Quando mio padre smetterà di fare il carceriere e inizierà a fare il genitore, forse, sarà troppo tardi.
Parliamo di un uomo, di una roccia. Di un marito fantastico, fedele. Di un padre che ama troppo e, spesso, nel modo sbagliato. Di un padre che, più che amare, possiede. Di una roccia così talmente tanto insicura, da sentire la necessità di sottolineare la propria egemonia, di far pesare la propria volontà, la propria presenza, la propria forza e volontà. E, quando questa sua egemonia viene messa in discussione, la roccia traballa, il padre si trasforma in carceriere, in castigatore, in boia. Parliamo di un padre che teme e odia, ciecamente e profondamente, ciò che non conosce ed è spaventato –e forse un po’ invidioso- dal fatto che, per forze maggiori, io possa conoscere e saperne più di lui. Lui vive in una realtà ristretta, esce solo per fare la spesa, è raro che esca con gli “amici”. Amici di cui non ha una buona opinione: per lui, sono persone stupide, egoiste e una serie di altri atteggiativi che, forse, tradiscono una certa invidia per la loro condizione, per la loro, forse, felicità, sicurezza, serenità.
Parliamo di un uomo, un marito, che ha fatto da padre a mia madre, visto che il suo è morto che lei era piccola. Lui ha sempre avuto bisogno di aggrapparsi all’affetto di qualcuno, qualcuno che vedesse in lui un’ancora, un punto di riferimento. E il loro amore, quello fra i miei, gira proprio intorno a questo: lei ha bisogno di questo punto di riferimento e lui ha bisogno di sentirsi importante. Mia madre ha così bisogno di avere un padre, che è pronta ad annullarsi in virtù di quell’affetto che le è venuto a mancare e che ancora cerca smaniosamente. Lei è così diversa da papà, ma è pronta a smussare, levigare fino anche ad appiattire ogni sua volontà in virtù di un uomo che, per sentirsi tale, i propri spigoli li ingrandisce. Può sembrare squilibrato come rapporto, ma forse non lo è, dal momento che ancora, dopo vent’anni di matrimonio e dieci di fidanzamento, dormono abbracciati. Ed è bellissimo vederli abbracciati. Ma vorrei provare sulla pelle l’effetto che fa non sentirsi tagliare le ali. E vorrei che anche mia madre lo provasse. Ma forse lei ha bisogno di qualcuno che le tagli le ali, forse lei lo desidera. Forse non lo ha mai voluto, ha solo smesso di desiderare di avere ancora le ali. Ma io no.
Quando papà non c’è, io e mamma siamo molto affiatate. Basta che lui varchi l’uscio e chiuda la porta, affinchè io mamma ritroviamo quella complicità che solo mamma e figlia possono avere. Io, devo dire, non parlo molto con lei ma quando papà non c’è diventiamo come due amiche di vecchia data, due confidenti, senza peli sulla lingua. Una sera papà è stato via per un po’ di ore (nb: è un musicista, aveva uno ‘spettacolo’, ma di questo parleremo più in là). La mamma ha iniziato a fare l’impasto della pizza già nel pomeriggio, la sera ci siamo messe a guardare i cartoni della Disney in cucina, con le casse a palla, di fronte a una bella margherita fatta in casa. La serata è finita con i titoli di coda, perché è tornato papà. Con lui in casa non sarebbe stato possibile. Perché? Non lo so.. spesso le propongo serate del genere, ma hanno luogo solo quando papà non c’è. Quando invece papà c’è, e si corica presto, lei gioca al tablet fino alle due; quando papà va a letto tardi, lei si mette a dormire alle dieci e mezza. Però dormono abbracciati come se avessero quindici anni e non credo lo facciano per abitudine, perché si vede da lontano che si vogliono molto bene.
Io voglio bene a papà. Anche se ogni tanto mi lascia i lividi, anche se una volta mi ha spezzato un dito che ancora fatico a muovere. Gli voglio bene perché mi ha trasmesso degli insegnamenti importanti, ma questo lo faceva prima di diventare il mio carceriere. Ora non ha più tanto da insegnarmi, ha esaurito ogni cosa dal momento che ho vent’anni e passo la maggior parte del mio tempo in una città che, con il mio paesino, non ha niente a che vedere; ora che vado all’università e questo mi consente di vedere tante realtà ben lontane dalla vista di mio padre, per quanto lungimirante possa essere; ora che vivo esperienze a lui totalmente estranee, in luoghi a lui estranei e con gente a lui estranea. E il non avere più niente da insegnare, lo spaventa. E la paura lo rende un carceriere. Anche per questo dico che lui, secondo me, non vuole che continui l’università. Forse è anche una questione economica, anzi, sicuramente sarà anche una questione economica. Ma io non sono disposta a farmi tagliare le ali, in nessun caso. E lui lo sa bene. E ne ha paura. Io non so cosa pensi di me, non so quanto bene mi conosca e quanto sappia di me. Ma a me non importa tanto della sua opinione su di me, e lui sa che oramai faccio a meno delle sue parole. O forse non lo ha ancora capito e spera che mi importi qualcosa.. o forse non è vero che non mi importa. Non ci penso, tutto qui. Perché pensarci mi farebbe chiudere in me stessa, mi farebbe smettere di credere in me stessa, che già non ci credo poi tanto.. però per fortuna c’è la mamma, la mamma che lavora, che non prende tanto, ma che non mi fa mancare i libri per studiare e l’abbonamento per seguire; vorrebbe riuscire a pagarmi l’affitto ma non ce la fa –e anche se ce la facesse economicamente, papà non vorrebbe- quindi mi paga l’abbonamento, anche se sto a due ore e mezza dall’università. Perché per lei ne vale la pena. E se ne vale la pena per lei, allora ne vale la pena anche per me. Per fortuna c’è la mamma, la mamma che è forte nella sua fragilità, che si fa annullare da papà ma che sostiene me, affinché non mi annulli io.. Per fortuna che c'è lei..