersi superiore a tutti gli altri, più furbo, più intelligente, più ricco, o più bello di chiunque altro, al di sopra della legge e della morale, siamo di fronte ad un disturbo di personalità narcisistico. Sebbene sia estremamente difficile, se non impossibile e probabilmente nocivo, passare da un tipo di organizzazione della personalità ad un altro, il cambiamento all’interno dello stesso continuum è realizzabile.
In conclusione, possiamo definire il temperamento la componente biologica e genetica della personalità e considerare quest’ultima come la somma delle principali strategie di adattamento all’ambiente, quest’ultime sono basate sia su comportamenti esterni sia su processi inconsci che mediano tra impulsi e desideri e realtà circostante. Talvolta, come nei disturbi di personalità, tali strategie, che sono state utili in certe circostanze particolari o che sono state apprese e rinforzate dall’approvazione altrui, si rivelano non più efficaci o capaci di adattarsi ai cambiamenti esterni e diventano, pertanto, disfunzionali.
La personalità, non è quindi qualcosa di innato, né immodificabile, ne valutabile in termini di forza/debolezza, o giusto/sbagliato, è più opportuno definirla in termini di funzionale/non funzionale o adattiva/disadattiva. L’idea che si nasce in un certo modo e che il proprio modo di essere e di interagire con gli altri dipenda da fattori non controllabili (il fato, il destino, gli astri, i geni) è spesso usata come giustificazione alla difficoltà del cambiamento; questa idea crea aree di non pensabilità, di mancanza di pensiero e riflessione su se stessi, amputando le proprie capacità di crescita e di consapevolezza.
Il DSM-V supera la controversia su quale tipo di diagnosi, dimensionale o categoriale, meglio catturi le caratteristiche dei DP, proponendo un modello ibrido che coniuga la possibilità di misurare il Funzionamento della Personalitàcon lo studio descrittivo dei disturbi.Nello specifico, il Funzionamento della Personalità viene valutato prendendo in considerazione due domini: il dominio del séche si riflette nelle dimensioni dell’identità e dell’auto-determinazione e il dominio interpersonale che comprende le dimensioni dell’empatia e dell’intimità.Per identità si intende l’esperienza di sé come essere unico, con chiari confini tra sé e gli altri, stabilità dell’autostima e accuratezza nell'auto-valutarsi; capacità e abilità di regolare varie esperienze emotive.Per autodeterminazione si intende: la capacità di perseguire obiettivi coerenti e significativi sia a breve termine che esistenziali, di utilizzare standard di comportamenti interni costruttivi e prosociali, di riflettere su sè stessi in maniera produttiva. Per empatia si intende: la comprensione e l'apprezzamento delle esperienze e delle motivazioni altrui, la tolleranza di prospettive diverse, la comprensione degli effetti del proprio comportamento sugli altri.Per intimità si intende: profondità e durata di relazioni interpersonali gratificanti, desiderio e capacità di vicinanza, reciprocità. In ciascuna di queste dimensioni il paziente può essere valutato su una scala da 0, (corrispondente all’assenza di deficit) a 4 (che indica, invece, una compromissione estrema).
Modelli teorici dei disturbi di personalitàLa teoria interpersonale prevede che lo sviluppo della personalità dipenda dal tipo di esperienze relazionali avvenute nei primi anni di vita. La persona assumerebbe un comportamento interpersonale disfunzionale non perché non sa come interagire con gli altri che ha di fronte in un dato momento, ma semplicemente perché mette in atto uno o più comportamenti che hanno avuto luogo all’interno di una relazione di attaccamento problematica (con i genitori ad esempio).La teoria cognitiva considera i DP come il risultato dell’interazione tra la predisposizione genetica a certi tratti di personalità e le esperienze di vita precoci. Così, ad esempio, un paziente ossessivo potrebbe aver avuto da bambino la predisposizione innata a raggiungere la perfezione; ma i significati che quel bambino attribuirà alle sue esperienze infantili, specialmente a quelle negative e traumatiche, contribuiranno ad accentuare l’espressione di quell'inclinazione innata.Ne consegue che travisamenti, difetti di percezione e distorsioni cognitive, ovvero modalità di pensiero disfunzionali, daranno luogo a risposte, emotive e comportamentali, chiaramente disadattive e che errori sistematici e persistenti nell’elaborazione dell’informazione contribuiranno al mantenimento del disturbo.Il modello metacognitivo interpersonaleindividua alcuni elementi fondamentali caratteristici dei DP:insieme complesso di stati mentali problematici (emozioni, pensieri, ricordi, processi cognitivi di elaborazione dell’informazione) che tendono a caratterizzare l’esperienza interna di tali pazienti;scarse abilità metacognitive (ovvero scarsa capacità di riflettere sui propri processi di pensiero) che includono: difficoltà nel riconoscere e nel descrivere le proprie emozioni ed i propri pensieri e nello stabilire nessi di causa-effetto tra eventi, pensieri, emozioni e comportamenti (deficit di autoriflessività); difficoltà ad assumere una distanza critica dalle proprie convinzioni disfunzionali e ad osservarle da un’altra prospettiva (deficit di differenziazione); difficoltà a leggere la mente altrui o ad abbandonare il proprio punto di vista per comprendere meglio cosa guida gli altri ad agire, sentire, pensare in un determinato modo (deficit di decentramento); difficoltà ad adottare una visione d’insieme delle diverse rappresentazioni di Sé e dell’Altro che entrano in gioco al mutare delle relazioni sociali (deficit d’integrazione);presenza di schemi interpersonali (rappresentazioni di Sé, dell’Altro e della relazione) rigidi e disfunzionali che ostacolano i rapporti con le altre persone;instaurarsi di cicli interpersonali patogeni per i quali il paziente con DP parte da una rappresentazione di Sè ("non posso essere amato") e interagisce con gli altri avendo in testa delle aspettative negative ("nessuno mi amerà"). Questo fà sì che i suoi comportamenti siano viziati da questi pregiudizi tanto da determinare negli altri proprio quelle reazioni e quei comportamenti (ad esempio di distanza o di rifiuto) che il soggetto si aspettava. Questo ciclo interpersonale convince definitivamente il paziente della veridicità e validità degli schemi che ha di sè e degli altri e perpetua il disturbo facendogli instaurare cicli interpersonali simili in tutte le circostanze della vita.;difficoltà a raccogliere gli indicatori interni (emozioni, desideri, punti di vista) ed utilizzarli come guida nell’azione (deficit di agentività).
Dott. Alessandro Monno
Temperamento, carratere, personalità

Inviato:
16/12/2013, 19:18
da Royalsapphire
Disturbo evitanteIl Disturbo Evitante di Personalità (DEP) è undisturbo di personalità caratterizzato dal timore eccessivo della disapprovazione, della critica e dell’esclusione da parte degli altri.La conseguenza è una notevole restrizione del numero di amici e conoscenti e di occasioni relazionali, delle quali vengono sempre enfatizzati i possibili aspetti negativi. E' riscontrabile una condizione di preminente "disagio e ansia sociale” ed una marcata tendenza a svolgere una vita routinaria che ponga questi soggetti al riparo dai potenziali rischi costituiti dalla novità. Per poter vivere sensazioni positive e gratificanti, anche se momentanee, gli evitanti coltivano interessi ed attività solitarie (es. musica, lettura, chat).Il ritiro sociale, sebbene protegga la persona dall’ esporsi e dallo sperimentare il malessere dell’inferiorità, del senso di inadeguatezza, del senso di esclusione conduce, alla fine, ad una esistenza priva di stimoli, triste, con un visibile senso di vuoto. L’umore depresso o le crisi di panico sono le motivazioni che possono spingere il soggetto a richiedere un intervento psicologico.L’abbassamento del tono umorale può diventare molto serio e sfociare, addirittura, in idee di suicidio. Per affrontare il malessere legato alla depressione, a volte i pazienti evitanti possono abusare di sostanze (alcool, droghe, psicofarmaci ecc...) Come si manifesta il disturbo?Gli aspetti centrali del DEP possono essere così riassunti:rappresentazione di Sé caratterizzata da un senso di inadeguatezza, inettitudine, inferiorità, non amabilità, impaccio, diversità ed estraneità;rappresentazione dell’Altro come giudicante, rifiutante, costrittivo, umiliante;difficoltà a trovare elementi di condivisione con l’altro;difficoltà ad identificare gli stati mentali ed emotivi propri ed altrui a partire da stati somatici, espressioni facciali e comportamentali;estrema sensibilità a sperimentare sentimenti di imbarazzo e vergogna;difficoltà a riconoscere le cause che determinano le proprie emozioni;difficoltà a distinguere tra le proprie rappresentazioni interne delle relazioni sociali e la realtà esterna;difficoltà a costruire una rappresentazione matura e articolata della mente dell’altro al posto dell’immagine ricorrente dell’altro come critico e rifiutante, e oppressivo;limitate competenze sociali;relazioni interpersonali rare o legate ad obiettivi specifici;evitamento di relazioni intime, sessuali o sentimentali;scarsa capacità di adattamento a nuove situazioni interpersonali e sociali. Quali sono le cause?I soggetti che sviluppano un DEP spesso hanno avuto genitori umilianti, rifiutanti, ridicolizzanti, inflessibili e particolarmente interessati a fornire un’immagine sociale impeccabile.La poca cura dei genitori, gli atteggiamenti costrittivi e sprezzanti non hanno favorito lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, intesa come la capacità di riconoscere in se stessi e negli altri gli stati emotivi e ad utilizzarli per la risoluzione di problematiche riguardanti la routine quotidiana.Il DEP può anche essere causato dall’uscita da un ambiente familiare caldo, accudente e protettivo e dall’inserimento in un contesto extra-familiare aggressivo, denigrante e giudicante. Quante e quali persone ne soffrono?Il DEP sembra essere ugualmente frequente nei maschi e nelle femmine. La prevalenza del DEP nella popolazione generale è tra lo 0,5% e l’1,0%. Il DEP è stato riportato come presente in circa il 10% dei pazienti ambulatoriali osservati in cliniche per malattie mentali. In cosa consiste il trattamento psicoterapeutico?I soggetti con DEP spesso cercano una terapia a causa di episodi di attacchi di panico o di uno stato depressivo.Per il trattamento del DEP si sono rilevati efficaci trattamenti psicoterapeutici individuali e di gruppo.I pazienti evitanti possono trarre vantaggio dalla Terapia Cognitivo-Comportamentale in particolare dai processi di ristrutturazione cognitiva volti a modificare gli errori di ragionamento contenuti nei loro pensieri e gli schemi disfunzionali che sono alla base del comportamento evitante.Le tecniche comportamentali come, ad esempio, la desensibilizzazione sistematica, l’esposizione in immaginazione o in vivo e i training di rilassamento, aiutano i pazienti a disconfermare le loro aspettative catastrofiche e a tollerare e gestire eventuali episodi di disapprovazione o rifiuto.I training sull’assertività e sulle abilità sociali consento l’acquisizione di specifiche conoscenze e strumenti volti a fronteggiare svariate situazioni e a favorire relazioni interpersonali positive.Talvolta risulta utile integrare al lavoro individuale l’utilizzo dei gruppi di social skills training improntati allo sviluppo delle competenze sociali, ma solo nella fase finale del trattamento. L’evitante ha bisogno di lavorare, spesso a lungo, con il terapeuta individuale per rappresentarsi se stesso e la mente degli altri in modo più articolato e meno minaccioso. Nel momento in cui tali abilità saranno acquisite e gli stati di timore del giudizio meglio modulati, il paziente potrà beneficiare del gruppo per potenziare il decentramento (la capacità di comprendere i punti di vista altrui), per ottenere informazioni dagli altri pazienti sul proprio stile comunicativo e per costruire un senso di appartenenza e di collaborazione insieme agli altri pazienti del gruppo. Un altro approccio terapeutico è la Terapia Metacognitiva Interpersonale che, attraverso la narrazione della propria autobiografia, tenta di sollecitare le capacità del paziente di:1. differenziare tra immaginazione e realtà, in particolare nel considerare le rappresentazioni negative di sé con l’altro come ipotetiche e non specchio di una realtà oggettiva;2. evocare rappresentazioni alternative che il paziente possiede, ma che sono mascherate dagli stati mentali problematici dominanti;3. promuovere nuovi comportamenti in sostituzione di quelli abituali;4. formare una rappresentazione integrata di sé che tenga conto delle contraddizioni psicologiche e degli errori di ragionamento del paziente, quali il notare sistematicamente intenzioni ostili nell’altro oppure strategie del tipo "se evito, di sicuro non subisco il giudizio negativo”;5. leggere con maggiore sensibilità le intenzioni degli altri;6. distinguere i segnali di ostilità attesi da quelli effettivi e decentrare, ovvero assumere il punto di vista dell’altro non influenzato dalle proprie aspettative negative. Il Trattamento farmacologicoVarie classi di psicofarmaci, come gli antidepressivi di tipo triciclico (TCA), gli inibitori delle Mono-Amino-Ossidasi (IMAO), gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) e gli inibitori duali di serotonina e noradrenalina (SNRI), possono essere utili nel ridurre la sensibilità individuale al timore del rifiuto, della critica e ai sentimenti di imbarazzo e vergogna. Le benzodiazepine (BDZ) sono indicate per il trattamento di stati ansiosi o di panico, nervosismo e tensione causati dal dover far fronte a situazioni sociali solitamente evitate. I β-bloccanti si sono rilevati efficaci per gestire l’iperattività del Sistema Nervoso Autonomo (sudorazione, tremori, arrossamenti, ecc.) che si manifestano quando si affrontano situazioni temute.
Temperamento, carratere, personalità

Inviato:
16/12/2013, 19:20
da Royalsapphire
Dsturbo borderlineIl Disturbo Borderline di Personalità (DBP) è undisturbo di personalità caratterizzato da un quadro sintomatologico complesso e variegato ben descritto nel DSM-V che fornisce un’immagine del paziente molto vicina a quella che frequentemente si osserva nella pratica clinica.Si tratta, fondamentalmente, di un disturbo della regolazione delle emozioni, ovvero della capacità a gestire in modo funzionale esperienze emotive negative e spiacevoli, che conduce ad una instabilità non solo delle emozioni stesse, ma anche dell’identità, dei comportamenti e delle relazioni con gli altri.È così che tali pazienti spesso cambiano umore con molta facilità e possono addirittura provare emozioni contrastanti nello stesso momento. Lamentano il fatto di non sapere più "chi sono” o "cosa vogliono”, mostrando grande difficoltà nell’esprimere le proprie scelte, le proprie preferenze e assumendo un ruolo diverso a seconda del contesto e della situazione in cui si trovano.Molto spesso la sofferenza sperimentata si traduce in comportamenti impulsivi (suicidio o gesti autolesivi, come tagliarsi, procurarsi delle bruciature) o in altre attività dannose per il soggetto (ad esempio abbuffate, abuso di sostanze, guida spericolata).I rapporti con gli altri sono estremamente problematici, quasi sempre falliscono o, comunque, risultano emotivamente distruttivi. Come si manifesta Il Disturbo di personalità borderline?Si manifesta attraverso una compromissione sia dell’immagine di sé che del modo in cui vengono vissute le relazioni con le altre persone.Nello specifico, il soggetto si percepisce in modo critico, severo e le due rappresentazioni di sé maggiormente ricorrenti sono quelle del sé indegno e del sé vulnerabile.Il sé indegno si esprime frequentemente con pensieri del tipo: "Sono sbagliato”, "Sono cattivo”, "Non valgo nulla”, che sottendono la paura di essere abbandonato non appena l’altro si accorgerà di questa indegnità. Di fronte a tale pericolo, il paziente impiegherebbe tutte le sue forze per cercare di garantirsi la vicinanza e l’amore dell’altro e spesso adotta una strategia che si concretizza nella tendenza ad autoinvalidarsi, ovvero a non assecondare il proprio punto di vista, i propri bisogni e desideri, conformandosi all’altro in ogni momento. A lungo andare, però, tale comportamento può provocare nel soggetto borderline un senso di costrizione e l’emozione che ne deriva è la rabbia, quasi sempre agita impulsivamente, o verso l’altro, con litigi violenti, o verso se stesso, con il ricorso, ad esempio, a condotte autolesive. In risposta alla percezione dell’abbandono possono comparire anche sintomi depressivi.ll sé vulnerabile, o fragile, si riferisce alla percezione di essere facilmente feribile ed esposto alle minacce di un mondo pericoloso, senza alcuna possibilità di ricevere aiuto. In questo caso prevalgono l’ansia, la paura, un senso di solitudine e, in situazioni particolarmente stressanti, si manifestano anche sintomi dissociativi, durante i quali il soggetto ha la sensazione di non essere presente a se stesso.Uno stato che spesso accomuna entrambe le rappresentazioni di sè è un sentimento cronico di vuoto che consiste nell’assenza di scopi e al quale il paziente può reagire ricorrendo a comportamenti disfunzionali, come gesti autolesivi o, addirittura, suicidio.La rappresentazione che il soggetto borderline ha dell’altro oscilla sostanzialmente tra due poli: idealizzazione e svalutazione. Succede, pertanto, che in alcuni momenti l’altro (genitore, amico, partner, collega) venga percepito in modo assolutamente positivo (ad esempio: "buono”, "affidabile”, "disponibile”), mentre in altri venga rappresentato nel modo opposto, con grande difficoltà da parte del paziente a considerare le due immagini contrastanti come parti della stessa persona che, semplicemente, a volte "è buona”, a volte "è cattiva”. Ne conseguono cambiamenti improvvisi d’umore e/o scatti d’ira che a lungo andare suscitano irritazione nell’altro che, stanco dell’instabilità del rapporto, si allontana o interrompe la relazione, confermando così la convinzione del paziente di essere indegno e non meritevole di amore. Quante e quali persone ne soffrono?Il DBP è il disturbo di personalità che più comunemente giunge all’osservazione clinica. Le percentuali di prevalenza si collocano tra lo 0.2% e l’1.8% nella popolazione generale, ma aumentano se si campionano i pazienti all’interno del sistema di salute mentale, variando dal 8% all’11% nei pazienti ambulatoriali e dal 14% al 20% in quelli ospedalizzati.L’incidenza è stimata tra il 2% e il 5%.Il DBP si osserva maggiormente tra i giovani, interessando soprattutto il sesso femminile, e circa il 10% dei pazienti muore per suicidio. Quali sono le cause del disturbo?Tra le cause del DBP, quella che sembrerebbe spiegare meglio la caratteristica distintiva del disturbo, ovvero la disregolazione emotiva, è la crescita in un ambiente invalidante, un ambiente nel quale l’espressione degli stati interni (emozioni, pensieri, sensazioni fisiche) del soggetto non solo non viene riconosciuta, ma spesso banalizzata o, addirittura, punita. È un ambiente che non tollera le manifestazioni di sofferenza, considerate un ostacolo alla risoluzione di problemi, e che denigra ogni tentativo autonomo di esperienza da parte del soggetto. Sono spesso presenti anche un atteggiamento ed uno stile comunicativo maltrattanti ed abusanti. Tale contesto esercita diversi effetti patogeni sul soggetto che, innanzitutto, ha difficoltà sia a riconoscere e ad esprimere i propri stati interni che a modularli; ha difficoltà a tollerare lo stress della frustrazione e ha quasi sempre bisogno di un appoggio esterno per avere indicazioni sicure su cosa pensare o sentire e su come agire.Un ruolo importante nello sviluppo nel DBP è giocato anche dalla presenza di fattori genetico-temperamentali responsabili della vulnerabilità emotiva del soggetto, ovvero della tendenza a reagire in modo intenso e rapido di fronte a stimoli emotivi anche minimi. In cosa consiste il trattamento psicoterapeutico?Esistono diversi tipi di orientamenti psicoterapeutici per il trattamento del DBP. La terapia cognitivo-comportamentale parte dal presupposto che alcune credenze di base disfunzionali, il pensiero dicotomico e un senso precario dell’identità costituiscono gli aspetti che maggiormente caratterizzano il paziente borderline. Nello specifico le credenze di base nel DBP sarebbero: 1) il mondo è pericoloso; 2) sono vulnerabile e privo di potere; 3) sono inaccettabile. Tali credenze influenzerebbero i pensieri automatici del paziente, dando luogo a distorsioni cognitive. Quella più comune nel DBP è il pensiero dicotomico che corrisponde ad una valutazione estrema delle situazioni in termini di categorie che si escludono a vicenda (ad esempio, buono/cattivo). Ciò condurrebbe i pazienti borderline alle loro reazioni emotive eccessive e alle loro azioni impulsive e autodistruttive. L’obiettivo della terapia è individuare e modificare pensieri e credenze disfunzionali, sostituendoli con altri più adattivi. La Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT -Marsha Linehan) si basa sull’assunto per cui il paziente borderline sarebbe caratterizzato da una difficoltà a gestire emozioni intense (disregolazione emotiva). Lo scopo complessivo di tale approccio è aiutare il paziente a modificare le sue tipiche condotte estreme a favore di risposte più equilibrate e funzionali. Nello specifico, alcuni dei bersagli comportamentali che la DBT si prefigge di raggiungere consistono nel:ridurre i comportamenti suicidari;ridurre i comportamenti che interferiscono con la terapia (ad esempio, non presentarsi alle sedute, non eseguire i compiti assegnati);ridurre i comportamenti che interferiscono con la qualità della vita (ad esempio, abuso di sostanze, comportamenti sessuali non protetti);incrementare il rispetto di sé. Le strategie utilizzate per realizzare tali obiettivi sono varie, ma il nucleo dell’intervento è senza dubbio la validazione che consiste nel comunicare al paziente che le sue reazioni, emotive e comportamentali, hanno un senso e sono comprensibili se si considerano la sua condizione attuale, i fattori ambientali e le situazioni che occorrono.La DBT si sviluppa su due piani: il trattamento individuale e il trattamento di gruppo.Nel trattamento individuale si lavora sui vissuti del paziente; nel trattamento di gruppo vengono insegnate specifiche abilità (ad esempio, abilità di problem solving, abilità di mindfulness) volte a favorire una gestione più efficace di situazioni problematiche e di stati di sofferenza. La Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) si concentra primariamente sulla regolazione di stati mentali problematici che si attivano sia in seduta che fuori .Dopo di che vengono insegnate strategie di mastery, o di regolazione emotiva, che possono aiutare il paziente a gestire in modo più funzionale lo stato problematico. Tale intervento è necessario per consentire il superamento di dinamiche relazionali patologiche (cicli interpersonali) che facilmente si innescano tra terapeuta e paziente. Altro aspetto centrale nel trattamento del DBP secondo l’approccio metacognitivo interpersonale è il lavoro sulle disfunzioni metacognitive che includono, oltre alla disregolazione emotiva, il deficit d’integrazione e il deficit di differenziazione. Il trattamento farmacologicoI farmaci risultati efficaci nel trattamento del DBP sono gli antipsicotici di seconda generazione, gli stabilizzatori dell’umore e gli antidepressivi. Gli antipsicotici di seconda generazione ottengono effetti significativi sia sulla riduzione dei sintomi peculiari del DBP (instabilità affettiva, rabbia, ostilità) sia sul miglioramento dei sintomi comunemente associati (ansia, depressione, sintomi psicotici). Gli stabilizzatori dell’umore mostrano effetti positivi nella riduzione delle problematiche interpersonali e nel miglioramento della depressione e della rabbia. Per quanto riguarda gli antidepressivi, esistono solo poche prove di efficacia che suggeriscono l’uso dei triciclici come trattamento specifico in presenza di depressione e ideazione suicidaria
Temperamento, carratere, personalità

Inviato:
16/12/2013, 19:21
da Royalsapphire
Disturbo antisocialeIl Disturbo Antisociale di Personalità (DAP) è undisturbo di personalità caratterizzato principalmente da inosservanza e violazione dei diritti degli altri che si manifestano in un soggetto maggiorenne, almeno dall’età di 15 anni.L’infanzia è di solito caratterizzata da piccoli furti, menzogne e scontri con chi rappresenta l’autorità. L’adolescenza è segnata generalmente da episodi di abuso di sostanze (marjuana, cocaina, eroina), gesti violenti nei confronti di persone, animali.Una volta adulti questi soggetti sono incapaci di assumersi responsabilità, conservare un’occupazione e mantenere una relazione affettiva in maniera stabile. Il modo di rapportarsi agli altri è drasticamente connotato dalla superficialità e dalla mancanza di rispetto per i sentimenti e le preoccupazioni di chi li circonda.Gli antisociali non conoscono sentimenti come la gratitudine e il rimorso, mentre frequentemente provano rabbia, noia, disprezzo e indifferenza. Sono tendenzialmente prepotenti, aggressivi, impulsivi, incapaci di amare e portati a sfruttare chiunque possa soddisfare i loro bisogni. Tendono a mostrare un comportamento irritabile e aggressivo verso gli altri e ad essere cinici e sprezzanti nei confronti dei sentimenti e delle sofferenze altrui. Questi individui mostrano anche comportamenti di non salvaguardia della propria salute personale (comportamenti sessuali non protetti, uso di sostanze stupefacenti, comportamenti di guida spericolati). Le decisioni vengono prese sotto l’impulso del momento, senza considerazione delle conseguenze per sé e per gli altri. Come si manifesta il Disturbo Antisociale di Personalità?Gli elementi caratteristici del DAP possono essere così riassunti:senso grandioso di autostima;incapacità di accettare le norme sociali come regole del comportamento sociale;irresponsabilità nei rapporti interpersonali;incapacità di provare emozioni come il senso di colpa e la vergogna;assenza di gratitudine e di rimorso;frequente sperimentazione della rabbia, della noia e del disprezzo;bisogno di stimolazione e tendenza alla noia;incapacità di apprendere dall’esperienza;mancanza di coscienza morale e di umana simpatia;egoismo, incapacità di lealtà, insensibilità verso gli altri;tendenza ad essere indifferenti, cinici e sprezzanti nei confronti dei sentimenti altrui;impulsività;temperamento disinibito;assenza di timore delle punizioni;incapacità di imparare dall’esperienza e dalle punizioni;tendenza a biasimare gli altri o ad offrire plausibili razionalizzazioni per il loro comportamento;incapacità di provare empatia, cioè di comprendere i sentimenti degli altri, in particolare di come gli altri si sentono per le conseguenze delle loro azioni;incapacità di identificarsi con la vittima;incapacità di provare sentimenti di colpa per gli effetti che le proprie azioni lesive producono sulle altre persone;sfruttamento degli altri per il proprio tornaconto personale;stile relazionale sado-masochistico fondato sul potere piuttosto che sul legame affettivo;bassa tolleranza alla frustrazione;basso evitamento del pericolo; ed infine, bassa dipendenza dalla ricompensa. Quante e quali persone ne soffrono?La prevalenza del DAP è pari al 3% nei maschi e all'1% nelle femmine nella popolazione generale, e aumenta al 3-30% in ambiente clinico. Percentuali di prevalenza anche superiori si riscontrano in ambienti di trattamento per l’abuso di sostanze e in ambito carcerario o forense. Il DAP è molto più frequente negli strati socioeconomici più svantaggiati della popolazione. Ciò è dovuto a due fattori: da una parte i pazienti con DAP incontrano difficoltà in ambito lavorativo; dall’altra, spesso crescono in un ambiente la cui subcultura è già connotata in senso antisociale. Quali sono le cause?Lo sviluppo di una struttura di personalità antisociale sembra essere il frutto dell’interazione tra componente psicobiologica ereditaria, fattori organici e fattori ambientali.La componente psicobiologica è rappresentata dai seguenti elementi: elevata ‘Ricerca della Novità’, basso ‘Evitamento del Pericolo’ e bassa ‘Dipendenza dalla Ricompensa’. I soggetti con DNP vanno alla ricerca di situazioni e sensazioni nuove; sono avventurosi, facilmente annoiati dalla routine, impulsivi, irriflessivi e non amano assoggettarsi a regole. Il basso evitamento del pericolo li rende poco ansiosi, anche in condizioni che rendono ansiose la maggior parte delle persone, spingendoli ad assumersi rischi irragionevoli. La scarsa dipendenza dalla ricompensa li rende poco empatici e in genere poco sensibili ai sentimenti o ai diritti degli altri.Tra i fattori organici che sembrano essere alla base di una personalità antisociale ci sono: squilibri ormonali e neurochimici; iperattività del sistema nervoso autonomo; alterazioni neuropsicologiche misurate attraverso la presenza di anomalie dell’EEG (onde lente, in particolare theta, localizzate talvolta al lobo temporale o scariche di punte positive).Per quanto concerne i fattori ambientali si è visto che il disturbo ha alla base: una separazione familiare nel 25% dei casi; alcolismo in almeno uno dei membri della famiglia nel 31% dei casi; precedenti medico-legali nella famiglia nell’11% dei casi; precedenti psichiatrici nel padre nel 24% dei casi; precedenti psichiatrici nella madre nel 15% dei casi; precedenti psichiatrici nei fratelli nel 7% dei casi.Le acquisizioni scientifiche permettono, inoltre, di affermare che chi è affetto da DAP abbia difficoltà ad entrare in contatto profondo con le emozioni e le sensazioni degli altri. Tale difficoltà potrebbe essere causata da un danneggiamento a carico dei neuroni specchio, un set di cellule cerebrali che consentono agli esseri umani di sintonizzarsi con i sentimenti altrui. In cosa consiste il trattamento psicoterapeutico?I pazienti con DAP raramente richiedono la terapia volontariamente perché non sono consapevoli di avere un disturbo. Di solito, l’inizio di un percorso psicoterapico è successivo alla diagnosi di "psicopatia" fatta in tribunale a seguito di procedimenti penali in cui sono stati imputati. Il ricovero in ambienti come, ad esempio, gli ospedali psichiatrici, è il prerequisito essenziale per la pianificazione di trattamenti farmacologici e psicoterapici, i cui eventuali risultati possono comunque svanire con il tempo o una volta che il soggetto cambia ambiente.La Terapia Cognitivo-Comportamentale si basa sul presupposto che il cambiamento degli stati emotivi e dei comportamenti possa avvenire attraverso la ristrutturazione delle distorsioni cognitive specifiche del DAP. Alcuni degli errori di ragionamento più frequenti nei soggetti che soffrono di tale disturbo sono, ad esempio, le giustificazioni "Volere qualcosa o voler evitare qualcosa giustifica le mie azioni”; l’infallibilità personale "Faccio sempre la scelta giusta”; i sentimenti fanno i fatti "So che ho ragione perché mi sento apposto rispetto a quello che ho fatto’; l’impotenza degli altri " I punti di vista degli altri sono irrilevanti per le mie decisioni”.Nelle fasi avanzate del trattamento gli sforzi sono diretti a individuare quelle situazioni di vita che tendono a scatenare nel paziente cattive condotte ed errori di ragionamento e per promuovere lo sviluppo di strategie di fronteggiamento funzionali innanzi alle inevitabili ed imprevedibili pressioni della vita. Il trattamento farmacologicoLe terapie farmacologiche di solito prescritte per il trattamento dei sintomi secondari alla struttura personologica (ad esempio, ansia, panico, vergogna, umore basso) non sono di grande efficacia in presenza di un DAP, dato che in questi soggetti tali sintomi risultano rari, oppure pressochè momentanei o addirittura assenti.Importante sembra essere l’assunzione degli SSRI e degli stabilizzatori dell’umore (carbonato di litio) per la riduzione della frequenza e dell’intensità sia dei comportamenti impulsivi che delle esplosioni di aggressività.Altri farmaci che mostrano efficacia sono le sostanze volte alla soppressione degli ormoni sessuali, che sono legati alla manifestazione dell’aggressività.Nonostante il DAP abbia un decorso cronico, alcuni comportamenti antisociali come gli acting-out (passaggio impulsivo all’azione senza riflessione) e gli atteggiamenti aggressivi tendono a diminuire man mano che l’individuo diventa più adulto (in particolare dai 40 anni di età), proprio per il decremento degli ormoni e della forza fisica. Di solito questi pazienti si oppongono al trattamento farmacologico a causa della perdita della propria potenza sessuale e della riduzione dell’impulsività che vengono interpretate come incremento della propria vulnerabilità personale.
Temperamento, carratere, personalità

Inviato:
16/12/2013, 19:22
da Royalsapphire
Disturbo ossessivo-compulsivo di personalitàIl Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità (DOCP) è un disturbo di personalitàcaratterizzato dalla tendenza al perfezionismo e al raggiungimento di elevati standard di prestazione che si traducono in una attenzione minuziosa per i dettagli, le procedure, le liste, tanto che, spesso, viene perso di vista l’obiettivo finale del compito. Sono presenti, inoltre, eccessiva preoccupazione per l’ordine, perseveranza, ostinazione, indecisione, difficoltà a manifestare le proprie emozioni e tendenza ad essere molto coscienziosi, moralisti e critici, soprattutto verso i propri errori.I soggetti affetti da tale disturbo sono convinti che le regole vadano seguite in modo rigido e mostrano grande difficoltà nel tollerare quelle che considerano infrazioni. Ne conseguono mancanza di flessibilità, bassa tolleranza alla frustrazione e difficoltà a sperimentare situazioni nuove o a correre rischi. Come si manifesta il Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità?I soggetti con DOCP presentano comportamenti coerenti con le seguenti caratteristiche:eccessiva dedizione al lavoro e alla produttività, al punto da minimizzare l’importanza dei momenti di svago e delle amicizie;difficoltà a completare compiti e a raggiungere obiettivi legati a standard interni di comportamento rigidi e irragionevolmente elevati e inflessibili;atteggiamenti eccessivamente moralistici e coscienziosi;difficoltà ad empatizzare, ovvero a comprendere e ad apprezzare idee, sentimenti e comportamenti altrui;rigida insistenza sul fatto che ogni cosa sia impeccabile, perfetta, senza errori o difetti;convinzione che ci sia solo un modo giusto di fare le cose;difficoltà a cambiare idea o punto di vista;preoccupazione per i dettagli, l’organizzazione e l’ordine;tendenza a perseverare, ovvero a mantenere lo stesso comportamento nonostante ripetuti fallimenti.Ne deriva uno stile di vita basato prevalentemente e rigidamente sui doveri che, tuttavia, non sempre danno luogo al conseguimento di prestazioni brillanti. Al contrario, tali pazienti, a causa della difficoltà a stabilire priorità e ad ordinare in modo razionale i propri compiti ed interventi, spesso si trovano bloccati, ritenendo che il tempo non sia mai sufficiente e l’impegno profuso mai abbastanza.Dal punto di vista emotivo, tali pazienti sono convinti che le proprie sensazioni e le proprie emozioni debbano essere sempre controllate, fondamentalmente perché considerate come "qualcosa di sbagliato” e, quindi, come una potenziale minaccia al desiderio di essere amati e accettati dagli altri. Appaiono, pertanto, rigidi e impostati e difficilmente si lasciano andare, tanto da essere definiti "freddi”, "poco espansivi”.Comunque, le emozioni maggiormente sperimentate sono:l’ansia causata da pensieri di tipo catastrofico ("Sono un totale fallimento”; "Sono una completa delusione”) e da doverizzazioni ("Devo essere sempre al cento per cento”; "Devo dare sempre il meglio di me”);la rabbia conseguente alla difficoltà di esprimere i propri vissuti emotivi, i propri desideri;la paura di essere criticati e puniti per eventuali errori commessi; il senso di colpa da irresponsabilità legato al timore di arrecare danno a sé o agli altri. Quante e quali persone ne soffrono?Studi epidemiologici suggeriscono una prevalenza del DOCP di circa l’1% nella popolazione generale e di circa il 3-10% tra gli individui che si presentano all’osservazione clinica.Il disturbo interessa maggiormente il sesso maschile (rapporto 2:1), si manifesta all’inizio dell’età adulta per poi raggiungere l’apice fra i 40 e i 50 anni ed è più comune tra i consanguinei di primo grado di persone con questo disturbo.Circa il 50% della popolazione DOCP non è coniugata. La gravità del disturbo, infatti, ostacola la possibilità di instaurare relazioni sentimentali; se esso si manifesta dopo il matrimonio, la qualità del rapporto è compromessa, ma non sempre in misura tale da costituire causa di separazioni e/o divorzi. Quali sono le cause?Un ruolo rilevante nell’insorgenza del DOCP sembra essere rivestito da alcune caratteristiche riscontrabili nei genitori di questi pazienti. Sarebbero genitori ipercontrollanti e poco affettuosi, estremamente responsabilizzanti e rimproveranti. Richiederebbero cioè un senso di responsabilità e una maturità assolutamente sproporzionati rispetto all’età del figlio, vedendo in questi solo un adulto in miniatura, e porrebbero grande enfasi sui valori morali e sui principi etici proibendo contemporaneamente tutte le emozioni che appaiono incompatibili con tali valori (rabbia, sessualità, ecc.). Tali caratteristiche contribuirebbero alla costruzione di una relazione di attaccamento caratterizzata da bassa cura, alto controllo e ambiguità: la figura di riferimento invierebbe sistematicamente messaggi contraddittori, comunicando affetto e apprezzamento sul piano verbale, ma freddezza e disapprovazione su quello non verbale. In cosa consiste il trattamento psicoterapeutico?I soggetti con DOCP spesso cercano una terapia a causa di disturbi di natura psicofisiologica. Infatti, tali pazienti, a causa della difficoltà a scaricare le proprie tensioni interne e della tendenza a reprimere le proprie emozioni, spesso presentano manifestazioni di tipo psicosomatico come, ad esempio, attacchi d’ansia, impotenza sessuale, senso di stanchezza e sovraccarico.La Terapia Cognitivo-Comportamentale si pone come obiettivo fondamentale quello di favorire nel paziente i cambiamenti necessari a condurre uno stile di vita più flessibile e sereno. In particolare, il paziente viene aiutato a:riconoscere e accettare le proprie emozioni ed i propri stati d’animo, riducendo l’autocritica e l’autocolpevolizzazione rispetto a stati mentali positivi;alleviare il senso del dovere, dedicando del tempo anche ad attività piacevoli e rilassanti;porsi degli standard meno elevati;raggiungere una maggiore flessibilità riguardo ai principi etici e morali interiorizzati.Per raggiungere tali obiettivi, la terapia cognitivo-comportamentale ricorre ad una serie di tecniche e interventi che possono essere così schematizzati:- identificazione e messa in discussione delle convinzioni di base del paziente su se stesso e il mondo- validazione e accettazione, da parte del terapeuta, degli stati interni vissuti dal paziente come "sbagliati”;- tecniche di rilassamento;- esposizione graduale alle situazioni temute. La Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) mira invece in particolare a:- favorire la differenziazione, ovvero la capacità di distinguere tra fantasia e realtà;- promuovere l’accesso alle parti sane del Sé.- esplorare nuovi modi di relazionarsi volti ad arricchire il repertorio del Sé funzionante;- favorire l’integrazione tra rappresentazioni diverse del Sé e dell’Altro;- favorire il decentramento, ovvero la capacità di lettura e comprensione della mente altrui Il trattamento farmacologicoL’intervento farmacologico con i pazienti che soffrono di DOCP, se necessario, include generalmente l’uso di farmaci ansiolitici e antidepressivi, preferibilmente integrati con una psicoterapia. Il vantaggio della somministrazione di tali farmaci sta nel fatto che, alleviando l’ansia e la depressione che contribuiscono alla persistenza dei sintomi, i pazienti si mostrano più collaborativi, consentendo al terapeuta di intervenire sulla loro rigida struttura di personalità.
Temperamento, carratere, personalità

Inviato:
16/12/2013, 19:23
da Royalsapphire
Disturbo schizotipicoIl Disturbo Schizotipico di Personalità (DStP) è un disturbo di personalità che si caratterizza per una serie di aspetti peculiari che interessano il comportamento, il linguaggio, i pensieri, la percezione.I soggetti che ne soffrono si comportano, infatti, in modo strano, bizzarro presentando un aspetto e, spesso, anche un modo di vestire altrettanto insoliti. Possono dire cose inappropriate e il linguaggio che utilizzano è così vago o troppo elaborato e ricco di metafore da risultare incomprensibile. Hanno pensieri dal contenuto magico, superstizioso e dubitano frequentemente della lealtà e bontà altrui, fino a provare sentimenti di persecuzione. Riferiscono, inoltre, esperienze percettive insolite che possono interessare le diverse modalità sensoriali.La sensazione del soggetto schizotipico di essere diverso, unitamente agli effetti che le caratteristiche sopra menzionate hanno sulle relazioni interpersonali, contribuiscono all’isolamento sociale o comunque alla difficoltà del paziente di interagire con gli altri. Come si manifesta il disturbo?Le caratteristiche essenziali attraverso le quali si manifesta il DStP possono essere comprese meglio alla luce della rappresentazione Sé/Altro, ovvero del modo in cui il soggetto schizotipico percepisce se stesso e gli altri.L’immagine che prevale è di un Sé "inadeguato”, "inconsistente”, ma che desidera essere "adeguato”.L’Altro, invece, viene rappresentato come "umiliante”, "criticante”, "non accettante”.La risposta a tale rappresentazione è duplice: eccentricità e bizzarria da un lato, ritiro sociale dall’altro.La prima modalità di risposta si concretizza attraverso la tendenza del paziente a mostrare credenze e abitudini di comportamento piuttosto strane e a ricorrere ad un linguaggio davvero singolare. Egli può credere di possedere poteri paranormali (ad esempio, leggere il pensiero, avere un controllo magico sugli altri, prevedere il futuro), a volte attribuiti anche agli altri, ed è superstizioso; tende ad essere suscettibile alle offese, sospettoso e diffidente e può arrivare a maturare la convinzione che ci sia un complotto contro di lui.Spesso riporta percezioni insolite, come sentire la presenza di una persona o di voci, in realtà assenti.Il suo aspetto e il modo di presentarsi non passano "inosservati”, per la scelta di un look e di un abbigliamento che vanno dallo stravagante al trasandato.Può comportarsi in modo inappropriato, maldestro o socialmente inaccettabile (ad esempio, non chiedere scusa quando ce ne sia bisogno).Il linguaggio che utilizza ha significato solo per lui e spesso richiede un’interpretazione per la presenza di caratteristiche quali l’astrattezza, la confusività e la complessità con la quale vengono espressi i concetti, l’uso eccessivo di metafore.L’insieme di tali caratteristiche indurrebbe, nelle persone con le quali il soggetto schizotipico interagisce, una difficoltà a capire il suo modo di essere e di fare e a stabilire relazioni con lui. Ciò confermerebbe la sua percezione di essere inadatto e lo porterebbe ad isolarsi, o comunque ad intrattenere rapporti solo superficiali e a provare un forte senso di disagio e ansia quando è nella condizione di doversi relazionare all’altro.In situazioni di stress elevato, possono comparire anche sintomi depressivi. Quante e quali persone ne soffrono?Il DStP si manifesta in circa il 3% della popolazione generale con una prevalenza maggiore tra i consanguinei di primo grado degli individui schizofrenici. Una percentuale di soggetti schizotipici (intorno al 12%) sviluppa schizofrenia, di solito in una forma meno grave e da cui spesso guarisce.Non è noto quale sia il sesso maggiormente colpito. Il disturbo inizia in genere in età adulta ed i sintomi possono migliorare con l’età. Quali sono le cause?Le cause del DStP possono essere ricondotte oltre che a fattori genetici anche alle caratteristiche dell’ambiente familiare. Di solito, i genitori della persona che soffre di DStP sono stati emotivamente distanti, poco accudenti, confusivi nella comunicazione, umilianti. Dal profilo evolutivo emergono esperienze di umiliazione anche da parte di fratelli o coetanei con conseguente difficoltà a fidarsi dell’altro nelle relazioni. Ciò avrebbe contribuito alla costruzione della rappresentazione di sé come incapace e dell’altro come trascurante, umiliante. In cosa consiste il trattamento psicoterapeutico?Sono stati proposti diversi tipi di interventi psicoterapeutici per il DStP, ma sono pochi gli studi volti a valutarne l’efficacia. Sembra, comunque, che un requisito fondamentale per il successo di qualsiasi terapia sia la capacità di instaurare una relazione terapeutica profonda e di fiducia, considerata la difficoltà del paziente schizotipico a stabilire rapporti con gli altri e la frequente presenza di sospettosità e paranoia.Alla luce di questa riflessione, gli approcci psicoterapeutici più indicati risultano essere quelli di tipo cognitivo-comportamentale e di tipo supportivo.La Terapia cognitivo-comportamentale prevede generalmente un trattamento individuale che aiuti il paziente ad identificare e a modificare pensieri, emozioni e comportamenti disfunzionali.Le categorie di pensieri automatici frequentemente presenti nel DStP sono:1) sospettosità o pensieri paranoidei (ad esempio, "Quella persona sta guardando me?”);2) idee di riferimento (ad esempio, "Lo so che non piacerò a quelle persone”);3) pensiero magico (ad esempio, "So che cosa sta pensando”);4) illusioni (ad esempio, "Sento come se quella persona avesse il diavolo dentro di sé”).Le distorsioni cognitive tipiche sono quelle delragionamento emotivo, per cui l’individuo crede che se prova un’emozione negativa, allora deve esserci una corrispondente situazione negativa esterna, e la personalizzazione, per cui egli crede di essere responsabile di situazioni esterne senza che ve ne sia motivo.Un aspetto centrale del trattamento è insegnare al paziente a valutare i propri pensieri rispetto all’evidenza ambientale, ovvero all’esistenza di prove a favore o contro, e non rispetto alle sue sensazioni. Ad esempio, provare paura non vuol dire automaticamente che esista il pericolo. Questo riduce la tendenza a distorcere la realtà, o comunque a trarre conclusioni scorrette riguardo a situazioni interpersonali.Inoltre, poiché è molto probabile che tali pensieri continuino a caratterizzare la vita del soggetto, è importante insegnargli a trattare i pensieri come sintomi e che non bisogna rispondere ad essi con comportamenti ed emozioni.Un altro obiettivo della terapia è accrescere la capacità del paziente di sviluppare e mantenere una rete sociale, con conseguente aumento dell’adeguatezza sociale. Particolarmente utili a tale scopo sono il training delle abilità sociali ed il modellamento del comportamento appropriato e del modo di parlare. Il trattamento farmacologicoIl trattamento farmacologico, abbinato a quello psicoterapeutico, consente la gestione della maggior parte dei sintomi del DStP.Nello specifico, gli antipsicotici risultano efficaci per i sintomi psicotici (ad esempio, eccentricità e bizzarria del comportamento, esperienze percettive insolite, idee di persecuzione), senza provocare, almeno a bassi dosaggi, gravi effetti collaterali.Gli ansiolitici, a dosaggi moderati, sono raccomandabili in presenza di sintomi ansiosi.Gli antidepressivi riducono i sintomi depressivi, l’ideazione paranoidea, la sensibilità interpersonale e migliorano alcune caratteristiche peculiari secondarie come le ossessioni e le compulsioni.
Temperamento, carratere, personalità

Inviato:
16/12/2013, 19:26
da Royalsapphire
Disturbo narcisistico di personalitàIl Disturbo Narcisistico di Personalità (DNP) è un disturbo di personalità molto complesso, sia per la varietà delle caratteristiche cliniche e sintomatologiche sia per la difficoltà legata al trattamento.Gli elementi distintivi del disturbo riguardano fondamentalmente tre temi:1) idea grandiosa di sé;2) costante bisogno di ammirazione;3) mancanza di empatia.I narcisisti tendono a considerarsi migliori degli altri, ad esagerare le proprie capacità, ad esaltare i propri successi, apparendo spesso presuntuosi, e pensano di potersi permettere di avere o fare cose speciali che gli altri non possono permettersi.Una conseguenza della considerazione di sé in termini di superiorità è la necessità di ammirazione da parte degli altri che vengono idealizzati o svalutati a seconda che riconoscano o meno il loro status di persone uniche e speciali.Altra caratteristica basilare è la mancanza di empatia, ovvero della capacità di mettersi nei panni degli altri e di riconoscere che anche gli altri hanno desideri, sentimenti e necessità. Da questo deriva la convinzione dei narcisisti che le proprie esigenze vengono prima di tutto e che il loro modo di vedere le cose è l’unico giusto universalmente.Quello appena descritto è il lato cosiddetto overt (cioè visibile a tutti) del narcisismo, in cui prevalgono grandiosità, esibizionismo, ambizione, bisogno di ammirazione.Esiste poi il lato covert (sommerso) nel quale, invece, prevalgono sentimenti di inferiorità, fragilità, vulnerabilità, paura del confronto, ipersensibilità alla critica.Spesso le due facce coesistono, ma molti narcisisti possono mostrare più spiccatamente una delle due dimensioni. Come si manifesta il Disturbo narcisistico di personalità?I soggetti con DNP non si rivolgono allo psicoterapeuta proclamando la loro grandiosità, unicità e superiorità. Quello che manifestano è, in realtà, un quadro più complesso, fatto di emozioni negative e, spesso, di disturbi sintomatici e problematiche comportamentali che sono fondamentalmente l’espressione del mancato soddisfacimento del loro desiderio primario di essere riconosciuti per il proprio valore speciale. La condizione desiderata dai narcisisti, infatti, è quella in cui sperimentano grandiosità, superiorità, dominio sul mondo, efficacia personale e l’obiettivo della loro vita è permanere il più possibile in tale stato.Il verificarsi di eventi scatenanti (ad esempio, mancato riconoscimento in ambito professionale, rottura di relazioni, perdita di una gara, insuccesso scolastico) viene vissuto dai soggetti con DNP come indicativo del loro fallimento e della loro inefficacia.I narcisisti si confrontano con la percezione di essere un bluff, di "non valere niente” e sperimentano un’oscillazione negativa dell’autostima che diventa intollerabile. Si sentono tristi, provano vergogna, paura, angoscia e possono addirittura sviluppare precisi quadri sintomatologici, come attacchi di panico o stati depressivi che scaturiscono dal fatto che la rappresentazione temuta di sé (sé difettoso, sé fallimentare) si sia affacciata alla loro coscienza.Molto spesso si innesca un circolo vizioso per cui l’umore depresso porta i soggetti con DNP a focalizzare l’attenzione solo sui propri fallimenti, sulle aspettative grandiose deluse, con conseguente peggioramento dell’umore che può tradursi in disperazione o, addirittura, rassegnazione, e incapacità di porsi nuovi obiettivi.Un’altra modalità con la quale i narcisisti rispondono alla percezione dell’imminenza del proprio fallimento è la rabbia, che può essere rivolta contro loro stessi o contro gli altri e talvolta assume la forma di maltrattamenti, sia verbali che fisici, nei confronti dell’altro che viene spesso svalutato o colpevolizzato perchè percepito come invalidante (perchè non li riconosce come grandiosi) o intenzionato ad ostacolare il raggiungimento dei loro obiettivi o invidioso della loro superiorità.Per ristabilire uno stato di grandiosità e potere, i narcisisti possono ricorrere all’uso di sostanze (ad esempio, la cocaina) e di alcool che generano un sollievo dal disagio personale.Si considerano speciali, unici, "i migliori”. Ciò li porta a pensare di dover frequentare o di sentirsi capiti solo da persone altrettanto speciali o di condizione sociale elevata. Tendono, inoltre, ad agire spinti esclusivamente dal raggiungimento di mete grandiose, mostrando grande difficoltà ad accedere a quei desideri più intimi che li farebbero sentire più vivi e vitali. In altre parole, i narcisisti vanno avanti per "vincere”, ma non sanno cosa vogliono nella vita, cosa dia loro leggerezza e piacere. Quante e quali persone ne soffrono?Le stime di prevalenza del DNP nella popolazione generale sono dell’1%, mentre nella popolazione clinica variano dal 2% al 16%. Il disturbo non è ugualmente diffuso fra i sue sessi. I maschi colpiti sono più numerosi delle donne, di una quota compresa tra il 50% e il 75%. Il DNP sembra diffuso quasi esclusivamente in paesi capitalistici occidentali Quali sono le cause del disturbo? Alcuni tratti narcisistici appaiono nel corso dello sviluppo dell'individuo e in un certo grado sono normali. Questi tratti del carattere sono molto diffusi tra gli adolescenti, senza che necessariamente l'esito sia una personalità patologica in età adulta. Riguardo alle cause del DNP vero e proprio esistono diverse posizioni.Alcuni autori ipotizzano che il disturbo origini da un apprendimento: i genitori credono nella superiorità del futuro narcisista, per cui considerano solo le qualità che possono sostenere un’immagine grandiosa di sé e attribuiscono grande importanza al successo. Altri, invece, sottolineano come alla base del DNP ci sia la crescita in un ambiente familiare incapace di fornire al bambino le necessarie attenzioni e cure, di riconoscere adeguatamente, nominare e regolare le sue emozioni, nonché di sostenere la sua autostima o i suoi desideri. In risposta a tale atteggiamento, l’individuo con il tempo diventerebbe autosufficiente e lotterebbe costantemente per ricevere attenzione e ammirazione. Un’altra ipotesi è che le famiglie dei narcisisti siano talmente strane e isolate socialmente che il bambino cresce "diverso”, diventando oggetto di offese e umiliazioni, soprattutto da parte dei coetanei. Il soggetto risolverebbe la continua minaccia all’autostima sviluppando un senso di superiorità. In cosa consiste il trattamento psicoterapeutico?La Terapia Cognitivo-Comportamentale prevede interventi volti ad identificare modalità di pensiero disfunzionali e a sostituirle con altre più adattive e realistiche.Nello specifico si utilizzano tecniche per la correzione di distorsioni del pensiero tipiche del DNP, una delle quali è il "pensiero tutto o nulla” che consiste nella tendenza dei narcisisti a considerarsi o meravigliosamente superiori o completamente senza valore. La ristrutturazione di questa forma di pensiero può aiutare i pazienti a limitare l’importanza esagerata che si autoattribuiscono e sostituirla con convinzioni alternative come per esempio: "Uno può essere umano, come chiunque altro, ed essere ancora unico”; "Posso essere contento di essere come gli altri, piuttosto che dover essere sempre l’eccezione”; "Le cose comuni possono essere molto piacevoli”.Nella terapia cognitivo-comportamentale del DNP, inoltre, si attribuisce grande importanza alla relazione che si instaura tra paziente e terapeuta. La Terapia Metacognitiva Interpersonale (TMI) è un particolare approccio alla cura del DNP che mira a:- promuovere l’autoriflessività, ovvero la capacità di accedere agli stati interni (ad esempio, pensieri, emozioni) e di capire il nesso tra pensieri, emozioni ed eventi relazionali attivanti;- ricostruire gli schemi Sé/Altro disfunzionali e sostituirli con altri più adattivi;- ridurre la tendenza del paziente a regolare le proprie scelte solo sulla base di valori o desideri finalizzati all’incremento dell’autostima;- promuovere l’agency, ovvero far riscoprire al paziente ciò che gli piace. Trattamento farmacologicoLe evidenze a favore di una terapia farmacologica per il trattamento del DNP risultano piuttosto scarse, fatta eccezione per i casi in cui si ricorre ad essa per il trattamento di stati di ansia sociale, ipocondria, depressione, stati di impotenza rabbiosa che il più delle volte motivano la richiesta di aiuto. Infatti, la terapia farmacologica non interviene sulle caratteristiche di un soggetto con Disturbo di Personalità, ma può comunque essere molto utile per il trattamento delle eventuali conseguenze secondarie. In particolare, i farmaci che possono agire efficacemente sui fenomeni psicopatologici frequentemente associati al DNP sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), i farmaci anticonvulsivi, e gli stabilizzatori dell’umore.