Disperso ha scritto:Tra le varie beghe inconsce che mi porto dietro c'è quella della paura del confronto, o meglio del suo rifiuto.
E' proprio un atteggiamento che mi porto dietro da sempre,è non saprei a cosa imputarne la causa.
Forse nella tua famiglia (ambiente da dove apprendiamo i modelli comportamentali) i confronti erano conflittuali, oppure si parlava poco, o lo si faceva in modo disfunzionale... per cui ti è rimasta la paura del confronto, e/o non hai appreso mai una modalità costruttiva per farlo.
E' come se una voce mi dicesse: "confrontarsi è male, competere è male-stupido, addirittura vincere è male"
Ti dico la mia:
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Confrontarsi è inevitabile. A meno che fai l'eremita

E' fondamentale in qualsiasi relazione, sia essa di amicizia, sentimentale, scolastica, di lavoro. Senza comunicazione e confronto, non c'è apprendimento, crescita, condivisione, comunità. C'è il deserto.
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Competere ci viene istintivo e naturale. E combattere la propria natura istintiva è in genere dannoso - e stupido.
Piuttosto, si può imparare a vivere quell'impulso in modo costruttivo, per esempio vivendolo nel gioco, o come uno stimolo a migliorare se stessi.
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A tutti piace vincere. Ce l'abbiamo scritto nel DNA

Anche qui, combattere la tua stessa natura non porta nulla di buono. Pensa ai preti che reprimono il desiderio sessuale... e poi abusano dei bambini. Una genialata!
Piuttosto, si può voler vincere senza sminuire l'avversario, ma onorandolo. Si può vincere come team. Si può vincere e poi condividere la vittoria...
Io lo imputo al mancato rapporto col padre e quindi alla mancata acquisizione di caratteristiche prettamente maschili
Questa può essere una concausa, non credo l'unica.
Mi sembra probabile che ti abbiano "messo nella testa" altre regole durante l'infanzia. Regole insensate che poi si scontrano con la realtà.
Come p.es. "Non devi mai far soffrire qualcuno" - cosa che è impossibile, e ti porta a soffocare te stesso.
Seconda cosa, legata alla prima: quando ho ragione per esempio in una discussione, mi secca aver ragione. Quasi a non voler "mortificare" l'altro che ha torto, di questo non mi spiego il motivo.
Vedi sopra.
A una mia amica hanno insegnato che lei era sempre "l'ultima ruota del carro" e quindi i sentimenti degli altri erano sempre più importanti dei suoi; così ha sempre paura di scontentare gli altri.
Se l'altro ha torto non è un problema tuo, è lui che deve imparare qualcosa.
Il mondo è pieno di gente ignorante e pigra che crede cose senza senso... e di nuovo non è un problema tuo. Se hai ragione e loro torto, vuol dire che sai pensare meglio di loro, buon per te.
Forse temo di perdere, non so accettare la sconfitta e allora non competo.
E' possibile.
Quando competi e perdi, come ti senti? Lo accetti, o lo trovi insopportabile?
E quando discuto non mi va di far "perdere" l'altro. Voi che dite?
Ho la sensazione che ti preoccupi troppo di far soffrire gli altri.
Ma non per una sana empatia e attenzione, quanto perché ti hanno insegnato qualcosa tipo "Se fai soffrire gli altri sei un mostro", e quindi se accade ti senti una schifezza.
In realtà,
la sofferenza è inevitabile, specialmente nelle relazioni.
Se vogliamo evitare la sofferenza a tutti i costi, finiamo col chiudere tutte le porte, con l'inaridirci e non vivere più.