Disfunzioni sociali di ex bambina viziata-isolata

Forum di aiuto sui tabù della famiglia. I Fatti Vostri.
Parliamo del rapporto conflittuale tra genitori e figli nel presente e nel nostro vissuto passato.
Cosa vuol dire avere una mamma e un papà? Cosa significa essere bambini, e cosa, essere ragazzini? Come sta il tuo bambino interiore?
Quanti problemi e quante difficoltà ci vengono messi davanti?
Qui si possono inviare sfoghi, critiche e consigli su come dovrebbe comportarsi un genitore con il proprio figlio e viceversa.

Disfunzioni sociali di ex bambina viziata-isolata

Messaggioda Olivia » 13/03/2020, 13:36



Ci ho messo molto tempo ad ammetterlo perché avevo vergogna in quanto essere (stati) viziati è quasi sinonimo di essere una persona orribile, che suscita un misto di invidia e antipatia nelle persone per il privilegio di essere stati messi al centro dell'attenzione dei genitori, o quasi. Non sono qui per dire che è tra le peggiori esperienze che possano capitare, c'e' sicuramente di peggio e sono grata di aver avuto attenzioni e non aver subito violenze o abbandoni e mi dispiace per chi ha sofferto e continua a soffrire per problemi molto piu grandi dei miei.
Vorrei solo confrontarmi con voi e capire perché essere stati viziati ha delle conseguenze abbastanza pesanti sulle relazioni e la soddisfazione di una persona. Forse bisognerebbe fare dei corsi di disintossicazione dalla propria educazione anche su questo e partire dal principio che non è una colpa, anche se una volta capito cosa è successo è importante assumersi le proprie responsabilità.
A quanto ho letto alcuni genitori sono spinti a viziare i figli perché vorrebbero dar loro un'infanzia e una vita migliore di quella che hanno vissuto. Mio padre era figlio di un militare che aveva modi estremamente autoritari tanto che ogni tanto tirava fuori la cinghia e gliele dava se non stavano alle sue regole. Però era anche il cocco di mamma perché da piccolo era stato malato. Mia madre veniva da una famiglia operaia in cui c'erano pochi soldi e non poche preoccupazioni. Tutti e due un po' anticonformisti. Quando sono capitata non stavano stabilmente insieme, mia madre era indecisa se abortire ma alla fine hanno deciso di tenermi. Da molto piccola ero una bambina timida e estremamente sensibile e fantasiosa. Verso i 9 anni sono diventata un mostro. Mi sentivo sicura, brava, carina e al centro di tutto, ero narcisa e sul diario attaccavo le mie stesse foto, io io io. Mi sentivo meglio dei compagni "somari". Avevo i costumi di carnevale più belli perché mia madre me li faceva lei, portavo i disegni più belli perché mia madre artista li ritoccava ed ero convinta fosse merito mio. O quasi. Passavo tutto il tempo con i grandi che mi facevano sentire al centro. I miei, gli amici dei miei. Al di fuori della scuola vedevo solo due amichette, una a una, e quando venivano a casa mia ero orgogliosa di far veder loro i miei giochi, la mia casa, che ancora una volta mi sembravano meglio dei loro. Siccome ero tendenzialmente schiva, i miei mi proteggevano, ma pur cercando di essere imparziali probabilmente mi favorivano se c'erano dei litigi. Mi piaceva leggere, collezionare francobolli, conchiglie, cantare, disegnare, scrivere. Siccome mi piaceva cantare mi iscrissero a un coro incoraggiando quella che sembrava una vocazione. Ero timida ma socievole, ma in gruppo provavo sempre una certa paura. In gruppo mi sentivo scoperta, vulnerabile. E presto hanno iniziato con le prese in giro. C'era questa usanza nel cortile di scuola, di acchiappare in gruppo una persona ( le solite 2/3 "vittime") farla morire di solletico, togliergli le scarpe e lanciargliele lontano dove doveva andarsele a riprendere a piedi scalzi. A me avevano soprannominato "scarpe a papera" perché portavo delle odiatissime clarke di una cugina grande che mia madre insisteva nel mettermi. Ero uno dei bersagli preferiti, e questa cosa incrinava la mia sicurezza ma continuavo a voler fare amicizia, e guardavo alle scuole medie con la curiosità di crescere. Alle medie mi sono ritrovata sola : le due amichette erano in altre classi o scuole, ci vedevamo sempre di meno, e nel giro di qualche mese ho iniziato a provare una solitudine atroce. Ero in una classe in maggioranza maschile, e i ragazzi non facevano altro che provarci con le ragazze, ma di me dicevano che facevo schifo, che ero scema antipatica etc. e non volevano neanche sedermi vicino. Le ragazze che sembravano già grandi (avevo un anno in meno) mi bullizzavano con varie cattiverie. Mi sentivo brutta e sbagliata e mi sono chiusa in me stessa, appigliandomi all'unica cosa che sentivo di avere, un'attitudine artistica. Mi rifiutavano ma ero brava a disegnare e a suonare il piano, sarei diventata bravissima e famosa e gliel'avrei fatta vedere. Non mi dicevano, i grandi, che avevo talento ?! Ero triste ma i miej pensavano fosse una cosa passeggera. Un po' mi stavano vicino, un po' no. Mio padre aveva problemi di lavoro e faceva scenate orribili alzando la voce con mia madre in maniera brutale. Parlarci in quel periodo era raro, quando lo faceva mi diceva parole belle ma che in qualche modo mi facevano vergognare di essermi confidata, come se il suo vedere le mie fragilità mi rendesse vulnerabile. Un po' ascoltavano, un po' minimizzavano o cercavano di sdrammatizzare. Mia madre mi ascoltava ma poi voleva sempre farmi vedere l'altro lato delle cose, se io accusavo i miei compagni ero anch'io un po' colpevole, il messaggio era che non dovevo prendermela. Sullo studio mi lasciavano libera, io rasentavo la sufficenza e mi impegnavo poco, immergendomi per la maggior parte del tempo in fantasie e rimuginazioni,. Al liceo qualche amica c'era ma un po' di convenienza, solo come parte di un gruppo che chi c'era c'era. Nessuno veniva mai a casa mia, o quasi. A 17 anni sono dimagrita di 15 chili , un po' perché odiavo il mio aspetto, un po' perché volevo assomigliare alle modelle delle riviste che leggeva mia madre modaiola, un po' perché mi sentivo sola, un peso, e a nessuno sembrava importare granché. Tre anni dopo avevo ripreso tutti i chili perché mio padre mi portò da un dietologo che mi prescrisse una dieta per ingrassare. Odiavo farlo ma mi sentivo troppo in colpa per l'angoscia che avevo causato loro. Poi sono scappata via in un'altra città, poi in un'altra, poi sono tornata. Ed è andata così, per lo piu guardando gli altri che si divertivano, si innamoravano, si sposavano...io carta da parati alle feste, brevi storie, storie sbagliate, pochi amici, ma alcuni buoni amici ma lontani impegnati etc., ... ora ho 35 anni, grossi problemi di fiducia in me stessa, "talento" frustrato, molta confusione su cosa fare, l'ultima pensata ( da un paio di settimane) é ricominciare da 0 in una comune, imparare a relazionarmi e fare qualcosa di molto più basilare dell'arte, cucinare e lavorare la terra...
Quello che sto cercando io stessa di capire, nello scrivere, è perché una persona con un'infanzia più o meno felice può arrivare a volersi cosi male da voler morire, avere pensieri suicidi, non mangiare, non riuscire a fare amicizia etc.
Mi sto dando queste risposte:
Un ego troppo gonfiato dai grandi è insicuro e crolla alle prime difficoltà
La disabitudine a stare insieme, con altri a te pari, ti crea un grande disagio nel momento in cui ti ci trovi
Il rifiuto l'umiliazione o l'indifferenza da parte del gruppo viene vissuta come devastante
Un sovraccarico di aspettative su di sé creato dall'esterno non seguito da un'azione per raggiungere i propri obiettivi porta a delusione, senso di fallimento, inadeguatezza, vergogna

Che ne pensate?
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Messaggioda Loffio » 13/03/2020, 21:04



In molti tratti, il tuo vissuto, ricalca il mio in una maniera impressionante. Ti capisco benissimo.
Penso che mi piace molto confrontarmi con te :)
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Auguro le più atroci sofferenze ai politici e ai giudici!
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Disfunzioni sociali di ex bambina viziata-isolata

Messaggioda grotesque » 15/03/2020, 11:34



Olivia ha scritto:Mi sto dando queste risposte:
Un ego troppo gonfiato dai grandi è insicuro e crolla alle prime difficoltà
La disabitudine a stare insieme, con altri a te pari, ti crea un grande disagio nel momento in cui ti ci trovi
Il rifiuto l'umiliazione o l'indifferenza da parte del gruppo viene vissuta come devastante
Un sovraccarico di aspettative su di sé creato dall'esterno non seguito da un'azione per raggiungere i propri obiettivi porta a delusione, senso di fallimento, inadeguatezza, vergogna

Che ne pensate?


Penso innanzitutto che hai fatto un'ottima autoanalisi.

Ho avuto esperienze diverse dalle tue, eppure hai descritto alla perfezione alcune delle sensazioni che ho provato anche io.
Troppo amore, o troppo poco amore ricevuto in famiglia, alla fine portano ad accollarsi lo stesso carico di negatività.
Anche io ero appoggiato a una colonna di un ristorante, alle feste dei compagni di scuola. Non l'ho scelto io, ma sono stato in tante città. Finivo comunque per stare sempre lì, guardando gli altri da quella colonna. Puoi fare il simpatico, puoi fare stronzate per attirare l'attenzione, puoi prenderne uno a pugni, ma se non ti accettano quello è il tuo posto.

Legavo meglio con persone più anziane di me, non perché mi illudessi di essere migliore miei coetanei o per indurre loro a un qualche sentimento di protezione nei miei confronti, ma perché andavano oltre il dover gareggiare a fare/dire la cazzata più grande, si poteva parlare anche di cose serie, importanti, sapevano tirar fuori le loro emozioni; come potevo confidarmi con i miei compagni? Per loro il massimo della sofferenza forse era il dover ripetere l'anno.
Progettavamo viaggi insieme, quando i miei compagni di scuola il massimo che facevano era impennare con il motorino davanti alla stazione di polizia. Mi sentivo diverso e per un po' stavo bene con loro, ma è difficile cambiare sempre città e ricominciare tutto da capo.
Oggi, ripenso a quegli anni e veramente mi preoccupavo per delle cavolate.

Penso a un mio conoscente che da piccolo ha avuto i tuoi privilegi; oggi è ancora lì, nella sua campana di vetro costruita per lui. I suoi sono ricchi sfondati, gli hanno comprato una casa tutta per lui a neanche 1 km da dove viveva prima così può stare con la sua fidanzata, da quando lo conosco non ha mai avuto un problema che non abbiano risolto i suoi o i loro soldi. Non ha bisogno e forse neanche voglia di lavorare, certo un po' lo invidio. In fondo non è cattivo, a me non ha fatto nulla, ma ormai è assopito in questo suo mondo con difficoltà "very easy".
Però poi penso, un giorno senza i genitori, lui alla prima difficoltà sbroccherà di brutto. E tanto.
Tu invece sei una veterana.
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Messaggioda Olivia » 15/03/2020, 16:03



Ciao grotesque! grazie del commento.
E' un punto che con l'analista non si riusciva mai a sbrogliare: lei sosteneva che se il bullismo a scuola mi ha fatto un effetto così grande dev'essere perché in qualche modo (non si sa come o quando esattamente) i miei genitori non mi hanno ascoltata o non mi hanno dato le attenzioni di cui sentivo il bisogno, ma dentro di me sentivo che non poteva essere questa la verità, i miei mi hanno dato tanto (certo magari possono aver influito assenze/nervosismi di mio padre o ambivalenze di mia madre ma vallo a sapere).
Sembra che secondo gli psicologi se in famiglia ricevi abbastanza affetto hai la forza per affrontare qualsiasi cosa, per non farti abbattere etc., hai grandi riserve di fiducia in te stesso ...come se l'ambiente fosse solo secondario. Forse all'inizio è così, ma a un certo punto nella vita di una persona inizia a contare molto di più l'ambiente che la famiglia, tanto che a un certo punto uno se ne stacca e cerca il benessere altrove, e a volte lo trova altrove anche se la famiglia non gliene aveva dato. Conosco persone che sono partite da una situazione familiare disastrata ma sono riuscite a credere in se stesse e a portare avanti carriere artistiche, passioni, senza grandi esitazioni su di sè. Poi magari sono fragili, molto fragili, in altri ambiti. Il problema delle persone come me, e chissà, forse anche del tuo conoscente, è che così come non piaci agli altri, non piaci neanche a te stesso. Gli altri sono uno specchio di te. E' un pò come se le persone con la loro invidia o indifferenza o in ogni caso mancanza di affetto annientassero la tua umanità...alla fine tutte le gioie che potresti provare nella vita vengono dal rapporto con gli altri, puoi avere tutti i privilegi del mondo ma senza relazioni non è vita. L'amore dei genitori...è importantissimo, ma quando c'è solo quello...
Io apprezzo molto, moltissimo, ogni attenzione che ricevo, anche qui adesso, e a volte basta davvero poco per farmi felice, però è come se dentro, per via di quel rifiuto da parte del gruppo, o forse per via di questi privilegi, pensassi di meritare l'odio che ho ricevuto. Comunque veterana mi ha fatto sorridere :D
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Messaggioda Olivia » 16/03/2020, 0:29



Comunque ( me la canto e me la suono, ma spero che questa analisi possa aiutare anche qualcun altro magari a capirsi,
ho letto un articolo illuminante sul bisogno di approvazione. C'è una frase che mi ha dato la chiave: " la delusione di sentirsi rifiutati genera un'emozione negativa superiore, per entità, alla soddisfazione di venire accettati " ( sembra una legge della fisica ☺) ...(...) è facile immaginare l'impatto dell'ostracismo sulla nostra mente. Poi dice che il tutto ha origine nella famiglia: il messaggio che veicola l'accettazione di sé passa dai genitori ai figli ed è un messaggio di amore incondizionato (...) ma trasmetterlo è meno facile di quel che si pensi. Molto spesso l'educazione è inquinata con frasi tipo "sei bravo se vai bene a scuola" etc (...), nell'equazione ci sono anche etichette che si discostano dall'idea di accettazione. Ci si può riferire al figlio "sbadato" usando anche un comportamento paraverbale e non verbale che ne sottolinea l'aspetto negativo e questo può generare nel bambino una rappresentazione negativa di sé che ne inficera ' l'auto-accettazione ". In effetti, mia madre a volte mi sfotteva in maniera piuttosto aggressiva. Però siccome era solo uno scherzo non ne capivo l'aggressività e introiettavo. Quindi potrebbe essere questo che come pensa l'analista, mi ha reso più vulnerabile al rifiuto degli altri.
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Messaggioda grotesque » 16/03/2020, 10:14



Olivia ha scritto:Il problema delle persone come me, e chissà, forse anche del tuo conoscente, è che così come non piaci agli altri, non piaci neanche a te stesso. Gli altri sono uno specchio di te. E' un pò come se le persone con la loro invidia o indifferenza o in ogni caso mancanza di affetto annientassero la tua umanità...alla fine tutte le gioie che potresti provare nella vita vengono dal rapporto con gli altri, puoi avere tutti i privilegi del mondo ma senza relazioni non è vita. L'amore dei genitori...è importantissimo, ma quando c'è solo quello...
Io apprezzo molto, moltissimo, ogni attenzione che ricevo, anche qui adesso, e a volte basta davvero poco per farmi felice, però è come se dentro, per via di quel rifiuto da parte del gruppo, o forse per via di questi privilegi, pensassi di meritare l'odio che ho ricevuto.

Questo tuo stato, come ha influito nelle relazioni?
Ricordo avevi fatto qualche esempio nell'altro topic, anche se mi sembrava fosse una reazione per testare i tuoi genitori.
Non devi rispondere per forza, è una mia curiosità.
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Messaggioda Olivia » 16/03/2020, 11:28



Estrema insicurezza ipersensibilità timidezza e goffagine, praticamente mi vergogno costantemente e anche se vorrei terribilmente avvicinarmi non riesco a farlo
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Messaggioda grotesque » 16/03/2020, 12:01



Grazie per la risposta. Non so quanto possa durare questa reclusione, tutto quello che mi verrebbe da consigliarti è un qualcosa che andrebbe testato fuori dal virtuale.

Provo a pensare, se questo tuo malessere che va a braccetto con il tuo bisogno è radicato, cercherei di capire quando la richiesta di attenzione sta per diventare una debolezza o ti sta conducendo in una situazione controproducente.

Esempio stupido: una ragazza entra in un bar, c'è un tizio che prende un caffè al suo fianco, ne ordina uno anche lei e l'uomo si offre di pagarglielo, dicendo cose carine. Come si sentirà? Ci starà provando? E se lei, con questa attenzione ricevuta, avesse confuso un semplice atto di galanteria per un tizio innamorato di lei?
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Messaggioda Olivia » 16/03/2020, 12:40



Si, ci sta che sta richiesta di attenzione sia eccessiva e controproducente, è che come dici tu è un bisogno radicato perché mai del tutto appagato da una situazione di socialità normale, anche perché nelle grandi città la possibilità di frequentare persone in maniera costante è quasi nulla. Penso che se fossi in una situazione di stabilità lavorativa sarebbe già diverso. Ne ho provate tante ma nei gruppi di danza o altro è come se tutti quel bisogno l'avessero già superato da un pezzo, non sono soli come me, quindi si relazionano in maniera molto più scanzonata e alla fine mi sento sempre fuori. Per questo pensavo alla comune, tra l'altro almeno ideologicamente sembra un gruppo di persone attente a tutti i singoli componenti...poi ovviamente non sarà né facile né perfetto ma vorrei provarci.
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Messaggioda grotesque » 16/03/2020, 13:08



Ti auguro vada come vorresti nella comune, e se anche così non fosse, sicuramente sai già di non aver perso tempo; impareresti comunque qualcosa, a livello pratico così come in quello relazionale.
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