Per chi non avesse letto il mio messaggio di presentazione, sono Francesco, ho 24 anni e vivo in Toscana.
Con i miei genitori, per l'esattezza.
Ho un fratello maggiore, ma da qualche anno si è trasferito stabilmente altrove per lavoro, e non lo vedo né sento mai. Il nostro rapporto è inesistente. Non che ci siano state forti incomprensioni. lui è un individuo estremamente calmo e paziente. Semplicemente - pur avendo caratteri completamente diversi - siamo entrambi molto chiusi, riservati, e a suo tempo non abbiamo mai coltivato un rapporto.
Per cui - col trascorrere degli anni e col reiterarsi di questa condizione di silenzio stampa - adesso ci risulterebbe del tutto insolito, imbarazzante e fuori luogo alzare la cornetta del telefono e farci una chiamata, fosse anche solo per sapere come stiamo e cosa stiamo facendo delle nostre vite.
Per quanto riguarda i miei genitori, invece, non credo di potermi lamentare. Mia madre mi ha dato e mi dà tutto l'affetto che una madre può dare, e lo stesso vale per mio padre. Solo che non c'è il benché minimo dialogo.
Quando siamo in casa, loro stanno nella loro stanza, io sto nella mia.
Fin dalla prima adolescenza ho avuto una sorta di dipendenza affettiva, di sindrome da abbandono, e la cosa mi è ancora imperscrutabile, visto che come ho specificato sopra, l'affetto da parte di mia madre non mi è mai mancato, anzi.
Ad ogni modo, dal tredicesimo anno d'età ho vissuto una vita sentimentale estremamente turbolenta.
Perdevo la testa per le ragazze che mi piacevano, e raggiungevo picchi di depressione indicibili. Erano vere e proprie ossessioni romantiche, contraddistinte da un attaccamento di tipo ansioso, impaurito. Quando mi infatuo mi rincoglionisco del tutto. Parallelamente, alle scuole superiori sono stato vittima di bullismo e la cosa mi ha segnato profondamente.
Sono sensibilissimo al giudizio, e ricordo il primo anno di superiori come un abisso di disperazione. Era un po' come vivere in uno di quei film d'essai in bianco e nero che danno la notte su Fuori Orario, insomma, una distopia.
Finisco le superiori e inizio a lavorare stagionalmente come cameriere.
A fine stagione faccio anche una breve esperienza lavorativa a Roma, ma me ne scappo subito a gambe levate, letteralmente paralizzato dalle mie ansie. Da allora non ho più consegnato un solo curriculum, ma per fortuna ho sempre continuato a fare quel lavoro stagionale con cui avevo iniziato. Rimane il problema che d'inverno, dalle mie parti, c'è ben poco da fare. Dunque mi iscrivo alla facoltà di Antropologia a Bologna, all'epoca mia grande passione. Anche stavolta, il progetto crolla agli albori e me ne torno a casa. Terza stagione lavorativa come cameriere. L'anno dopo ritento con Storia a Pisa, ma i risultati sono gli stessi: dopo qualche esame perdo la spinta iniziale e lascio tutto. Torno a lavorare a Roma, stavolta per ristrutturare un negozio e farci il commesso. Diciassette ore di lavoro al giorno, poi "solo" dodici, poi crollo e me ne torno a casa dopo due mesi. Sono di nuovo in Toscana. Ennesima stagione come cameriere, ancora nessun progetto di vita. Siamo finalmente a questo inverno, e non ho nessunissima intenzione di girovagare per l'Italia o per il mondo a caccia di altri lavoretti precari e sottopagati. Mi paralizza solo il pensiero. Ora sono inoccupato, e manca molto alla stagione.
Parallelamente, la mia vita sentimentale è tutto fuorché migliorata. Ho accumulato relazioni tossiche su relazioni tossiche, sempre a causa della mia carenza d'affetto e alla mia modalità d'attaccamento ansioso.
Non è tutto. Mi è sempre piaciuto far serata: bere tanto alcol, prendere grosse sbornie, divertirmi con gli amici. Ma due o tre anni fa, ormai in preda a rabbia e frustrazione, inizio a fare uso e poi abuso di cocaina e a frequentare assiduamente le discoteche del luogo. Provo anche crack ed eroina (solo sniffata), seppur sporadicamente. Sempre più spesso rientro a casa alle sette del mattino, completamente fatto, con notevoli episodi di rabbia, ansia e depressione. Puntualmente, quando d'estate arriva il picco del lavoro, il mix di relazioni tossiche, serate autodistruttive, stress e ansie (mettiamoci anche il caldo, và), mi porta puntualmente a quelli che potrei forse definire veri e propri esaurimenti nervosi.
L'inverno scorso, tornando da Roma, decido di prendere in mano la mia vita: dopotutto era ormai inequivocabile che non si trattava più dell'adolescenza, che ero alle prese con un problema di grosse dimensioni, e che dovevo fare qualcosa altrimenti sarebbe stata la mia fine. Compro un sassofono ed inizio a studiare musica, la più longeva delle mie passioni. Inizio ad andare da una psicologa.
Arrivano l'estate e il lavoro e, a causa della cocaina e di un'ennesima relazione tossica, arriva puntualmente un altro esaurimento nervoso. Il più grosso di tutti: dopo una lite furibonda con la ragazza di turno, mi faccio prescrivere dello Xanax e degli antidepressivi per stare tranquillo a lavoro. Solo che ne assumo più della dose prescritta. Molto di più: assumo dosi quasi mortali, in congiunzione ad alcol e cocaina. Dopo varie liti sul posto di lavoro a causa della mia evidente instabilità, smetto in tronco di prendere farmaci e - forse per l'astinenza improvvisa - per due giorni impazzisco. Ho un episodio di rabbia cieca che spaventa mia madre a tal punto di farla piangere e i successivi due giorni li passo in un delirio ossessivo-compulsivo durante il quale controllo e ricontrollo svariate volte cose inutili (ad esempio, apro e chiudo una porta per venti volte per accertarmi di averla veramente chiusa, mi lavo le mani dozzine di volte al giorno, e altre cose completamente folli). Stavolta credo di esserci rimasto veramente, quasi me la faccio sotto dalla paura al pensiero di rimanere per sempre così, ma per miracolo, dopo qualche giorno la crisi psicotica svanisce e improvvisamente cambio vita: niente più droghe, niente più alcol, vita sana e regolare, basta donne, e finalmente sperimento la Felicità. La Felicità, come mai prima di allora, in quei lunghi 24 anni di soccombenza esistenziale. Mi faccio pure dei tatuaggi a riguardo, così da non dimenticare mai quello che ero riuscito a fare: sconfiggere la depressione, e con essa tutte le mie ansie e le mie paure e la mia rabbia. Amavo la vita e amavo gli altri.
Ma non poteva durare a lungo: dopo qualche mese conosco una nuova ragazza, ancor più carismatica delle precedenti, e in men che non si dica mi stronca. Siamo punto e a capo. Piano piano ritornano a far capolino nella mia vita le serate alcoliche e uno sporadico uso di stupefacenti. Non più come prima, certo, ormai ho imparato la lezione.
Ma quella sorta di sindrome dell'abbandono, quell'attaccarsi alle persone, quel senso di solitudine e rabbia profonda, quell'incolmabile carenza d'affetto, sono di nuovo qui. O forse lo erano sempre state, e mi ero solo convinto di averle sconfitte.
Adesso è tornata la disoccupazione, l'inerzia, la pigrizia, e con esse è tornata la depressione. Non mi alzo quasi mai dal letto, ho reciso tutti i miei legami e provo un forte odio nei confronti di tutti coloro che non mi stanno vicino, e che a mio avviso invece dovrebbero farlo.
Ma sono lucido. Troppo lucido. E tanto triste. Devo risolvere tanti problemi, e devo risolverli alla radice. Non bastano due pasticche, o una temporanea scossa di positività. Devo dar forma alla mia vita, trovare la mia strada. Un processo lungo che riguarda per l'appunto il tipo di carriera lavorativa che voglio intraprendere, il migliorare me stesso dal punto di vista caratteriale e comportamentale e dunque il migliorare il mio modo di relazionarmi con gli altri. Raggiungere una stabilità, maturità e indipendenza emotiva, avere una sorta di "agency", ovvero essere in grado di vivere la mia vita e di perseguire i miei obiettivi indipendentemente dalla presenza o dall'assenza di persone che mi appoggiano. E come in tutte le questioni complesse, non esistono risposte facili.
Al momento non so cosa fare. Sono chiuso in casa e non ho né progetti né legami degni di nota. Sono restio a uscire e a perdermi in inutili chiacchiere e bevute al pub. Penso solo a che lavoro voglio fare e dunque che percorso di formazione intraprendere, ma sento di non essere in grado di fare niente.
Dunque eccomi qui, nella speranza di alternare le mie perpetue ruminazioni sul lavoro con qualche leggera chiacchierata virtuale.
Spero di non avervi impressionato: a dispetto del mio vissuto e del mio comportamento a volte impulsivo, sono tendenzialmente una persona estremamente calma, educata, e fin troppo accondiscendente.