Ci ho messo molto tempo ad ammetterlo perché avevo vergogna in quanto essere (stati) viziati è quasi sinonimo di essere una persona orribile, che suscita un misto di invidia e antipatia nelle persone per il privilegio di essere stati messi al centro dell'attenzione dei genitori, o quasi. Non sono qui per dire che è tra le peggiori esperienze che possano capitare, c'e' sicuramente di peggio e sono grata di aver avuto attenzioni e non aver subito violenze o abbandoni e mi dispiace per chi ha sofferto e continua a soffrire per problemi molto piu grandi dei miei.
Vorrei solo confrontarmi con voi e capire perché essere stati viziati ha delle conseguenze abbastanza pesanti sulle relazioni e la soddisfazione di una persona. Forse bisognerebbe fare dei corsi di disintossicazione dalla propria educazione anche su questo e partire dal principio che non è una colpa, anche se una volta capito cosa è successo è importante assumersi le proprie responsabilità.
A quanto ho letto alcuni genitori sono spinti a viziare i figli perché vorrebbero dar loro un'infanzia e una vita migliore di quella che hanno vissuto. Mio padre era figlio di un militare che aveva modi estremamente autoritari tanto che ogni tanto tirava fuori la cinghia e gliele dava se non stavano alle sue regole. Però era anche il cocco di mamma perché da piccolo era stato malato. Mia madre veniva da una famiglia operaia in cui c'erano pochi soldi e non poche preoccupazioni. Tutti e due un po' anticonformisti. Quando sono capitata non stavano stabilmente insieme, mia madre era indecisa se abortire ma alla fine hanno deciso di tenermi. Da molto piccola ero una bambina timida e estremamente sensibile e fantasiosa. Verso i 9 anni sono diventata un mostro. Mi sentivo sicura, brava, carina e al centro di tutto, ero narcisa e sul diario attaccavo le mie stesse foto, io io io. Mi sentivo meglio dei compagni "somari". Avevo i costumi di carnevale più belli perché mia madre me li faceva lei, portavo i disegni più belli perché mia madre artista li ritoccava ed ero convinta fosse merito mio. O quasi. Passavo tutto il tempo con i grandi che mi facevano sentire al centro. I miei, gli amici dei miei. Al di fuori della scuola vedevo solo due amichette, una a una, e quando venivano a casa mia ero orgogliosa di far veder loro i miei giochi, la mia casa, che ancora una volta mi sembravano meglio dei loro. Siccome ero tendenzialmente schiva, i miei mi proteggevano, ma pur cercando di essere imparziali probabilmente mi favorivano se c'erano dei litigi. Mi piaceva leggere, collezionare francobolli, conchiglie, cantare, disegnare, scrivere. Siccome mi piaceva cantare mi iscrissero a un coro incoraggiando quella che sembrava una vocazione. Ero timida ma socievole, ma in gruppo provavo sempre una certa paura. In gruppo mi sentivo scoperta, vulnerabile. E presto hanno iniziato con le prese in giro. C'era questa usanza nel cortile di scuola, di acchiappare in gruppo una persona ( le solite 2/3 "vittime") farla morire di solletico, togliergli le scarpe e lanciargliele lontano dove doveva andarsele a riprendere a piedi scalzi. A me avevano soprannominato "scarpe a papera" perché portavo delle odiatissime clarke di una cugina grande che mia madre insisteva nel mettermi. Ero uno dei bersagli preferiti, e questa cosa incrinava la mia sicurezza ma continuavo a voler fare amicizia, e guardavo alle scuole medie con la curiosità di crescere. Alle medie mi sono ritrovata sola : le due amichette erano in altre classi o scuole, ci vedevamo sempre di meno, e nel giro di qualche mese ho iniziato a provare una solitudine atroce. Ero in una classe in maggioranza maschile, e i ragazzi non facevano altro che provarci con le ragazze, ma di me dicevano che facevo schifo, che ero scema antipatica etc. e non volevano neanche sedermi vicino. Le ragazze che sembravano già grandi (avevo un anno in meno) mi bullizzavano con varie cattiverie. Mi sentivo brutta e sbagliata e mi sono chiusa in me stessa, appigliandomi all'unica cosa che sentivo di avere, un'attitudine artistica. Mi rifiutavano ma ero brava a disegnare e a suonare il piano, sarei diventata bravissima e famosa e gliel'avrei fatta vedere. Non mi dicevano, i grandi, che avevo talento ?! Ero triste ma i miej pensavano fosse una cosa passeggera. Un po' mi stavano vicino, un po' no. Mio padre aveva problemi di lavoro e faceva scenate orribili alzando la voce con mia madre in maniera brutale. Parlarci in quel periodo era raro, quando lo faceva mi diceva parole belle ma che in qualche modo mi facevano vergognare di essermi confidata, come se il suo vedere le mie fragilità mi rendesse vulnerabile. Un po' ascoltavano, un po' minimizzavano o cercavano di sdrammatizzare. Mia madre mi ascoltava ma poi voleva sempre farmi vedere l'altro lato delle cose, se io accusavo i miei compagni ero anch'io un po' colpevole, il messaggio era che non dovevo prendermela. Sullo studio mi lasciavano libera, io rasentavo la sufficenza e mi impegnavo poco, immergendomi per la maggior parte del tempo in fantasie e rimuginazioni,. Al liceo qualche amica c'era ma un po' di convenienza, solo come parte di un gruppo che chi c'era c'era. Nessuno veniva mai a casa mia, o quasi. A 17 anni sono dimagrita di 15 chili , un po' perché odiavo il mio aspetto, un po' perché volevo assomigliare alle modelle delle riviste che leggeva mia madre modaiola, un po' perché mi sentivo sola, un peso, e a nessuno sembrava importare granché. Tre anni dopo avevo ripreso tutti i chili perché mio padre mi portò da un dietologo che mi prescrisse una dieta per ingrassare. Odiavo farlo ma mi sentivo troppo in colpa per l'angoscia che avevo causato loro. Poi sono scappata via in un'altra città, poi in un'altra, poi sono tornata. Ed è andata così, per lo piu guardando gli altri che si divertivano, si innamoravano, si sposavano...io carta da parati alle feste, brevi storie, storie sbagliate, pochi amici, ma alcuni buoni amici ma lontani impegnati etc., ... ora ho 35 anni, grossi problemi di fiducia in me stessa, "talento" frustrato, molta confusione su cosa fare, l'ultima pensata ( da un paio di settimane) é ricominciare da 0 in una comune, imparare a relazionarmi e fare qualcosa di molto più basilare dell'arte, cucinare e lavorare la terra...
Quello che sto cercando io stessa di capire, nello scrivere, è perché una persona con un'infanzia più o meno felice può arrivare a volersi cosi male da voler morire, avere pensieri suicidi, non mangiare, non riuscire a fare amicizia etc.
Mi sto dando queste risposte:
Un ego troppo gonfiato dai grandi è insicuro e crolla alle prime difficoltà
La disabitudine a stare insieme, con altri a te pari, ti crea un grande disagio nel momento in cui ti ci trovi
Il rifiuto l'umiliazione o l'indifferenza da parte del gruppo viene vissuta come devastante
Un sovraccarico di aspettative su di sé creato dall'esterno non seguito da un'azione per raggiungere i propri obiettivi porta a delusione, senso di fallimento, inadeguatezza, vergogna
Che ne pensate?