Andare in casa famiglia: non è la cosa peggiore!

Forum di aiuto sui tabù della famiglia. I Fatti Vostri.
Parliamo del rapporto conflittuale tra genitori e figli nel presente e nel nostro vissuto passato.
Cosa vuol dire avere una mamma e un papà? Cosa significa essere bambini, e cosa, essere ragazzini? Come sta il tuo bambino interiore?
Quanti problemi e quante difficoltà ci vengono messi davanti?
Qui si possono inviare sfoghi, critiche e consigli su come dovrebbe comportarsi un genitore con il proprio figlio e viceversa.

Andare in casa famiglia: non è la cosa peggiore!

Messaggioda Royalsapphire » 13/12/2013, 11:58



Spesso ho sentito di ragazzi, ragazze e bambini che non se la sentono di denunciare le violenze che subiscono in famiglia, per "paura di finire in casa famiglia"!
Ma questa paura non ha fondamenta razionali. Forse scaturisce dal fatto che si teme di trovarsi in condizioni peggiori di quelle attuali... Forse si teme lo stato di abbandono familiare...
Ma cosa c'è peggio dell'abuso?
Sarebbe ragionevole accettare di vivere in una situazione in cui il padre magari è manesco e perde spesso la pazienza, alternando momenti come questi a momenti di calma piatta. In tal caso si deve cercare di farsi forza, portare pazienza e puntare tutto sulla costruzione di una propria posizione che dia l'indipendenza dalla famiglia.
Ma quando si è vittima di una spietata violenza psicologica e fisica, o di abuso sessuale da parte di un genitore (o familiare, o persona vicino alla famiglia), non si può restare in un casa in cui l'altro genitore finge di non vedere e non sentire nulla.
Se non vi sentite protetti, allora siate voi a proteggervi! A qualunque età ne avete il potere. E prima ancora ne avete il diritto!!!
Avete il diritto di crescere illesi, di formare la personalità senza alcuna violenza.
"Finire in casa famiglia" è un frase che fa paura solo nel momento in cui impedite alla vostra mente di riflettere!
Non è dell'ignoto che dovete spaventarvi, ma di quello in cui vi trasformate a poco a poco restando in casa con genitori che non fanno né i genitori né le persone civili.
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Andare in casa famiglia: non è la cosa peggiore!

Messaggioda Royalsapphire » 11/04/2014, 22:52



La casa-famiglia, secondo il Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale del 21 maggio 2001, n. 308, è una «comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni» la cui finalità è l'accoglienza di minori, disabili, anziani, persone affette da AIDS, persone con problematiche psico-sociali Molte case-famiglia, si occupano dell'accoglienza di minori «per interventi socio-assistenziali ed educativi integrativi o sostitutivi della famiglia». Si pongono in alternativa agli orfanotrofi (o istituti) in quanto, a differenza di questi, dovrebbero avere alcune caratteristiche che la renderebbe somigliante ad una famiglia. In una stessa struttura potrebbero essere accolte anche minori con disagi e difficoltà di diverso tipo. I tratti di maggiore affinità con la famiglia sono i seguenti: Presenza di figure parentali (materna e paterna) che la eleggono a loro famiglia, facendone la propria casa a tutti gli effetti. Numero ridotto di persone accolte, per garantire che i rapporti interpersonali siano quelli di una famiglia. La casa deve avere le caratteristiche architettoniche di una comune abitazione familiare, compatibilmente con le norme, eventualmente, stabilite dalle autorità sanitarie. La casa deve essere radicata nel territorio, deve, cioè, usufruire dei servizi locali (negozi, luoghi di svago, istruzione) e partecipare alla vita sociale della zona. Il Decreto Ministeriale stabilisce, nell'art. 3, che «per le comunità che accolgono minori, gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini, degli adolescenti, sono stabiliti dalle Regioni». Tra i criteri organizzativi, le Regioni possono stabilire anche accorpamenti tra più comunità. A seguito di ciò, vi sono strutture la cui capienza totale supera anche i 100 minori accolti. Le prime case-famiglia hanno avuto origine tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta da esperienze di condivisione diretta con persone in situazione di handicap. A quel tempo, queste erano per lo più confinate in istituti nei quali l'attenzione era posta soprattutto sulla patologia e sulla sua terapia. Spostando l'attenzione sulla globalità della persona venne l'esigenza di creare strutture che ne permettessero anche un inserimento sociale ed una vita di relazione normale. Nel 1964, a Pian di Scò, in provincia di Arezzo, nacque la prima case-famiglia dell'Opera Asssitenza Malati Impediti (OAMI), aperta da Mons. Enrico Nardi, per potere inserire i disabili in una piccola comunità, anziché in grandi strutture. Nel 1972 a Coriano, in provincia di Rimini, sotto la guida di Don Oreste Benzi, nacque la prima casa-famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII.
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