La sindrome di Godot ricorda l'impotenza appresa di Seligman:
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Marco un tempo lavorava come impiegato in un’azienda, svolgeva bene il suo lavoro ed era gratificato dalla sua occupazione. A seguito di alcuni importanti problemi personali è costretto ad abbandonare il lavoro. Trascorrerà quindi un periodo di tempo durante il quale si occuperà dei suoi problemi, riuscendo a superarli. A quel punto ricomincia a cercare un lavoro, invia curriculum, effettua diversi colloqui, ma nessuno va in porto. Questo stato di cose va avanti diversi mesi, senza successo. Un giorno viene a sapere che l’azienda nella quale lavorava cerca nuovamente un impiegato che svolga le stesse mansioni che svolgeva lui prima di abbandonare il lavoro. Decide però di non presentarsi alla candidatura, convinto del fatto che oramai si trattava di un’occasione persa e che mai lo avrebbero ripreso. In realtà il datore di lavoro dell’azienda, memore delle capacità lavorative di Marco, sarebbe stato ben disposto a riaccoglierlo nello staff.Quest’esempio dimostra un meccanismo psicologico oggi conosciuto come impotenza appresa. Esso fu scoperto accidentalmente nel 1967 dallo psicologo americano Martin Seligman, durante una serie di esperimenti di laboratorio. Nei suoi esperimenti, Seligman aveva scoperto che un animale sottoposto ad uno stimolo nocivo (senza possibilità da parte sua di controllarlo), una volta messo nelle condizioni di poter fuggire dallo stimolo nocivo non lo faceva. In poche parole, l’animale aveva appreso che la situazione negativa era inevitabile e non dipendeva dal suo comportamento, per cui anche quando effettivamente poteva muoversi o saltare per fuggire non lo faceva.
Successivamente Seligman ampliò i risultati di questi studi, estendendoli anche agli esseri umani. In un altro esperimento, alcuni studenti erano in una stanza nella quale era presente un forte rumore che ovviamente infastidiva i soggetti. Gli studenti provavano a ruotare delle manopole o a premere dei pulsanti, ma il rumore non cessava. Successivamente gli stessi studenti si trovavano in un’altra stanza dove era presente lo stesso rumore assordante, il quale però questa volta poteva essere controllato attraverso una manopola. Tuttavia gli studenti tendevano a non provare ad interrompere il rumore, dal momento che precedentemente avevano appreso che si trattava di una situazione fuori dal loro controllo.
L’impotenza appresa si riferisce quindi alla situazione in cui apprendiamo che non può essere fatto nulla per controllare o migliorare una data situazione, per cui tendiamo a non provarci nemmeno. Un po’ come ha fatto il nostro Marco nell’esempio all’inizio dell’articolo. Egli, dopo aver provato diversi colloqui di lavoro non andati positivamente, ha appreso che trovare lavoro non dipende dalle sue capacità ma da altri fattori che lui non poteva controllare. Ha appreso quindi di non poter fare nulla di concreto per risolvere la sua situazione, sentendosi impotente di fronte agli eventi. Questa impotenza appresa gli ha però impedito di presentarsi nella vecchia azienda, ritenendo (a torto) inutile farlo.
Chi soffre di depressione oppure ha delle tendenze depressive conosce questo stato d’animo, che porta a dirsi “tutto è inutile”, “non ci provo nemmeno”, “oramai so già come andrà a finire”, etc. È importante sottolineare, infatti, che nella teoria di Seligman non è scontato che tutti gli esseri umani reagiranno con un senso di impotenza agli eventi negativi. La reazione dipenderà dai personali stili di pensiero, per cui persone tendenti ad uno stile depressivo adotteranno stili di pensiero più pessimistici.
Per fare un esempio, di fronte ad un colloquio di lavoro non andato bene, una persona potrebbe pensare: 1) Sono un incapace; 2) Sono troppo vecchio per trovare un lavoro; 3) Non era il lavoro fatto per me; 4) Sono stato sfortunato; 5) Il datore di lavoro era prevenuto nei miei confronti; 6) Probabilmente dovevano dare il posto a qualcun’altro; 7) Non mi sentivo molto bene durante il colloquio, per questo non è andato bene. Notiamo subito la differenza negli stili di pensiero, e intuiamo anche le conseguenze che essi potrebbero avere per la persona in questione. La persona che pensa “Sono un incapace” oppure “Sono troppo vecchio per trovare un lavoro” tenderà ad identificare le cause degli eventi negativi come interne, stabili e globali. Se mi sento un incapace oppure troppo vecchio la colpa sarà la mia, le cose difficilmente potranno cambiare e inoltre mi considererò un incapace in generale, non in riferimento ad una specifica situazione. Viceversa, la persona che penserà “Probabilmente dovevano dare il posto a qualcun’altro”, spiegherà l’evento negativo in maniera esterna (dal momento che la causa non è imputabile a lui), instabile (dal momento che non è detto che in futuro debba ripetersi la stessa situazione), e specifica (dal momento che si riferisce al quello specifico episodio).
Come provare a gestire i sentimenti negativi indotti dall’impotenza appresa? Se hai letto l’articolo sulle distorsioni cognitive hai ricevuto qualche consiglio su come provare a identificare gli stili di pensiero disfunzionali e come cercare di affrontarli. Per provare a gestire l’impotenza appresa, ecco qualche consiglio più specifico:
Concentrati su un’area specifica della tua vita che vorresti cambiare. Non provare altri cambiamenti finché non sarai sicuro di fare progressi in quell’area;
Prova a credere maggiormente nel fatto che tu (in prima persona) puoi fare la differenza;
Smetti di criticarti, relativizzando gli errori e tenendo presente che fanno parte della vita di tutti noi. Fare degli errori non equivale ad essere degli stupidi;
Inizia a complimentarti con te stesso. Se fai qualcosa di buono per qualcuno, è perché sei una buona persona. Gli studi hanno dimostrato che complimentarsi con noi stessi per le cose andate bene aumenta la capacità di pensare in maniera più ottimistica;
Cerca di costruirti un ambiente positivo. Se sei circondato da persone negative, che ti buttano giù aumentando i tuoi pensieri pessimistici, cerca di costruirti un ambiente più stimolante in questo senso;
Concentrati su cose che puoi controllare. Chiediti sempre “Cosa posso concretamente fare per migliorare questa situazione?”;
Datti una ricompensa anche per i piccoli miglioramenti. Nel momento in cui pensi al prossimo step, pensa anche a come premiarti per ciò che hai raggiunto (dedicati al tuo hobby preferito, esci con gli amici, vai a vedere la partita o a sentire un concerto…)."
Fonte:
http://bolognapsicologo.net/blog/limpot ... -gestirla/-
"Locus of Control e Teoria dell’Attribuzione
Il locus of control è un modello che spiega come la percezione che le persone hanno di sè stesse e della realtà possa essere semplicemente un punto di vista, indipendente dai fatti ‘reali’, ovvero un modo con cui i fatti vengono interpretati.
Julian B.Rotter, attraverso questo modello, ha definito il grado di percezione rispetto al controllo del proprio destino e degli eventi. Questo controllo può essere interno o esterno.
Le persone che hanno un locus of control “interno” attribuiscono la causa di ciò che accade a se stessi e al proprio intervento.
Le persone che hanno un locus of control “esterno” credono di avere poche possibilità di influenzare eventi, che dipendono, secondo loro, dal caso, da chi ha maggiore potere, ecc…
Ognuno di noi ha una dominanza di uno dei due stili di attribuzione. Le persone che possiedono un locus of control interno si sentiranno maggiormente responsabili delle loro azioni e avranno maggiori possibilità di successo. Nelle persone che hanno un locus of control esterno l’atteggiamento sarà più passivo rispetto alle situazioni della vita e tenderanno ad accettare gli eventi anche quando potrebbero essere modificati.
Tuttavia, al di là della dominanza, tutti noi utilizziamo l’attribuzione a cause sia interne che esterne. Ad esempio, è buffo notare che spesso noi tendiamo ad attribuire i propri successi a stati interni (“sono proprio bravo”), mentre quando un’altra persona ottiene gli stessi risultati, allora ci spostiamo su spiegazioni esterne (“è stato fortunato”). Allo stesso modo quando si fanno errori o si fallisce in un compito si tende ad attribuire le cause a qualcosa di esterno, a fattori situazionali piuttosto che incolpare noi stessi. In maniera speculare quando gli altri non riescono in qualche compito o fanno errori, tendiamo ad usare su di loro attribuzioni interne, per esempio dicendo che il pessimo risultato che hanno ottenuto è da attribuire alle loro caratteristiche personali (“è una persona poco intelligente”).
Bernand Weiner ha aggiunto alla teoria dell’attribuzione delle specifiche interessanti. Oltre al locus of control ha individuato i seguenti due criteri per valutare la causa di un certo risultato:
1) la stabilità (le cause cambiano nel tempo oppure rimangono stabili?)
2) la controllabilità (cause che siamo in grado di controllare come le competenze, rispetto a cause che non possiamo controllare come la fortuna, le azioni degli altri, ecc…)
L’interazione di questi tre fattori (ad esempio potremmo ritenere che la causa sia esterna a noi e tuttavia prevedibile [stabile] e controllabile) spiega in modo ancora più preciso il modo di porsi e di reagire delle persone."
Fonte:
http://www.betraining.it/blog/2012/01/2 ... ribuzione/