A volte sembra davvero non ci sia soluzione. Passi le tue giornate a proiettare i pensieri sul futuro e crei aspettative così alte e così apparentemente possibili nella tua testa che quasi dimentichi quanto faccia schifo il presente e quanto sarebbe sicuramente meglio chiudere gli occhi e semplicemente non riaprirli mai più.
Passi il tempo a cercare soluzioni, a navigare su internet, a domandarti come potresti essere felice, a guardare da lontano la felicità, e per brevi istanti avere anche l'illusione di poterla catturare. Ma la realtà è che vogliamo catturare cose che ci hanno già catturati per primi. Noi crediamo di voler catturare qualcosa solo perché ci ha già catturato, anche se noi non lo sappiamo. Un po' come quando stiamo camminando e all'improvviso l'eleganza di una farfalla appena uscita dal suo bozzolo cattura la nostra attenzione e noi, con la nostra mano, catturiamo lei.
La osserviamo, ci pensiamo e, presi da una inconscia invidia, lo chiediamo: quand'è che arriverà il momento di uscire da questo bozzolo e iniziare a volare?
Quante farfalle ho lasciato andare con invidia perché, per quanto più piccole e fragili di me da un punto di vista universale, rappresentavano ciò che io volevo interiormente essere: libera.
Già, a volte sembra davvero non ci sia soluzione. La cosa assurda è che non hai neanche capito quale sia poi il problema.
Le serate passate chiuse in bagno ad osservare il sangue scorrere, a ripetersi "è l'ultima volta", sapendo di stare mentendo. Forse era questo il problema. Forse era quel vuoto assurdo con cui mi svegliavo ogni mattina e poi andavo a dormire la sera. Forse un padre violento. Forse i sensi di colpa. Forse un ragazzo che non ti vuole.
Io non ho ancora capito quale fosse effettivamente il problema. Ultimamente quello più ricorrente era sentire il cuore battere come se stesse per esplodere, e il respiro correre lentamente, per quanto sembri un controsenso, e il corpo tremare come se ci fosse un terremoto interiore e intanto pensare "non ce la faccio più".
Mi sono sempre chiesta se ci fosse qualcuno al mondo che si sentisse proprio come me. Insomma, c'è sempre qualcuno che sta peggio di noi, ma chissà se c'è qualcuno che si sente esattamente come noi: con le stesse emozioni, gli stessi atteggiamenti, gli stessi problemi. Qualcuno che riesca a leggerti dentro pur essendo tu un libro chiuso, semplicemente perché avete gli stessi pensieri, e magari li riproducete spontaneamente ogni giorno, alla stessa ora, nello stesso istante. Chissà se non si è poi soli in questa infinita battaglia interiore.
E oggi mi viene da pensarci, a due giorni fa. Stavo migliorando, vedevo tutto un po' più a colori; il tempo scorreva di nuovo come se avessi ancora un mondo tutto nuovo da scoprire e io avevo addirittura trovato un po' di amore da dare a me stessa. Le cicatrici sulla pelle erano sparite, e il desiderio di riprovare quel dolore non c'era neanche più. Ma all'improvviso, ecco che, una frase, quella frase, ha cambiato tutto. Mi ha scombussolato del tutto e ha provocato in me un altro terremoto. Ma questa volta era diverso, questa volta è stato così diverso.
Ero così convinta che quella sarebbe stata l'ultima sera che avrei passato in questo mondo, ero così convinta che finalmente avrei trovato un po' di pace. Ho scritto una lettera. Quante cose possono cambiare da un momento all'altro? Quanto potere può avere una frase su di noi?
Forse non volevo morire. Forse volevo solo una pausa, e se sarei morta, tanto meglio.
Osservavo con attenzione la vena che avrebbe dovuto rendermi felice. Ma qualcosa mi ha bloccato: il viso di mia madre, preoccupato e accogliente, che avevo visto venti minuti prima.
Continuavo a vedere nella mia testa la sua immagine, i suoi occhi, l'amore che prova per me.
"Che cos'hai?"
"Niente".
Ero così convinta, sapete. Così convinta che quella sarebbe stata la nostra ultima conversazione. Avevo progettato tutto nei minimi dettagli.
Sono uscita dal bagno, ho strappato la lettera, e proprio di fianco quella vena non è rimasto che un leggero segno bloccatosi un po' più a destra; un segno che rappresenta paure, emozioni che fino ad un momento prima sembravano totalmente assenti e pensieri, come "e se potessi peggiorare tutto?"
A volte sembra davvero non ci sia soluzione. Forse non c'è davvero. È da tanto che la cerco, è da tanto che mi sveglio ogni mattina cercando di capire perché ho questo fottuto mostro nella testa che mi comanda, se sono proprio io sbagliata. È da tanto che mi addormento la sera sperando di non svegliarmi mai più e ogni mattina al mio risveglio ho solo tanta rabbia verso il mio cuore che batte e che batte e continua a battere, senza che nessuno glielo abbia chiesto. Ma forse la soluzione non è farlo smettere.
Salve, sono un'adolescente di 16 anni e non so perché io sia qui a parlarvi del mio dolore, che forse non è che la punta di un immenso iceberg che mi porto dietro e dentro da quando sono più piccola. Forse dovrei raccontarvi della sensazione che provo quando parlo con una persona, che passa dal menefreghismo assoluto, all'ansia totale; che sfocia dalla socievolezza al massimo, all'ansia sociale; qualcosa che va oltre la voglia di fare conoscenze, e che allo stesso tempo va oltre la semplice timidezza: forse tracce di un disturbo d'ansia ormai passato, ma non svanito del tutto. Forse dovrei parlarvi dei momenti in cui tremo di terrore perché mi sento intrappolata in una gabbia interiore, e vedo le persone la fuori che hanno problemi più seri, e io per rispetto non dico che vorrei tanto fare a cambio con loro perché i problemi esteriori puoi risolverli ma un mostro nella testa non lo puoi cacciare, ma vorrei tanto farlo.
Forse dovrei parlarvi delle notti che ho passato a sfogare la rabbia sul mio corpo, ad ingozzarmi di cibo per sfogare il nervoso, a portare avanti un progetto mentale per dimagrire il mio viso perché ne ero fissata e di tutti i pomeriggi passati a piangere davanti lo specchio, ad avere il terrore del mio riflesso, perché nascondeva in realtà disagi interiori che riflettevo su di esso; forse dovrei parlarvi di tutte le volte in cui a scuola mi domandavano "perché sei così strana?" e ciò che più mi feriva non era la loro pura cattiveria, ma più che altro la totale sincerità che traspareva dai loro occhi; avrei tanto voluto raccontare di quella volta che, tornata a casa, dopo aver ascoltato fin troppo parole di ragazzini forse più giusti di me, mi sono sentita dire da un padre con rabbia repressa "finirai come quelle ragazzine che si suicidano e faresti bene".
Però non l'ho fatto, non l'ho raccontato, perché dentro di me ho sempre nutrito la speranza che si sarebbe risolto tutto, che il tempo avrebbe cambiato le cose, e oggi sono qui, nel mio inferno più totale, non per raccontarvi del giorno in cui ho tentato il suicidio, di quello in cui anche la piccola lucina che sembrava illuminare quella caverna oscura che sento battere al posto del cuore, si è spenta. Ma bensì del giorno in cui sono morta.
Forse è accaduto tante volte, in tanti piccoli momenti, in tante brevi giornate, ma è solo da una, che non ho ancora raccontato, che è iniziato tutto.
Non so se qualcuno avrà mai voglia di leggere fino a qui, ma grazie per l'ascolto, ne avevo bisogno.