Frammento di un romanzo che sto scrivendo

Alla deriva

La Setta Dei Poeti Estinti.
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Frammento di un romanzo che sto scrivendo

Messaggioda Oudeis » 01/04/2019, 22:05



-Egregio Professor***, la sua lettura è stata davvero apprezzabile per profondità di sapere e per dovizia di rimandi. La voglio anche ringraziare perché, a differenza di altri relatori, Lei ci ha risparmiato diagrammi di flusso, schemi e diapositive. Tuttavia è doveroso essere sinceri: ritengo che la sua relazione sia simile ai volumi che sono così diligentemente allineati sugli scaffali di questa biblioteca. Ammiriamoli: dorsi con fregi dorati, copertine di pelle, sovracoperte patinate… Siamo nel venerando tempio della cultura, signori! Saggi sui più diversi campi dello scibile, enciclopedie che includono una mole enorme di informazioni, romanzi, raccolte di poesie, manuali, pamphlets, periodici… Si possono contare le parole contenute in tutti questi tomi? Quanti sono gli autori i cui libri si possono compulsare e leggere? Quanto sono sterminate le bibliografie?

Eppure – e qui sfido chicchessia a dimostrare il contrario – chi troverà mai, anche avesse a disposizione il tempo bastevole, un solo riscontro ai quesiti che ci torturano notte e giorno, ogni istante? Perché? Perché tutto questo? Perché l’essere, invece del nulla, visto soprattutto che l’essere è codesto corpo martoriato? Non rispondetemi che molti scienziati, filosofi e teologi hanno spiegato l’origine del male o dimostrato che il male non esiste. Non rispondetemi che, per curare il male, di vivere è sufficiente o necessario trovare in sé stessi la medicina. “Conosci te stesso e conoscerai gli dei”: mai massima fu più profonda e vera, mai massima fu più superficiale e fallace. Ammettiamolo: nella stragrande maggioranza dei casi i tomi di fronte a noi sono gonfi di polverosa erudizione. Cercavamo le risposte; abbiamo trovato dotte ma sterili digressioni. Cercavamo il senso; abbiamo trovato il silenzio. Cercavamo la vita; abbiamo trovato morte sillabe. Sì, è vero: qua e là brilla un’intuizione, qua e là splende un apoftegma, ma sono come astri sperduti in un abisso nero. Sono torce che possono appena rischiarare qualche tratto della strada buia e pericolosa che dobbiamo percorrere da soli.

Sono specialmente i poeti – ha ragione Heidegger a considerarli audaci – coloro che ci elargiscono frammenti di verità e di bellezza. E’ l’Arte che ci commuove, non a rivelarci il significato, ma a donarci le lacrime che non sappiamo più piangere. Se l’Arte non ci commuove sino alle lacrime, a che serve? Essa ci mostra la bellezza del mondo, una bellezza terribile, fatale. In qualche libro troviamo pure le domande giuste, quelle che ci incalzano e ci assediano, ma le risposte no, quelle sono rare, parziali: esse pongono più problemi di quante non ne risolvano. Ho sempre diffidato di chi ti vuole dispensare la verità come di chi ti addita la via della liberazione. In fondo, la via è sempre la stessa: Redi in te ipsum, in interiore homine habitat veritas. Che bella massima, peccato sia così vacua, ampollosa e forviante! Come se fosse possibile conoscere la verità, come se spesso in noi trovassimo qualcosa di diverso dal vuoto pneumatico. Quanti scrittori… dicevo. Credo che pochi vati siano stati così immensi come Virgilio: egli ci ricorda che tutti e tutto dipendono dal fato. Il poeta di Andes è un fatalista radicale: ecco perché Enea è un eroe così triste. Il Troiano si sente schiacciato dal destino. Ha una missione da compiere. Deve obbedire agli dei che, a loro volta, obbediscono ad un quid imperscrutabile, superiore a loro stessi. Almeno Enea aveva una missione; noi non siamo mossi da alcuno scopo. Andiamo alla deriva, trascinati dalla corrente. Siamo relitti incagliati sulla riva di un universo splendidamente inutile.

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Oudeis
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