Buonasera anime affini.
Vorrei parlare un pò della mia storia nella speranza che magari qualcuno con una situazione simile possa trovare conforto e non sentirsi solo, perchè noi sappiamo bene cosa significa l'insostenibile peso del sentirsi completamente soli al mondo (anche quando si è circondati da affetto).
Premetto che nella mia vita non ho avuto particolari traumi e probabilmente senza il peso di questa inspiegabile e incontrollabile tristezza potrei sentirmi una ragazza soddisfatta e felice.
Diciamo che la mia storia parte già dal momento del parto con un piccolo aneddoto: sebbene il tempo per mia mamma fosse scaduto io sono nata ben 14 giorni dopo e proprio perchè i dottori hanno insistito...già buon segno del fatto che io forse in questo mondo non avevo troppa voglia di starci.
Sono stata sempre una bambina tranquilla. Mai scapestrata, sempre ubbidiente e ligia alle regole. Mia mamma è sempre stata contenta del suo piccolo angioletto perfetto e se ne è sempre vantata. Mi ha sempre costretto a seguire una linea di comportamento, senza darmi la possibilità di esprimermi davvero soprattutto nell'aspetto. Senza parlare del carattere...con mia mamma non sono MAI riuscita ed essere me stessa. Grazie a questi interventi del tutto non richiesti nel plasmarsi una piccola "minime" ho sviluppato la mia nemesi, ovvero il mio perfezionismo patologico e chiaramente un bel disturbo d'ansia per non farci mancare nulla.
In terza media passai con Distinto invece che con Ottimo (e sti *bip* non ce li metti?!) mia mamma mi fece passare quella che ancora oggi a distanza di anni è stata la settimana più brutta della mia vita e che secondo il mio psicologo ha ufficialmente fatto nascere il mio perfezionismo patologico
Senza contare che io sono nata...particolare. Sono sempre stata eccessivamente triste, eccessivamente malinconica, eccessivamente sensibile ed eccessivamente insoddisfatta. Non reagivo bene alle situazioni negative, alle critiche, alle parole dette un pelino fuori posto. Qualsiasi cosa facessi o provassi a fare non mi dava soddisfazione, non mi rendeva felice.
Mia mamma ha sempre visto questo comportamento inaccettabile. Invece di sforzarsi nel capirmi ha sempre preferito darmi addosso, ripetermi di essere sbagliata, che sarei stata incapace di poter vivere così e che il mondo esterno mi avrebbe divorata. Che non potevo stare male per tutto. Non potevo essere così sensibile....così fragile, così debole.
I miei hanno sempre litigato incessantemente, non ho mai visto un gesto di affetto scambiato. Ho fatto presente che le liti mi turbavano e mi ponevano in stato d'ansia. Ma era comunque colpa mia per non riuscire a sopportare.
Arrivata ai 20 anni ho iniziato a collezionare più insuccessi che vittorie e una parte di me ha iniziato ad odiarsi. L'università non andava bene, il mio umore non andava bene, i conflitti con mia mamma crescevano, non provavo più gioia in niente. In più avevo scelto una sede lontanissima da casa mia che mi alienava da tutti i miei veri affetti. Ero sola in un vortice di negatività e malessere. Non mi alzavo quasi più dal letto, non uscivo per andare a lezione, non studiavo...non mangiavo. Non riuscivo più a vedere il mio futuro, per cosa combattevo? Per cosa resistevo? Cosa mi teneva ancorata alla vita?
Prima di andare concretamente fuori corso mollai e tornai a casa.
La situazione divenne ingestibile perchè ovviamente mia mamma invece di preoccuparsi della mia salute mentale preferì ricordarmi il fallimento che ero.
Iniziando a lavorare e facendomi forza ho conquistato il mio primo traguardo e dopo anni passati a sentirmi ripetere che il mio malessere fosse una mia invenzione per attirare l'attenzione finalmente qualcuno che ammette che ho un vero problema, esistente, concreto, debilitante.
Mi è stato diagnosticata la distimia l'anno scorso e molto probabilmente tra poco dovrò iniziare una cura farmacologica.
Tutto questo poema in realtà non è tanto per menarvi sulla mia vita e su quanto le persone sappiano essere incoscienti e senza un briciolo di empatia, ma piuttosto per ricordarvi (e ricordarmi) che siamo capaci di qualsiasi cosa. Noi non siamo mai la nostra malattia e non dobbiamo dargli l'opportunità di sopraffarci. Non viviamo al posto di nessuno e non siamo meno meritevoli di altri. Non siamo deboli perchè le cose che affrontiamo noi quotidianamente molti se le sognano e andiamo avanti comunque, resistiamo, perseveriamo. Soffriamo e comunque stringiamo i denti. Ci sentiamo distrutti, annientati, sopraffatti. Ci sentiamo soli, incompresi, giudicati, abbandonati. A volte persino traditi. Ci sentiamo insignificanti, senza valore, vuoti, inutili. A volte neppure degni di essere amati. Ci sentiamo un peso morto per le persone intorno a noi, una zavorra e a volte pensiamo che starebbero davvero meglio senza di noi.
Quando vi sembra che tutto sia davvero troppo non dimenticate chi siete e quanta strada avete fatto. Quante cose avete superato, quanti giorni neri avete affrontato. Troppi bocconi amari mandati giù per poter arrendersi proprio ora.
Non dimenticatevi quanto siete forti e che questo mondo non sarebbe lo stesso senza di voi.
Non siamo mai la nostra malattia