Spiegare il sesso al vostro bambino / ragazzino

Educazione alla sessualità

Forum di aiuto sui tabù della famiglia. I Fatti Vostri.
Parliamo del rapporto conflittuale tra genitori e figli nel presente e nel nostro vissuto passato.
Cosa vuol dire avere una mamma e un papà? Cosa significa essere bambini, e cosa, essere ragazzini? Come sta il tuo bambino interiore?
Quanti problemi e quante difficoltà ci vengono messi davanti?
Qui si possono inviare sfoghi, critiche e consigli su come dovrebbe comportarsi un genitore con il proprio figlio e viceversa.

Spiegare il sesso al vostro bambino / ragazzino

Messaggioda Royalsapphire » 30/06/2013, 15:00



Ieri sera con alcuni amici è uscito fuori il tema della sessualità tra genitori e figli.

Secondo voi come dovrebbe essere sviluppato l'argomento da parte del genitore? Quando? Pensate che possa accadere che si verifichi il complesso di Edipo durante lo sviluppo?

Personalmente posso consigliarvi questo: parlatene con i vostri figli!
Quando vedete che stanno crescendo, non alzate un muro per la vergogna! Riservate la vergogna a qualcun altro. I vostri figli sono le ultime persone con cui dovete vergognarvi di parlare. Già verso i 7-8 anni del figlio potete cominciare a gettare le basi per il dialogo sulla sessualità. Basta essere naturali e anche scherzosi se volete. L'importante è non essere pesanti, imbarazzanti, giudici. Invitateli ad aprirsi e mostratevi disponibili per tutte le domande che possono avere.

I bambini sono una fonte inesauribile di curiosità e domande e voi, che siete i loro genitori nonché i loro punti di riferimento, dovete rispondergli ed essere sinceri con loro. Sincerità non vuol dire che dovete essere brutali, ma che dovete essere onesti e usare tanta delicatezza.
Prima di tutto ragionate un attimo su come mai avete vergogna nel rispondere alle loro domande sulla sessualità. Il più delle volte ciò accade perché in quel momento, data la domanda, non pensate più a vostro figlio come un bambino, ma vi focalizzate sulla domanda in sé e vi sentite come se vi trovaste di fronte a una persona estranea che non ha il diritto di entrare nel vostro intimo, giacché vostro figlio non è mai entrato nella vostra vita intima; inoltre non riuscite a vedere la domanda nella sua generalità ma come se fosse volta a voi, al vostro rapporto di coppia. Questo è sbagliato! Innanzi tutto dovete vedere vostro figlio per ciò che è: un bambino (o ragazzino), inesperto della vita e totalmente inesperto del sesso e di tutto ciò che esso concerne. Quindi è ovvio che non avrà malizia nell’ascoltare le vostre risposte, e voi non sarete perversi nel rispondere alle sue domande, né dovete pensare di far riferimento alla vostra vita sessuale quando rispondete alle sue domande.
Quanto alle risposte da dargli, considerate che il sesso in toto nasce prima di tutto per amore più che per piacere e divertimento, e che quindi quando vostro figlio vede certe scene o sente certi discorsi o legge certi termini, non saprà mai di che tipo di sesso si tratta, e voi potrete rispondere con tutta tranquillità perché il messaggio che dovrete comunicargli è che si tratta di gesti d’amore.
E’ importante rispondere con parole semplici e frasi brevi, più ci si perde in dettagli e più è facile incartarsi e sbagliare.

Se il bambino è molto piccolo (tipo 3 anni), e vi chiede come nascono i bambini, potrete rispondere in modo fantasioso (ad esempio che li porta la cicogna, o che nascono per amore dei genitori, o che sono nati perché si è pregato Dio, etc etc).
Verso i 6 anni, età in cui i bambini sentono già i commenti dei più grandi o captano notizie dagli altri bambini, non dovrete fare l’errore di cedere alla vergogna e non rispondere alle loro domande perché altrimenti si cercheranno altrove le risposte.
Verso i 9 anni si possono dare risposte più specifiche, parlando anche di penetrazione. Basta che precisiate che per ogni cosa c’è un’età e che ci sono cose che fanno solo i grandi, ma con tanto amore. Dite sempre che il sesso è qualcosa che avviene per amore, tra due persone che si vogliono tanto bene.
Quasi sempre i bambini reagiscono dicendo “che schifo!” XD.


Esempi pratici:
_Se vostro figlio vi chiede cosa vuol dire “omosessuale”, basta rispondere che ci sono maschi a cui piacciono i maschi e femmine a cui piacciono le femmine, e che ciò è una cosa normale.
_Se in tv c’è una scena hot e tuo figlio vuole sapere che cosa succede. Basta che tu gli dica che ci sono volte in cui papà e mamma vogliono dimostrarsi quanto si vogliono bene!
_Se da qualche parte sente o legge il termine “masturbazione” e vuole sapere che cosa significa.
Non c’è niente di innaturale o di scandaloso nel dirgli che il termine vuol dire “toccarsi nelle parti intime” e che non c’è niente di male a farlo, ma che è una pratica personale e non da mostrare in pubblica piazza.
Se invece viene da voi e vi confessa che da un po’ di tempo gli piace toccarsi nelle parti intime, anche in questo caso, occorre parlargli con naturalezza e dirgli che è normale dedicarsi a se stessi ma che ciò non va fatto davanti ad altre persone perché è un momento personale.


COSA NON DIRE:
“Chiedilo a mamma/papà” : Scappare dalla richiesta di spiegazione istilla nel bambino il dubbio che il sesso sia una cosa sbagliata.
“Esci subito da qui”: Se il bambino scopre i genitori in atteggiamenti intimi non deve sentirsi respinto e colpevolizzato. Gli si può dire che mamma e papà si stanno facendo le coccole perché si vogliono tanto bene.
“Smettila subito, vergognati!”: Se scoprite vostro figlio masturbarsi, non arrabbiatevi, non ditegli di non farlo mai più, non fate nulla che possa metterlo a disagio, anzi mostratevi disponibili al dialogo qualora ne avesse voglia.


E se avete voi stessi dei dubbi o vi sentite in difficoltà, cercate di parlarne con qualcuno di cui vi fidate; anche qui su internet troverete aiuto se lo cercherete.


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Vi cito due articoli in merito.
:hi:

Secondo Freud, ognuno vive diverse fasi psicosessuali nell'infanzia:
_la fase orale (in cui il bambino prova piacere attraverso la bocca e quindi l'allattamento);
_la fase anale (in cui il bambino impara a controllare le funzioni sfinteriche);
_la fase fallica (quella in cui si presenta il complesso di edipo/elettra e cioè l'attrazione per il genitore del sesso opposto e l'odio nei confronti del genitore dello stesso sesso);
_la fase latente (in cui il bambino si concentra su sè stesso e sul proprio sviluppo psichico);
_e in fine la fase genitale, che avviene durante la pubertà in cui si ripercorrono velocemente tutte le fasi precedenti.
Nel caso in cui una delle fasi non venga sviluppata o superata al meglio, possono crearsi conflitti o fissazioni in futuro, o anche a seguito di traumi o problematiche si può presentare una regressione, e cioè il ritorno ad una fase precedente.
Dal punto di vista freudiano la situazione di certi figli che propendono verso la madre potrebbe essere considerata come una regressione alla fase fallica, che potrebbe risolversi anche da sola, oppure che necessita un aiuto da parte di qualcuno.


Innanzitutto ci sia permesso affermare che si dovrebbe, in realtà, parlare di "educazione" e basta. L'aggiungere l'aggettivo "sessuale" può dare l'idea che la sessualità (in tutta la sua estensione, cioè nella comprensione di tutti gli aspetti della personalità: dalla corporeità, all’affettività, alla spiritualità...) sia invece solo un settore parziale considerabile appunto anche "a sé" (come quando si parla di educazione alla manualità, all'igiene, ecc.). "Educare la persona" nella sua integralità non può che voler dire educare in senso positivo ed esplicito anche la sua dimensione "sessuale", senza appunto "parcellizzare" la persona.

Ricordiamo infatti che la sessualità è una caratteristica fondamentale di tutto l'uomo e di ogni uomo, che parte sì dalla sua realtà corporea (non solo esterna ma profonda: i cromosomi), e si estende però a tutta la sua persona: noi siamo sessuati in tutto ciò che siamo e che facciamo, anche nella vita spirituale e nella preghiera. In questo senso mascolinità e femminilità sono due principi universali della persona che insieme rendono completa l'"immagine" di Dio nell'umanità (Cfr. Gen. 1)... Quindi, come tutto il corpo, anche la sessualità in tutti i suoi aspetti (compreso quello corporeo), è un grande dono. Per il Cristianesimo, essa partecipa addirittura della "sacralità" stessa del corpo: Gesù e Maria erano realmente maschio e femmina... Educare alla sessualità vuol dire educare ad essere se stessi con la propria identità, superando i tabù, ed ad avere rapporti costruttivi col "diverso da sé".

La prima cosa da dire dunque è che L'EDUCAZIONE SESSUALE E' UN ASPETTO FONDAMENTALE E IMPORTANTISSIMO, CHE NON PUO' ESSERE ASSOLU-TAMENTE DISATTESO O ANCHE SOLO AFFRONTATO SUPERFICIALMENTE DA TUTTI GLI EDUCATORI MA IN MODO SPECIALISSIMO PROPRIO DAI GENITORI. Un'educazione sessuale sbagliata o trascurata può portare conseguenze gravissime nella vita dell'intera persona.

In questi fogli sottolineeremo particolarmente l’educazione dei bambini (fino alla preadolescenza) e non affronteremo invece quella degli adolescenti. Questo per una serie di motivi:

+ l’adolescente ha certamente ancora più che mai bisogno di avere direttive educative dall’adulto, ma esse (sia pure con tutte le difficoltà di dialogo in questa età) possono essere ormai esplicite, con discorsi diretti e già anche basati sugli ideali, sui principi, cioè "ragionate";

+ inoltre l’adolescente ha già di fatto una sufficiente autonomia per potere e volere gestire la sua sessualità: i nostri interventi perciò non possono più essere che solo "esterni", senza poter cioè più compiere positive e concrete azioni su di lui (a parte appunto consigli, proibizioni, permessi, ecc., per quanto vengono ascoltati...);

+ per le età precedenti invece il problema educativo si pone in modo più delicato, in quanto il peso dei nostri interventi è ancora molto più diretto, e necessita quindi di grande attenzione, sia nei discorsi (che oltre tutto debbono essere meno teorici) sia negli interventi concreti.

Naturalmente però anche per l’adolescenza e la giovinezza sono ancora validi (anzi lo sono maggiormente) i principi e i valori che esporremo (e che naturalmente si riferiscono alle cose esposte nei capitoli precedenti).



1 - La sessualità nell’età evolutiva

Riassumiamo brevemente gli stadi dello sviluppo affettivo-sessuale:

N.B. Le età che seguono sono sempre indicative, poiché ogni bambino ha tempi e modi di sviluppo suoi specifici.

I PRIMI TRE ANNI

Nei primissimi mesi tutto il lavoro del bambino consiste nel cercare di superare il disagio dei bisogni organici (fame, sonno, malesseri) e nel conoscere il proprio corpo ed imparare ad usarlo gradualmente.

Per questo il bambino prova piacere nell'esplorare il suo corpo (genitali compresi) e nell'essere coccolato e manipolato con dolcezza. L'unica attenzione da avere è quella di non comunicare inconsciamente dei disagi psicologici al bambino, disagi che l'adulto potrebbe provare nel vedere certe sue manifestazioni e nel curargli le parti più intime (compresi i disagi di ordine più..."organico" al contatto con pipì e popò).

Un piacere particolare del bimbo di questa età (legato all'alimentazione) è naturalmente quello del succhiare e del contatto col seno materno: è quella che vien chiamata la fase orale.

Successivamente il bambino sembra concentrarsi maggiormente sulla funzione di evacuazione (fase anale) e, dopo, scopre il piacere della manipolazione della zona genitale (fase fallica).

Sono tutte fasi perfettamente normali che non devono destare nessuna preoccupazione. L'unica attenzione da avere è che il bambino non manifesti eccessiva ossessività in tali comportamenti e non si fissi per periodi troppo lunghi in una fase ma la superi gradualmente passando spontaneamente a quella seguente. A questo riguardo, se bisogna appunto aiutare con delicatezza il bambino a superare la fase precedente, non bisogna però assolutamente far ciò con costrizioni psicologiche o, peggio, fisiche: l'obbligarlo troppo precocemente, o comunque con forza, ad esempio, ad abbandonare il ciuccio o a regolare pipì e popò con l'uso del vasetto, sarebbe una forma di repressione che potrebbe lasciare tracce anche gravi nella crescita successiva (certe perversioni sessuali sembrano essere la conseguenza di stadi orali o anali non serenamente superati...!). Ugualmente per i fenomeni masturbatori (più frequenti, o forse semplicemente più espliciti, dopo i tre anni) che non devono mai essere semplicemente repressi, tantomeno con paure o creazioni di sensi di colpa (che il bambino rivivrebbe con fantasie paurose che porterebbero angosce sessuali anche serie in età seguenti).

E' sempre comunque molto importante che il bambino esperimenti la vicinanza fisica calda e affettuosa della mamma e anche del papà, che non si devono preoccupare se si accorgono che tali atteggiamenti sembrano talvolta soddisfare sensualmente il piccolo. Tale sensualità è perfettamente normale nel bambino e l'intenso amore che egli prova verso i genitori (specialmente quello di sesso opposto) non è esente da eccitamento sensuale e sessuale. Bisogna accettare serenamente queste sue manifestazioni, badando solo anche qui che non diventino ossessive e che si evolvano poco per volta con l'aumentare degli altri interessi.

Dai due anni in avanti il bambino incomincia a rendersi conto (naturalmente se, come dovrebbe essere normale, ha l'occasione di vedere l'altro sesso) delle differenze anatomiche, che vive sempre con curiosità e sovente con ansia (perché manca qualcosa alla bambina? mutilazione, magari per colpa?). Sull'altro versante tali curiosità si manifestano talvolta con atteggiamenti esibizionisti e con giochi di esplorazione sui piccoli compagni o compagne. Anche qui niente di preoccupante: basta gestire le situazioni con molta serenità e spontaneità, magari anche con un pizzico di sorridente umorismo (mai però prese in giro!), e sempre con molto calore e affetto dimostrando che lui o lei sono belli così come sono e ci sono graditi. Se i genitori sono in grado di vivere la cosa senza forzature (che comunicherebbero sempre disagio), è bene che dimostrino una spontanea naturalezza in occasioni naturali nel lasciare osservare il loro corpo dai bimbi.



DAI 4 AI 5 ANNI

Questa è un'età molto delicata perché in essa gli atteggiamenti sopra descritti acquistano maggiore forza (anche perché sono più coscienti) e il bambino entra in quello che viene denominato il periodo del complesso di Edipo: egli o ella sono attratti in modo ancor più forte verso il genitore del sesso opposto e questo li porta ad una vera e propria tempesta di sentimenti e sensazioni. Verso i genitori stessi inizia una complessa dinamica di amore-odio, con delusioni, frustrazioni, sensi di colpa... Le sensazioni sensuali e sessuali diventano più forti, con i relativi comportamenti e curiosità (anche fra compagni) accompagnati da nuove fantasie e ansie. Nascono domande più specifiche (come nascono i bambini ad esempio). Sovente i bimbi scoprono la gioia (e il piacere della trasgressione) del dire parolacce (di cui, se sovente non conoscono il vero significato, hanno però già ben capito la valenza "scandalosa"...).

I bambini hanno bisogno di molta dolcezza, vicinanza, rassicurazione e l'ideale sarebbe che essi potessero parlare delle loro sensazioni, delle loro domande e delle loro paure con un adulto ben disposto e comprensivo. Fa parte però anche del compito dell'educazione fornire loro delle regole e aiutarli (senza colpevolizzarli però, proprio in questo tempo in cui si forma in loro quella rigida, e talvolta angosciante struttura interiore che si chiama "Super-Io"!) ad osservarle, compreso il prendere atto (sia pure dolorosamente) della realtà, e cioè che il mondo affettivo e sessuale della coppia dei genitori non compete a loro...

Se il bambino non superasse tale stadio (restando troppo attaccato al suo "amato" genitore") sarebbero guai seri per la sua crescita futura. Ma è altrettanto vero che se tale distacco avviene in modo troppo brusco, il bambino vivrà la sua sessualità futura con paura e come un tabù colpevole. Il processo edipico, inoltre, sembra giocare un ruolo fondamentale nel fissare nel bimbo la coscienza della sua identità sessuale di maschio o femmina e anche nel volgere la sua tendenza verso il sesso opposto. Se tale processo non conclude bene, possono esserci perciò guai seri anche nell'accettazione del proprio sesso e nell'orientamento affettivo.

DAI 5 AI 7 ANNI

Nella psicoanalisi classica si definiva quest'epoca come quella della latenza, ritenendo che il bambino, "bruciato" dalle esperienze precedenti, rimuovesse decisamente gli interessi sessuali, dimenticandosi di tutto il passato. In realtà ora sta entrando l'idea che sia piuttosto una... latitanza. Infatti da attente osservazioni si è potuto rilevare che egli continua a sentire e a vivere la sua sessualità (compresa la masturbazione e i giochi coi compagni), ma sembra piuttosto aver imparato a nasconderla agli adulti.

E' comunque un'età molto difficile, poiché, insieme ai superamenti affettivi del periodo edipico, egli si trova a vivere cambiamenti notevoli in tutti i campi (la scuola, il mondo esterno, una nuova capacità di ragionamento...), tanto che tali anni vengono ora chiamati "piccola adolescenza" in quanto sembrano riprodurre, sia pure in scala ridotta (ma non meno impegnativa in proporzione all'età) i problemi dell'adolescenza vera e propria.

Di nuovo il bambino ha bisogno di genitori ed educatori che gli dimostrino molto affetto, che non sottovalutino i suoi problemi, che lo stiano ad ascoltare e siano capaci di passare tutto il tempo necessario per giocare con lui, per accettare le sue confidenze e per rispondere alle sue domande, sempre più impegnative. D'altra parte bisogna aiutarlo anche a "staccarsi dal nido", a fare nuove conoscenze e nuove amicizie, ad affrontare nuovi impegni (come quello scolastico), abituandolo alle regole e alla disciplina. Gli atteggiamenti e le domande "sessuali" devono comunque sempre essere affrontati con la massima serenità ed apertura, con molta naturalezza e senza tabù.

DAGLI 8 AI 10 ANNI

Superata la precedente fase, il fanciullo vive di solito un periodo più sereno e costruttivo, ricco di molti e svariati interessi. Normalmente continuano tutti i comportamenti e le curiosità sessuali ma, se non si sono creati prima dei particolari complessi, egli ed ella li vivono più serenamente, anche se sovente incominciano a preferire il dialogo e il confronto dei compagni a quello degli adulti. Le curiosità diventano ovviamente più specifiche e "scientifiche" e aumenta anche la... "maliziosità".

DOPO GLI 11 ANNI...

Tutto salta di nuovo in aria quando il fanciullo (e di solito la fanciulla un po' di tempo prima) inizia lo sviluppo puberale. Insieme a forti cambiamenti in tutti i campi (nuovo tipo di capacità di ragionamento, nuovo tipo di scuola, esperienze sociali sempre più ampie, crisi delle convinzioni infantili sulla religione e sulla morale, ecc...) il ragazzo sente nascere nuove sensazioni fisiche: ricomincia un periodo di forte tendenza alla introversione (masturbazione, narcisismo, paure di non normalità, sensi di colpa...). Poco per volta nasce anche un interesse nuovo per l'altro sesso, fatto di attrazione e timore, di innamoramenti e di delusioni... Il distacco verso l'ambiente di casa diventa sempre più forte e sovente anche polemico e conflittuale... Il ragazzo sta costruendo la sua realtà adulta e lo fa in opposizione agli adulti che ha intorno. Egli ha ancora molto bisogno di modelli e di regole, ma non sopporta più le imposizioni. L'unica strada resta il dialogo, sincero, aperto e franco, nell'accettazione che egli diventi sempre di più autonomo e faccia le sue esperienze (che non possiamo più evitargli, ma che dobbiamo aiutarlo a valutare nel confronto con noi).



Si può dunque affermare che la sessualità dei bambini, in qualsiasi età, è sempre presente ed attiva ed è una sessualità piena e completa, anche se, ovviamente, con manifestazioni diverse da quella adulta, e anche se talvolta è "schermata" e se gli adulti, distratti, possono non accorgersene.

Tutti i bambini usano normalmente la loro sessualità, anche sotto l'aspetto fisico e genitale. Pur essendo gli episodi di vera e propria masturbazione o di atti "genitali" fra bambini molto più frequenti di quanto si pensi, le manifestazioni sessuali del bambino, non sono però esclusivamente limitate a queste cose: la sessualità infantile si esprime anche, in modo molto intenso, in svariate altre maniere: attraverso cioè quella infinita gamma di azioni che abbiamo precedentemente denominato "soft", che vanno dai discorsi e parolacce, ai giochi con sfondo più o meno esplicitamente erotico, alle mille occasioni di "sensualità".

Afferma il sessuologo Broderick: "Il bambino in età prepuberale conosce dunque un'attività sessuale, variabile sia nell'intensità che nella manifestazione. L'osservazione tende a dimostrare che può provare un orgasmo... L'eccitazione sessuale nel bambino è innegabile. Più facilmente dell'adulto, il bambino maschio risponde ad un desiderio sessuale con un'erezione".

Se poi diamo un significato in qualche modo sessuale ad ogni stimolo e reazione tattile, dobbiamo ammettere che il bambino è carico di una sensualità notevole, sia nella gestione del proprio corpo (pensiamo al suo tipo di contatto con l'acqua, le coperte, i peluches), che nei confronti del corpo degli altri sia coetanei che anche adulti (magari sotto forma di pseudo-lotte): molti di loro cercano un contatto che potremmo definire "seduttivo", anche se non esplicitamente genitale, col corpo altrui e anche particolarmente con quello dell'adulto. Per il Montagu risulta evidente il significato "erotico" di numerosissimi comportamenti non direttamente legati alle zone genitali: il rannicchiarsi o l'accoccolarsi contro il corpo della madre o dei fratelli, l'avvolgersi nella coperta, il leccamento, l'autocullamento con il dondolìo, le "grattate" nelle varie parti del corpo, ecc., per non parlare, ovviamente delle carezze e del solletico, così gradito ed eccitante per il bambino. Tanto che l'autore conclude che "quasi ogni stimolazione cutanea che non sia dannosa ha una componente erotica". Egli afferma inoltre che "deprivazioni di esperienza tattile nella prima infanzia possono portare a una ricerca di sostitutivi in automanipolazioni di vario genere, masturbazione, abitudine di succhiarsi il pollice o l'alluce, di mangiarsi le unghie, di tirarsi o toccarsi le orecchie, il naso, i capelli". Rileva inoltre che "i colpi sulla natiche possono produrre caratteristiche sensazioni sessuali nei bambini compreso l'orgasmo" e che "la minzione e la defecazione sono esperienze che danno un piacevole senso di liberazione e di conforto". Persino il mordere, pizzicare, graffiare, stringere forte sino a provocare dolore hanno "una chiara connotazione sessuale, tanto da diventare in età adulta manifestazioni della sessualità normale".

Tale visione, che implica ovviamente un'estensione considerevole sia del significato comune che di quello scientifico del termine "sessuale", ha comunque notevoli argomenti anche biologici a sostegno, data l'origine tattile di gran parte dell'eccitazione sessuale presso i mammiferi: pensiamo alla collocazione delle zone erotogene, anche distanti dalle parti sessuali e apparentemente scollegate da esse, in modo particolare nella donna (e il bimbo, anche maschio, sembra avere un impianto sensitivo molto simile a quello che diverrà poi più tipicamente femminile). Se quindi ogni volta che un bambino mette due parti del corpo una contro l'altra, o si gratta l'orecchio o i genitali, o si succhia il pollice, tali atti sono da considerarsi come in qualche modo equivalenti alla masturbazione, evidentemente è facile concludere, come Kinsey, che masturbazione e attività sessuale precoce sono atti universali.

Il fatto che dopo i 5 anni sembri che tale sessualità vada quasi in letargo, o quantomeno si riduca fortemente (sensazione che diede spunto per la teoria della "latenza") è dovuto non ad una vera diminuzione di tale esercizio, ma piuttosto ad un complesso processo psicologico per cui il bambino è portato a nascondere tale realtà agli adulti, e talvolta, quando il processo di "repressione" è stato più forte, a tentare di nasconderla addirittura a se stesso, cercando di disconoscerne almeno la valenza specifica. Fenomeno che noi abbiamo appunto chiamato della... "latitanza".

Goldam e Goldam infatti affermano che non esiste una fase di reale sospensione nello sviluppo sessuale del bambino e che "contro la teoria della latenza vi sono schiaccianti prove del fatto che i bambini dai 5 ai 15 anni provano un sempre maggiore interesse del sesso, con una progressione lineare che va di pari passo con l'età"; e Gadpaille conclude: "I bambini seguono il corso del loro sviluppo sessuale ignorando allegramente la loro presunta latenza sessuale. L'unico fatto che sembra in qualche modo confermare le aspettative teoriche è che hanno imparato a giocare rispettando le regole degli adulti, imparando cioè ad attenersi formalmente alla legge, anche se segretamente continuano a comportarsi a modo loro".

Si può allora dire che l'impressione che il bambino si sia allontanato dagli interessi sessuali, che negli anni precedenti avevamo dovuto per forza riconoscergli, è dunque sbagliata. Piuttosto, ora egli "si nasconde" agli adulti, perché ha imparato che certe cose non sono da loro approvate; e giunge a tentare di nascondersi anche a se stesso, perché avendo interiorizzato certe regole (il Super-Io!), ha egli stesso paura di queste sue manifestazioni.

L'adulto che, più o meno inconsciamente, ha già collaborato a "reprimere" nello stadio precedente la sessualità infantile, ora crede di buon grado alla sua "sospensione", perché l'ammettere invece la sua presenza può lasciarlo confuso e indeciso sul come intervenire. In effetti gli adulti possono essere inconsciamente spinti a "far finta" che il bambino sia privo di questa realtà, ad "angelicarlo", poiché la sua sessualità può turbarli, perché li interpella e li mette in crisi, specialmente se li tocca personalmente, coinvolgendo in qualche modo il loro corpo: se infatti si accetta di vedere che il bambino la sta usando, bisogna rivisitare tutte le proprie "sicurezze" adulte, dal momento che non si può troncare semplicemente il discorso con valutazioni moralistiche, in quanto egli è ancor privo della "malizia" adulta: meglio perciò ignorare il problema e far finta che nulla accada... "La conseguenza logica - come dice Scherer - e che semmai i genitori hanno bisogno di essere educati..."

E' ovvio che questa situazione crei nel bambino uno stato di tensione, e talvolta anche di ansia e di paura, se non addirittura di senso profondo di colpa, verso la sua sessualità. Per questo il bambino vive con molta emotività tutta la realtà sessuale, manifestando una sorta di "pudore" che, ben lungi dall'essere una virtù, in realtà non è che uno schermo difensivo. In tal modo il sesso diventa "tabù", con tutta la forza delle proibizioni morali coscienti, e, in più e molto maggiormente, di quelle inconsce (il Super-Io). Possiamo allora stupirci che il bambino vada "in latitanza"?

Insomma, latenza o latitanza che dir si voglia, questo periodo è tutt'altro che un tempo "angelicamente tranquillo". Sembra piuttosto ad un vulcano a cui è stato messo un coperchio e che continua a crescere nella sua compressione, fino a quando erutterà con violenza all'epoca della pubertà. Quanto questa "occlusione" sia educativamente necessaria o almeno utile, o quanto invece potrebbe esser meglio lasciare sempre libero il vulcano, è questione pedagogica, avvertendo però subito che ogni soluzione educativa presuppone comunque un lungo discorso sull'"a che cosa educare" e quindi sui modelli sociali e morali. Incominciamo intanto a rilevare da un punto di vista strettamente psicologico le difficoltà dell’età infantile, sottolineando che comunque la pura repressione non è mai positiva. Bisogna invece RICONOSCERE LA SESSUALITA’ DEL BAMBINO, ACCETTARLA, LASCIARE CHE CI COINVOLGA PERSONALMENTE, come tutti gli altri aspetti importanti della sua vita, SAPERLA GESTIRE ("dall'alto" della nostra maturità di adulti...) ED EDUCARLA. Tutto questo però presuppone naturalmente che noi adulti abbiamo raggiunto un necessario equilibrio e che abbiamo una visione positiva della sessualità come valore, senza tabù, ma anche con dei sani principi di comportamento verso cui far crescere il bambino.

Dunque, se la sessualità infantile è una dimensione naturale del bambino, dovrebbe anche essere logico riconoscere la sanità psicologica del suo esercizio. Naturalmente però, perché la cosa sia effettivamente così, devono essere superati gli aspetti di ansia e paura e bisogna riportare il bambino ad una serena ed esplicita espressione della sua realtà. In particolare - come ripeteremo più avanti - dovrebbero essere riconosciute e accettate le manifestazioni di tipo masturbatorio del bambino (come manifestazioni normali alla sua età), così come tutti i giochi a sfondo erotico (ed esplorativo) e le sue prime tenerissime "cotte". Bisognerebbe preoccuparsi solo in caso di esagerazioni parossistiche (che si ripetono cioè con eccessiva frequenza) o di "fissazioni" (comportamenti cioè così coinvolgenti da essere in grado di isolare, almeno temporaneamente, il bambino dal resto della realtà).

La cosa però non è così semplice come sembra. Infatti non è a priori scontato quale siano il "giusto esercizio" e i "comportamenti normali" specifici per l’età infantile. Infatti, proprio perché finora abbiamo sempre e solo considerato il comportamento adulto come metro di confronto e giudizio e, per i motivi detti, abbiamo addirittura cercato di ignorare l'esistenza della sessualità infantile, rischiamo di non essere facilmente in grado di capirne bene la specificità e le modalità comportamentali che dovrebbero accompagnarla.

Inoltre assistiamo oggi ad un influsso veramente pesante dell'ambiente, attraverso i mass media e in particolare la televisione, sulla psicologia del bambino. Egli subisce, in modo ovviamente ancora del tutto acritico, un vero e proprio bombardamento di modelli di comportamento adulti (e sovente, se non proprio anomali, certamente "al limite": pensiamo a certe scene di film o a certe pubblicità..., per non parlare appunto anche di pornografia vera e propria, seppur più o meno mascherata). E' facile quindi che egli assuma, per naturale tendenza ad imitare l'adulto, atteggiamenti che non gli sarebbero altrimenti spontanei e che, non corrispondendo alla natura specifica della SUA sessualità, non sono certo positivi per la sua crescita.

Come fare a distinguere, mantenendo il giusto equilibrio fra il concedere tutto (anche quindi il non-ancora corrispondente all'età) e il negare invece tutto secondo un modello di sessualità solo adulta? Credo che, proprio per la nostra più volta sottolineata "ignoranza" della sessualità infantile, non abbiamo per ora una risposta esauriente a questo dubbio. Non resta che risottolineare una volta di più l'estrema necessità ed urgenza di mettersi in attenta osservazione ed ascolto del mondo dei bambini, creando delle situazioni in cui essi possano il più liberamente possibile esprimersi e quindi far venire fuori tutta la loro realtà. Dopo cercheremo di capire quanto di forzato ci sia in essa e quanto no, e potremo iniziare un vero cammino educativo, comprendente certo anche l'aiuto a superare le suddette forzature.



2 - L’educazione morale

Il riconoscimento della sanità psicologica delle manifestazioni sessuali nel bambino non è in contraddizione con una visione morale, anche seria e impegnativa come quella cristiana. Infatti gli ideali verso cui bisogna camminare sono ideali possibili solo agli adulti (e neanche a loro in grado perfetto).

Ricordando quanto detto nei capitoli precedenti, riaffermiamo che bisogna perciò accettare la necessaria esistenza di "tappe intermedie", secondo quella che abbiamo chiamato la "morale del progetto": l'importante è che il bambino continui a crescere (e vinca le ricorrenti tentazioni di regredire) verso una capacità sempre maggiore di superamento del suo egocentrismo e quindi una effettiva sempre maggiore capacità di vivere tutto se stesso (compreso l'aspetto fisico e sessuale) come "dono". Educare alla vita vuol dire educare all'AMORE nel senso più pieno della parola. Bisogna perciò aiutare il figlio, da quando muove i primi passi fino all'età adulta, a scoprire questo rapporto personale di amore con Dio e a pensare alla propria vita come ad una VOCAZIONE, cioè una chiamata di Dio appunto al Suo Amore, a cui rispondere con totalità. Il giovane educato cristianamente dovrebbe aver raggiunto la convinzione che la sua vita ha un senso solo se è dono totale a Dio, e per Lui al prossimo, qualunque sia la strada particolare che deve percorrere (matrimonio e mestiere "laico", o consacrazione religiosa). Il rapporto personale con Dio (nella preghiera ad esempio), la fiducia nella Sua Provvidenza e la capacità di relazioni con gli altri che diventino sempre più di "dono", tutto ciò si trasmette ovviamente, molto prima che con le parole, con l'esempio dell'amore che i genitori hanno fra di loro, verso i figli e verso "gli altri". Solo se si sperimenta concretamente che cos'è l'Amore e ci si sente amati, si diventa capaci di amare e di donare.

In questo senso quello che conta, prima di ogni altra considerazione più specifica o particolare, è "educare ai VALORI", ai "grandi" valori: cioè, nel senso sopra detto, all'AMORE. E dunque, ribadiamo, non può che essere un'educazione "PROGRESSIVA", nel senso ben chiarito di progetto, che rispetta le tappe intermedie e spinge poco per volta, senza forzature, in un cammino sempre continuo verso ideali certo altissimi, ma nella coscienza della loro irraggiungibilità, in quanto "perfetti". Necessaria quindi, in tutti i campi ma soprattutto in questo, la cosiddetta "PAZIENZA EDUCATIVA", che sa non pretendere risultati immediati e definitivi ma conosce e rispetta i tempi e le difficoltà della "fatica di crescere". In altre parole, è il principio educativo fondamentale della GRADUALITA’. E' doveroso quindi saper accettare che il bambino arrivi solo fin dove può davvero arrivare, senza colpevolizzarlo per le cose imperfette che fa a causa della sua età, evitando assolutamente di accrescere in lui il "senso di colpa", già così presente in modo oscuro e doloroso, specie in certi periodi, anche in anni molti giovani (cfr. il cap. 2).

Pensiamo utile riportare qui integralmente quanto abbiamo precedentemente detto sulla "perfezione" (pagg. 25-26):

"Ognuno è maturo in proporzione a quanto è stato capace di realizzare o è sul punto di realizzare, nonché in proporzione alle sue capacità di fare, di pensare, di sentire e di partecipare attivamente a ogni stadio della vita... Maturare non vorrebbe dire affatto riportarsi a forme di condotta trasmesse dal passato e convalidate dal consenso di una qualsiasi maggioranza, ma vorrebbe dire piuttosto attuare una progressiva conquista di se stessi. Si tratterebbe dunque di vivere in un certo modo e non di arrivare ad un certo livello, ritenuto insuperabile, di perfezione.... La sessualità appartiene all'uomo come tale, indipendentemente dalla sua età, e un bambino di pochi mesi può benissimo essere [relativamente] più maturo di un adulto". E' interessante rilevare, a riguardo di questa visione di perfezione "relativa" all'età, quanto dice un libro moderno di teologia sulla figura di Gesù Cristo, criticando coloro che nel Medioevo ritenevano Gesù perfetto in modo astratto (particolarmente in riferimento ad una conoscenza completa e assoluta di tutte le scienze che Egli avrebbe dovuto avere in quanto Figlio di Dio, al di là delle stesse conoscenze del tempo): "In questo ragionamento c'è un concetto erroneo della perfezione. Ora essa non consiste nel poter fare e sapere tutto in modo assoluto. Uno è perfetto quando è quello che deve essere nello stato in cui si trova. Il bambino è perfetto non quando si comporta da adulto, ma da bambino, cioè quando cresce e impara. Così la perfezione di Gesù è relativa all'uomo storico che egli è". Dunque lo stesso Gesù ha passato tutti gli "stadi intermedi" dello sviluppo, compreso l'aspetto affettivo-sessuale, come tutti gli altri bambini e giovani, anche se - precisa il suddetto testo - "non ebbe certamente concupiscenza", cioè tendenza a vivere in modo moralmente negativo i vari aspetti della vita e in particolare gli istinti affettivo-sessuali.

Per quanto riguarda la trasmissione dei "valori", e non solo in questo campo, bisogna inoltre capire che è inutile ed inefficace tentar di trasmettere alti contenuti e ideali al bambino attraverso il linguaggio parlato: il linguaggio da usare è quella ana-logico, fatto di figure, fiabe, esempi, esperienze concrete... Rimandiamo all'APPENDICE del presente capitolo, che tratta in modo più specifico della "comunicazione col bambino".

Come abbiamo già detto, è poi importante, nell'educazione, non "parcellizzare" mai la persona ma proporre cammini dove tutti gli aspetti (corpo, psiche e spirito) siano coinvolti. La parola d'ordine dovrebbe essere quella di educare ad un'autentica RELAZIONALITA'.

Ricordiamo anche qui quanto precedentemente esposto (pag. 46):

"Impuro il carnale lo è [solo] in tanto in quanto ibrido, ambiguo", poiché "vivere di frammenti è essere poveri di umanità: è l'immoralità". Dunque, in sintesi, è secondo la natura dell'uomo, cioè moralmente positivo, tutto ciò che lo aiuta a stabilire relazioni sempre più ampie, "aperte", autentiche e cioè integrali, e costruttivamente positive, cioè sempre più tendenzialmente oblative. E' in questo senso che bisogna ripensare tutta la morale sessuale. Ogni comportamento ed ogni atteggiamento in questo campo non deve perciò essere valutato solo secondo una funzionalità bio-fisiologica, ma invece secondo la sua utilità nel far crescere la capacità di rapporto. Perciò (anche tenendo conto degli ormai famosi "stadi intermedi" dello sviluppo) può considerarsi positivamente morale ogni azione che aiuti a crescere nel:

- rapporto con sé: comprese quindi le necessarie pratiche infantili di autoconoscenza, esplorazione, auto-erotismo (nel senso più ampio di "amore per sé");

- rapporto con agli altri, a partire dalla ricerca dell'altro per me, passando per la reciprocità, per arrivare al dono oblativo verso "ogni prossimo";

- rapporto con Dio, nella ricerca di un dono sempre più totale, come ricambio al dono che Dio ha fatto di sé a noi.

Ricordiamo (cfr. pagg. 49 e segg.) che questo vuol dire in particolare che ogni rapporto fra persone deve essere "in pienezza" e cioè non privilegiare solo un aspetto; e ciò nei due sensi: nel non attuare mai rapporti fisici più intensi della realtà di comunione profonda esistente fra le persone stesse, ma anche nel manifestare sempre tale rapporto profondo, nei modi adeguati e proporzionati, con le corrispondenti manifestazioni fisiche, scelte nell'ambito così multiforme delle sopraddette manifestazioni "soft" (volendo riservare la piena comunione sessuale al rapporto adulto e definitivo), anche se avvertiamo che, ad esempio, in tale ricerca di rapporto fisico i bambini (e anche gli adolescenti) manifestano una dimensione ancora molto "egoistica" (però proporzionata naturalmente all'età). Come abbiamo già rilevato altrove, può ancora sorgere l'obiezione che comunque certe affettuosità più "spinte" procurano un'eccitazione fisica, che solitamente tenderebbe a sfociare in una conclusione di tipo masturbatorio, quantomeno susseguente e solitaria. In ogni caso tale problema non tocca generalmente i bambini, almeno fino all'inizio della pubertà. Essi infatti, se manifestano di gradire e ricercare con vero piacere i contatti che procurano certe sensazioni, dimostrano altresì di non avere affatto la necessità che tali situazioni arrivino ad atteggiamentii di tipo masturbatorio, che, se - come abbiamo detto - sono peraltro presenti nella loro vita, non avvengono solitamente in detti momenti, ma in contesti del tutto differenti. I bimbi stessi, anzi, in tali contatti, di solito si fermano spontaneamente, ed esigono di fermarsi, ad un certo livello, dimostrando il più delle volte fastidio e reagendo se la cosa tende a prolungarsi oltre. Si può dunque affermare che una gamma vastissima di manifestazioni fisiche "soft" è possibile (e quindi autentica, moralmente lecita e psicologicamente costruttiva) anche nelle età più giovani, sia che si tratti di rapporti con coetanei, sia persino - come accenneremo più avanti - di rapporti fra bambino e adulto.

In questo senso bisogna riscoprire il significato più equilibrato del piacere, inteso come mezzo al fine. Come abbiamo già ampiamente esposto precedentemente (pagg. 51 e segg.), il piacere è una gratificazione naturale, e sana, che ci vien data come "premio" per aver compiuto un'azione giusta. Per il bambino, il cui compito principale è conoscere e prendere coscienza di sé, è naturale essere "egocentrico", e cioè essere ancora chiuso nella propria autogratificazione. E dunque diventa per lui normale avere degli atteggiamenti "egoistici", non saper donare con spontaneità e compiere azioni di "autoerotismo", cioè di piacere finalizzato a se medesimo. Nell'adulto invece il piacere non dovrebbe mai essere ricercato per se stessi, ma solo e sempre, nell'impegno di cercare il bene dell'altro, accettato serenamente e con riconoscenza come dono esprimente la gratitudine del partner.

A questo punto possiamo ulteriormente giustificare l’affermazione prima fatta dell’accettabilità delle manifestazioni sessuali del bambino. Infatti, per quanto riguarda ad esempio gli atteggiamenti di tipo masturbatorio, essi si possono ritenere come un comportamento di per sé normale, che aiuta il bambino prima di tutto a prendere sempre più conoscenza e coscienza del suo corpo, delle sue sensazioni; a procurarsi una distensione, un compenso sovente necessari nel lungo e faticoso lavoro della "crescita", così pieno anche di delusioni e frustrazioni; infine a procedere nella scoperta spontanea delle sensazioni piacevoli che lo sviluppo porta con sé (in una linea di continuità col succhiarsi il pollice o l'afferrarsi al corpo della mamma, per i più piccini), sensazioni ben lontane da ogni quadro di perversità e quindi anche di valenza etica negativa. Non sottovalutiamo inoltre che, nella dimensione dell'uso della fantasia e del gioco come "area intermedia" che fa da ponte per scoprire gradualmente la realtà, anche le fantasie masturbatorie e il conseguente comportamento concreto possono, nella fanciullezza, essere addirittura occasioni proprio per iniziare a scoprire la relazionalità.

Un altro aspetto, invece ampiamente sottovalutato, è quello delle "cotte" dei bambini. Anche i bambini provano attrazione fra di loro e sovente nasce un sentimento che si esprime attraverso tutte quelle manifestazioni che costituiscono il "flirt". Queste sensazioni di attaccamento affettivo sono sì "epidermiche", ma contemporaneamente sono vissute dal bambino con una profondità che - proporzion fatta - non ha nulla da invidiare agli innamoramenti adulti. Tale "cotte" possono prendere tanto da occupare in continuazione la mente e, in particolare, la fantasia. Sono grosse emozioni, che possono durare anche solo un giorno o qualche ora (ma non è infrequente che durino ben più a lungo), e che comunque sono vissute intensamente. Spesso la "cotta" non viene verbalizzata, comunicata, neppure alla persona "amata". Altre volte si esprime con frasi vaghe. Sono sensazioni di "amore infinito" che rimangono spesso dentro a se stessi. Si pensa con adorazione alla persona amata, la si vede nell'immaginazione con le caratteristiche che la stessa immaginazione crea o ingrandisce. Ma, nella realtà, non esiste un vero e continuativo rapporto. Forse quando esiste un avvicinamento reale e soprattutto quando, vincendo con coraggio la timidezza e le difficoltà a comunicare con quell'essere "straordinario", ci si mette in contatto e si cerca una vera relazione, l'entusiasmo decresce e la "cotta" sovente svanisce... Dice Mantovani: "Il flirt si rivela un ottimo punto di partenza per incominciare a pensare alle persone non come ad inflessibili programmatori, più o meno affetti da pregiudizi e limitazioni varie, ma come ad agenti ben equipaggiati per affrontare un mondo, sociale e fisico, sconosciuto, equivoco, imprevedibile e per certi versi pericoloso". E il suddetto autore sta parlando per gli adulti... Figuriamoci dunque se tutto ciò non è lecito, e anzi utilissimo, per dei bambini che stanno scoprendo faticosamente il mondo. Dunque anche l'"amore" fra due bambini (sia nella dimensione più intima della sensazione inespressa e della fantasia, che in quella dei comportamenti da "flirt") è da considerare pienamente sano e finalizzato alla crescita. E' quindi da riconoscere e da rispettare: guai alle crudeli "prese in giro" a cui siamo sovente tentati dall'alto della nostra "statura" di adulti! Certo anche qui ci possono essere esagerazioni o fissazioni, o, peggio, come abbiamo già avvertito più sopra, degli atteggiamenti non corrispondenti all'età, ma prodotti semplicemente da un tentativo di "scimmiottamento" del mondo adulto. E anche qui dunque bisogna imparare a conoscere e distinguere...

Infine vorrei brevemente esaminare quell'infinita gamma di giochi più o meno "sessuali", a cui si è accennato nel capitolo precedente. Intendo tutti quei comportamenti che vanno dal piacere di dire "parolacce" (così gustose perché danno il senso del proibito, e aiutano a "sdemonizzare" certi tabù...), alla storielle più o meno oscene (anche se sovente non ancora ben comprese dallo stesso fanciullo, che pure le ripete!), su su fino a certi tipi di lotta (che di sportivo han ben poco) o a giochi più espliciti (come quello "al dottore", o quello di sollevare le gonne delle bimbe, ecc. ecc.) o a quelli, certo molto più rari ma meno infrequenti di quello che pensano i "grandi", che possono essere definiti come propriamente erotici. Inutile dire che, anche qui, se si evitano esagerazioni o fissazioni (e se naturalmente si resta all’interno delle regola di buona creanza...), essi esprimono semplicemente il bisogno di conoscere, esplorare, sperimentare che il fanciullo ha in tutti i campi, e in modo particolarmente forte in quello sessuale. Dunque niente di preoccupante, anzi. Concludono Master e Johnson a questo riguardo (e in modo persin troppo prudente...) che "in assenza di un comportamento aggressivo e coercitivo, è difficile che esperienze sporadiche di sessualità infantile siano anormali. E le reazioni preoccupate e punitive dei genitori non sono affatto utili. Per aiutare il bambino a crescere sano da un punto di vista psicosessuale, è meglio avere un atteggiamento realistico". "I giochi sessuali sono nella normalità della crescita e della scoperta della vita, e non hanno niente a che fare con l'educazione sessuale impartita come materia scolastica. Una materia non sostituirebbe l'esplorazione e l'esibizione, e non sarebbe in nessun modo un'alternativa".

Ricordiamo poi che "è il gioco che è l'universale e che appartiene alla sanità" (Winnicot) e che il bambino può davvero fare "tutto col gioco":

- conosce sé, l'altro, il mondo;

- apprende sia fisicamente che intellettualmente;

- crea;

- comunica e socializza (cfr. l'apprendimento della necessaria esistenza delle "regole" secondo Piaget).

Il gioco, inoltre, può anche diventare il "luogo d'incontro" con l'adulto e quindi la chiave dell'interpretazione di una positiva relazione adulto-bambino che investe tutta la vasta gamma delle situazioni educative. Ma solo se l'adulto sa ancora giocare.... (cfr. il tema del film "Hook" e ancor prima la stessa favola di Peter Pan!). Tutto ciò è valido per ogni aspetto della vita del bambino, e sovente non abbiamo paura di concedergli di giocare anche a cose "negative" (naturalmente entro i limiti del buon senso e della sicurezza), pensando che, se le prova per gioco, potrà poi essere più capace di superarle nella realtà più avanti. Questo in modo particolare è l'argomento che si porta in sostegno, quando si vuole difendere il diritto del bambino a "giocare alla guerra" per scaricare così la sua aggressività. E perché tutto questo non si dovrebbe applicare anche all'amore e alla sessualità?

In ogni età comunque bisogna aiutare il bambino a superare quelli che precedentemente abbiamo chiamato i veri "demoni", perché distruttori di autentico rapporto, e cioè le tentazioni della GOLA, cioè dell'eccesso di piacere ricercato come fine a se stesso, e della VIOLENZA (anche solo psicologica), cioè dello sfruttamento forzato dell'altro per sé, senza tener conto dei suoi desideri e delle sue esigenze, ma anzi imponendogli le nostre. E la violenza può essere presente, anche se spesso inconsapevolmente, in qualsiasi età, comprese le più giovani, e particolarmente proprio nella sfera sessuale. Perciò bisogna educare subito il bambino, fin dalla più tenera età, a comprendere che non può e non deve mai "rubare" a forza un piacere da un'altra persona e, a sua volta, deve saper reagire prontamente quando qualcuno vuol fare altrettanto su di lui.

D’altra parte, per diventare capaci di superare le tentazioni della gola e della violenza, è certamente necessario (come abbiamo affermato in altro luogo) essere educati fin dalla più tenera età ad una capacità crescente di AUTODOMINIO, diventando ogni giorno più padroni di sé e non dominati e "sballottati" dal sentimento e dalle pulsioni ma sempre maggiormente in grado di "donare". Bisogna, in altri termini, educare il bambino anche al "SACRIFICIO" e cioè:

+ all'allenamento "atletico" dei desideri (mortificazione), per essere padrone di sé e potersi donare;

+ ad abituarsi alla "solitudine" (con Dio...) per non "dover dipendere", asservendo l'altro a sé;

+ all'"attesa" (non "tutto e subito"), per non sciupare le cose usandole in tempi e modi sbagliati.

Questo però, lo ripetiamo ancora una volta, ricordandoci che il bambino non è capace all'inizio di tutto ciò, e quindi riconoscendo e rispettando gli ormai "famosi" stadi di crescita.



3 - Per una educazione "positiva" alla sessualità

a) Una vera educazione della sessualità passa innanzitutto nella riscoperta serena, positiva ed equilibrata della propria CORPOREITA'.

Innanzitutto bisogna educare il bambino a STIMARE, AMARE, CURARE E SVILUPPARE IL PROPRIO CORPO. Questo si ottiene:

- trattando il bambino, di qualsiasi età, con un intenso, affettuoso e caldo contatto corporeo con noi, e via via con gli altri, condizione indispensabile per una comunicazione profonda, non solo verbale;

- trasmettendo al bambino un'immagine positiva e bella sia del nostro corpo che, in particolare, del suo, superando ogni tabù o falso pudore (ma anche comunicandogli un profondo rispetto per il suo e l'altrui corpo), educandolo e lodandolo per la pulizia e la cura per la salute (ma anche per il gusto "estetico") del proprio fisico, spingendolo a sviluppare il più possibile le sue doti fisiche (da quelle atletiche a quelle sensoriali): il bambino deve sentirsi bene dentro il suo corpo.

Bisogna però anche educarlo ad EVITARE UN CULTO ECCESSIVO, quasi "idolatrico" per il proprio corpo, così frequente oggi, ricordandogli che il corpo è solo una parte di noi stessi e che quindi deve essere a servizio di tutta la persona e non il suo padrone. Per far ciò bisogna aiutare il bambino a:

- accettare i limiti fisici del proprio corpo (compresi quelli estetici e quelli portati dalla malattie o dagli handicap), capendo che tutto ciò non gli impedirà di realizzarsi pienamente come persona;

- "gestire il piacere": che, come abbiam già detto, alla pari di ogni aspetto istintuale, deve essere educato, non semplicemente represso. Nella battaglia contro la "gola", il bambino deve essere educato a non voler soddisfare ogni suo "bisogno" o desiderio, e noi dobbiamo esser quindi capaci a dirgli anche dei NO, al di là dei suoi capricci e pianti....

- sopportare il dolore e la fatica, certo cercando di evitarli e combatterli, ma anche sapendoli vivere senza tragedie come esperienze che fanno comunque crescere (come dice la psicologa Melania Klein), che aiutano a superarsi e a diventare quindi maggiormente capaci di dono e che, infine, per il cristiano hanno anche un immenso significato in unione con Gesù crocifisso.



b) Bisogna lavorare seriamente per FAR SUPERARE AL BAMBINO I TABU' E LE PAURE PIU' O MENO INCONSCE, LE TIMIDEZZE E I "FALSI" PUDORI NON GIUSTIFICATI.

Per riuscire a far ciò coi bambini, è naturalmente necessario che noi stessi, adulti, abbiamo individuato e ben conosciuto i "nostri" tabù, le nostre paure... Anche se poi non fossimo sempre riusciti a superarli completamente (e nessuno riuscirà mai in pieno...), l'averli però ben chiari davanti agli occhi ci permetterà quanto meno di non "trasmetterli", più o meno coscientemente, ai nostri fanciulli, evitando di "colorare" il loro mondo coi nostri problemi.

Ricordiamo in modo particolare che molti tabù dei bambini nascono dall'essersi formati delle "visioni parziali" della realtà sessuale: pensiamo per esempio all'impressione di violenza e "ribrezzo" che un bimbo può ricevere davanti a certe scene di film o televisione che rappresentano in modo solo "fisico" l'atto sessuale (o addirittura davanti alle figure di giornaletti pornografici, che, molto più sovente di quanto pensiamo, possono circolare, almeno in modo occasionale, tra le mani dei nostri bimbi). Bisogna che queste impressioni, queste "visioni parziali" vengano fuori e siano con noi esplicitamente ridiscusse, in modo da inserire tali "dati" in una visione armonica e serena, complessiva dell'amore, facendo subito capire che l'uso negativo di certe parti e funzioni non ne cancella la bellezza e sanità di fondo (come una mano non diventa "macchina" meno meravigliosa in sé, se io la uso per dare un pugno invece di una carezza...).

Un altro fattore che può istintivamente suscitare nel bambino un certo senso di "schifo" per la sessualità, è quello che gli organi genitali sono "collocati" (e in gran parte associati) alle funzioni escretorie, che già di natura loro suscitano, giustamente, una sensazione di "rigetto" per il loro prodotto che deve essere eliminato, ma che, nella nostra cultura troppo igienistica, hanno assunto in questo senso una valenza certamente troppo negativa. Non dimentichiamo che un passaggio da uno stadio al seguente nella sessualità del bambino piccolo (da quello "anale" a quello "genitale") avviene proprio attraverso la repressione che si attua delle funzioni escretorie in vista della necessaria acquisizione del loro controllo: repressione che però sovente può essere attuata in modo troppo brusco ed eccessivo, provocando tutta una serie di disturbi, anche propriamente nevrotici. Dunque è necessario ricuperare anche la serenità verso l'aspetto escretorio del nostro corpo, risottolineandone la naturalezza e la spontaneità (nel superamento appunto di stupidi "pudori"), qualità che sono perfettamente compossibili anche con la necessaria igiene e riservatezza. In ogni caso non è difficile far comprendere poco per volta al bambino che la funzione sessuale è di molto superiore nel significato, e quindi nella "dignità" che le aspetta, a quella escretoria, a cui pure è anatomicamente e fisiologicamente così legata, proprio come capita per molti altri organi deputati a diverse funzioni (la bocca serve per parlare e baciare, così come per masticare e sputare...).

Riguardo al superamento dei "tabù", bisogna però anche evitare uno sbaglio "in eccesso". Come ripeteremo più avanti riguardo all'informazione sessuale, il bambino, a qualsiasi età, può, di per sé, conoscere (e vedere) veramente "tutto", nel senso cioè che non deve recepire la sensazione che alcuni argomenti (o anche solo alcune parti di essi) gli vengano nascosti, perché a lui proibiti. Bisogna però anche trovare il modo per fargli capire che questo mondo affettivo-sessuale, proprio per la sua bellezza e grandezza, coinvolge così tanto la persona da richiedere una vera e propria "riservatezza": riservatezza che noi gli assicuriamo nelle sue cose personali, sia fisiche che psicologiche (ad esempio, se lo richiede, nella toilette, e certamente nei suoi "segreti amorosi"), e che quindi gli chiediamo con serenità, ma anche in modo chiaro e senza deroghe nei nostri riguardi (dell'amore fra papà e mamma possiamo parlarne a lungo e senza paure, ma è giusto però che queste siano "cose loro", in cui egli accetta di "non andare a ficcare il naso"...). Perché la sessualità conservi tutto il suo "fascino", e quindi sia fonte di "desiderio", non bisogna che tutto sia "appiattito" banalmente perché messo "in piazza": la sessualità personale è e deve rimanere un "segreto personale" comunicabile solo a certe condizioni e a certe persone nella piena libertà. Ma il "segreto" deve essere affermato, nell'educazione, a questo livello, non a quello della conoscenza teorica delle cose....



c) In modo particolare, nel far superare al bambino le timidezze e i "falsi" pudori non giustificati, bisogna fargli capire che anche la nudità propria e altrui può essere una manifestazione assolutamente serena e sana, purché attuata nei tempi, nei modi e negli ambienti giusti.

Come abbiamo già detto, il PUDORE., in quanto vera virtù non è di per sé legato alla quantità di vestito che si ha addosso, ma è il profondo rispetto, nel cuore e nei gesti, del proprio corpo e di quello degli altri (il bimbo piccolo infatti, che è ancora naturalmente "pulito", non ha problemi e non ne crea...). In questo senso dunque il pudore non ha nulla a che vedere con una certa "sensazione di disagio", se non addirittura di vergogna e paura, frutto molte volte di paure e tabù verso la propria corporeità e, in particolare, verso la sessualità.

A conferma di ciò sottolineiamo come sia facile rilevare che i bambini che dimostrano più "pudore" (ma sarebbe meglio dire esplicitamente "più vergogna") sono sovente quelli più smaliziati, e anzi proprio già più maliziosi. Infatti abbiamo spesso rilevato nei bambini un fenomeno solo apparentemente strano: quando, nei campi di vacanze o durante giochi e attività sportive, è richiesto di spogliarsi insieme agli altri, quelli che sovente fanno più storie e mostrano maggiore vergogna non sono di solito i bimbi più moralmente delicati (che normalmente restano del tutto spontanei), ma invece proprio quelli che manifestano già nel resto del loro comportamento una maggiore malizia.

Nello stesso tipo di ambiente abbiamo anche notato che i bambini reagiscono con "pudore" nelle occasioni che socialmente sono più codificate come richiamanti il tabù sessuale (lo svestirsi per andare a letto, i servizi igienici, la doccia...), mentre possono talvolta neppure accorgersi di essersi spogliati, e perciò restare con tranquillità anche praticamente nudi, se la cosa è avvenuta in un contesto completamente nuovo, durante il quale non c'è stato da parte di nessuno neppure un minimo richiamo implicito a tale tabù: ad esempio giochi vari (come gare coi vestiti e altri) dove l'attenzione è concentrata su aspetti del tutto estranei alla situazione di nudità in sé, anche se di fatto la procurano.

Viceversa il bambino può manifestare talvolta improvvisi disagi in situazioni che proprio non li giustificano. Vediamo così che sia il maschietto, che più sovente - com'è ovvio, data la nostra educazione... - la femminuccia nei riguardi del papà e dei fratelli, mentre fino a poco tempo prima gironzolavano nudi per casa anche per ore, dimostrando di provare così un senso di libertà e benessere; iniziano improvvisamente, ad un certo momento, a chiudere drasticamente la porta andando ai servizi e cercano di fare la doccia da soli, mal sopportando la vista degli stessi familiari.

Insomma si può dire (riportando quanto scritto alle pagg. 55 e segg.) che il pudore sembra nascere (e particolarmente intorno ai 5 anni) dalla maggior consapevolezza della propria sessualità legata alla paura di essa, frutto a sua volta della repressione educativa e quindi del timore di essere guardati con disapprovazione dagli adulti. Come nel testo biblico per la prima coppia dopo la rottura dell'armonia primordiale della natura avvenuta con la ribellione a Dio, i bambini, che si sentono colpevolizzati riguardo alla loro sessualità e percepiscono l'ostilità su questo versante da parte del mondo adulto, "si accorgono di essere nudi, ne hanno paura e si nascondono" (cfr. Gen 3, 7-10). Dunque, molto prima che di morale, è una questione di "immagine", o meglio di armonia fra l'immagine di sé che il bimbo ha dentro‚ e quella che riceve dagli altri. Quando si riesce a ricreare un ambiente sanamente spontaneo e, per quanto possibile, libero da tabù., ma soprattutto dove il bambino non si sente "guardato con giudizio", certi pudori svaniscono ed egli riscopre sovente la gioia di rimanere a corpo libero anche in compagnia.

Il problema comunque non è banale come potrebbe sembrare. L'esposizione nuda del corpo (anche assolutamente al di là di fenomeni patologici di esibizionismo o di voyeurismo) presenta molti aspetti su cui riflettere.

"Il corpo umano, per quanto venga esposto alla curiosità del bambino, non cessa mai di essere qualcosa di estremamente affascinante ed eccitante". "Il nudo non è né indifferente né innocente... In senso positivo, le riserve dell'etica cristiana verso l'esibizione del corpo nudo dipendono dalla concezione che vede nel corpo l'espressione della persona. La nudità è perciò riservata ai momenti di particolare intensità, in cui la persona si lascia 'conoscere' nell'abbandono amoroso". "La sola norma perenne e determinante sembra essere il rispetto... Non è quindi questione di stabilire solo situazioni giuridiche né di determinare dei 'limiti di pelle', ma di stabilire delle armonie interiori... Tuttavia la fondamentale innocenza della nudità non significa la fondamentale innocenza dell'uomo che, del nudo come di altre situazioni, può usare con ingorda sfrenatezza, senza quel rispetto dell'altro e della sua più gelosa intimità in cui consiste, appunto, il pudore".

Alla luce delle cose esposte, ci paiono perciò equilibrate le conclusioni pedagogiche di Bernardi:

"Esiste ancora un piccola problema da discutere: è un bene o un male permettere a un bambino la visione del corpo umano nudo?... Il nascondere le parti 'vergognose' di se stessi è senza dubbio un male. Anzi è ridicolo. Il fare così significa in sostanza dire al bambino: questi e questi organi sono brutti, sporchi, cattivi, e in fondo sarebbe meglio non averli. Significa in altri termini presentargli il sesso come un male. Come qualcosa di indesiderabile... [Tuttavia] il corpo umano per quanto venga esposto alla curiosità del bambino, non cessa mai di essere qualcosa di estremamente affascinante ed eccitante... Questo tipo di eccitazione non ha in sé proprio nulla di condannabile né di pericoloso, sempre che i genitori si comportino in modo spontaneo e NON VOLUTAMENTE ESIBIZIONISTICO, e che la loro nudità sia un fatto casuale e non programmato. Ritengo quindi che la questione del nudismo familiare non rappresenti un vero problema: che il bambino veda nudi fratellini e sorelline è spesso un bene; che veda nudi i genitori è abbastanza indifferente, a patto che i genitori stessi, con loro imbarazzo, non diano al figlio la sensazione di fare qualcosa di strano e di ambiguo".

Ripetiamo dunque che l'ideale educativo - che concretizza questa visione serena ma non banalizzata della nudità - non consiste perciò nel reprimere il bambino tutte le volte che assume atteggiamenti troppo "liberi", ma invece nell'abituarlo a godere di una sana spontaneità senza paure in tutti gli ambienti che la permettono (casa e simili) e con tutte le persone che hanno un rapporto positivo con lui, facendogli anche capire che il coprirsi nelle altre occasioni è semplicemente una forma di rispetto per sé e per gli altri (dello stesso tipo - ma ovviamente con una profondità di significato molto più grande - di quello per cui non si deve mettere le dita nel naso in pubblico...).



d) Per ottenere questa "liberazione" è indispensabile parlare col bambino e portarlo ad esprimersi con libertà (anche se all'inizio, nell'euforia della "liberazione", potrà assumere atteggiamenti o espressioni eccessive, da correggere poi susseguentemente).

In questo senso è di massima importanza L'INFORMAZIONE SESSUALE, che dev'essere continua e mai data come già avvenuta e scontata, poiché il bambino ha bisogno di sentirsi ripetere successivamente le cose, secondo cerchi concentrici sempre più ampi e approfonditi, sia per "rassicurarsi" delle verità già sentite che per "assumerle nuovamente" con una comprensione più profonda.

E’ necessario affrontare tutte le curiosità del bambino e rispondere sempre a tutte le domande a qualsiasi età, con chiarezza e senza alcuna reticenza (che, come detto, farebbe pensare al bambino che certi argomenti siano tabù, e cioè riguardino argomenti di per sé "sporchi", idea questa assolutamente contraria ad una visione equilibrata della sessualità). Non c'è nessun argomento che il bambino anche più piccolo non deve conoscere, neppure quelli "negativi" (ad esempio le domande che possono nascere sulla prostituzione o alla vista di pubblicazioni pornografiche...). Anche in questo caso bisogna affrontare serenamente il discorso ed è una splendida occasione per incominciare a far capire al nostro bimbo o ragazzo che non deve credere che sia giusto tutto quello che gli viene presentato dai compagni o dai mass-media: ecco l'inizio di una autentica educazione agli ideali cristiani, in controcorrente a ciò che il mondo oggi trasmette! Nulla dunque dev’essere artificialmente nascosto al bambino, anche se deve naturalmente essere affrontato col linguaggio e con la profondità adeguati all'età (come facciamo per qualsiasi altro argomento), ma è meglio in questo caso sbagliare un po' per eccesso che per difetto: al massimo non capirà a fondo e prima o poi ci richiederà.

E se il bambino non ci fa mai domande..., bisogna preoccuparsi di farle uscire! Infatti è impossibile che egli non si ponga certe questioni. Se non chiede, è perché ha già ricevuto risposte sbagliate da altri o si è già fatto l'idea che noi non vogliamo rispondere... Dobbiamo portarlo noi a porle, stimolando la sua curiosità o, molto più semplicemente (e probabilmente!), a riuscire ad avere il coraggio di "tirar fuori" tutti dubbi e i perché che conserva nascosti al fondo di sé. Ricordiamo ancora che il bambino, a tutte le età, possiede certamente già un certo qual bagaglio di nozioni (proveniente dalle fonti più diverse e sovente "distorte"), ma sovente in modo molto confuso e contraddittorio, con un misto sorprendente di realtà e fantasticheria. E' necessario aiutarlo continuamente a confrontare queste sue nozioni e a risistemarle, completandole ed armonizzandole.

Questo discorso non esclude, anzi richiede, l'uso di fiabe e di espressioni poetiche, purché esprimano veramente la realtà senza mascherarla. Crediamo però che possa ancora esser utile la "colorazione" di tutte le realtà affettivo-sessuali con favole e fantasie, purché non siano "ingannatorie": non pretendano cioè di sostituire la verità. Il cavolo e la cicogna (come Babbo Natale) possono forse essere recuperati come "linguaggio poetico", che tanto piace al bimbo, ma nella sua consapevolezza (che nasce dalla chiarezza dei nostri discorsi) che "rappresentano" solo e NON sono la realtà che egli già ben conosce altrimenti, e che è fatta di utero e spermatozoi... Poesia e realtà non sono affatto incompatibili, anzi. Morali-Daninos afferma che "se dovessimo far l'amore senza più miti e fiabe, senza poesie né canzoni, senza dipinti né statue, senza profumi, regali, auguri, senza viaggi e senza tenerezza, senza litigi e senza perdoni, allora saremmo pronti per mettere la parola 'fine' alla storia dell'homo sapiens sul pianeta terra".



e) Perché il bambino possa veramente aprirsi in tutte le sue problematiche, bisogna che non si senta mai giudicato, e tantomeno represso, dall'adulto. Una sana ed equilibrata valutazione del comportamento del bambino che sa accettare serenamente le tappe intermedie senza forzature repressive, richiede ovviamente un grande equilibrio non solo di giudizio ma anche emotivo da parte dell'educatore, che non deve aver "lasciato in sospeso" nessuna problematica della sua infanzia.

Superando i "nostri" tabù, dobbiamo anzi desiderare e favorire che il bambino faccia tutte le esperienze positive possibili (senza neppur pretendere di riuscire ad evitargli tutte quelle negative...) purché proporzionate alla sua età. Tanto per cominciare, possiamo certo valorizzare (e anche cercar proprio di "creare") tutte le occasioni che si possono "naturalmente" presentare nella vita normale del bambino: pensiamo allo spogliarsi e vestirsi, al bagno, alle mille occasioni di giochi corporei (come la lotta e simili), al garantirgli un sereno e libero ambiente di "mixité" e cioè di compresenza (in tutti i momenti, anche più "intimi") di bambini del proprio e dell'altrui sesso, prendendo spunto soprattutto da situazioni particolari, come una bella vacanza al mare...

Se abbiamo questo atteggiamento, il bambino sentirà la possibilità di farci conoscere la sua realtà e noi potremo aiutarlo a crescere, compreso il fatto di aiutarlo a rimanere nella sua giusta dimensione, evitandogli ricercare esperienze superiori a lui, a cui - come abbiamo già rilevato - è facilmente tentato a modo di "scimmiottamento" del mondo adulto.

Anche nel campo affettivo-sessuale dunque, come facciamo in tutti gli altri campi, e come abbiam già detto per l'aspetto di informazione, bisogna aver il coraggio di stimolare la crescita del bambino anche nelle sue esperienze concrete riguardo l'affettività e l'esercizio della sua sessualità, favorendone la spontaneità e rispettandone sempre la libertà (anche di rispondere o no ai nostri stimoli educativi e di stabilire fino a che punto arrivare).

Bisogna superare una visione contraddittoria per cui il bambino, mentre in pratica per tutti gli altri campi, pur sapendo di essere molto meno capace dei "grandi", si sente da loro stimolato a provare e a crescere ogni giorno; in questo invece gli viene addirittura interdetto ogni tipo di esperienza fino all'età adulta: insomma il sesso è una cosa per soli "grandi" e a lui non resta che aspettare, differendo ogni desiderio e pulsione! Infatti in tutti gli altri campi, nessuno escluso, noi non ci accontentiamo di prendere atto delle successive scoperte e delle acquisizioni che il bambino fa spontaneamente, ma lo stimoliamo a scoprire cose nuove e a provare nuove esperienze, sempre un po' più avanzate. Pensiamo ad esempio nel campo cognitivo e dell'apprendimento. Se poi scopriamo che un bambino è particolarmente "pigro" e fermo nel suo cammino, ci preoccupiamo giustamente e lo stimolo ad andare avanti aumenta (e qui pensiamo in modo particolare, ad esempio, all'educazione motoria e manuale e all'abilità di scrivere, disegnare, ecc.). Perché questo non avviene anche nel campo affettivo-sessuale?

Sovente l'obiezione avanzata da genitori ed educatori, che nasconde una certa soddisfazione nel rilevare quella supposta "angelicazione" del bambino (di cui e delle cui cause sopra abbiamo ampiamente parlato), è quella che "il LORO bambino non mostra di avere alcun problema, e che quindi non ci sembra proprio il caso di suscitargliene noi".

Da quanto abbiamo esposto, possiamo invece concludere che è impossibile che un qualsiasi bambino non abbia dei problemi affettivi e sessuali, a meno che non sia più o meno gravemente "ritardato" (ma in questo caso dovrebbe comunque manifestare problemi propri di età precedenti) o, caso più probabile, che, essendo già più o meno ampiamente represso, non abbia imparato a nascondere a noi (e magari anche a se stesso) tali problemi: la cosiddetta e per noi ormai "famosa" latitanza... In ogni modo, proprio se il bambino non manifesta problemi, dobbiamo preoccuparcene e stimolarlo in maniera che riconosca e affronti tutte le realtà adeguate alla sua età, anche appunto specificatamente nel campo affettivo-sessuale.

Abbiamo già parlato dell'aspetto dell'"informazione", che ci pare, tutto sommato, quello che può diventare il più scontato e sereno. Ma è necessario stimolare il bambino anche nei comportamenti, cioè nelle sue esperienze concrete riguardo l’affettività e l'esercizio della sua sessualità? La prima risposta che ci viene da dare è: PERCHE' NO?, dal momento che questo viene fatto in tutti gli altri campi.

Ma che cosa vuol dire ciò concretamente? Forse che dobbiamo stimolare direttamente il bambino alla scoperta e all'uso della sua sessualità attraverso esplicite proposte (sia pure più o meno dirette...) di giochi "erotici", ecc...? Detta così, la cosa lascia certamente perplessi. Anche e soprattutto perché possiamo rischiare davvero di "forzare la mano" e portare il bambino ad esperienze non ancora adeguate alla sua età, fino a giungere noi stessi addirittura a condurlo a quelle forme di "scimmiottamento" degli adulti, che prima abbiamo condannato

Dobbiamo riconoscere che, su questo punto, il problema rimane ancor molto aperto. Infatti, non avendo finora sufficientemente ri-conosciuta, e quindi conosciuta, la realtà "normale" della sessualità infantile nei vari passaggi, ci troviamo "spiazzati" nel capire "fino a che punto" dobbiamo stimolare.

Ribadiamo però almeno la convinzione che dobbiamo porci il problema che anche in questo campo è necessario lo stimolo educativo, fissando come parametri generali quelli di:

- favorire, ma anche rispettare, la spontaneità del bambino;

- e cioè fare in modo che, ai nostri stimoli, egli possa sempre rispondere con la massima libertà, sia nell’accettarli che nel rifiutarli, e comunque nel "fermarsi" quando e come vuole;

- e quindi, anche anche quando si "provoca" una sua risposta, lasciare sempre a lui l'iniziativa di essa.



f) Perché, anche in questo campo, l'educazione non sia solo una fredda istruzione o un "addestramento", ma sia veramente un rapporto VITALE, bisogna che l'adulto si lasci pienamente coinvolgere nella dimensione affettivo-sessuale col bambino, non avendo paura di tutte quelle manifestazioni fisiche (anche più intense) che possono rientrare in quel genere "soft" di cui abbiamo parlato. Perché però questo rapporto sia veramente sano, eviti cioè ogni forma di morbosità e di violenza (anche solo psicologica, sempre e così tanto possibile qui come in tutti i campi educativi), bisogna:

- che l'adulto sia ben consapevole delle sue personali problematiche affettivo-sessuali e le sappia gestire con equilibrio, senza proiettarle anche inconsciamente sul bambino; e sappia quindi anche riconoscere i suoi limiti soggettivi, evitando ogni tipo di atteggiamento che rechi a lui personalmente del disagio, che verrebbe comunque comunicato al bambino stesso;

- che sappia riconoscere e quindi impari a conoscere molto bene l'affettività e la sessualità dei bambini (specialmente di quelli di sesso diverso dal suo);

- che esamini in continuazione il rapporto affettivo che ha col bambino, perché esso non rischi mai di diventare un attaccamento in qualche modo "compensatorio" o comunque finalizzato all'adulto invece che al bambino stesso;

- che sappia sempre riconoscere e controllare l'emotività che il bambino ha in questo campo, sovente non proporzionata all'intensità oggettiva del fatto, ma legata ad un'interiorità molto più complessa;

- che, anche nel rapporto verso di lui adulto, educhi il bambino a vincere ogni forma di "gola" e di "violenza" e ad accettare, progressivamente con l'età, l'idea che ogni tipo di rapporto deve essere regolato da un'effettiva e quanto più completa reciprocità.



g) Sulla base di tutte le cose dette, potremo allora educare gradualmente il bambino ORIENTANDOLO POSITIVAMENTE E DECISAMENTE CON TUTTI I MEZZI EDUCATIVI (compresi naturalmente richiami, rimproveri e anche castighi, quando necessari..., ma sempre tenendo presente il modello del "progetto" e il puntare sui valori prima che sull'esecuzione più o meno immediata di comportamenti concreti).

A questo riguardo, ricordiamo che è ancor sempre valida (con tutte le revisioni critiche necessarie) la visione di Freud che individua nel bambino piccolo un "perverso polimorfo". L'aggettivo "perverso" non ha qui naturalmente nessun significato morale, ma, assunto in modo un po' provocatorio, indica che il bambino piccolo ha in sé, più o meno latenti, tutte le tendenze possibili nell'uso della sua sessualità, anche le più anomale. Tali tendenze vengono via via superate e dimensionate, finalizzandone all'orientamento definitivo, e sempre più preponderante, della propria sessualità verso un "modello" comportamentale che, nella visione di uomo integrale, sia non solo il più appagante, ma soprattutto quello veramente più in grado di "realizzare" in pienezza tutta la persona in una profonda relazionalità con l'"altro". E questo modello rimane certamente quello della coppia eterosessuale (anche se, come vedremo più avanti, non in modo assolutamente esclusivo di qualsiasi altro tipo di rapporto).

Il cammino verso questo orientamento definitivo avviene certamente attraverso l'opera costante dell'educazione, che è fatta anche di correzione, e di proposte meno istintivamente "piacevoli". Riprendendo alcuni concetti più sopra esposti, bisogna ad esempio educare progressivamente il bambino:

- all'attesa: il "tutto e subito", nell'appagamento immediato e continuo dei propri istinti e desideri, non porta certamente alla costruzione di un uomo veramente ed armonicamente realizzato e capace di autentici rapporti! In questo senso (e certo non solo nel campo affettivo-sessuale) non bisogna essere delle "macchine distributrici" di appagamento davanti ad ogni richiesta e capriccio del bambino. Bisogna anche sapere dire, e con fermezza, dei NO;

- alla capacità (e anche al gusto) della solitudine, intesa ovviamente non come ideale globale e totalizzante della vita (!), ma piuttosto come un autentico "momento" di essa che, oltre a farci conoscere e "gustare" meglio noi stessi, ci rende capaci a non dipendere per forza e sempre dagli altri. Solo "sapendocela cavare da soli" ("sapendo remare da soli la propria canoa" come diceva Baden Powell, il fondatore dello Scoutismo), non saremo costretti a sfruttare continuamente gli altri come strumenti per il nostro tornaconto, e anzi diventare a nostra volta capaci di donare "gratuitamente" qualcosa a loro;

- al sacrificio: scegliere vuol dire comunque "rinunciare" all'altra possibilità alternativa a quella preferita. E l'amore è sempre una scelta, libera ma anche ben definita. E, nella misura in cui è dono, è "sacrificarsi" per il bene dell'altro... Ed è dunque anche necessario insegnare un po' di "ascetica" nell'imparare a saper dire dei NO anche a se stessi per "allenarsi" e non diventare schiavi degli istinti. Alcuni "no" liberi, anche per cose di per sé lecite, ci rendono in grado di saper dire i necessari "no" alle cose sbagliate quando si presenteranno al nostro desiderio...

Tutto ciò ci rende anche capaci di alcuni preziosi atteggiamenti, che avevamo precedentemente identificati: il desiderio, il saper far silenzio, l’ascolto, l’accoglienza. E solo così, infine, scopriremo la gioia della reciprocità, che, come abbiam detto, è il punto di arrivo di ogni vero amore.

Ricordiamo però ancora una volta che l’orientamento educativo, di cui stiamo parlando, deve avvenire sempre in un clima di amore, con affetto e con la già detta "pazienza educativa" (che è fatta anche di "misericordia" e perdono ed è antitetica al creare paurosi "sensi di colpa"). E che infine, come più volte ripetuto, avviene più attraverso i fatti e le esperienze, che le parole e i grandi discorsi.

Continua...
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Educazione alla sessualità

Messaggioda Royalsapphire » 30/06/2013, 15:01



...Continuazione

4 - Educare alla propria identità sessuale e al rapporto col "diverso da sé"

Dedichiamo infine l’ultimo paragrafo a quanto può fare l’educazione per aiutare il bambino a scoprire la propria identità sessuale. Tale identificazione si compie nel bambino certamente almeno in gran parte attraverso la testimonianza degli atteggiamenti degli adulti fra di loro e il rapporto che egli ha con gli adulti stessi, in un complesso gioco di continua ricostruzione della propria "immagine" e di assimilazione di "modelli". E’ perciò assolutamente importante che l'adulto riveda continuamente i "messaggi" impliciti che in tali modi, attraverso la sua stessa persona, invia al bambino.

Infatti, pur non negando al fattore biologico (cioè agli elementi corporei della sessualità) un’importanza basilare, condividiamo la tesi che sostiene che l'identificazione sessuale avviene in gran parte attraverso l'educazione, intendendo con questo non solo gli interventi coscienti e compiuti per scelta col bambino, ma anche - e forse soprattutto - i tipi di modello che gli comunichiamo attraverso il nostro comportamento e il rapporto affettivo-sessuale che abbiamo con lui. Questo significa che, nonostante i fattori ormonici e genetici, l'educazione a considerarsi maschio o femmina è un elemento determinante per l'identificazione sessuale e che l'assunzione di un determinato ruolo avviene principalmente attraverso l'apprendimento.

E, parlando di modelli, ci sia permesso aprire una lunga parentesi sul significato di GENERE maschile e femminile. Riteniamo infatti che tale discorso sia molto più ampio e profondo, di quello che solitamente si intende, restringendo il genere al "fenotipo", cioè a due ed esclusive identità sessuali maschile e femminile, più o meno fisse e stereotipe e ben distinte fra loro, date dalla realtà biologica.

Come abbiamo già detto in una pagina precedente mascolinità e femminilità sono due principi universali della persona che insieme rendono completa l'"immagine" di Dio nell'umanità (Cfr. Gen. 1): questa "immagine", di perfezione infinita, pur essendo già realizzata in ogni singolo uomo, riflette tutta la sua ricchezza in due "parti" distinte, che quindi la realizzano nuovamente in pienezza nella loro comunione, complementandosi a vicenda (caratteristiche intellettuali, spirituali, ecc. nelle due "colorazioni" maschile e femminile; paternità/maternità, ecc...). Ricordiamo il simbolo orientale ("yan/yin"), riportato allora.

Sarebbe però molto riduttivo intendere questo discorso nel senso già sopra criticato: cioè come se tale due principi fossero attuati in maniera ben separata, in due categorie ben distinte di persone, in modo tale che tutti i contenuti del genere femminile fossero realizzati solo ed esclusivamente nelle persone biologicamente femmine, e tutti quelli maschili solo ed esclusivamente in quelle biologicamente maschi.

Nella realtà invece questi due "principi" sono sempre presenti ambedue in ogni persona e dosate in un "cocktail" unico e irripetibile (cfr. per esempio i due tipi di intelligenza: maschile, più "logica", e femminile, più "intuitiva" o i due tipi diversi di sensibilità, ecc.). Ognuno è maschio e femmina a modo suo, nel senso cioè che contiene in sé elementi sia maschili che femminili, anche se nella risultante finale egli (o ella) risulta appartenente ad uno o all'altro di tale due generi, cioè a quello che nell'insieme emerge in modo prevalente (essendo ciò chiaramente condizionato anche e soprattutto, ma non solo dalla sua realtà biologica). Questo fa sì che se, idealmente, si ponessero in successione tutti i caratteri possibili, ne risulterebbe un grafico senza soluzione di continuità, che, partendo da un possibile tipo di "maschio assoluto", cioè con tutte e solo caratteristiche di tipo esclusivamente maschile (per fortuna non possibile e quindi non esistente) giungerebbe all'analogo tipo di "femmina assoluta" (ugualmente inesistente), passando attraverso infinite possibilità e sfumature dove le caratteristiche maschili e femminili sono invece ugualmente presenti e variamente dosate. Al centro di tale arco ideale si potrebbe delineare una partizione che, pur distinguendo chiaramente le due parti, non crea solco di continuità nella serie dei caratteri, distinzione chiaramente determinata dalla situazione biologica e ben distinta dei due sessi cromosomici e organici. Grosso modo, si potrebbe rappresentare tale arco nel modo seguente:

Immagine



Naturalmente i caratteri, sia rispettivamente maschili e femminili, che si trovano più vicini alla linea di partizione, risulteranno i più complessi e, sotto certi aspetti, i meno definiti, ma anche per altro verso, i più ricchi. Anch'essi, in assenza di anomalie genetiche o genitali, e in assenza della situazione psicologica di tendenza omosessuale, devono ritenersi nell'assoluta "normalità" di identità sessuale, cioè come veramente e pienamente appartenenti a quel determinato genere, maschile o femminile, come per tutti gli altri possibili caratteri dello stesso settore, anche se molto diversi da loro. Essi invece si troverebbero ad essere molto più simili a quelli dell'altro settore a loro più contigui. La stessa coppia eterosessuale, vista come realizzazione della complementarietà, potrà pienamente realizzarsi tra personalità corrispondenti, che si trovino - potremmo dire - su di uno stesso asse orizzontale nel grafico...

Bisogna dunque rispettare questa UNICITÀ di ogni persona: forzare in stereotipi vuol dire creare ruoli precostituiti e coartare la personalità, talvolta causando seri disastri. Ognuno, insistiamo, è irripetibile e come tale deve essere riconosciuto e rispettato. Quindi, poiché nessuna caratteristica umana è, di per sé, solo maschile o femminile, ciascuno deve poter sviluppare tutte le capacità che la natura ha a lui dato. Le proposte educative non devono perciò essere a priori selettive: anzi bisogna saper proporre un po' tutto a tutti (dal cucire al giocare, dal gioco con le bambole al gioco del pallone...). Piuttosto bisogna avere rispetto per la personalità di ciascuno, spingendolo - da un lato - a sviluppare tutte le potenzialità che dimostra di avere, ma anche - dall'altro - accettando i suoi limiti (sia di gusto che di capacità). Così facendo si rispetteranno anche le sue naturali caratteristiche maschili o femminili, ma lasciandogliele vivere nelle sue modalità proprie, ed ogni persona si collocherà naturalmente nel SUO posto naturale in tale "arco", trovando il SUO modo esclusivo ma autentico e pieno di essere quello che è, e cioè maschio o femmina.

Ora, se i ruoli sociali possono certamente aiutare nel collocarsi nel mondo secondo la propria identità sessuale, bisogna evitare che essi diventino stereotipi e discriminanti. Infatti, se i bambini, per seguire il loro "modello", incominciano spontaneamente a "divergere" negli interessi e nei giochi, è bene però che ciò avvenga appunto solo attraverso un processo naturale e non forzato, e soprattutto senza "rafforzare" la propria parte col disprezzo dell'altra. E' giusto quindi che i bambini nei momenti liberi si raggruppino con quelli dello stesso sesso e facciano giochi più "tipici". In tali occasioni i maschi e le femmine si separeranno nettamente in modo spontaneo. E se a tutte le età i bambini amano restare talvolta soli per riposarsi e rilassarsi lontano dagli altri, dai 5/6 anni in avanti potremo osservare che tale "break" avviene sempre più sovente anche in piccoli gruppi di bambini dello stesso sesso. Sono i prodromi di quello che sarà tra i nove e i dieci anni il fenomeno così tipico delle "bande" per i maschi e l'equivalente gruppetto di amiche per le bimbe. Stare col proprio gruppo è un modo quanto mai importante per sviluppare la propria identità sessuale: nel gruppo i bambini scoprono, proprio attraverso giochi e attività peculiari, che cosa significhi appartenere a un sesso e non all'altro.

L'importante, dicevamo, è che tutto ciò avvenga spontaneamente e senza forzature. Sottolinea Osborne:

"Nell'insieme, i genitori e tutti gli altri adulti sono pronti ad incoraggiare 'i maschi ad essere maschi' e 'le femmine ad essere femmine'... Rimane tuttavia nei maschietti qualche aspetto femminile e nelle femminucce qualche aspetto maschile. E' importante che, nel nostro entusiasmo di trasformarli in maschietti e femminucce normali, non li induciamo a disprezzare questo aspetto diverso di sé... Molte bambine attraversano una fase di 'maschiaccio' che può durare abbastanza a lungo... Spesso la gente accetta questo lato maschile delle bambine molto più facilmente che l'equivalente lato femminile dei bambini, forse perché ci preoccupiamo molto di più dell'omosessualità maschile che di quella femminile o forse perché in genere tendiamo ancora ad attribuire maggior valore alle virtù 'maschili', come per esempio il coraggio fisico, che non alle più delicate virtù 'femminili'. Di conseguenza molti ragazzi crescono con una certa vergogna dei loro sentimenti più teneri e trovano grande difficoltà ad esprimerli".

Infatti sembra proprio che nell'educazione tradizionale si passi l'idea che esser maschio sia più importante che esser femmina. Basta chiedere a dei maschietti se vorrebbero cambiare sesso per rendersene conto: essi rispondono molto raramente di sì, mentre viceversa le bambine spesso ammettono che vorrebbero essere dei maschi, o più frequentemente manifestano implicitamente questo loro desiderio nei sogni e nei giochi. Le bambine possono anche travestirsi da cow-boys, da astronauta, da Zorro, da Batman, ma certo nessun maschio si vestirà mai da infermiera o da fata.

E' tuttavia molto importante che anche i maschi siano capaci di assumere alcuni aspetti di solito ritenuti femminili, imparando ad esempio che la mascolinità comprende anche tenerezza e gentile sollecitudine. Proprio perché, come abbiamo più sopra detto, in un'educazione classica, che tenda cioè a coartare in schemi prefissati e stereotipi i caratteri maschile e femminile, di solito si dà maggior valore e prevalenza alle caratteristiche ritenute maschili; pensiamo che sia soprattutto importante, in una educazione nuova, rispettosa e "liberante", insistere particolarmente (e quindi far emergere) nei maschi alcune potenzialità di "tipo" femminile. Pensiamo a quelle che Osborne ha prima chiamato "le più delicate virtù femminili" e "i sentimenti più teneri". Ad esempio una categoria di comportamento, di solito ritenuta esclusivo appannaggio del genere femminile, ma che invece riteniamo molto importante proporre veramente a tutti, e in modo speciale appunto ai maschi, è quella di "AVER CURA DI", di sentirsi cioè emotivamente ed affettivamente coinvolti nell'impegno di prendersi cura di cose, situazioni e soprattutto persone (ad iniziare da bambini più piccoli o più bisognosi), nella riscoperta di un sentimento che potremmo definire "materno", se questo aggettivo è accettato non come significante un ruolo sociale, ma invece come un atteggiamento profondo e complementare a quello "paterno", ambedue in qualche modo presenti e comunque necessari in ogni persona, al di là del suo sesso di appartenenza, se si vuole ottenere un'autentica completezza umana.

I bambini hanno dunque bisogno di non venire derisi per qualche caratteristica diversa da quelle del loro ruolo "sociale" ("piangi come una femminuccia" o "salti come un maschiaccio"), e anzi devono veder riconosciute le loro peculiarità ed essere aiutati a conservarle e svilupparle. Il bambino avrà uno sviluppo armonico e diventerà maschio o femmina in modo chiaro (ma anche suo e irripetibile, come sottolineeremo tra breve) se viene valorizzato innanzitutto come persona, senza pre-etichettarlo e mortificarlo in schemi precostituiti.

Se al bambino deve venire permesso di "esser se stesso", egli nello stesso tempo (anzi proprio per questo) ha bisogno di conoscere il diverso e imparare ad accettarlo, e così capire un po' che cosa significa essere una bambina, e viceversa. Entrambi hanno perciò bisogno di avere come compagni anche bambini dell'altro sesso e di essere capaci di andare d'accordo con loro. Dopo anni di diffidenze (e anche veri e proprio ostacoli) da parte di alcuni ambienti cattolici verso la mixité, cioè l'educazione in ambiente misti, è ora lo stesso Papa Giovanni Paolo II che afferma: "Un tipo di comunità mista possiede un'importanza enorme per la formazione della personalità dei ragazzi e delle ragazze. Tocchiamo qui il disegno originario del Creatore". Se senza forzature il bambino potrà crescere in un ambiente di sana, naturale e continua promiscuità, non solo imparerà ad attenuare spontaneamente certe durezze nel confronto del sesso opposto, ma arriverà anche a godere della sua presenza e ad... innamorarsene. E' questa infatti l'età in cui, essendo diventata più possibile per il bimbo la vita di relazione con gli altri, si possono manifestare - come abbiamo già rilevato - dei primi idilli, tenerissimi ma molto più intensi di quanto l'adulto sovente non riesca a capire. Questi primi amori, fatti più di fantasia e di sentimenti che di realtà, servono come riferimento, molto più sovente di quanto si creda, nelle scelte e nella struttura dei futuri amori.

Vogliamo ancora precisare alcune cose perché non si corra il rischio di confondere, come avviene talvolta, il concetto di co-educazione, come noi lo intendiamo, con quello di un'educazione negativamente "indifferenziata". La convinzione della positività di una coeducazione ha portato talvolta ad una sorta di '"appiattimento". La coeducazione è diventata una cosa talmente ovvia, che si applica senza più preoccuparsi di avere alcun criterio, alcuna verifica, con una superficialità che sembra tenda ad ignorare (quasi fosse la posizione pedagogica ideale!) l'esistenza di maschi e femmine, e si propone un'educazione talmente "comune" da essere appunto indifferenziata e cioè INDIFFERENTE alla realtà sessuale. La realtà vera, profonda, non è però naturalmente così. Poiché i bambini e i ragazzi (e gli educatori!) rimangono comunque di fatto maschi e femmine, tutte le problematiche e le tensioni di questo fattore restano e così non vengono però affrontati, e ci sembra che in verità provochino più di prima delle nuove ruolizzazioni: i bambini (e forse, guarda caso, soprattutto le bambine) di oggi ci sembrano molto meno spontanei e liberi di quelli che avremmo desiderato come progetto. Non si tratta di cancellare le diversità, ma anzi di farle emergere, tenendo solo presente che esse non sono stereotipe, ma che ognuno in qualche modo è "diverso" da ogni altro.

Riassumendo, dunque, nella consapevolezza che gli elementi maschile e femminile sono presenti in un cocktail irripetibile in ogni persona, e che perciò, essendo ognuno maschio o femmina in un modo assolutamente suo e peculiare, l'adulto non deve proporre nell'azione educativa dei ruoli sessuali precostituiti; bisogna che:

- l'adulto per primo riconosca, accetti e valorizzi in se stesso la presenza di elementi del carattere dell'altro sesso;

- che sappia riconoscerli e rispettarli in ciascun bimbo nella sua peculiarità;

- che non solo accetti, ma proponga sempre ad ogni bambino tutta la gamma di giochi e attività possibili, indipendentemente dal fatto che essi siano connotati socialmente come maschili o femminili; e in modo particolare bisogna proporre al maschietto la dimensione "materna" nel diventare capace di "aver cura di".

Per quanto riguarda poi i "modelli" di relazionalità, la relazione sponsale e la conseguente paternità/maternità rimangono naturalmente il modello ideale di ogni relazione, derivando addirittura dallo stesso modello trinitario. Tuttavia esse sono appunto modello di OGNI relazione: perciò non bisogna ridurre al matrimonio e alla famiglia la loro unica possibilità di realizzazione. In questo senso le vie sono differenziate e non escludono, anzi comprendono, ad esempio quella del celibato consacrato.

Dunque è da considerare una riduzione grave quella che vede unicamente nella coppia eterosessuale adulta e definitiva l'unica possibilità di "complementarietà" degli essere umani, anche nella specificità dei due generi maschili e femminili. Vogliamo dire, in altre parole, che la complementarietà avviene nella reciprocità del dono fra diversi, ma OGNI essere umano è, in qualche misura, diverso dal suo simile. Quindi, anche sotto l’aspetto dei rapporti affettivi, bisogna ipotizzare come possibile ed arricchente ogni tipo di relazione che giunge a questo tipo di reciprocità, nella comunione fra persone nella quale ognuno può esser "aiuto" per l'altro.

Se mettiamo insieme quest'ultima affermazione con i diversi tipi di "Amore" (elencati nel cap. 4 a pag. 47) e il discorso fatto sulla diversità dei caratteri, risulta non più sorprendente enunciare che la coppia coniugale non è che UNA delle diverse possibilità (anche se, certamente, l’unica veramente completa per la globalità della persona umana) per la realizzazione del rapporto affettivo, e che non solo non esclude le altre, ma può addirittura prevederle come contemporanee, sia pure - naturalmente - in posti di livello e intensità differenti e in modo tale che non si condizionino negativamente a vicenda.

Pedagogicamente parlando, bisogna dunque che il bambino sia portato a creare rapporti intensi e profondamente arricchenti con OGNI altro, al di là della considerazione che sia del proprio o dell'altro sesso. Tra l'altro, per un continuo gioco di "immagini di sé inviate agli altri e riflesse da loro" su cui il bambino forma e verifica continuamente la sua identità personale, sarà proprio in questa ricchezza e pluralità di rapporti con persone del proprio e dell'altrui sesso che il bambino poco per volta e con naturalezza, approfondirà nel confronto la coscienza della propria identità anche sessuale, nella sua originalità irripetibile.

Schematizzando, pensiamo che il percorso educativo a questo riguardo si possa formalizzare in quattro momenti:

- scoperta e graduale acquisizione della propria identità personale anche nella dimensione sessuale;

- scoperta e conoscenza della diversità dell'altro (di OGNI altro), anche nella sessualità;

- sviluppo e costruzione di un rapporto con l'altro (con OGNI altro) che porti a rivedere e ridefinire il proprio modo di essere uomo o donna;

- per giungere ad essere pienamente se stessi ed instaurare una relazione autentica, paritaria, costruttiva e positiva con l'altro (con OGNI altro).

Perciò, per aiutare il bambino a sviluppare OGNI relazione perché sia di autentico amore profondo (anche nelle manifestazioni fisiche, pur sempre considerate nella già più volte esposta proporzionalità), prendendo come parametro ideale la reciprocità e riconoscendo che la complementarietà avviene con chiunque in quanto comunque "diverso" da sé, bisogna concretamente:

- favorire le relazioni spontanee sia etero che omosessuali (nel senso puramente etimologico di "con persone dello stesso sesso"), rispettando i rapporti affettivi che si instaurano fra bambini, fra bambine e fra di loro;

- sottolineare la dimensione affettiva come stile di ogni relazione sia verso il proprio che l'altro sesso;

- educare alla delicatezza e alla tenerezza anche esplicitamente in senso corporeo;

- educare alla reciprocità affettiva, ovvero alla capacità di amare ma anche di farsi amare.

Riassumendo ancora, in modo più schematico, il percorso educativo dovrebbe dunque consistere nel:

- imparare ad "ESSERE SE STESSO", scoprendo gradualmente la propria identità anche sessuale, accettandosi gioiosamente ed amandosi;

- imparare a SCOPRIRE

ACCETTARE E RISPETTARE

COLLABORARE con

COMPLEMENTARSI con

OGNI altro proprio "in quanto" è DIVERSO.

Non ci resta che sottolineare ancora, richiamandoci in modo particolare al paragrafo precedente, che tutta questa ricchezza di intreccio di relazioni deve avvenire anche nei rapporti di ogni educatore con ogni bambino, non ignorando, ma anzi valorizzando la propria e specifica realtà sessuale. E non dimentichiamoci, che, in base a quanto abbiamo detto, sarà proprio nella relazione adulto-bambino che si giocherà in misura notevole la trasmissione dei "modelli", con tutte le conseguenze che abbiamo già rilevato.



Infine, come abbiamo precedentemente accennato, è possibile che durante il lavoro di identificazione sessuale, emerga anche, se non LA, almeno UNA delle cause dell'omosessualità adulta. Si è ancora molto lontani dall'aver compreso a fondo quali siano le cause dell'omosessualità, fermo restando che, a meno dei casi rarissimi di indefinizione genetica o genitale o di transessualità, di solito non si rileva nulla a livello bio-fisiologico che possa giustificarla. Probabilmente esistono tipi diversi di omosessualità in base alle diverse eziologie possibili, che a loro volta si determinano probabilmente in età e momenti diversi. Ma, proprio per questo, è dunque possibile ipotizzare che risiedano in fatti dell’infanzia almeno ALCUNE cause di ALCUNI casi di omosessualità.

Afferma Broderick:

"Non c'è nessun motivo di credere attualmente che l'interesse sessuale per l'altro sesso sia in qualche modo in rapporto con fattori genetici o ormonali... E' perciò di grande importanza esaminare il processo di condizionamento in senso eterosessuale come un fenomeno a sé stante.... L'omosessualità può naturalmente avere origini ben diverse; ma ricerche cliniche sull'ambiente familiare di omosessuali hanno dimostrato che il più delle volte le loro madri si comportavano in modo da distruggere completamente nei ragazzi la fiducia, oppure, assai più spesso, in modo eccessivamente premuroso, protettivo e seducente, con l'effetto di rendere il figlio dipendente dal punto di vista emozionale e, nello stesso tempo, ostile. Il padre invece è quasi sempre un debole..., oppure è crudele, scostante e inavvicinabile; in ogni caso egli non fornisce alcun 'modello' al quale il fanciullo si possa conformare".

Dunque, con la consapevolezza che le cause vere dell'omosessualità sono ancora in gran parte ignote, e che comunque essa, almeno quando si manifesta in modo stabile a partire dall'adolescenza, è irreformabile, bisogna:

- individuarne quanto più precocemente i sintomi e cercare di proporre, se possibile, dei correttivi, ma senza costrizioni né allarmismi (poiché episodi di omosessualità sono perfettamente normali nell'infanzia e nella fanciullezza e ancora all’inizio dell’adolescenza, senza che essi debbano necessariamente denotare una simile tendenza stabile);

- qualora si raggiunga la convinzione che tale stato sia, nel caso, irreformabile, non considerarla affatto come uno stadio peccaminoso o comunque come una perversione in grado di annullare la possibilità di realizzazione profonda della persona; e quindi aiutare il ragazzo/a ad accettarsi serenamente (pur con gli ovvi limiti psicologici, sociali e morali che il suo stato comporta) e a programmare la propria vita in pienezza, anche proprio sfruttando l'"esaltazione" di alcune caratteristiche positive che tale situazione comporta (come, ad esempio, particolari sensibilità ed attitudini artistiche) e scoprendo (come abbiamo già detto in generale a pag. 74) la possibilità di "vivere l’amicizia come un bell’amore", comprese le mille possibili manifestazioni fisiche d’affetto entro i confini di quella che abbiamo più volte chiamato la sessualità "soft". In pratica dunque (continuando a ricordare quanto precedentemente affermato), l’unica cosa che si deve presentare all’omosessuale come a lui preclusa, perché proibita dalla morale, (e quindi ad educarlo al superamento di essa) è l’esercizio fisico, genitale della sua sessualità, facendogli anche capire che questa non è una discriminazione nei suoi confronti, in quanto la stessa richiesta è fatta per tutti coloro che non sono nella condizione della coppia sposata (celibi, vedovi, ecc.). In questo senso (ricordiamo ancora) bisogna educarlo anche ad essere "autentico"; cioè a non desiderare mai, per la sua stessa dignità e per rispetto di sé, di scimmiottare una falsa coppia sponsale, e tantomeno genitoriale.

Appendice - LA "COMUNICAZIONE" DEI "VALORI" AI BAMBINI E AI RAGAZZI

A) CHE COSA RICHIEDE UNA AUTENTICA "COMUNICAZIONE"

Prima di tutto una premessa: "nessun uomo è un'isola", l'uomo è essenzialmente relazione e non si può realizzare se non in continuo contatto con gli altri. Per questo la COMUNICAZIONE E' PER LUI ESSENZIALE: se non comunica, "muore"..., a qualsiasi età ad iniziare dai primissimi giorni di vita (un bambino senza contatti umani cade in "marasma" e si lascia morire).

E' necessario poi fare alcune premesse di "teoria della comunicazione". Perché si possa comunicare sono necessari:

- un trasmettitore e un ricevitore, che siano sulla stessa "lunghezza d'onda", cioè in sintonia;

- un linguaggio comune, cioè comprensibile a tutti e due;

- un contenuto altrettanto "com-prensibile" (cioè alla portata) dei due (ad esempio non si può trasmettere ad un personal i contenuti di un calcolo spaziale...).

B) ESSERE "IN SINTONIA"

Iniziando dalla SINTONIA tra trasmettitore e ricevente, questo nel nostro caso vuol dire che i due "mondi" devono conoscersi per poter dialogare tra loro; o meglio: che noi adulti, per poter comunicare coi bambini e coi ragazzi, dobbiamo conoscere il LORO mondo, che è assai diverso dal nostro.

Dice un famoso aforisma: "Per insegnare il latino a Pierino, è importante non tanto conoscere bene il latino, quanto piuttosto CONOSCERE BENE PIERINO".

1) Gli stadi dello sviluppo

Ci sono alcune opinioni profondamente sbagliate intorno al "mondo" dei bambini che l'adulto deve superare, evitando di considerarlo "dal nostro punto di vista", cioè di interpretare quello che il bimbo è e fa secondo i parametri del nostro essere adulti.

Citando dal "Catechismo per i bambini":

"Il mondo dei bambini si presenta con una fisionomia tutta sua. Lo si direbbe un mondo vuoto, da dover riempire. Invece è ricco di immagini, sentimenti, percezioni, tendenze istintive, attitudini nascoste, che gradualmente si svegliano, vengono alla luce e prendono consistenza. E' un mondo che ha una sua cultura, una sua civiltà, una sua religiosità. Qui lo 'strano' e l''incredibile' è qualcosa di naturale. C'è stupore e meraviglia per tutto ciò che si va scoprendo, anche se si tratta delle cose più comuni. 'Interiore' ed 'esteriore' si incrociano, si sovrappongono, si dissolvono e tornano in evidenza. Tutto sembra vivere, respirare e muoversi: le cose, le piante e gli animali come i bambini. E' un mondo che ha bisogno di un caldo clima di affetti; dove si assimila più per sentimento che per ragionamento, con immediatezza, attraverso un linguaggio che non ha bisogno di utilizzare le parole come strumento primo di comunicare".

D'altra parte è un altro sbaglio pensare al mondo dei bambini come talmente diverso da quello degli adulti, da poter essere immaginato come un'isola più o meno felice, neanche toccata dai grossi e "seri" problemi della vita dei "grandi". Il bambino sente, capisce, partecipa, gioisce e soffre delle cose (anche quelle che ci sembrano "più grosse di lui") molto più di quanto non pensiamo e perciò si può dire che non ci sia praticamente nulla di cui non si possa parlare con lui, purché con le dovute proporzioni e con il linguaggio adatto.

Infine il mondo del bambino è un mondo davvero impegnativo e sovente "faticoso", in quanto è faticoso "crescere" cioè dover continuamente rivedere le proprie sicurezze e rimettere in confronto le cose che si erano acquisite. L'adulto deve allora saper rispettare questa fatica, saper comprendere i ritmi diversi ed accettare gli sbagli, deve insomma avere la "pazienza educativa".

Fatte le debite proporzioni e differenze (poiché si tratta comunque di un modo adulto) il modello più vicino a quello del bimbo potrebbe essere pensato come quello dei popoli primitivi, ancora infantili nei modi e nelle concezioni ma non per questo uomini meno "completi". IL BAMBINO E' UN UOMO COMPLETO, anche se in uno stadio in cui non è ancora in grado di esprimere tutte le potenzialità e vive perciò le cose secondo una visione "parziale" e perciò sovente non ancora pienamente aderente alla realtà, perché - come abbiamo detto - dal momento che ogni uomo anche adulto vive soprattutto "dentro" cioè filtra le conoscenze che riceve da fuori e adegua le sue risposte in base al suo mondo interiore, il bambino è ancora più o meno chiuso in questo suo mondo che non ha ancora saputo del tutto distinguere dalla realtà esterna. Ecco perché il suo modo di pensare e di interpretare la realtà è ancora molto condizionato dalla fantasia e dall'immaginazione e solo poco per volta acquista la capacità "scientifica" di comprendere le cose nella loro oggettività. Egli conosce ancora quasi esclusivamente attraverso l'esperienza sensoriale e quindi concreta, e perciò non è ancora in grado di possedere delle idee astratte. Domina ancora poco la sua emotività e la sua istintualità e quindi non è ancora capace di comportamenti davvero coerenti e stabili dettati da principi ideali. Tutte queste cose adulte si formano poco per volta in lui e coesistono con gli aspetti infantili, ai quali poco per volta si sostituiranno.

Proprio per questo però (cioè proprio perché meno regolati e dominati dalla ragione) i problemi del bambino non sono affatto più piccoli: possono anzi essere molto più angoscianti e dolorosi, come d'altra parte le sue gioie sono molto intense e più... "scatenate". Tutti gli aspetti della vita adulta sono in lui presenti in modo molto vivo (intelligenza, spiritualità, affetto, sessualità...) anche se in questo modo molto più... "ingarbugliato".

Il suo è dunque un mondo tanto ricco e intenso, quanto complesso e difficile. Ecco il perché di momenti di crisi, di difficoltà, di ansie, di paure e nuove timidezze.... E non pensiamo che il bambino sia più tranquillo perché manifesta meno queste cose: può talvolta essere addirittura una situazione più negativa, nel caso cioè che pur avendo questi problemi, si sia maggiormente rinchiuso in se stesso e non sappia semplicemente (o non si fidi...) a manifestarli a noi.

Proprio per le cose sopra espresse, non stupisce allora che lo sviluppo del senso religioso e morale sia strettamente legato allo sviluppo dei bisogni nel bambino e al grado di capacità che egli ha di affrontarli e soddisfarli.

Fino ai 4 anni il bambino ha una visione magico-animistica e antropomorfica della realtà, confondendo ancora le sue sensazioni e le sue fantasie con le percezioni del mondo esterno reale.

Pensa cioè che tutte le cose siano animate e coscienti e agiscano come un essere umano. Di conseguenza ha un rapporto "magico" con esse: pensa cioè di poter interloquire con loro e cerca di influenzare il loro comportamento secondo la sua volontà. E' uno stadio simile al politeismo sciamanico dei popoli più primitivi.

Da un punto di vista morale è naturale per il bimbo accettare come unica e indiscussa autorità la volontà dei genitori (a cui tenta, con più o meno riuscita, di adeguarsi e da cui si aspetta approvazione o rimprovero).

Dopo il "periodo edipico", per l'allontanamento operato e subìto dai genitori e avendo iniziato a prendere atto dei loro limiti, egli "interiorizza" le regole cercando di "farle sue" attraverso la formazione del Super-Io: la colpa non diventa più una cosa da superare solo nei confronti dei genitori, ma anche col profondo del proprio io. Dio può diventare un super-giudice più o meno pauroso, ma anche d'altra parte il super-padre protettore e il garante della vera giustizia.

Avendo acquistato la capacità di un ragionamento logico-concreto, egli diventa capace di rendersi maggiormente conto della realtà e di fare le prime osservazioni "scientifiche". Il contatto con la natura perde poco per volta il suo carattere magico e può diventare un'occasione molto bella per "sentire" una presenza di Dio. Dio stesso diventa sempre più "spirituale"" e acquista le caratteristiche di una "persona" con cui si può avere un rapporto profondo (anche se ancora un po' dettato dal sentimento e dalla fantasia).

Il sentimento religioso appunto è forte e molto intenso e i bambini accettano molto volentieri riti e simboli, anche se (anzi proprio perché) "misteriosi".

Però la capacità di capire i valori nella loro accezione più ampia (e quindi teorica, universale e non solo "qui e oggi") e di sceglierli come propri non è istintiva e questa acquisizione non è automatica. Perché avvenga la progressiva scoperta e interiorizzazione dei valori, non serve certamente la pura imposizione esteriore. La loro validità deve essere scoperta attraverso progressive e sempre più ampie esperienze positive: è cioè scoprendo coi fatti che è proprio vero che le cose vissute insieme e secondo una propria coerenza ci realizzano, cioè dànno molta più soddisfazione e sono molto più arricchenti che quelle godute egoisticamente e per il piacere del momento. Solo così si diventa capaci a sacrificare qualcosa di proprio per gli altri e a dominare i propri istinti e la propria emotività (dalla timidezza alla prepotenza...).

L'acquisizione dell'autonomia (sia intesa come capacità di agire da soli che, appunto, come sistema di proprie convinzioni), che dà la sicurezza di sé e garantisce la costanza delle proprie scelte e la possibilità di prendersi impegni duraturi, è un lungo percorso che dura tutta l'età evolutiva (e un po' tutta la vita...).

E' ovvio che nelle ETÀ PIÙ GIOVANI tutto questo processo complicato non è che praticamente agli inizi.

Tanto per cominciare il bambino non è ancora in grado di avere concetti astratti, e quindi di capire il valore universale, generale di idee come "bontà, onestà, ecc...". Egli, solo intorno ai 5 anni, incomincia appena a rendersi conto che la realtà è diversa dalle sue fantasie e che ci sono delle regole oggettive (da quelle fisiche a quelle di comportamento) che deve accettare come sono e non come egli vorrebbe che fossero. Ma questo lo capisce nel concreto, caso per caso, e tutt'al più riesce poco per volta ad applicare le esperienze fatte nel passato a casi concreti molto simili a quelli già a lui capitati: per questo è inutile fargli delle grandi spiegazioni "scientifiche" o meno ancora delle "prediche" con grandi concetti. Se si vuole fargli capire ad esempio che cosa sia la bontà, bisogna dire che è "buono" quel dato comportamento concreto che lui ha visto o fatto, o che gli insegniamo attraverso racconti di esempi concreti: le..."parabole" di Gesù... Così se gli si vuole spiegare come funziona qualcosa, bisogna fargli vedere figure, illustrazioni e, meglio ancora se possibile, farglielo fare, provare attraverso esperienze concrete.

E' chiaro quindi che non potremo mai presupporre che egli possieda un sistema di concetti e di valori di riferimento che lo renda capace ad interpretare da solo tutti i fatti che gli capitano, anche se certe cose gliele abbiamo spiegate già migliaia di volte...

Non parliamo poi della sicurezza! Il bambino è insicuro di tutto! Tutti i cambiamenti che stanno avvenendo in lui e nella sua vita gli mettono continuamente in crisi l'immagine che ha di sé e del mondo, ed egli, con grande fatica (e talvolta con vera ansia), deve continuamente cercare di "rimettere insieme i pezzi" e di ricapirci qualcosa... Per questo non solo manifesta paure, insicurezze, timidezze, pudori nuovi, ma sovente sembra regredire, ritornando a manifestare problemi che sembrava aver risolto da tempo (il buio, la pipì a letto...).

Proprio per tale motivo è assai incostante, anche nei giochi, nei gusti, ecc. Oltre tutto l'incostanza è motivata anche da una incapacità di tenuta fisica (per i diversi momenti di sviluppo che passa), per cui si stanca facilmente (sia fisicamente che psicologicamente), così come con estrema rapidità si riprende.

E' vero che aumenta giorno per giorno nella sua autonomia concreta (cioè nella capacità di fare da solo sempre più cose e sempre meglio), e questo gli produce sempre più sicurezze concrete e gli fa molto piacere (perché sente che sta diventando "più grande"). Questo è un punto di forza che dobbiamo sostenere, stimolare e sfruttare, ma senza sperare però più di tanto appunto sulla costanza...

Ma la situazione non sembra migliorare col passaggio all'ADOLESCENZA, anzi... L'adolescenza è l'esplosione di una crisi ancor più profonda e e veramente globale, perché tutto cambia di colpo, tutto viene rimesso in discussione:

- avendo acquisito la capacità logica-astratta il ragazzo esamina con la sua ragione tutte le credenze che gli erano state passate e, di conseguenza, tende a metterle in crisi come fossero "favole" infantili;

- nella ricerca di una progressiva auto-nomia, egli si ribella alle regole imposte sia dalla società che dalla famiglia.

Per giunta nella nostra società sembra che, ogni anno che passa, il periodo dell'adolescenza tenda a dilatarsi sempre di più (in effetti l'adolescenza, creata dalla frattura tra il "già potrei" e il "non mi lasciano ancora" è tipico delle società evolute: in quelle più primitive si passa istantaneamente, con un rito, dall'infanzia all'età adulta). Oggi l'inizio dell'adolescenza si sta abbassando (vista la precocità psicologica e fisica crescente) e nello stesso tempo il suo termine si innalza (vista la concreta impossibilità dei giovani di rendersi veramente autonomi: la mancanza del lavoro...!). Per cui l'adolescenza tende pericolosamente a diventare, da un momento di passaggio, uno stadio permanente.

La famiglia si sente sovente impreparata e impotente davanti a questi problemi (e le mamme, per non sentirsi invecchiate e inutili tendono a prolungare il "protezionismo"...). La scuola, sempre più in crisi, si limita a far eseguire, senza motivare, senza abituare a pensare criticamente, senza far autenticamente "partecipare" anche nella gestione i giovani. Il gruppo dei coetanei tende a rifugiarsi, polemicamente per "autodifesa" e sfiducia dei "grandi", in un modo tutto suo, dove l'unica regola è il "sentirsi accettato", e quindi il "conformarsi".

2) La relazionalità

Anche per quanto riguarda la crescita nella relazionalità, cioè nella capacità di instaurare relazioni profonde con gli altri, così importante per fondare il proprio rapporto con Dio e col prossimo, esistono diversi stadi. Ricordiamo i tre individuati da Fromm ed esposti a pag. 24.

L'educazione religiosa e morale deve naturalmente tener conto di tutti questi stadi e quindi aver rispetto della GRADUALITA': non si deve cioè richiedere più di quanto il bimbo o il ragazzo può dare in quel momento né tantomeno colpevolizzarlo per atteggiamenti e comportamenti che, anche se sono negativi per un adulto, sono ancora invece naturali per lui. L'importante è aiutarlo, senza forzature ma anche con proposte efficaci, a crescere e stare attenti che non regredisca mai.

3) ...e dunque:

Il primo obiettivo è quindi quello di non dare come scontato il fatto che noi conosciamo bene il mondo del nostro bimbo o del nostro ragazzo....! Certamente non basta per far ciò il ricordo della nostra infanzia: tale ricordo, più o meno lontano, è comunque in gran parte distorto da rimozioni e interpretazioni "a posteriori" di noi adulti. In ogni caso ogni persona è irripetibile e, anche se conoscessimo molto bene (magari attraverso la psicologia...) il mondo dei bimbi e dei ragazzi in generale, questo non ci assicura di conoscere davvero QUESTO bambino o QUESTO ragazzo... Né basta l'intuizione o la sensibilità istintiva, di cui sovente soprattutto le mamme fanno sfoggio. Queste sono molto importanti, tanto da essere davvero la base del rapporto (non si conosce se non chi si ama, poiché "l'importante è invisibile agli occhi", come si dice nel "Piccolo Principe" di Saint-Exupéry...). Ma non devono essere usate superficialmente o occasionalmente. Se vogliamo veramente entrare nel mondo dei bambini e dei ragazzi, dobbiamo farlo "in punta di piedi", senza alcun pregiudizio, mettendo da parte le nostre problematiche (anche morali...) adulte e conquistando prima di tutto la loro fiducia e affetto, perché siano essi, poco per volta, ad introdurci nel loro "paese delle meraviglie". Solo abbassandosi alla loro altezza (anche fisicamente...) potremo prenderli per mano per farli crescere adagio adagio fino alla nostra statura.

Innanzitutto quindi bisogna passare il maggior tempo possibile col bambino e col ragazzo, condividendo le SUE COSE (i suoi giochi, le sue fantasie, i suoi discorsi) senza subito imporgli le nostre regole di ragionamento o di comportamento. Un mezzo meraviglioso per conoscere il suo mondo è proprio quello di partire da quelle sue attività in cui egli "proietta" tale suo mondo interiore: il disegno, i racconti, il gioco.

Per acquistare la fiducia del bambino e del ragazzo, bisogna ricordarsi che egli ce la dà solo a determinate condizioni: prima di tutto quella di sentirsi rispettato come persona, cioè non deriso, sminuito o sottovalutato nel suo mondo e nei suoi problemi, mai "violentato" dal nostro potere fisico o anche solo psicologico (e quindi lasciato veramente libero di esprimersi, e anche di agire almeno in quello in cui può già autenticamente scegliere). Egli ci dà la confidenza se noi non la pretendiamo o la "rubiamo" (la privacy è un diritto inalienabile di ogni uomo, grande o piccolo che sia!), ma anzi la riteniamo davvero un grande dono di cui lo ringraziamo. E naturalmente se poi non lo tradiamo, rinfacciandogli le cose, prendendolo in giro o divulgandole agli altri....

Accettarlo vuol dire anche concedergli il beneficio di sbagliare (e chi non sbaglia?), senza reprimerlo, sapendolo capire con affetto e perdonandolo (cioè assicurandogli davvero la fiducia che vuol cambiare, anche se sapremo che la cosa non sarà così immediata e stabile...). Per questo non dobbiamo avere paura di confidargli i nostri problemi (naturalmente "cum grano salis" e senza scaricarli su di lui...) e di riconoscere i nostri sbagli. Allora saprà confidarci tutti i suoi, anche i più nascosti e per lui più angoscianti, senza che noi dobbiamo poi, con sgradevole sorpresa, scoprirli dagli altri...

Se abbiamo fatto tutto questo, il bambino e il ragazzo a loro volta accetteranno il "nostro" mondo: cioè sapranno accettare i nostri consigli e le nostre correzioni, persino i nostri castighi e le nostre sgridate..., poiché essi hanno molto bisogno del nostro sostegno e della nostra guida e lo sanno: ma deve essere la guida di un amico, non di un carabiniere, di un compagno di giochi e non di un "professore" che dà il voto....



C) IL LINGUAGGIO COMUNE

Nell'uomo prevale in modo assoluto il linguaggio verbale (sia parlato che scritto), sia perché è esclusivamente suo (nessun altro essere è in grado di usarlo) sia perché può trasmettere anche concetti molto difficili e complessi con estrema brevità. Questo linguaggio però è altamente simbolico, cioè non fa "vedere" immediatamente la cosa che vuole trasmettere, ma la "rappresenta" attraverso un simbolo convenzionale (la parola) che di per sé non ha nulla di comune intuitivamente con la cosa stessa. Per questo il bambino deve acquistare poco per volta, attraverso i primi anni, questa capacità di comprendere che certi suoni (la parola parlata) significano quella cosa. In un secondo momento deve ancora (intorno appunto ai 5/6 anni) ulteriormente imparare che quei segni (la parola scritta) rimandano a questi suoni, che a loro volta - come ha già capito - significano quella cosa... Nessun stupore quindi se il linguaggio verbale non è ancora posseduto bene dal bambino. Quindi non dobbiamo illuderci che tutte le parole che il bambino sente (e anche quelle che dice) siano davvero comprese da lui: sovente, nelle età più giovani, pur usando già molte parole in modo proprio (praticamente sui 6 anni il bambino possiede già tutto il linguaggio essenziale), egli non ne saprebbe dire esattamente il significato, né, pur capendo le parole, capisce sempre bene il loro rapporto sintattico (cioè il legame dei loro significati che spiega il "perché" e il "percome"), ma piuttosto capisce l'insieme generale (e generico) del senso del discorso più che le singole parti. Quindi, già di natura sua, il linguaggio verbale per lui è molto più limitato che per l'adulto.

Inoltre alcune cose (e anche molto importanti come i sentimenti, le sensazioni, le intuizioni, il gusto estetico del bello...) non possono essere veramente espressi in pieno dal linguaggio parlato neppure tra adulti. Come abbiamo già detto, "l'importante è invisibile agli occhi" dice la volpe al Piccolo Principe, e San Tommaso, gran filosofo, parla dell'importanza dell'"agnitio" (la conoscenza per amore) piuttosto che della "cognitio" (la conoscenza logica, parlata) per quanto riguarda le persone (e soprattutto Dio!...): infatti io non potrò mai "spiegare" una persona - che pure conosco molto bene - come farei con un teorema di matematica e se un altro vuol conoscerla come me, deve ugualmente amarla e vivere il tempo necessario con lei!. In tutte queste cose l'uomo ha la possibilità della comunicazione "per esperienza" (il capire le cose facendole o vivendole), di quella "iconica" (attraverso immagini, disegni e simili, molto più immediata, anche se ovviamente meno particolareggiata: pensiamo ai segnali stradali), di quella "artistica" (pittura, musica...) e particolarmente di quella "corporea" (attraverso il linguaggio del corpo: pensiamo a quanto può esprimere, in certi stati d’animo, - quando le parole possono esser inutili o addirittura controproducenti - una stretta di mano, un abbraccio...). Tutti questi linguaggi, molto più immediati, sono comprensibili con molta maggiore facilità dal bambino (e non solo...).

Un discorso particolare riguardo alla comunicazione bisogna farla sull'"immagine" intesa in senso generale, cioè come una figura, un esempio che stimola, prima che il pensiero, la fantasia e attraverso questa fa "intuire" la realtà che si vuole trasmettere.

Non è facile definire che cos'è la fantasia, anche se è un elemento fondamentale della nostra vita e di cui tutti abbiamo ampia esperienza... E' più facile partire da quello che non è: non è né sogno né realtà. La realtà infatti è quella che è e non dipende assolutamente dal nostro pensiero (anche se, però, possiamo in parte modificarla con la nostra azione). Il sogno esiste solo dentro di noi, ma non dipende da noi: si forma per processi inconsci che non sono dominabili dalla nostra volontà. La fantasia potrebbe definirsi come un "sognare ad occhi aperti" sotto la direzione della nostra volontà: dice Winnicot che "nel fantasticare ciò che accade ha luogo immediatamente, solo che non accade affatto"... Appartiene quindi a quell'area intermedia che esiste fra il sogno e la realtà, che è la nostra realtà psichica personale e interna, nucleo vitale della personalità individuale, e strumento necessario per mediare il contatto tra la realtà esterna e quella interna, per fare da "ponte".

E' quindi fuori di dubbio che la fantasia è un elemento essenziale della nostra vita. Il problema, importantissimo, consiste solo nel saper distinguere la fantasia dalla realtà: chi non ci riesce trasforma le sue fantasticherie in allucinazioni che ottengono l'effetto opposto, separandolo dalla realtà. Per questo è importante imparare a controllare la fantasia, usandola con "discrezione", soprattutto quando essa ci crea delle tensioni (paure, emotività...) che ci turbano pur non essendo reali.

La fantasia, se usata in modo giusto, può servire "da ponte" per condurre alla conoscenza della realtà: ecco ad esempio il significato della favole per i bambini, che, attraverso un mondo fantastico (ma che si sa che è tale!), trasmette concetti (bontà, ecc.) o fa vivere esperienze (il superamento delle paure...) che sono reali: è il cosiddetto linguaggio "analogico" (termine che si usa in realtà anche per il linguaggio "iconico" di cui abbiamo già parlato).

Bisogna però stare molto attenti a non confondere il linguaggio fantastico (che si sa che è tale, cioè non reale) con quello "virtuale": con questo si intende un linguaggio che, pur essendo non reale, dà l'impressione di esserlo. Tipico caso è quello della televisione (che inoltre è una comunicazione a senso unico, cioè trasmette messaggi che si possono solo ricevere, ma non discutere e modificare). Il linguaggio virtuale è estremamente pericoloso, soprattutto per il bambino, se egli non è aiutato a capire la sua irrealtà: infatti può convincere il bambino dell'esistenza reale di un mondo fittizio e fargli vivere situazioni irreali, non aiutandolo a distinguere realtà da fantasia, ma anzi "fissandolo" in uno stadio "allucinatorio".

Un mezzo portentoso di conoscenza, e quindi pure di comunicazione (anche verso gli adulti), che il bambino e il ragazzo hanno è il GIOCO, che riassume in sé tutte le principali caratteristiche dei vari linguaggi: la parola, l'azione, le sensazioni, la corporeità, la simbologia, la fantasia ma anche la realtà di cui bisogna prendere atto (posso sognare di volare, ma se gioco a volare, cado...).

In questo contesto si inserisce il discorso del RITO, che in qualche modo contiene un po’ tutti gli elementi prima identificati. Sarebbe interessante, attraverso un’indagine antropologica, percorrere tutta la storia dell’umanità per vedere come, in tutte le culture, dalle più primitive alle più evolute, si sono usati i riti e come questi siano un elemento sostanziale della vita sociale. In effetti si potrebbero scrivere pagine su pagine (oltre a quelle già scritte) sulla necessità di "riti" per l’uomo e sull’uso squisitamente pedagogico che essi possono avere (a cominciare certamente da quello di creare una ennesima e formidabile "area intermedia" - cfr. Winnicot - che serve a stabilire un luogo di dialogo immediato e profondo, proprio perché "sottinteso", fra bambino e adulto).

Qui basti rilevare che nella sua essenza il rito consiste in una serie di azioni ed espressioni (verbali e non) che hanno un significato che va molto al di là di quello immediatamente apparente: Infatti il rito nel suo insieme è caricato di un significato simbolico, conosciuto e perciò riconoscibile dalle persone che vi partecipano, e che quindi può trasmettere attraverso l’immediatezza della stessa esperienza che si fa, dei contenuti anche molto complessi e soprattutto è in grado non solo di comunicare delle idee ma di farle in qualche modo "vivere", cioè di creare l’atmosfera e le condizioni emotive perché si possa entrare realmente in comunicazione con quella realtà (umana e spesso anche trascendente, divina) che il tiro trasmette. Insomma esso è in grado di comunicare nel "vissuto" delle realtà talvolta anche molto grandi, e soprattutto, parlando appunto alla vita, cioè più al cuore che alla testa, di far ciò molto al di là della comprensione intellettuale, e quindi anche con persone molto semplici e poco acculturate, come appunto per esempio i bambini.

Voglio solo ancora ricordare che accanto ai riti strutturati, cioè con azioni e parole già ben pre-definiti (ed è soprattutto di questi che stiamo parlando questa sera), esiste anche - nella vita di tutti noi - una ritualità molto più diffusa, spontanea, fatte di azioni semplici che però hanno acquistato un significato simbolico (pensiamo a certe "abitudini" che ci diamo nella vita di tutti i giorni, e che segnano quel particolare momento ricorrente).

Tutti i riti però (e forse in particolare questi ultimi, più semplici e immediati) rischiano di diventare troppo significativi, fino a condizionarci, soprattutto se diventano più o meno ossessivi (cioè se diventano per noi assolutamente necessari) e se si caricano di un qualche significato "superstizioso" (cioè se si pensa che il rito non solo significhi e ci aiuti ad entrare nel clima di una realtà, ma produca di per sé, infallibilmente e in modo magico, questa realtà). Anche in questo caso (come abbiamo sottolineato per la televisione) si può rischiare di essere catturati da un mondo solo virtuale, e quindi estremamente pericoloso.

Esiste dunque il rischio di "ritualizzare" troppo la vita (e soprattutto quella di un gruppo di bambini, già più naturalmente predisposti a esasperare questo tipo di esperienze).

Anche perché c’è l’ulteriore pericolo che il rito - dovendo per forza ripetersi sufficientemente identico per poter essere riconosciuto e quindi divenire un "linguaggio" - tenda inevitabilmente a diventare "tradizione", anche in un senso negativo del termine ("Si è sempre fatto così... dunque non si deve mai cambiare nulla") E questo certamente non sarebbe opportuno per dei riti "pedagogici", dal momento che l’opera educativa deve sempre sapersi rinnovare, nel senso che deve modellarsi ogni volta e ogni giorno su ogni singolo bambino, persona irrepetibile.

D) I CONTENUTI

Un ultimo punto riguarda il CONTENUTO, e molte cose che diremo risultano la logica conseguenza di quanto fino adesso affermato.

Come già detto, la capacità di capire i concetti astratti (e in modo particolare i valori morali) nella loro accezione più ampia (e quindi teorica, universale e non solo "qui e oggi") non è istintiva e questa acquisizione non è automatica. Perché avvenga la progressiva scoperta e interiorizzazione dei concetti e dei valori, non serve certamente la pura imposizione esteriore. La loro validità deve essere scoperta attraverso progressive e sempre più ampie esperienze positive: è cioè scoprendo coi fatti che sono proprio veri).

Ricordiamoci innanzitutto che ciò è particolarmente vero nelle età più giovani, quando il bambino non è ancora per nulla in grado di avere concetti astratti, e quindi di capire il valore universale, generale delle idee (e soprattutto dei "valori" come "bontà, onestà, ecc..."). Abbiamo appurato che egli, intorno ai 5 anni, incomincia appena a rendersi conto che la realtà è diversa dalle sue fantasie e che ci sono delle regole oggettive (da quelle fisiche a quelle di comportamento) che deve accettare come sono e non come egli vorrebbe che fossero. Ma questo lo capisce nel concreto, caso per caso, attraverso esperienze o esempi concreti. A questo aspetto potremo e dovremo, via via sempre di più col passare degli anni, aggiungere, come diremo più sotto, l'esposizione delle motivazioni ideali dei comportamenti presentati.

Ricordiamoci poi che tutti gli apprendimenti che il bambino o il ragazzo deve fare (scuola compresa!), prima di essere sentiti da lui come "doverosi", devono essere sperimentati come "interessanti" perché davvero "utili" e che "dànno soddisfazione".



1 - L'educazione morale, alla "responsabilità"

Ha senso parlare di "educare alla responsabilità e/o alla libertà"? E a quale età bisogna iniziare?

La domanda in sé è quasi oziosa: infatti, anche a questo riguardo, come per tutte le componenti della personalità, non solo si può, ma si deve educare cominciando... dai primi giorni di vita. E' però necessario chiedersi, tenendo conto delle diverse età del bambino, del ragazzo e del giovane, quanto si può realisticamente aspettarsi da lui e quindi fin dove devono arrivare, da un lato, le nostre richieste e, dall'altro, i nostri stimoli a crescere.

Iniziamo tentando di chiarirci le idee su questa problematica, certo molto ampia e complessa.

Un uomo si può definire RESPONSABILE quando:

- è pienamente capace di intendere e volere seguendo una gerarchia di VALORI da lui liberamente accettati e fatti suoi (per questo educare alla responsabilità dovrebbe essere sinonimo di educare ad una vera libertà);

- questa capacità implica aver raggiunto una propria sicurezza di sé sia nell'agire che nelle proprie idee, che può garantire una costanza nell'IMPEGNO;

- il concetto che riassume questi due punti è il grado raggiunto di autonomia, che comprende certo anche quella che comunemente chiamiamo così (la capacità cioè di cavarsela il più possibile da soli "guidando la propria canoa", necessaria per non dipendere passivamente dagli altri e, d'altra parte, per non "schiavizzarli" a noi); ma ha un significato molto più ampio: auto-nomia vuol dire infatti "essere legge a se stessi", che non è anarchia, ma piuttosto esercizio autentico della propria libertà che accetta e si autoimpone coscientemente le regole senza bisogno della costrizione esteriore. E' proprio la capacità di essere "autonomi" che fonda anche la capacità di avere responsabilità, cioè di essere e di venir riconosciuti capaci di gestire le cose.

a - Bisogna innanzitutto aiutare il bambino, il giovane a crescere nella sua autonomia concreta (cioè nella suddetta capacità di far le cose da solo) e quindi nella sua sicurezza. E questo si ottiene rilevando subito tutti i progressi che fa, lodandolo per essi, incoraggiandolo a ritentare (senza invece troppo sgridarlo e mortificarlo quando non ci riesce) e stimolandolo (poco per volta!) a fare sempre un po' di più. Ricordiamoci che bisogna partire dalle piccole cose concrete e subito verificabili, e nello stesso tempo inquadrarle in un progetto il più ampio possibile. Il progetto, da solo, rischia di essere astratto e utopico; le cose concrete d'altra parte sono senza senso se non finalizzate al progetto. Si tratta di stabilire delle méte progressive, raggiungibili a tempi non troppo lunghi e concretizzate da obiettivi quotidiani immediatamente verificabili, su cui misurare la crescita della propria competenza.

Per quanto riguarda poi la sua insicurezza più profonda (cioè la necessità di dover ricostruire l'immagine di sé e del mondo), bisogna individuare le sue paure, le sue ansie, senza mortificarlo per le sue "regressioni", parlandone con lui (se riusciamo) e... standogli semplicemente vicino, tenendolo "moralmente" per mano e trasmettendogli così "da pelle a pelle", amorosamente, il senso di sicurezza che noi abbiamo e la fiducia che sentiamo verso di lui. Certo che se noi stessi siamo ansiotici e troppo preoccupati....

Per quanto riguarda la costanza, bisogna accettare i suoi limiti fisici e psicologici senza forzare oltre il dovuto, ma d'altra parte spingerlo con serenità, senza impazienze da parte nostra, ogni volta a ricominciare, a ritentare (fosse anche la millesima volta), trasmettendogli il gusto e la gioia di una cosa ben "compiuta".

Ricordiamo poi che la base di tutto è la fiducia di sé, che poco per volta diventa anche fiducia negli altri. Noi adulti dobbiamo prima di tutto testimoniare che noi stessi abbiamo fiducia in noi, nella vita e nel mondo; e dobbiamo trasmettere al bimbo e al giovane il senso di grande fiducia che abbiamo in lui, anche quando dobbiamo sgridarlo perché ha sbagliato o agito male, dal momento che siamo convinti che può e vuole davvero ritentare.

b - Infine, come ultimo punto affrontiamo il problema di educare ad una coscienza veramente libera nel senso pieno di cui abbiamo sopra parlato. Educare dunque vuol dire prima di tutto portare il ragazzo a "SAPER SCEGLIERE", creandogli poco per volte le condizioni adatte alla sua età, ma sempre più ampie, perché ciò possa davvero avvenire. Si tratta cioè di educare a riconoscere ed accettare sempre più coscientemente e liberamente delle regole, che sono l'espressione concreta dei valori che noi vogliamo trasmettere.

Bisogna acquisire nei nostri interventi un equilibrio più grande possibile nell'intervenire nelle due direzioni: nel favorire cioè nel bambino e nel giovane da una parte la sua autorealizzazione, autonomia, libertà, e dall'altra nel fargli accettare le regole (coi valori che esse esprimono) con la nostra autorità (ma sarebbe meglio chiamarla autorevolezza...).

Naturalmente più il bambino è piccolo, più è necessario che le regole siano date dall'adulto e, dove e nella misura in cui è necessario anche imposte e fatte osservare (magari anche, se proprio necessario, con castighi o - meglio - con premi). Naturalmente bisogna però che le regole siano "oneste", cioè veramente motivate e necessarie (e non solo dettate dai nostri comodi o gusti di adulto...) e bisogna anche saper distinguere i vari livelli di esse (il portare il codino è di portata diversa che il voler star fuori la notte...).

E bisogna anche, man mano che il bimbo cresce (potremmo dire giorno per giorno), riuscire a far emergere in modo sempre più esplicito la positività dell'osservanza di tali regole e la soddisfazione che ne segue, e quindi "convincerlo" di esse (dando sempre di più e sempre meglio le motivazioni) in modo che egli diventi sempre più capace a farle sue. La cosa più perniciosa a questo riguardo è troncare il discorso dicendo "devi fare così PERCHE' TE LO DICO IO"....! "Educare" vuol dire "e-ducere", cioè "far venire fuori dal di dentro", non riempire, né tantomeno imporre.

Il primo valore da passargli è proprio quello di "sentirsi responsabile del mondo" nel senso che abbiamo sopra esposto, l'"I care". Questo si ottiene educandolo , dalla primissima età, ad "AVER CURA DI", dalle piccole cose alle persone, dandogli veramente fiducia (senza perciò stargli dietro a controllarlo con continuità), ma anche facendogli acquistare la consapevolezza che - come ricorda Baden-Powell ai suoi scout - "se Pierino lascia a casa il sale, tutta la squadriglia mangerà insipido".

Parallelamente, man mano che cresce la sua capacità di essere responsabile, bisogna concedergli davvero la possibilità di esercitare la sua libertà tutto dove è già possibile (a cominciare per esempio dai gusti nel vestire...), accettando che possa sbagliare, ma anche facendogli accettare che... "chi sbaglia paga". Bisogna in questo senso aver davvero il coraggio di fargli "co-gestire" tutte le realtà che lo coinvolgono nella misura (non di più, ma neanche di meno) in cui egli è già capace, sia nelle decisioni da prendere insieme che nelle loro attuazioni. E, per favore, lasciamogli davvero del tempo libero da gestire come vuole, senza preoccuparci di riempirglielo tutto noi, sia pure con cose che NOI riteniamo utilissime e interessanti...

D'altra parte bisogna anche certamente "proteggerlo" da esperienze negative superiori alle sue forze e quindi saper intervenire in sua difesa quando altri (magari anche adulti e... maestri) lo dominano e usano su di lui qualsivoglia forma di violenza. Anche qui comunque non bisogna esagerare intervenendo sempre: se le esperienze negative sono alla sua portata (e ciò è quasi sempre vero, ad esempio, se avvengono da parte di suoi coetanei), bisogna anche lasciarlo che se la cavi da solo e impari a reagire: anche questo è scuola di libertà...

Insomma il rapporto intervento/autorità dell'educatore con autonomia/libertà dell'educando è ben rappresentato dal famoso "parallelogramma" (che io scherzosamente chiamo "di san Giovanni Battista": "E' importante che lui cresca e io diminuisca"...):

Ricordiamoci poi che - come abbiamo già detto - le prediche teoriche non sono capite dal bambino (e, nell'adolescente, anche quando sono capite, sono raramente gradite e condivise) e comunque servono a poco: i valori morali a cui abbiamo accennato saranno appresi come tali poco per volta e prima di essere "doverosi", devono essere sperimentati come "interessanti" perché davvero "utili" e che "dànno soddisfazione", attraverso esperienze concrete, come abbiamo già sopra detto..

Nella misura in cui tutto questo si sta compiendo, possiamo allora, anzi dobbiamo, chiedergli che si prenda degli impegni, naturalmente alla sua portata, sia come grandezza che come durata nel tempo, e pretendere che li osservi, ma sempre nella "misericordia" per quando non ce la fa, senza colpevolizzarlo più di tanto (il Super-Io!), perdonandolo serenamente e facendogli capire che crediamo davvero che possa e voglia ritentarci (proprio come Dio fa con noi, che pure siamo adulti!).

c - Riassumendo in alcuni punti, educare alla libertà e quindi alla responsabilità vuol dire educare:

- a PENSARE CON LA PROPRIA TESTA, senza lasciare che siano gli altri a pensare per noi (mai "non capisco ma mi adeguo"!) e quindi a chiedersi sempre il PERCHE' e ad esigere che venga detto (questo, riguardo ai mass media, e specialmente alla televisione, vuol dire aiutarlo a leggere insieme con noi i messaggi trasmessi, tanto più pericolosi quanto più impliciti);

- a CONFRONTARSI con gli altri e a saper ACCETTARE I DIVERSI, senza omologarsi ma anche sapendo collaborare in tutto il possibile;

- a saper accettare la FATICA (che è alla base di ogni conquista), a saper RINUNCIARE (non si può scegliere senza automaticamente dover rinunciare a qualcosa...), a saper PAGARE DI PERSONA (compresi i propri sbagli);

- ad impegnarsi ad acquisire sempre maggiore COMPETENZA in ognuno dei compiti che ci si assume;

- ad avere la virtù della COSTANZA che crede nei tempi lunghi (e non pretende di aver "tutto e subito") e che è la base della FEDELTA', di cui oggi i giovani han così paura...

d - E, proprio concludendo, ricordiamoci che noi, come EDUCATORI, dobbiamo essere capaci di:

- testimonianza convinta e gioiosa,

- capacità di ascolto e comprensione del mondo del bambino e del giovane;

- speranza e ottimismo (quel 5% che, secondo il già più volte citato Baden-Poweel, esiste anche nelle situazioni peggiori!);

- accettazione del mistero della libertà, per cui il risultato eventualmente negativo non dipende solo da noi ma anche dalla risposta libera! Noi siamo comunque degli educatori "riusciti" se abbiamo portato il giovane a saper scegliere, anche se dovesse scegliere, con nostro dispiacere, cose diverse dalle nostre.

2) L'educazione alla Fede

a - Incominciamo innanzitutto a distinguere bene alcuni termini.

Per religiosità s'intende "l'insieme di disposizioni psichiche, più o meno spontanee ed inconsce, condizionate dalla cultura, dall'ambiente e dall'educazione, che stimolano a cercare un fondamento , un perché assoluto, un destino ultimo"; e, conseguentemente, come esperienza religiosa s'intende "l'insieme di sentimenti e di reazioni interiori che sorgono nell'uomo quando pensa di entrare in contatto con l'Essere supremo". Infine la religione è "l'insieme di credenze, miti, riti, preghiere, verità dogmatiche, comportamenti, istituzioni elaborate in una determinata cultura e società e che sono in grado di esprimere la religiosità degli uomini di tale ambiente sia soggettivamente che collettivamente".

La fede è ancora un’altra cosa, ben distinta: è una scelta libera e cosciente di credere ad una persona che si dice portatrice di un messaggio divino, e quindi accettare tale messaggio con tutte le conseguenze che comporta.

Naturalmente una fede risponde anche alle esigenze della religiosità e potrà di conseguenza "incarnarsi" in una religione concreta. Non sempre viceversa: ci sono religioni (ad esempio l'induismo) che non presuppongono nessun messaggio religioso e quindi non richiedono una "fede" in senso proprio.

In ogni caso la religiosità e la religione, essendo fenomeni "naturali", cioè umani universali, possono essere studiati e valutati da un punto di vista psicologico, sociologico, antropologico, storico... La fede in sé, per sua stessa natura (é un'adesione libera ad un messaggio che viene dall'"alto" e quindi soprannaturale), trascende questo tipo di studi e se ne possono studiare solo le manifestazioni religiose con cui eventualmente si esprime.



b - Si può allora educare alla fede?

E' chiaro, per la distinzione fatta all'inizio, che:

-la fede "piena", essendo una riposta che esige libertà e consapevolezza, è quella adulta;

- tuttavia, nella misura in cui il bambino è già capace di intendere e volere, anch'egli può fare una "scelta" di fede, sia pure condizionata da tutti i particolari aspetti della religiosità della sua età; non dimentichiamo inoltre che la fede (oltre che "risposta") è anche e prima di tutto "dono" di Dio, ed Egli può fare meraviglie al di là della natura...

In ogni caso, propriamente parlando, non si può "educare" ALLA fede. la fede non si insegna, ma si trasmette come la vita da vivente a vivente (cioè da credente a credente)... Si educa piuttosto NELLA fede: la nostra testimonianza può portare poco per volta il bambino ad aderire alle nostre scelte (anche se rimane sempre la sua libertà...).

Ha senso invece parlare di un'educazione religiosa e morale che prepari il substrato umano positivo in grado di aiutare una scelta di fede.

Ciò vuol dire aiutare la naturale evoluzione della religiosità (e anche delle espressioni della religione):

- superando gli aspetti negativi e aiutando a far emergere quelli positivi (ricordiamoci, ad esempio, che un incontro con Dio può essere talvolta "faticoso" ma non può mai produrre noia!: pensiamo a certe lezioni di catechismo...);

- stando attenti all'influsso che possono avere le figure degli adulti sulla formazione dell'idea di Dio;

- aiutando a scoprire un rapporto con Dio Amore che è misericordia e perdono, e quindi eliminando la paura (nata col peccato e abolita dall’amore di Cristo: cfr. Gen. 3 e 1 Gv.) e superando un senso pagano della colpa (il senso del peccato cristiano nasce dall'amore...!);

- aiutando a far crescere il rapporto col prossimo nell'ottica della donazione, non solo come rinuncia ma come gioia ("C'è più gioia nel dare che nel ricevere") e nel far sperimentare la bellezza dello "stare insieme" nella comunità;

- infine nel non forzare l'acquisizione nozionistica al di là delle possibilità della mente del bambino (catechismo di Pio X!) e privilegiare comunque l'esperienza alla pura dottrina.
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Spiegare il sesso al vostro bambino / ragazzino

Messaggioda giale91 » 25/08/2013, 10:47



non ha risposto nessuno? :(
mi sa che sarò la prima XD
innanzitutto grazie, penso che queste cose mi saranno molto utili quando Massimino sarà grande e dovrò parlargliene! :)
io sinceramente non ricordo come nè quando i miei genitori affrontarono la questione "sesso" con me :P
però ricordo di essere sempre stata "1 pò indietro" rispetto alle mie coetanee...
ricordo che le mie amiche iniziarono a parlare di primo bacio e di "toccarsi" o della "masturbazione" già dagli 11-12 anni e io ogni volta che sentivo l'argomento me ne andavo perchè mi faceva SERIAMENTE schifo pensare a queste cose (non prendetemi in giro....penso che ognuno abbia i suoi tempi)
e mi fece altrettanto schifo la lezione di ed. sessuale che ci fecero a scuola e quando sentii per la prima volta i miei avere 1 rapporto, avevo sui 13-14 anni!
rimasi quasi scioccata XD
poi quando compii 16 anni e conobbi il mio primo ragazzo (per cui ancora adesso provo dei sentimenti) mi sono completamente sbloccata e ho avuto le mie prime esperienze.
in conclusione penso che tutti abbiano tempi diversi di maturazione ma che forse l'età dove è giusto iniziare a parlare dell'argomento in modo serio sia intorno ai 11-12 anni come dicevi tu :)
però per quanto riguarda me assolutamente non prima! penso che ancora i bimbi non siano pronti e potrebbero poi distorcere qualcosa.
prima di quell'età penso che gli racconterò che i bimbi sono stelle cadute dal cielo o portati dagli angeli oppure la storia della cicogna o meglio ancora che nascono dall'amore della mamma e del papà e chiudo lì XD (che frana che sarò!!!! XD)
mio zio invece ha pensato che fosse giusto parlare a mia cugina di sesso a 6 anni!!!!! e glielo ha spiegato per filo e per segno!!! boh, io non sono d'accordo con ciò che ha fatto però poi dipende anche dai bambini :)
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Messaggioda Wild_Angel » 01/10/2013, 21:19



Il sesso in sintesi:

Tutti gli esseri viventi, animali e piante, nascono si riproducono e muoiono.
Riproducendosi la vita si rinnova continuamente: vengono create nuove vite giovani.
Il modo principale per riprodursi, sia per gli animali che per le piante è il sesso:
esistono esseri di due tipi: maschi e femmine.
La differenza tra maschi e femmine è che la femmina ha uno spazio
interno per ospitare una nuova vita in formazione.
Per creare una nuova vita un maschio e una femmina si uniscono.
Quasi tutti fanno così: vegetali e animali (inclusi gli esseri umani).
Tutti hanno organi per unirsi e organi per creare una nuova vita.
Per esempio i fiori sono gli organi sessuali delle piante:
attraverso i fiori piante diverse possono fare incontrare
i propri semi, fecondarsi e creare una nuova vita.
Allo stesso modo gli animali.
Per fare in modo che gli animali maschi e femmine si incontrino
la natura ha creato l'attrazione e il desiderio.
Maschi e femmine si piacciono e sono attratti reciprocamente.
Si piacciono e si cercano. Inoltre per favorire sia gli incontri
che la formazione di coppie, la natura ha reso l'unione
del maschio e della femmina un'esperienza molto piacevole
per entrambi. Quando hanno trovato un compagno
che trovano piacevole sono molto felici di unirsi con lui.
In questo modo lo stare insieme diventa molto piacevole.
Questo è il modo in cui gli umani si riproducono
ed il modo in cui vivono la capacità di riprodursi
e creare una nuova vita.
Creare una nuova vita è importante e la natura
ha fatto in modo che gli umani siano molto motivati
al "procedimento" di crearne una. :)
Unirsi per creare una nuova vita è molto piacevole, ci rende felici.
Da questo dipende la conservazione della vita.
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Messaggioda Royalsapphire » 01/10/2013, 22:56



penso che gli racconterò che i bimbi sono stelle cadute dal cielo o portati dagli angeli oppure la storia della cicogna

Anche io userò la favola della cicogna :P


Un avvertimento che voglio dare a tutti i genitori.
Dati i tragici sviluppi che stanno avendo gli abusi sessuali (le cose son due: o vi sono più molestatori, o sono aumentati i coraggiosi che li denunciano), il mio consiglio è quello di parlare ai vostri bambini già quando sentite che capiscono le vostre parole (anche a 4 anni ad esempio)! Addestrateli a riconoscere i "gesti no" dai gesti normali!
E' facile, basta che gli indichiate i posti in cui non devono essere toccati, intimandoli di venirlo a raccontare a voi qualora accadesse, e naturalmente facendogli capire che non devono lasciarsi toccare da estranei. La chiave è il tono con cui gli parlate. Parlategli senza spaventarli. In modo normale, come se gli stesse dicendo cosa avete preparato per cena. E' importante usare un tono tranquillo perché i bambini sono altamente impressionabili e quindi potrebbero captare il vostro messaggio in modo distorto.
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Messaggioda Silberschnee » 14/08/2014, 13:57



A me è stata detta la verità fin da piccola (ovvio con delicatezza e non dettagli esagerati) e non ho mai avuto morbosità o curiosità sul sesso, quando sentivo gli altri bimbi con cavoli e cicogne partivo in quarta con la biologia e tiravo fuori spermini e ovuletti e spiegavo che è impossibile per un umano nascere dal regno vegetale o tramite le cicogne...


Ora che sono mamma ho fatto la stessa cosa ho raccontato la verità in modo semplice ai miei bimbi piccolissimi, ho spiegato loro ogni evoluzione del pancione (terza gravidanza) coinvolgendoli a chiacchierarci e giocare con la sorella dentro e poi spiegato il parto naturale e ceserareo ho detto loro che loro due sono nati nel modo giusto perché sono stati bravissimi e quindi sono passati dalla farfallina della mamma che ha fatto la magia per farli uscire, mentre la loro sorellina che è stata pigrona e non si è girata giusta è uscita dal taglietto che ha fatto il dottore e ancora oggi mi controllano il taglietto aspettando che diventi bianco come quello della nonna.

Per ora altre domande non ne hanno fatte, piano piano cercherò di rispondere loro senza mentire adattando il tema all'età.

In merito al contatto fisico ho fatto cosleeping, allattamento al seno prolungato e tanto babywearing col mei tai (un tipo di fascia) il contatto fisico continuo e sereno con la mamma (che è ben diverso dalla morbosità) sui neonati e bimbi piccoli è essenziale per loro, i bambini che non lo ricevono in questa fase tendono a ricercarlo in modi più o meno sani da adulti.
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Messaggioda Royalsapphire » 14/08/2014, 14:23



Bellissima la tua testimonianza Sil, mi hai fatto riflettere sul fatto che anche in tenera età si può dire la verità della nascita ai propro piccoli.
A proposito, i tuoi bimbi hanno una brava mamma :lol:
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Messaggioda Silberschnee » 14/08/2014, 15:02



Hanno una mamma umana con i suoi difetti e che ha avuto i suoi problemi, però non mi sono arresa e ora sto bene e per loro e mio marito continuerò a rigare dritto per stare al meglio e dare il meglio.

Mah si io me la sono un po' inventata la cosa, non è che mi metto a descrivere un parto in dettagli clinici ho usato la magia della farfallina che rendeva bene, magari i due parti naturali fossero stati una magia :rolleyes:
Ma meglio dell'innaturalità del cesareo che psicologicamente mi ha provata molto.
Ho anche fatto vedere loro video di parti in acqua dove non si vedevano grandi dettagli, ma queste mamme che spingevano e poi da sotto tataaaan usciva il bimbo, solo che poi la cucciolotta non si è girata :rabbia2: e ho dovuto spiegare loro del cesareo :lol:
Tutte le volte che mi vedono nuda mi controllano il colore del taglietto che da rosso dovrà diventare bianco :lol:

Credo che molte paranoie siano solo degli adulti ai bimbi basta la verità adattata alla loro età e se il genitore comunica serenità loro tanti problemi non se ne fanno.
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Messaggioda federika0016 » 24/09/2014, 14:13



Io ho saputo come nascono i bimbi verso i 7 anni; i miei genitori mi spiegarono per bene la storia degli spermini e ovuli..che solo uno ce la fa e da li nasce il bambino prima minuscolo minuscolo e poi poco alla volta cresce ed è per questo che alle mamme in attesa cresce la pancia. Quando a scuola talvolta sentivo delle bambine o bambini parlare di cicogna stavo zitta ma fra me pensavo a quanto erano credulone!
Farei la stessa cosa coi miei figli, direi subito la verità, non la vedo come una cosa positiva inventare la storia della cicogna o del cavolo, in questo modo si crea una gran confusione nella testa del bambino.
Poi verso gli 11 anni quando mi sono sviluppata i miei hanno iniziato a fare i discorsi sul sesso, sul ciclo, sullo sviluppo, sulla masturbazione..per cui non mi sono mai sentita un'aliena quando ho iniziato a masturbarmi o quando avevo le prime cotte..poi a 14 anni il primo ragazzo e i primi veri baci e preliminari e poi ora col mio attuale ragazzo ho fatto l'amore per la prima volta.
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Messaggioda Lithium-87 » 25/09/2018, 21:28



Io farei esattamente così:
https://youtu.be/RbVjuQR6FcQ
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Ai feriti che camminano perché non debbano più soffrire in silenzio...
(Marilee Strong)
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