Cos'è l'ansia e cosa come riconoscere i disturbi d'ansia

Forum di aiuto su Paura e Ansia: Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), Disturbo d’ansia generalizzato (GAD), Disturbo da attacco di panico (DAP), Disturbo post-traumatico da stress, Disturbi del sonno, Fobie sociali o semplici (omofobia, agorafobia, etc).
Di qualunque tipo di ansia o paura si tratti, può essere superato!
L'insonnia è la conseguenza dell'ansia, delle tante peeoccupazioni che affollano la nostra mente, parliamone e buttiamole fuori dal nostro letto!

Cos'è l'ansia e cosa come riconoscere i disturbi d'ansia

Messaggioda Royalsapphire » 19/08/2014, 12:09



PSICOPATOLOGIA DELL’ANSIA

L’Ansia è il processo psichico attraverso il quale il soggetto reagisce a stimoli esterni di pericolo attivando risposte fisiche e psicologiche atte alla difesa della propria persona.
Questa attivazione predispone a due modalità comportamentali per fronteggiare il pericolo: Attacco e fuga.

C'è chi dice che può essere distinta in ansia di stato (stato di allerta momentaneo relativo ad uno stimolo) e di tratto (Caratteristica permanente della personalità).

L’ansia è un fenomeno complesso, universale, di non facile collocazione. Essa costituisce uno dei grandi temi e delle grandi problematiche del sapere umano, su cui si sono cimentate la filosofia, la psicologia, la medicina, l’an¬tropologia, la fisiologia, etc. Tale ampiezza negli interessi suscitati è di per sé indice della vastità, del¬la varietà di forme e della mutevolezza del fenomeno che, per l’incertezza dei suoi confini, sfugge a definizioni esaurienti. Esso infatti cambia a seconda del contesto culturale in cui si colloca e del metro su cui si confronta. La parola “ansia” oggi può pertanto trovarsi associata a concetti anche molto diversi fra loro come: angoscia, paura, apprensione, preoccupazione, tensione, agitazione, irrequietezza, eccitamento, depressione.
Una definizione molto diffusa di ansia è: “Paura senza oggetto”, in altre parole una reazione emotiva senza uno stimolo concreto ed individuabile, che spieghi la reazione emotiva stessa del soggetto. Risulta chiaro da questa definizione come il modo forse migliore che è stato trovato per definire l’ansia sia quello di partire proprio da uno di quei concetti che spesso vengono con essa confusi.
Schematicamente ogni fenomeno psicofisico si può estrinsecare attraver¬so tre aree, l’area della mente, quella del corpo e quella della condotta. L’ansia si manifesta secondo tutte e tre queste aree, assumendo rilievo tanto nel versante soggettivo, che in quello corporeo che in quello comportamentale.
Dal punto di vista soggettivo intrapsichico, l’ansia appartiene alla sfera delle emozioni, ed è avvertita come sensazione di attesa di qualcosa di in¬definito, ma comunque spiacevole, una sorta di incombenza minacciosa, un senso di insicurezza, una irrequietezza psichica non identificabile né definibi¬le con precisione. I limiti di questa sensazione sono incerti e gli strumenti del pensiero e del linguaggio sono avvertiti come non idonei ad abbracciare l’inte¬rezza del fenomeno. L’intensità di questa sensazione può variare da un lieve senso di irrequietezza spiacevole ad una precisa sensazione di morte immi¬nente.
Elementi costitutivi dell'ansia sono: a) la minaccia, il sentimento, cioè, di essere in procinto di affrontare o di subire qualche cosa di rischioso, di po¬tenzialmente pericoloso per il proprio sé; b) l'assenza di contenuto, per cui l'entità minacciante è ignota, non definibile; l'ansia è così avvertita come forma, come stato d'animo ingiustificato. Questo elemento ha dato origine alla definizione dell’ansia come "paura senza oggetto" sopra descritta; c) il futuro, nel senso che nell'ansia è implicita l’anticipazione, la proiezione nel domani, vi è un co¬stante riferimento a un qualcosa che potrà accadere; d) la spiacevolezza, per cui l’an¬sia è avvertita come qualcosa di penoso, la convivenza con questo stato è dif¬ficile e sgradevole, vi si associa una sorta di tensione dolorosa; e) l'eccitazio¬ne, l’avvertimento del proprio stato di allerta, della generale accelerazione dei propri processi psicofisici.
Da un punto di vista somatico, l’ansia è caratterizzata da un corteo di sintomi neurovegetativi tra cui oppressione toracica, palpitazioni, tremore, sensazioni di nodo alla gola, affan¬no, tensione muscolare, manifestazioni gastroenteriche (sensazione di pesantezza allo stomaco, crampi addominali, diarrea), sensazioni di sbandamento o di vertigine, eventuali formicolii agli arti, secchezza delle fauci, dila¬tazione pupillare, sudorazione, vampate di caldo o di freddo, ecc.
Per quanto riguarda il versante comportamentale, l’ansia induce modifi¬cazioni anche sensibili nella condotta e nel modo di essere: la facies dellan¬sioso è caratterizzata, anche visivamente, dalla tensione, per cui i lineamenti sono tirati, gli occhi sbarrati, con rarità dell’ammiccamento e possibile dila¬tazione pupillare. La gesticolazione dell’ansioso è generalmente esaltata, ca¬ratterizzata da movimenti continui quali il torcersi le mani, l’incapacità a sta¬re fermo, il passeggiare incessantemente, l’irrequietezza continua delle gambe. La voce può essere alterata, sia per l’elevazione del tono (voce stridula) che del volume, mentre il flusso di parole è di solito aumentato (logorrea). Il comportamento generale è caratterizzato dall’inde-cisione, dai continui ripensamenti, dagli scrupoli immotivati che si ripetono. L’incertezza assume toni di massimo rilievo, i ripensamenti sono continui, il soggetto necessita di continue rassicurazioni sulla correttezza delle sue scelte e delle sue azioni. Egli diventa anche impaziente, più irritabile che di consueto, più scrupoloso che di norma, ma anche più distratto.




Terminologia:
Allerta: Stato che accompagna l’attesa di un evento;
Paura: Emozione provocata da un pericolo imminente;
Angoscia Sensazione di impotenza, di allarme rispetto ad un pericolo, logorante e pervasiva;
Panico: Culmine dell'angoscia, stato di totale paralisi delle funzioni psicofisiche.
Ansia: Stato emotivo caratterizzato da presentimento di pericolo imminente, inquietudine, attesa in assenza di reale pericolo che può produrre risposte inadeguate.


ASPETTI ETIOLOGICI
_Paradigma Psicoanalitico: Considera l’ansia come un segnale di pericolo o minaccia, che può derivare da un conflitto inconscio che le difese dell’io non sono in grado di controllare.
_Paradigma comportamentale: L’ansia è considerata una risposta a stimoli ambientali.
_Paradigma neurobiologico: Ipotesi che nella patogenesi dei disturbi d’ansia siano coinvolti 3 neurotrasmettitori cerebrali:
Noradrenalina: Riceve afferenze sensoriali riguardanti le situazioni di pericolo e attiva le aree cerebrali adibite all'evitamento di queste.
GABA: Importante neurotrasmettitore del SNC sembra importante nella patofisiologia dell’ansia.
Serotonina: i cui neuroni proiettano fibre alla corteccia cerebrale al sistema limbico e all’ipotalamo. Negli animali la somministrazione provoca irrequietezza.

Occorre sottoli¬neare innanzitutto che l’ansia è un fenomeno del tutto fisiologico, di cui tutti facciamo esperienza, seppur in misura e con frequenza molto variabi¬le. L’ansia è una dimensione inevitabile del vivere umano, con cui è necessa¬rio confrontarsi quotidianamente. I livelli d’ansia esperiti sono funzione del tipo di personalità di ognuno di noi e degli eventi a cui andiamo incontro. La personalità, a sua volta, è verosimilmente influenzata dalle esperienze pre¬cedenti, dal modo con cui vi si è fatto fronte e da alcune di¬sposizioni innate.
L’ansia non è una peculiarità dell'essere umano, ma si ritrova anche negli animali: l’analo¬gia tra ansia umana ed ansia animale si basa sull’identità del¬le manifestazioni somatiche e comportamentali, non essendo valutabile il vissuto intrapsichico. Questo è il motivo per cui la parola an¬sia è messa tra virgolette quando ci si riferisce a questa in senso più ampio inclu¬dendo tanto lo specifico stato umano che quelle condizioni dell’animale che lo richiamano. Ciò che è osservabile nell’animale è che, in occasione di cambia¬menti bruschi, di esposizione a situazioni che possano minacciarne la stabili¬tà e/o la sopravvivenza, avvengono determinate rapide variazioni biologiche e comportamentali del tutto analoghe a quelle che si verificano nell’ansia umana.
Nell’animale, e specialmente negli animali superiori, è agevole notare come tutte le modificazioni biologiche (per es. aumento della vigilanza, mag¬giore utilizzazione delle risorse energetiche dell’organismo, accelerazione del battito cardiaco, vasocostrizione specifica di alcuni distretti, etc.) sono utili per un comportamento di attacco o di fuga (vedi Sindrome Generale di Adattamento). In altre parole, di fronte ad una minaccia, l’animale mette in atto una serie di modificazioni fisiche che sono funzionali alla risoluzione della situazione di minaccia, vuoi attraverso l’eliminazione diretta della fonte di pericolo (l’attacco), vuoi attraverso l’allonta-namento dalla minaccia (la fuga). Secondo questa ottica sembra quindi corretta l’interpretazione dell’”ansia” come di un qualcosa che facilita la sopravvivenza dell’animale in ambienti ostili, e quindi come una primordiale reazione utile all’adattamen¬to. Dal momento che tali reazioni avvengono anche in animali primitivi da un punto di vista filogenetico, è logico ipotizzare che l’”ansia” rappresenti un se¬gnale molto arcaico di risposta alla minaccia, minaccia che non necessaria¬mente deve essere riconosciuta attraverso sistemi cognitivi di elevata com¬plessità. Esisterebbero cioè delle possibilità di riconoscimento immediato del pericolo che non necessitano di una organizzazione troppo strutturata del si¬stema nervoso centrale. Tale posizione non può prescindere dalla cosiddetta “teoria dei tre cervelli”.
Secondo tale teoria, l'organizzazione del cervello umano risulta dall’integrazione di tre tap-pe evolutivamente successive:
- le strutture troncoencefaliche, già ben svilup¬pate nei rettili (“cervello del serpente”), presiedono ai comportamenti istinti¬vi, quali l’accoppiamento, il soddisfacimento della fame e della sete, la terri¬torialità e, per quel che ci interessa più da vicino, l’aggressione e la fuga, che possono essere considerati il primo gradino dell’”ansia”.
- Lo sviluppo, nei primi mammiferi, del sistema limbico apporta, oltre ad un aumento notevole della capacità di memoria, la capacità di controllare in parte le rea¬zioni istintuali: queste divengono meno automatiche e risentono di una mag¬giore varietà di stimoli, venendo modellate anche dal ricordo di situazioni precedenti, dalle interrelazioni con il gruppo, etc. E’ verosimile che già a que¬sto stadio le manifestazioni istintuali siano accompagnate da una sorta di ”esperienza emotiva”. E’ importante tenere presente che il sistema limbico va visto come la ap¬posizione di una nuova struttura che si integra con la precedente, aggiungen¬do complessità all’insieme, ma senza sostituirla nelle sue funzioni specifiche. In altre parole, lo sviluppo delle nuove strutture permette da una parte l’effettuazione di operazioni più complesse, dall’altra la modulazione delle funzioni delle strutture preesistenti.
- Lo stesso procedimento vale per la terza tappa della filogenesi cerebrale, lo sviluppo della neocortex (solo nei primati). Questa consente un incremento delle capacità associative e di previsione (e quindi del ”pensiero”), ponendosi nel contempo come ultimo più elevato livello gerarchico di integrazione delle strutture sottostanti. Que¬sta crescente complessità organizzativa fa sì che le strutture evolutivamente inferiori, originariamente devolute a funzioni più semplici, interagiscano con le strutture superiori, subendone in parte il controllo attraverso afferenze dall’alto, e in parte modulandone il funzionamento mediante afferenze dal basso. In altre parole, le funzioni inferiori non vengono cancellate o sostituite, bensì integrate, conservando quindi buona parte della loro funzionalità.
L’ansia rappresente¬rebbe quindi una reazione primordiale di fronte al pericolo, mentre i suoi aspetti più peculiarmente psicologici, di avvertimento psichico, sarebbero successivi. Questo spiegherebbe la difficoltà, se non l’impossibilità, che ab¬biamo di padroneggiare e descrivere l’ansia secondo gli strumenti del pensie¬ro e del linguaggio. Questa interpretazione rivaluta anche la posizione tenuta all’inizio del secolo da James e Lange, secondo i quali gli aspetti psicologici coscienti delle emozioni sono successivi e secondari alle modificazioni corpo-ree indotte da queste. In altre parole, il versante fisico dell’emozione verrebbe prima, mentre l’elemento cosciente non sarebbe altro che la percezione “a po¬steriori” dei cambiamenti somatici dell’emozione. Per tornare più specifica¬mente all’ansia, si può osservare come sia impossibile descrive¬re questa emozione se non facendo ricorso alla descrizione delle sensazioni fi¬siche associate.
Il considerare la posizione evolutiva consente di chiarire la distin¬zione tra l’ansia animale e l’ansia umana, fenomeni che sono uguali e diver¬si nello stesso tempo. Essi sono simili in quanto traggono origine dallo stesso tipo di stimolo (la minaccia) e sono elaborati in prima istanza da analoghe strutture cerebrali (i sistemi limbici e troncoencefalici). Sono però dissimili perché la complessità delle strutture che vengono coinvolte nel fenomeno è tale, nell’uomo, da crearne un fenomeno del tutto nuovo. Nell’uomo i sistemi cerebrali inferiori si rapportano con la corteccia, per cui elementi di associa¬zione, di previsione, di introspezione, rendono tali fenomeni emotivi peculiari dell’essere umano. Così, “accanto alle esperienze at¬tuali, reali ed esterne di pericolo (come negli animali), risulta peculiare dell’esperienza umana un nuovo tipo di pericolo: non-presente (futuro), non-reale (fantasmatico), non-esterno (intrapsichico); di fronte a tale “nuova” si¬tuazione l’uomo si trova a disporre di un equipaggiamento espressivo che è invece vecchio (i pattern paleoencefalici delle risposte emotivo-vegetative).
Abbiamo visto che l’”ansia” è nell'animale un fenomeno fondamental¬mente adattativo, dotato di un alto valore di sopravvivenza. Ci si può ora chiedere se tale funzionalità venga conservata anche nell’uomo. Ali Ibn Hazm, filosofo scolastico arabo del X secolo D.C., sostiene che “nessuno si risolverebbe a fare una sola azione o a pronunciare una sola parola se non spe-rasse con questo di risolvere l’ansia dal suo spirito”. Il valore dell’ansia come spinta, come motivazione all’azione è stato quindi sempre tenuto presente.
Entro determinati confini quindi l'ansia è utile, adattativa anche nell’uomo.
Questo concetto assume valore cardine nella distinzione tra ansia normale e an¬sia patologica: si può convenire che l’ansia cessa di essere fisiologica allorché perde quel suo ancestrale valore di utilità per la sopravvivenza, quando cioè essa non è più adattativa, ma anzi diviene negativa per l’individuo.
Questa condizione di ansia patologica si può avere fondamentalmente in due casi:

a) quando essa è eccessiva, tanto da influenzare negativamente la pre¬stazione;
b) quando non è richiesta alcuna prestazione, per cui l’ansia si palesa co¬me spiacevolezza inutile, gratuita e come antieconomi¬co impegno di energie (non ci si dimentichi che l’ansia mobilita, “spreme” tutte le energie disponibili in previsione di un comportamento di attività).
Quest’ultima evenienza è strettamente legata alla capacità di previsione: si intuisce quindi come l’enorme aumento delle capacità di previsione che si verifica nell’uomo, legato verosimilmente allo sviluppo delle porzioni ante¬riori della corteccia cerebrale, modifichi radicalmente il significato dell’ansia. In questo senso, se la possibilità di previsione arreca un indubitabile vantag¬gio ai fini dell’adattamento alle situazioni, essa porta con sé anche l’anticipazione del pericolo. La minaccia futura viene così vissuta nell’oggi: non il pericolo reale, bensì l’elaborazione intrapsichica diviene allora la fonte delle modificazioni emotive. Queste seguono però la strada tracciata dai millenni dell’evoluzione, mobilitando strutture e funzioni non più idonee a gestire la nuova evenienza. L’uomo si trova ad affrontare situazioni ansiogene nuove con il vecchio bagaglio biologico della sua filogenesi. Si comprende così co¬me l’ansia sia nello stesso tempo un fenomeno vecchio e nuovo, per certi versi il residuo di meccanismi adattativi che hanno perso la loro funzionalità. In questo senso si giustifica la definizione dell’ansia come privilegio e allo stesso tempo maledizione del genere umano.


ASPETTI BIOLOGICI
Da un punto di vista biologico questi concetti trovano espressione in strutture neuroatomiche ben precise:
1. Via breve talamo-amigdala -> che determina la risposta rapida automatica.
2. Via lunga talamo-corteccia-amigdala -> che conferisce la capacità del riconoscimento dello stimolo e pertanto consente la risposta istintiva al ripresentarsi di un medesimo stimolo.
3. Porzione mediale della corteccia frontale -> che esercita un controllo attivo sull’amigdala di tipo inibitorio.


MANIFESTAZIONI CLINICHE
Gli stati d’ansia possono essere di intensità variabile, da un lieve senso di irrequietezza e di indefinito malessere generale, a forme acutissime di grave panico. Nelle forme più lievi il soggetto si sente a disagio, inquieto, irritabile ed avverte un senso di tensione che non riesce a giu¬stificare. Egli può provare particolari sensazioni di irrealtà e di cambiamen¬to, di breve durata, che in genere vengono impropriamente descritte come sbandamenti o vertigini. Spesso l’ansioso non riesce a dormire bene, o per la difficoltà a prendere sonno, o perché turbato da sonni agitati e con frequenti risvegli. A tale condizione spesso si associano alcuni dei sintomi neurovegetativi (sopra descritti) tipici degli stati ansiosi. L’attacco di panico rappresenta invece la forma più severa. Consiste in una crisi d’ansia ad esordio im¬provviso di intensità elevatissima, caratterizzata da agitazione interiore, paura di mo¬rire, di perdere il controllo o di impazzire, con un corredo sintomatologico di tipo neurovegetativo più rappresentato per intensità e numero di sintomi.


TERMINOLOGIA
Paura: nella paura l’oggetto minaccioso è esterno e reale, identificabile. Lo sta¬to d’animo che ne deriva è interamente attribuibile alla entità della minaccia esterna. Nell’ansia non vi è invece consapevolezza e riconoscimento della en¬tità minacciante. Si prova quindi paura dinanzi ad una situazione di pericolo reale (“paura di”), mentre l’ansia non può essere “ansia di”, ma semplicemen¬te “ansia”, senza oggetto. In realtà la maggior parte delle situazioni sono intermedie tra ansia e paura, nel senso che una situazione reale di minaccia scatena fantasie interne che trascendono la realtà del pericolo. Per esempio, uno studente prima di un esame prova uno stato d’animo sicuramente scate¬nato dalla situazione reale dell’esame, ma che eccede per intensità la realtà ef¬fettiva del rischio connesso alla prova. Lo studente stesso, per tranquillizzar¬si, cerca di chiarirsi l’entità reale del rischio (”al massimo mi boccia”), ma questo procedimento vale ben poco ad alleviare il suo stato di tensione, a ri¬prova che la evenienza dell’esame costituisce uno stimolo per riverberare fan¬tasie più profonde.

Angoscia: questo termine deriva etimologicamente dalla radice indiana antica “angh" (stringere) ed è generalmente usata in psicopatologia per indicare una maggiore compartecipazione del versante somatico ed in particolar modo i sintomi di oppressione e di costrizione toracica. Nel linguaggio comune, tut¬tavia, ci si riferisce ad angoscia con significati non sempre analoghi: per alcu¬ni l’angoscia è effettivamente “un senso di peso al petto e alla bocca dello sto¬maco”, per altri questo termine indica semplicemente una situazione di ansia più grave, per altri ancora il termine denota un’ansia provvista di una mag¬gior componente depressiva, un qualcosa di più cupo e spiacevole.
Nonostante che non tutti concordino con questa posizione, noi prefe¬riamo usare i termini ansia e angoscia come sinonimi, anche per evitare le dif¬ficoltà che il mantenimento di una qualche distinzione porterebbe nella tra¬duzione dei termini stranieri. Considereremo inoltre la triade paura-ansia-angoscia come un fenomeno di matrice unica, seppur secondo una polarità che vede ad un estremo la paura e all’altro l’ansia-angoscia.

Panico: è la forma più acuta, più intensa e più nettamente delimitabile tempo¬ralmente dell’ansia. Esso ha la caratteristica della crisi acuta, nel senso di una in¬sorgenza rapida ed improvvisa e di una netta differenziazione rispetto alla condizione abituale del soggetto.

Tensione: questo termine comporta la sensazione soggettiva sgradevole che si può provare prima di situazioni non evitabili, spiacevoli, ma non grave¬mente rischiose (per esempio prima di un impegno particolarmente gravoso, ma non vissuto come portatore di minacce particolari). Si distingue dall’ansia e dalla paura per la presenza di minore eccitazione e l’assenza dei vissuti intrapsichici e dei sintomi neurovegetativi sopra descritti.

Eccitazione: l’eccitazione esprime il momento di iperattività di molte funzioni fisio¬logiche e vegetative che accompagna molte emozioni. Non è pertanto uno stato specifico dell’ansia, potendosi ritrovare in forma analoga in altre condi¬zioni emotive (per es. l’ira). I neurofisiologi hanno coniato il termine di "arousal", che esprime in maniera più precisa il concetto. In sintesi per ecci¬tazione si intende quel complesso di esaltazione funzionale di molte attività dell’organismo che sono avvertite come irrequietezza, tensione, stato di allerta, tremore, etc. Quasi tutti gli aspetti somatici e comportamentali dell’ansia sono riferibili all’eccitazione: l’ansia comprende cioè l’eccitazione, mentre non è vero l’inverso: per esempio l’eccitazione non ha necessariamente la spiacevolezza che di norma accompagna l’ansia. Si ha eccitazione, per esem-pio prima di una situazione attesa e piacevole, basti pensare ad un bambino alla vigilia di Natale.

Ansia-tratto e ansia-stato: la distinzione tra ansia-tratto e ansia-stato è di primaria importanza al fine della comprensione dei fenomeni clinici di questa emozione. L’ansia in¬fatti può manifestarsi sia come un aspetto duraturo e stabile di personalità che come un sintomo acuto, limitato nel tempo, e relativamente indipenden¬te rispetto al modo di essere abituale del soggetto che ne è colpito.
Nel primo caso si parla di “ansia-tratto"”, indicando con questa terminologia una generi-ca e duratura tendenza all’ansia, un elemento costitutivo del carattere di una data persona per cui questa è soggetta a provare ansia con più facilità rispet¬to a un’altra. L'ansia-tratto è una peculiare disposizione personologica, un modo di essere e di reagire proprio di quegli individui la cui personalità è ge¬neralmente descritta con aggettivi tipo “apprensivo”, “iperemotivo”, “insicu¬ro”, ecc.
Ansia-stato si riferisce invece ad un evento puntuale, al cogliere una determinata condizione ansiosa “qui e ora”, indipendentemente dal com¬portamento abituale dell’individuo. Questo termine si avvicina maggiormen¬te al concetto di ansia come sintomo, piuttosto che di tratto di personalità; si tratta di uno stato momentaneo, non necessariamente legato alla condizione abituale del soggetto.

Ansia libera ed ansia situazionale: si parla di ansia situazionale quando questa è scatenata da oggetti o situazioni specifiche, come nel caso delle fobie: qui il soggetto è colto da sintomi ansiosi in occasione dell'esposizione a situazioni specifiche. L'ansia libera è invece quella che si manifesta indipendentemente da situazioni specifiche.


INQUADRAMENTO DEI DISTURBI D’ANSIA
Per quanto riguarda insorgenza e durata della sintomatologia ansiosa si distinguono:
- Ansia Acuta: è la crisi d’ansia (panico), ha insorgenza improvvisa, intensità elevata, breve durata
- Ansia Cronica: stato duraturo di attesa apprensiva, eccessiva, irrealistica, con preoccupazioni relative a svariate circostanze e anticipazione pessimistica di eventi negativi

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I Disturbi d’Ansia sono attualmente suddivisi da un punto di vista nosografico in:

- Disturbo di Panico
- Fobia Sociale
- Disturbo d’Ansia Generalizzato
- Disturbo da Stress Post-Traumatico
- Fobie Semplici o Specifiche
- Disturbo Ossessivo-Compulsivo


Più specificatamente in:

1_Disturbi di panico (DAP)
2_Disturbi fobici (divisi in fobia specifica e fobia sociale)
3_Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC)
4_Disturbo post-traumatico da stress
5_Disturbo acuto da stress
6_Disturbo d’ansia generalizzato (GAD)
7_Disturbo d’ansia dovuto a una condizione medica generale
8_Disturbo d’ansia indotta da sostanze
9_Disturbo d’ansia non altrimenti specificato



DISTURBO DI PANICO

Secondo il DSM IV è caratterizzato dalla presenza di attacchi di panico ricorrenti, intervallati da almeno un mese in cui l’individuo resta preoccupato per una ricomparsa e delle conseguenze sulla propria salute.
E' definito come un periodo di intensa paura o sofferenza accompagnato da sintomi somatici e cognitivi, ha un inizio improvviso e una durata di circa 10 minuti.
I pazienti accusano sensazione di pericolo imminente, catastrofe, paura di morire o
impazzire.
E' un sintomo ubiquitario, che può comparire in più disturbi d’ansia.

In base alla presenza o meno di un evento scatenante gli attacchi di panico si dividono in:
_Inaspettati o spontanei: Non ci sono (apparentemente) eventi scatenanti.
_Causati dalla situazione: Conseguenza o anticipazione di un evento scatenante.
_Sensibili alla situazione: In presenza di un evento scatenante ma non invariabilmente associati a questo.

Il disturbo di panico ha 2 varianti: può essere con o senza agorafobia (paura di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile sottrarsi o trovare aiuto come strade, posti affollati, spazi chiusi).
Insorge variabilmente tra i 20 e i 40 anni, con picchi a 20 e 35 anni, e può avere un decorso cronico.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE:
Fobia sociale e specifica, in cui l’ansia compare in situazioni sociali specifiche;
Disturbo ossessivo-compulsivo, in cui oltre all’ansia sono presenti rituali e compulsioni;
Disturbo post-traumatico da stress, in cui l’ansia è associata a un trauma;
Depressione maggiore il cui disturbo fisico è cronico;
Disturbo d’ansia generalizzata, in cui è assente l’ansia anticipatoria;
Disturbo d'ansia da condizione medica generale;
Disturbo d'ansia indotto da sostanze stimolanti il sistema nervoso centrale.


Teorie in proposito

La psicoanalisi considera l’ansia come un segnale di pericolo o di minaccia che insorge da un conflitto inconscio che sfugge alle difese dell’Io.
Freud e Bowlby lo collegavano a esperienze affettive precoci.
Per Bowlby deriva da un inadeguato rapporto di contenimento da parte della madre che crea una ferita narcisistica insanabile che renderebbe il soggetto eccessivamente dipendente, insicuro , ansioso e incapace di rielaborare le separazioni. Da questo sentimenti di colpa o rabbia inaccettabili, la cui repressione genera ansia della quale, essendo determinata da meccanismi inconsci, non si
riesce a rintracciare l’origine. La problematica principale pare essere legata alla caduta dell’ideale dell’Io nel momento in cui il soggetto a causa del disturbo non riesce a mantenere adeguati livelli relazionali, sociali e lavorativi.


DISTURBI FOBICI

Fobia sta per timore eccessivo e immotivato di situazioni, oggetti o attività che comportano sintomi ansiosi o condotte di evitamento dello stimolo fobico.
Secondo il DSM IV, troviamo due gruppi di disturbi: FOBIA SPECIFICA e FOBIA SOCIALE.

FOBIA SPECIFICA:
E' una fobia legata ad un particolare stimolo la cui semplice rievocazione può indurre ansia, che induce condotte di evitamento che possono diventare molto invalidanti. Può essere:
Di animali: Molto comune nell’infanzia, e nelle donne in genere legata ad un evento
traumatico.
Del sangue: Fenomeno abbastanza comune, può diventare un disturbo e ha un alto livello di familiarità. A differenza delle altre fobie può portare a tachicardia, ipotensione e perdita coscienza.
Di agenti atmosferici: Tali da indurre a comportamenti evitanti invalidanti.
Dell’altezza: Insorge nell’adolescenza provoca vertigini e sensazione di instabilità.
In genere il decorso è cronico, anche se fobie del sangue e fobie atmosferiche possono andare incontro a remissione. La remissione è completamente assente nella fobia di animali.

DIAGOSI DIFFERENZIALE
- Disturbo di panico con agorafobia;
- Fobia sociale;
- Bulimia/anoressia nervosa.


FOBIA SOCIALE
E' un disturbo contraddistinto dalla paura e dall’evitamento di situazioni in cui si è esposti al giudizio altrui per il timore di apparire imbarazzato, ridicolo goffo.
Può assumere un decorso cronico ed ha un età di insorgenza tra i 15 e i 20 anni età in cui si inizia ad avere rapporti soggettivi.

I sintomi sono divisi in:
_Sintomi Fisiologici: Simili a quelli di crisi ansiosa: tachicardia, sudorazione, dispnea
irrequietezza psicomotoria nausea, vertigini etc.
_Sintomi comportamentali: condotte di evitamento che portano all’isolamento;
_Sintomi soggettivi (cognitivi ed emozionali) vergogna impotenza paura rabbia, e pensieri disfunzionali sul proprio stato.

Diagnosi differenziale con disturbo di panico con agorafobie, ansia da separazione, di personalità schizoide.


EZIOPATOGENESI
_Ipotesi biologica: Familiarità
_Cause psicodinamiche: Secondo Freud l’origine è da rintracciare nella ricomparsa di conflitti irrisolti della fase edipica che innescherebbero una forte tensione repressa con i meccanismi di rimozione-proiezione per cui gli impulsi aggressivi vengono proiettati su un oggetto esterno che diventa persecutore.
_Comportamentismo: Fobie determinate da condizionamento per cui il soggetto esposto ad uno stimolo pericoloso in concomitanza ad uno neutro li associa in modo da riproporre condotte di evitamento anche in presenza del solo stimolo neutro. Se ad esempio il soggetto è rimasto traumatizzato dalla morte di un suo caro (specie se l’ha visto morire da bambino), e durante la sua morte c’era il televisore acceso con il film di Roger Rabbit, probabilmente fuggirà questo film ogni volta che gli capiterà di beccarlo in televisione.


DOC (DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO)

Caratterizzato dalla presenza di ossessioni (idee, pensieri, impulsi intrusivi che causano ansia e angoscia) o compulsioni (pensieri e comportamenti ripetitivi per ridurre l’ansia) che il soggetto vive come assurdi ma dai quali non riesce a sottrarsi. Possono essere a insorgenza improvvisa o graduale.

La caratteristica del DOC quindi è la presenza di ossessioni e compulsioni ricorrenti impegnative tali da impegnare l'individuo per molto tempo generando una marcata angoscia e diventando socialmente invalidanti.

Le ossessioni più comuni riguardano temi di contaminazione, dubbio, controllo, impulsi aggressivi che l'individuo cerca di neutralizzare con pensieri e azioni (lavarsi, controllare il gas, ecc).

Le compulsioni più comuni coinvolgono il lavare, pulire, contare, controllare, richiedere o domandare rassicurazione.

In alcuni casi i soggetti riconoscono l’irragionevolezza di questi comportamenti tentando di resistervi, in altri (bambini) è più difficile e i comportamenti possono essere integrati nella routine quotidiana (idiosincratici).
I DOC possono essere associati a Depressione, disturbi d’ansia, d’alimentazione e a disturbo di personalità ossessiva-compulsiva.

Equamente distribuito tra i sessi (25-40 anni). A decorso cronico può andare incontro a complicanze quali demoralizzazione e depressione secondaria e concomitare con disturbi quali cleptomania, tricotillomania, onicofagia.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Disturbo d’ansia dovuto a condizione medica.
Disturbo d’ansia indotto da sostanze: sintomi secondari all’abuso.
Episodio depressivo maggiore: compulsioni e ossessioni congruenti con lo stato affettivo.
Ipocondria: Pensieri solo sullo stato di salute.
Tic (si dice sia anche un indizio predittivo).
Disturbo di personalità ossessivo-compulsiva in cui non sono presenti ossessioni o
compulsioni.
Secondo Freud i sintomi ossessivi compulsivi sono risposte difensive a pulsioni sessuali o aggressive inaccettabili. Il soggetto a seguito di conflitti edipici regredirebbe dalla fase fallica a quella anale (controllo). Questo processo è facilitato dalla fissazione alla fase anale, fissazione che ha impedito il passaggio allo stadio successivo. I meccanismi di difesa messi in atto sarebbero: Formazione reattiva, isolamento e annullamento.
Oggi però la visione di Freud sull’eziopatogenesi del disturbo ossessivo compulsivo è stata superata! Ci sono correnti discordanti secondo cui non si pensa che le cause siano legate a pulsioni sessuali e alla fissazione per la fase anale.


DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS (PTSD)

E' un insieme di sintomi che il soggetto sviluppa in seguito ad un “evento straordinario” vissuto come estremamente traumatico a cui il soggetto reagisce con paura, impotenza cercando di non ricordare.
Non esisterebbe predisposizione genetica, ciò indicherebbe che la causa sia rintracciabile nel solo evento straordinario.
Il PTSD unisce sintomi ansiosi a sintomi dissociativi che possono essere complicati da
depressione e abuso di farmaci.

3 gruppi sintomatologici:
_Stress legati al ripresentarsi del vissuto traumatico: Ricordi angoscianti, incubi, fantasie ad occhi aperti, derealizzazione e depersonalizzazione.
_Stress legati alla difesa dal ritorno delle emozioni traumatiche: Il soggetto cerca di
allontanare il ricordo del trauma (casi di amnesie psicogene) e le situazioni collegate ad esso sviluppando una componente fobica e comportamenti di evitamento.
_Iperattivazione del Sistema Nervoso Autonomo: Sintomi legati allo stato di allarme ansiosa insonnia, irritabilità, reazioni difensive eccessive scarsamente controllate.

Tali sintomi devono avere la durata di almeno 1 mese in quanto tali possono essere presenti in tutti i soggetti in seguito ad un evento traumatico.
A questi sintomi possono accompagnarsi sintomi depressivi (sentimenti di colpa o umiliazione per essere sopravvissuti) e complicanze quali abuso di alcool e sostanze.

Il Disturbo è considerato acuto se dura meno di sei mesi o cronico se più di 6.
Esiste un certo grado di remissione ma la maggior parte continua ad avere alcuni sintomi del disturbo cronici.

Diagnosi differenziale con il disturbo dell’adattamento di cui l’episodio scatenante è meno grave.


DISTURBO ACUTO (cioè passeggero) DA STRESS

Disturbo d’ansia caratterizzato da almeno 2 giorni di sintomi d’ansia o dissociativi che insorgono e si risolvono entro 1 mese dall’esposizione ad un evento stressante.
In concomitanza con l’evento, il soggetto presenta distacco affettivo o assenza di risposte emozionali in genere, una riduzione della capacità critica e depersonalizzazione o amnesia dissociativa per almeno 6 mesi, sintomi tali da condizionare la vita del paziente.


DISTURBO D’ANSIA DOVUTO AD UNA CONDIZIONE MEDICA GENERALE.

Sintomi ansiosi secondari ad una malattia organica, in particolare malattie
endocrine, cardiovascolari, respiratorie metaboliche e neurologiche.

Diagnosi differenziale col disturbo d ansia per abuso di sostanze, col disturbo d’ansia primario e col disturbo d’adattamento con ansia e depressione.

DISTURBO D’ANSIA INDOTTO DA SOSTANZE
Sintomi ansiosi invalidanti dovuti all’abuso o all’astinenza da sostanze quali alcool anfetamine, cocaina, allucinogeni, caffeina farmaci, anestetici etc.
Nella diagnosi va individuata e specificata la sostanza responsabile.

DISTURBO D’ANSIA NON ALTRIMENTI SPECIFICATO
Quando l’ansia non è collegabile a nessuno degli altri disturbi d’ansia.


DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATO

Caratterizzato dalla presenza di ansia eccessiva legata ad eventi e attività quotidiane per un periodo di almeno 6 mesi. Diagnosi possibile solo in assenza di disturbi che implicano stati d’ansia.
Questo è un disturbo abbastanza comune (ne soffre circa il 5% della popolazione con leggera prevalenza nei maschi).
In genere insorge intorno ai 30 anni e tende a cronicizzare.
Diagnosi differenziale con altri disturbi d’ansia e abuso sostanze e farmaci.

Il Disturbo d’Ansia Generalizzato include il Disturbo Iperansioso dell’Infanzia, secondo il DSM

Caratteristiche diagnostiche

La caratteristica essenziale del Disturbo d’Ansia Generalizzato è la presenza di ansia e preoccupazione (attesa apprensiva) eccessive, che si manifestano per la maggior parte del tempo per almeno 6 mesi, nei riguardi di una quantità di eventi o attività (Criterio A). L’individuo ha difficoltà a controllare la preoccupazione (Criterio B). L’ansia e la preoccupazione sono accompagnate da almeno tre sintomi addizionali da un elenco che include irrequietezza, facile affaticabilità, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare e sonno disturbato (nei bambini è richiesto un solo sintomo addizionale) (Criterio C). L’oggetto dell’ansia e della preoccupazione non è limitato alle manifestazioni di un altro disturbo in Asse I, come avere un Attacco di Panico (come nel Disturbo di Panico, Senza Agorafobia e Con Agorafobia), rimanere imbarazzati in pubblico (come nella Fobia Sociale), essere contaminati (come nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo), essere lontani da casa o dai familiari più stretti (come nel Disturbo d’Ansia di Separazione), aumentare di peso (come nell’Anoressia Nervosa), lamentele fisiche multiple (come nel Disturbo di Somatizzazione) o avere una grave malattia (come nell’Ipocondria), e l’ansia e la preoccupazione non si manifestano esclusivamente durante il Disturbo Post-traumatico da Stress (Criterio D). Sebbene non sempre gli individui con Disturbo d’Ansia Generalizzato possano riconoscere le preoccupazioni come “eccessive”, essi riferiscono un disagio soggettivo dovuto alla preoccupazione costante, hanno difficoltà a controllare la preoccupazione o presentano una conseguente compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti (Criterio E). Il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (cioè una droga di abuso, un farmaco, o l’esposizione ad una tossina) o di una condizione medica generale e non si manifesta esclusivamente durante un Disturbo dell’Umore, un Disturbo Psicotico o un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (Criterio F).

L’intensità, la durata o la frequenza dell’ansia e della preoccupazione sono eccessive rispetto alla reale probabilità o impatto dell’evento temuto. La persona trova difficile impedire che i pensieri preoccupanti interferiscano con l’attenzione ai compiti che sta svolgendo e difficoltà ad interrompere la preoccupazione. Gli adulti con Disturbo d’Ansia Generalizzato spesso si preoccupano per circostanze quotidiane, abitudinarie, come responsabilità lavorative, problemi economici, salute dei familiari, disgrazie per i propri figli o piccole cose (come faccende domestiche, riparazioni all’automobile, far tardi agli appuntamenti). I bambini con Disturbo d’Ansia Generalizzato tendono a preoccuparsi eccessivamente per le proprie capacità o per la qualità delle proprie prestazioni. Durante il corso del disturbo, il centro della preoccupazione può spostarsi da un oggetto ad un altro.


Manifestazioni e disturbi associati

Insieme alla tensione muscolare possono essere presenti tremori, contratture, scosse e dolenzia o dolorabilità muscolari. Molti individui con Disturbo d’Ansia Generalizzato presentano anche sintomi somatici (per es., freddo; mani appiccicose; bocca asciutta; sudorazione; nausea o diarrea; pollachiuria; difficoltà a deglutire o “nodo alla gola”) e risposte di allarme esagerate. Nel Disturbo da Ansia Generalizzato i sintomi di iperarousal vegetativo (ad es., aumentato ritmo cardiaco, dispnea e vertigini) sono meno preminenti che in altri Disturbi di Ansia, quali il Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e Con Agorafobia) ed il Disturbo Post-traumatico da Stress. Sono comuni anche sintomi depressivi.

Il Disturbo d’Ansia Generalizzato è di frequente concomitante a Disturbi dell’Umore (per es., Disturbo Depressivo Maggiore, Episodio Singolo e Ricorrente o Disturbo Distimico), ad altri Disturbi d’Ansia (per es., Disturbo di Panico, Fobia Sociale, Fobia Specifica) e a Disturbi Correlati a Sostanze (per es., Dipendenza o Abuso di Alcool o di Dipendenza o Abuso di Sedativi, Ipnotici o Ansiolitici). Altre condizioni che possono essere collegate a stress (per es., sindrome del colon irritabile, mal di testa) accompagnano frequentemente il Disturbo d’Ansia Generalizzato.


Caratteristiche collegate a cultura, età e genere

Nell’espressione dell’ansia vi è una considerevole variabilità culturale (per es., in alcune culture l’ansia è espressa prevalentemente attraverso sintomi somatici, in altre attraverso sintomi cognitivi).
Quando si valuta se le preoccupazioni riguardanti certe situazioni siano eccessive è importante considerare il contesto culturale.

Nei bambini e adolescenti con Disturbo d’Ansia Generalizzato, le ansie e le preoccupazioni spesso riguardano la qualità delle prestazioni o la preparazione a scuola o negli eventi sportivi, anche quando la prestazione non deve essere valutata da altri.
Possono esservi preoccupazioni eccessive per la puntualità. Possono anche preoccuparsi per eventi catastrofici come terremoti o guerre nucleari. I bambini con il disturbo possono essere eccessivamente conformisti, perfezionisti, ed insicuri e tendono a rifare le cose a causa di una scontentezza eccessiva per le prestazioni non perfette. Sono tipicamente zelanti nel ricercare approvazione e richiedono eccessiva rassicurazione per le proprie prestazioni e preoccupazioni.
Il Disturbo d’Ansia Generalizzato può essere sovradiagnosticato nei bambini. Nel considerare questa diagnosi nei bambini, si dovrebbe valutare accuratamente la presenza di altri Disturbi d’Ansia della fanciullezza per determinare se queste preoccupazioni possono essere meglio giustificate da uno di questi disturbi.

Il Disturbo d’Ansia di Separazione, la Fobia Sociale ed il Disturbo Ossessivo-Compulsivo sono spesso accompagnati da preoccupazioni che possono mimare quelle descritte nel Disturbo da Ansia Generalizzato. Ad esempio, un bambino con Fobia Sociale può preoccuparsi della performance scolastica per paura di essere umiliato. Anche le preoccupazioni per le malattie possono essere meglio spiegate da un Disturbo d’Ansia di Separazione o da un Disturbo Ossessivo-Compulsivo.

In ambito clinico, il disturbo viene diagnosticato un po’ più frequentemente nelle donne rispetto agli uomini (circa il 55-60% di coloro che presentano il disturbo sono donne). Negli studi epidemiologici la distribuzione tra i sessi vede la presenza di circa due terzi di femmine.


Prevalenza

In un campione di comunità la prevalenza in 1 anno per il Disturbo d’Ansia Generalizzato era approssimativamente del 3% e la prevalenza nel corso della vita era del 5%. Nelle cliniche per disturbi d’ansia circa un quarto dei soggetti ha un Disturbo d’Ansia Generalizzato come diagnosi di ingresso o in comorbidità.


Decorso

Molti individui con Disturbo d’Ansia Generalizzato riferiscono di essersi sentiti ansiosi e nervosi per tutta la loro vita. Sebbene più della metà di coloro che ricercano il trattamento riferisca un esordio nella fanciullezza o nella adolescenza, non è infrequente l’esordio dopo i 20 anni. Il decorso è cronico, ma fluttuante e spesso peggiora durante i periodi di stress.


Familiarità

L’ansia come tratto ha una concentrazione familiare.
Sebbene i primi studi avessero prodotto dati non costanti relativi alla familiarità relativi al Disturbo d’Ansia Generalizzato, studi sui gemelli suggeriscono un contributo genetico allo sviluppo di questo disturbo.
Inoltre, i fattori genetici che influenzano il rischio di Disturbo da Ansia Generalizzato possono essere strettamente correlati a quelli del Disturbo Depressivo Maggiore (Episodio Singolo e Ricorrente).



Diagnosi differenziale

Il Disturbo d’Ansia Generalizzato deve essere distinto da un Disturbo d’Ansia Dovuto ad una Condizione Medica Generale. Se si ritiene che i sintomi rappresentino la conseguenza fisiologica diretta di una specifica condizione medica generale (per es., feocromocitoma, ipertiroidismo), la diagnosi è Disturbo d’Ansia Dovuto ad una Condizione Medica Generale. Questa determinazione si basa su anamnesi, dati di laboratorio o esame obbiettivo.
Un Disturbo d’Ansia Indotto da Sostanze si distingue dal Disturbo d’Ansia Generalizzato poiché si ritiene che una sostanza (cioè una droga di abuso, un farmaco o l’esposizione ad una tossina) sia correlata eziologicamente con il disturbo d’ansia.
Ad esempio, una grave ansia che si manifesta soltanto nel contesto di un forte consumo di caffè andrebbe diagnosticata come Disturbo d’Ansia Indotto da Caffeina, con Ansia Generalizzata.

Quando è presente un altro disturbo in Asse I, si dovrebbe fare una diagnosi addizionale di Disturbo d’Ansia Generalizzato solo quando il motivo dell’ansia e della preoccupazione non è in relazione con l’altro disturbo, cioè la preoccupazione eccessiva non è limitata:
-all’avere un Attacco di Panico (come nel Disturbo di Panico, Senza Agorafobia e Con Agorafobia),
-al rimanere imbarazzati in pubblico (come nella Fobia Sociale),
-all'essere contaminati (come nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo),
-al prendere peso (come nell’Anoressia Nervosa),
-all'avere una grave malattia (come nell’Ipocondria),
-all'avere molteplici fastidi fisici (come nel Disturbo da Somatizzazione)
-alla preoccupazione per la salute dei congiunti stretti o per il fatto di essere lontani da loro o da casa (come nel Disturbo d’Ansia di Separazione).
Ad esempio, l’ansia presente nella Fobia Sociale si focalizza su situazioni sociali imminenti che l’individuo deve affrontare o in cui deve essere valutato dagli altri, mentre gli individui con Disturbo d’Ansia Generalizzato presentano ansia che debbano essere valutati o meno.

Diverse caratteristiche distinguono la preoccupazione eccessiva del Disturbo d’Ansia Generalizzato dai pensieri ossessivi del Disturbo Ossessivo-Compulsivo.
I pensieri ossessivi non sono semplicemente preoccupazioni eccessive riguardanti problemi della vita quotidiana reale, ma sono piuttosto intrusioni egodistoniche che spesso assumono l’aspetto di stimoli, impulsi, e immagini oltre che di pensieri. Infine, la maggior parte delle ossessioni è accompagnata da compulsioni che riducono l’ansia associata con le ossessioni.

L’ansia è invariabilmente presente nel Disturbo Post-traumatico da Stress. Non si fa diagnosi di Disturbo d’Ansia Generalizzato se l’ansia si manifesta esclusivamente durante il corso di un Disturbo Post-traumatico da Stress.
L’ansia può anche essere presente nei Disturbi dell’Adattamento, ma questa categoria residua dovrebbe essere utilizzata solo quando non risultano soddisfatti i criteri per gli altri Disturbi d’Ansia (incluso il Disturbo d’Ansia Generalizzato). Inoltre, nei Disturbi dell’Adattamento, l’ansia si manifesta in risposta ad eventi della vita stressanti, e non persiste per più di 6 mesi dopo il termine dell’evento stressante o delle sue conseguenze.
L’ansia generalizzata è una manifestazione associata comune dei Disturbi dell’Umore e dei Disturbi Psicotici, e non si dovrebbe diagnosticare separatamente se si manifesta esclusivamente durante il corso di queste condizioni.

Diverse caratteristiche distinguono il Disturbo d’Ansia Generalizzato dall’ansia non patologica.
Primo, le preoccupazioni associate con il Disturbo d’Ansia Generalizzato sono difficilmente controllabili e tipicamente interferiscono significativamente con il funzionamento, mentre le preoccupazioni della vita quotidiana sono percepite come più controllabili e possono essere rimandate a più tardi.
Secondo, le preoccupazioni associate con il Disturbo d’Ansia Generalizzato sono più pervasive, pronunciate, fastidiose e di maggiore durata e frequentemente si manifestano senza fattori precipitanti. Più sono numerose le circostanze di vita per cui la persona si preoccupa eccessivamente (questioni finanziarie, salute dei figli, prestazioni lavorative, riparazioni dell’automobile), più è appropriata la diagnosi.
Terzo, è molto meno probabile che le preoccupazioni quotidiane siano accompagnate da sintomi fisici (per es., eccessiva astenia, irrequietezza, sentirsi tesi o con i nervi a fior di pelle, irritabilità), sebbene questo non sia sempre vero per i bambini.

Relazione con i criteri diagnostici per la ricerca dell’ICD-10

I criteri diagnostici per la ricerca per il Disturbo d’Ansia Generalizzato specificano che devono essere presenti 4 sintomi da un elenco di 22 (che include 5 dei 6 sintomi del DSM-IV).



FARMACI PER I DISTURBI D’ANSIA

Efficaci per gli stati d’ansia i farmaci antidepressivi. Sono inibitori del reuptake della
serotonina (FLUVOXAMINA, PAROXETINA, SERTRALINA E CITALOPARM). Regolano l’attività della serotonina aumentandone la quantità nei meccanismi della neurotrasmissione, hanno buona tollerabilità ma qualche effetto collaterale (se ne fa un so consistente nel DOC).
Alcuni studi indicano gli IMAO (inibitori delle moamminossidasi) e antidepressivi triciclici che tuttavia hanno effetti collaterali abbastanza forti.
Le benzodiazepine indicate in quanto ansiolitiche, ipnoinducenti e miorilassanti, maneggevoli e con scarso rischio di assuefazione, anche se però sono pericolose perché fanno presto ad innescare dipendenza psico-fisica.
Il solo intervento farmacologico non sembra essere efficace nel tempo, meglio se
parallelo ad un percorso psicoterapeutico.


TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO

Psicoterapia analitica che cerca di avvicinare il paziente alla comprensione dei propri disturbi, riconoscendo il sintomo in modo tale da ridurre la vulnerabilità. Questa terapia è tesa all’analisi delle difese e all’individuazione del rimosso nell’inconscio in modo da lavorare su questo cercando di promuovere un certo sviluppo nell’individuo.
Terapia cognitivo-comportamentale:
Secondo l’approccio cognitivo ci sarebbe una stretta relazione tra pensieri ed emozioni (ma va?). Pertanto i processi cognitivi sarebbero alla base delle reazioni psicofisiologiche dell’ansia mentre le dinamiche affettive ne sono conseguenza.
Questo approccio quindi mira a correggere i pensieri ed i comportamenti disadattivi e disfunzionali legati al disturbo.
Fa uso di diverse tecniche cognitive quali l’addestramento all’auto-osservazione,
la ristrutturazione cognitiva, etc. Tutte tecniche che, se usate in modo combinato, produrrebbero buoni effetti (anche se tuttavia ci sono dei dubbi sui tempi di durata di questi).



sunto Manuale psichiatria e psicopatologia clinica III Ed.




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Messaggioda Silberschnee » 19/08/2014, 12:30



Royal sai che invece in un libro di auto aiuto per il doc avevo letto che non è un vero stato d'ansia, non ricordo bene il perché però!
La teoria di Freud sul doc meno male che è superata è abbastanza ridicola anche perché le dinamiche del doc sono molto più complesse e in Italia credo sia conosciuto pochissimo.

Molte persone non sanno nemmeno di averlo pensano di essere fissate loro e fine tipo per carattere, se ne parla davvero troppo poco.

Per la mia esperienza da ex rupofobica uscita dal doc darei la conferma alle teorie che sia una questione biochimica e di malfunzionamento del sistema nervoso, io personalmente ne sono uscita grazie ad alimentazione+ esposizione alla luce+attività fisica e preciso che non era una forma leggerissima, ma in un quadro bello complesso unita ad ansia, attacchi di panico e depressione.
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Impariamo a riconoscere i disturbi d'ansia

Messaggioda Royalsapphire » 20/08/2014, 18:20



É in parte così. Il DOC è raggruppato sia tra idisturbi di personalità che tra quelli d'ansia.
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Impariamo a riconoscere i disturbi d'cansia

Messaggioda stellina0988 » 25/09/2014, 12:37



ciao Royal, nn so se t ricordi d me... avevo lasciato un post x quanto riguarda i fiori di bach e il dosaggio del rescue remedy... volevo sapere se lo spray va sempre applicato sotto la lingua come le gocce... un bacione...
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stellina0988
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Impariamo a riconoscere i disturbi d'ansia

Messaggioda Royalsapphire » 02/10/2014, 22:55



Ciao Stellina,
no, lo spray va applicato all'interno tra guance e palato : )
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DISTURBO DI PANICO

Messaggioda Royalsapphire » 02/10/2014, 23:01



DISTURBO DI PANICO


Il disturbo di panico (DP) è una condizione patologica caratterizzata da ripetuti attacchi di panico (AP) associati ad una serie di sintomi di lunga durata e di comportamenti presenti anche nel periodo libero dagli attacchi. Dato che gli AP possono essere osservati sia nel corso di altre condizioni psichiatriche sia in soggetti sani, gli attuali criteri per la diagnosi del DP richiedono un numero minimo di attacchi oppure che il verificarsi di uno o più AP inaspettati sia seguito dalla preoccupazione persistente di avere altri attacchi, dalla preoccupazione a proposito delle implicazioni o delle possibili conseguenze dell’attacco, o da una significativa alterazione del comportamento correlata con gli attacchi. Il DP tende generalmente ad avere un decorso cronico con fasi di miglioramento e fasi di riesacerbazione della sintomatologia. Manifestazioni associate comuni sono l’ansia anticipatoria, l’agorafobia, l’ipocondria, la demoralizzazione secondaria, l’abuso di sostanze (prevalentemente benzodiazepine ed alcol).


L’attacco di panico

L’attacco di panico (AP) è definito come un periodo ben delimitato di intensa paura o disagio accompagnato da sintomi somatici e psichici. L’attacco ha un esordio improvviso e raggiunge rapidamente la massima intensità in breve tempo(generalmente entro 10 minuti).
È caratterizzato da sintomi cognitivi quali il senso di pericolo imminente, la paura di morire, di svenire, di perdere il controllo, di impazzire. L’aspetto nucleare dell’attacco è rappresentato dalla sintomatologia neurovegetativa: si hanno sintomi cardiocircolatori (palpitazioni, tachicardia, dolore/oppressione al petto), respiratori (dispnea, sensazione di soffocamento o di asfissia), vertigini, tremori fini o grandi scosse, tensione muscolare, parestesie, sudorazione, nausea o disturbi addominali, brividi di freddo o vampate di caldo. Spesso i sintomi somatici sono predominanti su quelli ansiosi e i pazienti inizialmente consultano medici non psichiatri. L’attacco può essere anche caratterizzato da sintomi cosiddetti psichici quali: ipersensibilità agli stimoli visivi ed uditivi, sensazione di testa leggera o svenimento, depersonalizzazione (sensazione soggettiva di sentirsi separati dal proprio corpo) o derealizzazione (percezione alterata della realtà circostante), parestesie, dejavu.
Generalmente l’individuo colpito dalla crisi d’ansia interrompe le attività che stava svolgendo e sviluppa un desiderio impellente di fuggire dal luogo in cui si è verificato l’attacco, spesso dirigendosi verso un ambiente più rassicurante per il soggetto stesso. L’attacco che di per sé, come detto, è di breve durata, è seguito da una fase post-critica che può persistere per varie ore e che si caratterizza per un senso di spossatezza e malessere, disagio e apprensione, tensione, sensazione di confusione e scarsa lucidità, debolezza muscolare.
A seconda della gravità dell’attacco, il DSM-IV differenzia gli AP completi (“full blown”) dagli AP paucisintomatici. Gli AP completi sono accompagnati da almeno quattro dei 13 sintomi somatici o cognitivi elencati nel DSM. Gli attacchi caratterizzati da meno di quattro sintomi somatici o cognitivi sono indicati come AP paucisintomatici e sono molto frequenti nei soggetti con DP.
L’AP può tuttavia verificarsi occasionalmente anche in persone sane sotto tutti gli altri punti di vista, senza particolari conseguenze patologiche (i cosiddetti AP sporadici). Gli AP possono perfino verificarsi durante il sonno, inducendo risveglio improvviso, terrore ed iperarousal. Questa evenienza risulta essere piuttosto frequente nei pazienti con DP. Il 40% circa di questi infatti, hanno sperimentato AP durante il sonno.
Gli studi elettroencefalografici indicano che tali AP non si verificano mai durante la fase REM del sonno.
Fondamentalmente possiamo distinguere due tipi di Panico, a seconda della presenza o assenza di situazioni scatenanti: attacchi di panico inaspettati, nei quali l’esordio non è associato a situazioni scatenanti (AP spontanei, “a ciel sereno”), e attacchi di panico provocati dalla situazione, i quali si verificano quasi invariabilmente nel momento o subito prima dell’esposizione ad una situazione che funziona da stimolo. Una terza variante potrebbe essere quella degli AP predisposti dalla situazione, che si verificano con maggior probabilità in occasione dell’esposizione ad una certa situazione, ma non sono invariabilmente associati allo stimolo e non necessariamente si verificano immediatamente dopo l’esposizione (ad esempio, attacchi che si verificano più probabilmente durante la guida, pur essendoci casi in cui l’individuo guida senza avere l’attacco e casi in cui l’attacco si verifica dopo che l’individuo ha guidato per mezz’ora).


Diagnosi Differenziale

Per porre la diagnosi di DP, il clinico si deve solitamente basare su una indagine retrospettiva “raccontata” dal paziente.
L’ansia caratteristica dell’AP può essere differenziata dall’ansia generalizzata per la sua natura intermittente, parossistica, e per la sua severità, tipicamente maggiore.
I sintomi dell’AP possono presentarsi in varie situazioni: sforzi fisici, uso o astinenza da sostanze, condizioni mediche come ipertiroidismo, iperparatiroidismo, feocromocitoma, ipoglicemia, disfunzioni vestibolari, epilessie, embolia polmonare, malattie cardiache (aritmie, infarto). In generale, tutte le malattie cardiopolmonari acute e tutte le situazioni che provocano un’improvvisa ed intensa attivazione del sistema simpatico possono produrre gli stessi sintomi del panico. Per questa ragione i criteri del DSM-IV per l’AP richiedono l’esclusione esplicita di cause organiche [Criterio C: “L’attacco di panico non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio, sostanza d’abuso, farmaco) o ad una condizione medica generale (ad esempio, ipertiroidismo)”]. Anche nel campo dei disturbi mentali, l’AP è parte di molte altre condizioni, oltre al DP, inclusi tutti gli stati fobici. Ne consegue pertanto che prima di effettuare la diagnosi di DP, è importante considerare il contesto in cui si verificano i sospetti AP ed effettuare un’accurata valutazione dei sintomi riportati dal paziente.


Decorso

Per la diagnosi sono richiesti almeno due AP inaspettati, tuttavia la maggior parte dei soggetti con DP ne presenta molti di più. La frequenza degli AP è molto variabile: alcuni soggetti hanno attacchi moderatamente frequenti (ad esempio, una volta alla settimana) che si verificano regolarmente per periodi di mesi; altri riportano brevi periodi di attacchi più frequenti (ad esempio, una volta al giorno per una settimana), separati da settimane o mesi senza alcun attacco o con attacchi meno frequenti (ad esempio, un attacco al mese). Nel corso del DP si osservano solitamente sia AP completi che paucisintomatici. È abbastanza comune osservare che la frequenza degli AP completi tende a diminuire nel corso della malattia, mentre gli attacchi paucisintomatici possono persistere per periodi di tempo più lunghi. Il pattern che comunemente si osserva nel corso degli anni è infatti caratterizzato da una riduzione della frequenza degli attacchi maggiori con la persistenza di quelli sottosoglia.
Dopo il primo o i primi AP, molti pazienti sviluppano la paura che si verifichi un altro attacco, sviluppano cioè l’ansia anticipatoria. Durante gli intervalli tra gli attacchi, quindi, i livelli d’ansia aumentano e l’individuo vive nel terrore di poter sviluppare un nuovo attacco di panico. L’ansia anticipatoria aumenta quando l’individuo si avvicina alle situazioni in cui si sono verificati i primi attacchi o a situazioni in cui sarebbe difficile fuggire o ricevere aiuto nel caso di un attacco di panico.


Agorafobia

Secondo il DSM-IV, la caratteristica essenziale dell’agorafobia è l’«ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un attacco di panico inaspettato o sensibile alla situazione, o di sintomi tipo panico (ad esempio, avere un improvviso attacco di vertigini o un improvviso attacco di diarrea)». Altre caratteristiche distintive sono i cambiamenti fisiologici associati agli AP che l’accompagnano. Questi possono includere palpitazioni, sensazione di testa leggera, debolezza, dolore toracico atipico e dispnea. La maggior parte degli agorafobici esprime anche la paura di perdere il controllo, impazzire, mettere in imbarazzo se stessi o gli altri, svenire o morire. L’ansia tipicamente porta all’evitamento di varie situazioni, che possono includere l’essere solo fuori casa o l’essere solo in casa, l’essere in mezzo ad una folla, il viaggiare in automobile, treno, autobus o aereo, l’essere su un ponte o su un ascensore. Il livello di disagio può andare da un leggero malessere (senza evitamento) ad una grave angoscia, con evitamento marcato. Alcuni individui sono in grado di esporsi alle situazioni temute; ma sopportano tali esperienze con notevole timore. Solitamente un individuo è in grado di affrontare una situazione temuta in presenza di un accompagnatore, anche se quest’ultimo è chiaramente incapace di fornire aiuto, come un bambino o anche un cane; altre forme di rassicurazione, come portare con sé un bastone o un ombrello, possono essere utili. Quando l’agorafobia è severa, l’evitamento di molte situazioni può compromettere gravemente la capacità dell’individuo di uscire di casa, lavorare o affrontare le responsabilità domestiche. Nella sua forma estrema, l’agorafobia è totalmente invalidante: il soggetto non può in nessuna maniera uscire di casa e non può nemmeno stare in casa da solo. L’agorafobia deve dunque essere vista come un sintomo potenzialmente molto disabilitante. Nei campioni psichiatrici, il 75% dei pazienti con DP presenta forme più o meno gravi di agorafobia, mentre nelle indagini epidemiologiche l’agorafobia si associa al DP nel 30-50% dei casi. Tutte le descrizioni cliniche concordano che quasi invariabilmente il panico precede l’agorafobia. L’inizio dell’agorafobia segue il primo AP con un intervallo di tempo variabile da pochi giorni a parecchi anni. Come indica Klein, il DP comincia con l’AP iniziale, seguito dalla paura di ulteriori attacchi (ansia anticipatoria) e poi dall’evitamento di situazioni che sono credute essere scatenanti gli AP o essere imbarazzanti o pericolose in caso di un nuovo attacco. Tuttavia, la relazione tra panico ed agorafobia è ancora controversa. Roth per primo osservò che, anche se il primo AP spesso si sviluppa improvvisamente, «un’indagine più dettagliata spesso rivela che il disturbo non è emerso in un cielo completamente sereno e che il complesso repertorio dei comportamenti di evitamento e di dipendenza indifesa dagli altri non era completamente privo di antecedenti premorbosi». Fava e collaboratori confermano l’osservazione di Roth: la maggior parte dei pazienti (90%) soffre di leggeri sintomi fobici o ipocondriaci prima dell’esordio degli AP. Anche ansia, timori e convinzioni ipocondriache sono estremamente comuni. Questi dati sono in accordo con i dati epidemiologici sull’esistenza dell’agorafobia senza AP. Il decorso dell’agorafobia e la sua relazione con il corso degli AP è variabile. In alcuni casi, una riduzione o remissione degli AP è seguita da una corrispondente diminuzione dell’evitamento fobico e dell’ansia. In altri casi, l’agorafobia può diventare cronica indipendentemente dalla presenza degli AP. I sistemi di classificazione variano a seconda della prevalenza relativa dell’agorafobia o del panico. Nel 1980, il DSM-III considerava tre distinte categorie: DP, agorafobia con DP e agorafobia senza DP. Tuttavia, vari ricercatori successivamente cominciarono a sospettare che l’agorafobia non fosse un’entità separata, ma piuttosto una risposta secondaria al DP. Nel 1987 il DSM-III-R riclassificò l’agorafobia principalmente come una sequela del DP, il quale si può presentare sia con che senza agorafobia, e questa classificazione è mantenuta nel DSM-IV. L’agorafobia senza AP tuttavia, è rimasta in entrambi i sistemi di classificazione. DSM-III-R e DSM-IV, dunque, privilegiano l’interpretazione del panico come manifestazione centrale, con l’agorafobia vista come una complicazione. L’ICD-10, invece, classifica l’associazione del panico con l’agorafobia tra i disturbi fobici, accettando la posizione che l’attitudine fobica sia l’aspetto nucleare del disturbo.


Ipocondria

La maggior parte dei pazienti con DP sviluppa una particolare attenzione verso le proprie sensazioni somatiche, con una sensibilità esagerata anche nei confronti di cambiamenti minimi e normali. Il soggetto all’inizio associa certi sintomi somatici all’esperienza soggettiva dell’AP, per cui questi sintomi agiscono come stimoli condizionati. Successivamente, il verificarsi di tali sintomi, qualunque sia la loro origine, provoca per condizionamento i sintomi ansiosi soggettivi dell’attacco. Questo meccanismo, chiamato “condizionamento enterocettivo”, porta alcuni soggetti ad evitare attività che provocano sensazioni fisiche che possono essere interpretate come simil-ansiose (ad esempio, fare sforzi fisici, bere caffè, ecc.). Molti pazienti (circa il 20%) sviluppano una franca elaborazione ipocondriaca, per cui sono seriamente preoccupati o anche persuasi di essere malati. Le preoccupazioni ipocondriache riguardano principalmente la paura di malattie cardiache o di ictus cerebrali.


Demoralizzazione

Alcuni pazienti con DP o DP e agorafobia (circa il 30%) sviluppano sentimenti di tristezza, colpa, anedonia. In genere questo stato può essere considerato come una demoralizzazione psicologicamente derivabile, dovuta al fatto che la loro capacità di vivere normalmente e di raggiungere obiettivi nell’ambito della vita sociale è gravemente compromessa dal disturbo; in altri casi, tuttavia, deve essere considerata la possibilità di un episodio depressivo vero e proprio.
EPIDEMIOLOGIA


Diffusione

La prevalenza del DP è simile in diversi Paesi. Secondo il Cross-National Group la prevalenza annuale del disturbo va dall’1,7% nella Germania dell’Ovest allo 0,2% a Taiwan, un Paese che ha bassi tassi relativamente a tutti i disturbi psichiatrici. La prevalenza nel corso della vita va dal 3,8% in Olanda allo 0,4% a Taiwan. La prevalenza nel corso della vita rilevata da studi più recenti risulta due volte più elevata di quella riportata dall’Epidemiological Catchment Area (ECA) (1,7 %). Questa divergenza potrebbe essere dovuta a differenze tra i criteri del DSM-III e del DSM-III-R per il DP: il DSM-III richiedeva tre AP in un periodo di tre settimane, mentre i criteri del DSM-III-R usati negli ultimi studi sono più ampi, perché includono la preoccupazione persistente di avere un altro attacco. Il DSM-III R, inoltre, include un altro sintomo (nausea o dolore addominale) tra i criteri di definizione dell’AP. Bisogna però tenere in considerazione anche la possibilità di un effetto legato al periodo, con un aumento reale dei tassi nel tempo, tra l’ECA, condotta nei primi anni Ottanta, e gli altri studi, effettuati nei primi anni Novanta. La prevalenza nel corso della vita del DP con agorafobia è intorno all’1,5%. La prevalenza nel corso della vita dell’agorafobia senza anamnesi di DP varia, nei diversi studi epidemiologici, dal 2,1 % al 7,8 % e appare pertanto più elevata rispetto a quella del DP. Contrariamente a quanto osservato nelle casistiche cliniche, nelle quali l’agorafobia senza anamnesi di DP risulta una condizione molto rara, gli studi epidemiologici riportano una maggior prevalenza di agorafobia senza AP rispetto al DP senza agorafobia e all’agorafobia senza AP. Le ricerche effettuate sulla popolazione generale evidenziano infatti una notevole proporzione, dal 30 al 50%, di pazienti agorafobici che non presentano una storia di attacchi di panico. Diversi fattori sembrano tuttavia limitare la validità di queste osservazioni: l’impiego di gerarchie diagnostiche, che prevedono l’esclusione del DP in presenza di altri disturbi, come la depressione, può avere condotto ad una sottostima della condizione morbosa; inoltre in alcuni studi le interviste diagnostiche sono state condotte da esaminatori non clinici ed è possibile che disturbi ad andamento fasico, come gli AP, siano meno facilmente rilevabili rispetto ai disturbi cronici, come l’agorafobia. Una ricerca epidemiologica a livello di popolazione generale condotta nel nostro Paese, utilizzando intervistatori clinici esperti nella diagnosi di disturbi d’ansia, ha riportato tassi di prevalenza nel corso della vita dell’ordine dell’1,4 % per il DP, dello 0,9 % per l’agorafobia con AP e dello 0,5% per l’agorafobia senza AP, dati più congruenti con le osservazioni cliniche. Il tasso di incidenza del DP varia nei diversi studi dall’1,43 per 1000 per anno/persona di esposizione al 5,8 per 1000 anno/persona. La diversa distribuzione di età non spiega la differenza osservata tra i due studi, poiché ciascun campione aveva approssimativamente la stessa proporzione di soggetti tra le età a rischio per l’esordio del DP. Probabilmente la differenza è dovuta al diverso intervallo tra le osservazioni (13-15 anni nel primo studio, un anno nel secondo). Un intervallo lungo potrebbe portare a dimenticare gli AP meno severi, e quindi ad una stima dell’incidenza minore. La prevalenza nel corso della vita degli AP paucisintomatici, molto frequenti nei soggetti con DP ma possibili anche in soggetti senza DP, è stata stimata intorno al 2 %. La frequenza degli AP sporadici o infrequenti supera quella di tutti gli altri tipi di panico che possono essere nosograficamente codificati: è stato riportato che nella popolazione generale un consistente numero di casi ha almeno un AP senza ulteriori conseguenze; le stime epidemiologiche variano dall’1,8 % al 12 %. Riguardo a tali dati possono essere suggerite due interpretazioni: a) gli AP in se stessi non sono forme intrinsecamente patologiche; nella maggior parte dei casi non ricorrono e non provocano conseguenze sull’adattamento sociale o sulla qualità della vita. Altri fattori sono necessari per determinare la frequente ripetizione delle crisi e/o la loro evoluzione in forme chiaramente patologiche; b) la seconda possibilità è che gli AP sporadici rappresentino la forma più sfumata, subclinica, del DP. In tal caso un precoce riconoscimento di questa forma sarebbe essenziale per prevenire la sua possibile evoluzione in un disturbo di intensità maggiore. Il numero di anni di istruzione è correlato con forti e significative differenze nelle probabilità di AP, DP e DP con agorafobia. Soggetti con meno di 12 anni di istruzione hanno una probabilità quattro volte maggiore di avere AP, più di dieci volte maggiore di avere il DP e più di sette volte maggiore di avere il DP con agorafobia rispetto a un gruppo di riferimento con un’istruzione di livello universitario (16 anni o più di studio). Il pattern non è lineare, in quanto i soggetti che non hanno completato l’università hanno una probabilità simile a quella dei soggetti che l’hanno completata, e i soggetti che non hanno terminato la scuole superiori hanno una probabilità simile a quella dei soggetti che le hanno terminate ma non hanno ricevuto un’ulteriore educazione. Quindi il verificarsi del panico potrebbe essere correlato con situazioni stressanti nelle quali l’individuo si trova in un relativo svantaggio rispetto agli altri. D’altra parte, il panico potrebbe essere strettamente mediato da fattori cognitivi che coinvolgono la valutazione del rischio. Persone che lavorano, sposate e che vivono con gli altri hanno generalmente una prevalenza più bassa del DP. Coloro che vivono in città sembrano avere una prevalenza del panico un po’ più alta, ma questo risultato non è statisticamente significativo. La prevalenza stimata del panico e delle esperienze correlate è molto differente tra gli uomini e le donne. La preponderanza di donne tra i pazienti con disturbi d’ansia è un dato sia epidemiologico che clinico. In tutte le categorie di gravità crescente di DP, la prevalenza è poco più che due volte maggiore tra le donne rispetto agli uomini, come anche nei risultati dell’ECA: nelle indagini epidemiologiche il rapporto tra femmine e maschi varia da 1,3 a 5,8. Tra gli agorafobici le donne predominano largamente: più dei tre quarti dei pazienti con DP che manifestano estese condotte di evitamento sono donne. Le donne inoltre sviluppano con maggior probabilità sintomi fobici, presentano più spesso ansia generalizzata ed hanno più frequentemente depressione. I pazienti maschi hanno una durata di malattia significativamente più lunga rispetto alle femmine. Le donne soffrono con una frequenza significativamente maggiore di ansia anticipatoria e di umore depresso in atto o pregresso. Nonostante la maggior durata di malattia nei pazienti maschi, la minor frequenza del verificarsi di concomitanti evitamenti fobici e di disturbi depressivi indica che gli uomini potrebbero essere compromessi meno severamente rispetto alle donne. Gli uomini inoltre mostrano meno frequentemente ricerca di aiuto. La necessità economica degli uomini di lavorare potrebbe aiutare a ridurre l’agorafobia.


Fattori di rischio


Eventi di vita precoci

È stato suggerito che ci sia un legame tra l’esperienza di eventi di vita traumatici durante l’infanzia e l’adolescenza e lo sviluppo di disturbi d’ansia nell’età adulta: Raskin e collaboratori, esaminando gli antecedenti di sviluppo in vari tipi di disturbi d’ansia, indicarono che il 53% dei soggetti appartenenti al gruppo del DP aveva qualche evento di separazione dai genitori durante l’infanzia. È emerso che i pazienti agorafobici con AP sperimentano un maggior numero di eventi di vita drammatici (come morte dei genitori, separazione prolungata dai genitori, divorzio dei genitori) durante l’infanzia e l’adolescenza rispetto ai soggetti normali. Sebbene parte dell’eccesso di questi eventi sia il risultato di una maggior prevalenza di disturbi psichiatrici nelle loro famiglie, ciò non rende conto completamente della differenza e si dovrebbe considerare una relazione causa-effetto tra eventi di vita precoci traumatici e disturbi d’ansia. Quasi tutti gli studi che considerano gli effetti dei traumi precoci sulla psicopatologia dell’adulto concordano nel riportare che gli eventi precoci sono associati con un rischio aumentato per tutti i disturbi ansiosi e depressivi, per la somatizzazione e per una maggiore comorbidità, ma con scarsa specificità per ogni singolo disturbo. D’altra parte, almeno restringendo il campo di osservazione al fenomeno panico/agorafobia, il verificarsi di eventi di separazione durante l’infanzia e/o l’adolescenza sembra essere specificamente associato con un successivo sviluppo di agorafobia. Infatti, i due terzi dei pazienti con panico e agorafobia mostrano almeno un evento traumatico nei primi 16 anni di vita, contro il 22 % dei pazienti con panico senza agorafobia. Eventi precoci di separazione possono portare ad esperienze di profonda insicurezza. Queste, da parte loro, in assenza di figure protettive, possono scoraggiare il normale comportamento esploratorio. Il soggetto, quindi, si trova di fronte ad un mondo dove sente la propria precarietà e dove molte situazioni sono viste come pericolose. Insieme ai sentimenti di rabbia e disperazione, che tengono il sistema vegetativo in uno stato di continua allerta, la necessità di essere indipendente può portare a pattern di attaccamento disfunzionali. Recentemente c’è stato un crescente interesse nei confronti dei maltrattamenti dei bambini come fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi mentali. Saunders e collaboratori hanno riportato che, in bambini vittime di abusi fisici e sessuali prima dell’età di cinque anni, il più comune disturbo psichiatrico da adulti è l’agorafobia, che si verifica nel 44 % dei casi, mentre Swanston e collaboratori hanno segnalato un aumento di ansia generalizzata in bambini sottoposti ad abusi sessuali seguiti per 5 anni dopo l’evento. Di un campione di 59 giovani adulti cambogiani che sopravvissero ad una catastrofe di massa di bambini, un numero significativo di quelli con disturbo post-traumatico da stress (DPTS) (59%) aveva uno o più disturbi addizionali di asse I secondo il DSM-IV. La depressione maggiore e il disturbo d’ansia generalizzata erano i disturbi più comuni presenti in comorbidità. Inoltre, il tasso di diagnosi di DPTS trovato in questo campione 15 anni dopo il trauma mostra che gli effetti del trauma vissuto nell’infanzia persiste nella giovane età adulta. Ancora una volta, dunque, mentre sembra acquisito che l’abuso nell’infanzia porta ad un rischio aumentato di psicopatologia durante l’età adulta, la specificità di questi traumi per il DP/agorafobia è discutibile.


Iperprotezione materna

È un’impressione clinica comune che i genitori dei pazienti con DP appaiono essere iperprotettivi, severi e rigidi. In campo empirico, Terhune, Webster e Tucker hanno tutti descritto un retroterra di iperprotezione genitoriale (soprattutto materna) nei loro pazienti agorafobici. Tra gli studi controllati, usando il Maternal Overprotection Questionnaire, Solyom e collaboratori trovarono che le madri degli agorafobici erano più protettive di quelle dei soggetti normali di controllo. Parker, usando il Parental Bonding Instrument (PBI), riportò che entrambi i genitori di pazienti che soffrivano di nevrosi d’ansia risultavano significativamente meno in grado di prendersi cura dei figli e più iperprotettivi rispetto a quelli dei soggetti normali di controllo, mentre un altro studio trovò che gli agorafobici differivano dai controlli solo nella scala che misurava la capacità materna di prendersi cura del figlio, che era ridotta nei pazienti. Usando il PBI in pazienti con DP definito in maniera operativa, fu trovato che tali soggetti riportavano durante l’infanzia interazioni con genitori significativamente meno in grado di prendersi cura e più tendenti al controllo rispetto ai soggetti sani.


Ansia di separazione

Evidenze crescenti indicano un’associazione tra l’ansia durante l’infanzia e il DP durante l’età adulta, sebbene alcuni studi non confermino tale associazione. Silove e collaboratori dimostrarono che l’ansia da separazione in età precoce era associata con un significativo rischio di DP nell’età adulta e che soggetti con una storia lifetime di DP-agorafobia avevano più sintomi di ansia di separazione rispetto a quelli con disturbo d’ansia generalizzata o altri disturbi fobici senza storia di DP. Pollak e collaboratori riportarono che il 55% dei pazienti adulti con DP soddisfaceva i criteri di qualche disturbo d’ansia dell’infanzia, e trovarono che questi casi avevano un tasso più alto di disturbi d’ansia in comorbidità nell’età adulta. I pazienti con una storia di disturbi d’ansia durante l’infanzia erano anche caratterizzati da un maggior evitamento e da una maggior paura dei sintomi ansiosi, anche se non dimostravano una maggiore gravità complessiva del DP. È stato condotto solo uno studio prospettico su bambini con ansia da separazione ben diagnosticata: il DP non era molto frequente in questi casi, ma era significativamente più elevato che nei controlli. Kagan e collaboratori riportarono che l’inibizione comportamentale durante l’infanzia può essere un fattore di rischio per il successivo sviluppo di disturbi d’ansia. Rosenbaum e collaboratori hanno descritto un alto tasso di inibizione comportamentale in figli di soggetti con DP e agorafobia. Per indagare ulteriormente il legame tra l’inibizione comportamentale e i disturbi d’ansia, Biederman e collaboratori esaminarono i correlati psichiatrici dell’inibizione comportamentale valutando un campione di figli di soggetti con DP e agorafobia e un campione di bambini epidemiologicamente derivato, seguito durante un periodo di sette anni da Reznick e collaboratori. Tali autori trovarono che i bambini inibiti avevano un aumentato rischio per molteplici disturbi d’ansia e disturbi fobici, soprattutto la fobia sociale. Ulteriori evidenze del legame tra la psicopatologia ansiosa dell’infanzia e dell’età adulta provengono da studi familiari che riportano alti tassi di problematihe durante l’infanzia legate all’ansia nei figli di pazienti adulti con DP; se l’ansia durante l’infanzia predisponga l’individuo al DP durante l’età adulta influenzando le reazioni cognitive o comportamentali ai sintomi o se sia una manifestazione precoce del disturbo stesso non è ancora chiaro.


Personalità

Osservazioni aneddotiche riportano che i soggetti con DP hanno una personalità premorbosa normale o anche socievole e brillante. Anche se questo appare vero ad un’osservazione superficiale, i clinici hanno a lungo sospettato che i pazienti con agorafobia avessero una frequenza maggiore di tratti di personalità dipendenti rispetto alla media della popolazione generale. Andrews ipotizzò che la dipendenza dagli altri fosse uno dei principali stili di coping dei pazienti agorafobici. Qualcosa di analogo fu riportato anche da Shafar, la quale, usando stime indefinite, concluse che problemi di dipendenza erano presenti nel 38 % dei suoi pazienti agorafobici; e da Buglass e collaboratori, che, pur riportando uno studio nel complesso negativo, rilevarono che il 27 % dei loro pazienti e nessuno dei loro soggetti di controllo erano consapevoli di una tendenza alla dipendenza, di cui erano risentiti. Infine, Torgersen, nel suo studio su gemelli monozigoti, indicò che i gemelli agorafobici avevano maggior probabilità di essere dipendenti. La personalità dei soggetti con DP durante le fasi di remissione è caratterizzata da pessimismo, preoccupazione eccessiva per le funzioni fisiche, insicurezza, egocentrismo, immaturità, ruminazione eccessiva, indecisione e standard di moralità eccessivamente elevati. Il Maudsley Personality Inventory evidenziò elevati livelli di neuroticismo, e la Sensation Seeking Scale mostrò il desiderio dei soggetti agorafobici di far fronte a quelle situazioni che essi non riuscivano ad affrontare nella realtà. Poiché tutti questi studi sono retrospettivi, non è chiaro se i tratti di personalità dipendenti osservati siano primari o secondari al verificarsi dei sintomi. Da una parte, la possibilità che queste caratteristiche possano costituire una condizione predisponente allo sviluppo del DP è supportata dai dati di Nystrom e Lyndegard: in uno studio prospettico di più di 3000 soggetti, questi autori trovarono tratti di personalità premorbosa dipendenti in soggetti che successivamente svilupparono disturbi d’ansia. Quindi non è irrazionale credere che tratti o disturbi di personalità contribuiscano alla sviluppo della malattia. D’altra parte, può essere che i disturbi di personalità siano secondari al DP, specialmente quando quest’ultimo è complicato da evitamento fobico. Alcuni pazienti dichiarano che prima dell’inizio del loro disturbo fobico erano indipendenti e sicuri di sé, in contrasto con l’attaccamento timoroso ad un compagno che successivamente ha caratterizzato la loro malattia. Una personalità evitante e uno stile cognitivo fobico potrebbero aver contribuito allo sviluppo di una dipendenza non benvenuta. Hoffart, esaminando la relazione tra tipi di personalità psicoanalitici ed agorafobia prima e dopo il trattamento, trovò che punteggi più alti alla scala orale predicevano un corso peggiore dei sintomi nell’anno immediatamente successivo al trattamento. I punteggi alla scala orale diminuivano con il miglioramento dei sintomi agorafobici e generali, ma non raggiungevano un livello normale. Questi risultati supportano un modello combinato di predisposizione-stato per la relazione tra tratti orali ed agorafobia. Skodol e collaboratori esaminarono i pattern di comorbidità dei disturbi d’ansia secondo il DSM-III-R con i disturbi di personalità. I risultati evidenziarono che il DP, in atto o pregresso, era associato con i disturbi di personalità borderline, evitante e dipendente; i disturbi d’ansia associati con i disturbi di personalità erano caratterizzati da cronicità e da più bassi livelli di funzionamento rispetto ai disturbi d’ansia senza disturbi di personalità. I risultati di uno studio di Noyes e collaboratori indicarono che i pazienti con fobia sociale e quelli con DP erano distinguibili sulla base delle caratteristiche di personalità. In particolare, i fobici sociali avevano una patologia di personalità più grave, punteggi più alti nei cluster ansioso e schizoide e differivano dai soggetti con panico nell’avere più tratti evitanti di personalità; i soggetti con DP avevano più tratti dipendenti. e collaboratori hanno ipotizzato che antecedenti personologici e prodromici rappresentino un putativo substrato temperamentale fobico-ansioso presente in almeno il 30% del loro campione; questo temperamento sembrerebbe essere di origine familiare e in sua presenza la malattia tenderebbe a manifestarsi più precocemente.


Altro

Altri fattori sono stati associati al DP, tra cui la familiarità (l’avere un familiare affetto da DP, agorafobia, depressione o disturbo bipolare aumenta consistentemente il rischio di DP) ed alcuni fenomeni legati a fattori biologici. Dal momento che questi fattori sono abitualmente affrontati in chiave eziopatogenetica, non li prenderemo in considerazione in questa sede.



ESORDIO DEL DP


Età di esordio

L’età di esordio del DP varia notevolmente, ma più tipicamente si colloca nella prima metà del terzo decennio, con un esordio più tardivo riportato negli studi tedeschi (età di esordio: 35,5 anni) ed in Corea (età di esordio: 32,1 anni). Nei campioni clinici l’età media di esordio è intorno ai 25 anni; la prevalenza stimata totale degli AP e del DP è maggiore nei soggetti di età compresa tra i 15 e i 24 anni. L’associazione con l’età sembra differire a seconda del sesso, con un esordio più precoce per gli uomini. Il pattern suggerisce una distribuzione bimodale sia per gli uomini che per le donne: la moda precoce cade nell’intervallo 15-24 anni e la moda tardiva si verifica nell’intervallo 45-54 anni. Un piccolo numero di casi comincia durante l’infanzia. In circa il 15 % dei pazienti l’esordio è dopo i 40. Il rischio straordinariamente elevato di DP nei parenti dei soggetti con DP ad esordio prima o all’età di 20 anni suggerisce che l’età di esordio potrebbe essere utile nel differenziare sottotipi familiari di DP e che gli studi genetici sul DP dovrebbero considerare l’età di esordio. Mentre il DP senza agorafobia prevale durante la seconda metà del terzo decennio, il DP con agorafobia si sviluppa più frequentemente durante la prima metà del terzo decennio.


Situazioni d’esordio

Riguardo al contesto nel quale si verifica il primo AP, Lelliott e collaboratori hanno riportato che il 92% dei loro pazienti agorafobici con AP sperimenta il primo attacco in luoghi pubblici piuttosto che in casa. Tali circostanze sono solitamente un insieme agorafobico vagamente definito di stimoli riguardanti luoghi pubblici, come strade, negozi, mezzi di trasporto pubblici, auditorium e folle, e in maniera meno centrale ascensori, tunnel, ponti, spazi aperti ed altezze. Questi dati sono in accordo con quelli riportati da Faravelli e collaboratori: essi rilevarono che tale tipo di esordio è significativamente meno comune tra i pazienti con DP che non sviluppano successivamente agorafobia. L’associazione tra esordio pubblico ed agorafobia merita un interesse speciale. Un’interpretazione possibile è che una sorta di agorafobia subclinica potrebbe preesistere al panico clinicamente conclamato, supportando così la visione precedentemente menzionata secondo la quale una qualche predisposizione viene prima dell’esordio acuto del DP. Lelliott e collaboratori. suggeriscono il ruolo di un fattore etologico (una vulnerabilità evoluzionisticamente determinata all’extraterritorialità), in associazione con le componenti biologiche e di apprendimento del disturbo. Un’altra interpretazione, più semplice, potrebbe essere presa in considerazione. Il diverso significato psicologico del contesto nel quale si verifica l’AP potrebbe spiegare l’evoluzione del disturbo. Lo sperimentare il dramma di un AP inaspettato in una circostanza in cui oggettivamente non è disponibile aiuto ha un impatto psicologico differente rispetto allo sperimentare gli stessi sintomi in una situazione protetta (ad esempio, a casa). È possibile che il subire un’esperienza stressante come l’avere un attacco in un contesto nel quale si è senza aiuto possa influenzare il decorso successivo del disturbo. In tal caso, il nucleo centrale del disturbo sarebbe l’evoluzione patologica del panico, piuttosto che il panico stesso. Lelliott e collaboratori hanno segnalato anche che, almeno in Gran Bretagna, il primo AP si verifica più spesso nella tarda primavera-estate e nei periodi caldi piuttosto che in inverno e nei periodi freddi. Il caldo potrebbe costituire la stimolazione necessaria per raggiungere un grado intollerabile di sudorazione o di qualche altro malessere mediato dal sistema nervoso autonomo, che è percepito come ansia o panico quando il soggetto si trova in luoghi pubblici. D’altra parte, il bel tempo potrebbe semplicemente aumentare la probabilità di trovarsi fuori casa. Un’altra possibile spiegazione del fatto che il primo AP si verifica più frequentemente nei mesi primaverili-estivi e durante le ore diurne è che la stimolazione luminosa potrebbe favorire il verificarsi di AP in soggetti predisposti. Tale fotosensibilità dei soggetti con DP, emergente da dati epidemiologici, sembrerebbe confermata dall’osservazione clinica del fatto che questi soggetti solitamente assumono condotte fotofobiche, e da dati sperimentali che dimostrano la capacità della luce intermittente fluorescente di evocare sintomi somatici e psicosensoriali tipici dell’AP.


Eventi di vita stressanti

Descrizioni cliniche non controllate hanno riportato che il primo AP è spesso preceduto da qualche evento di vita stressante. Studi controllati generalmente confermano l’eccesso di stress prima dell’esordio del DP. È stato trovato che i pazienti sperimentano più eventi di vita stressanti nell’anno che precede l’inizio della malattia rispetto a soggetti di controllo sani e che la maggior concentrazione di stress si verifica nei mesi precedenti l’inizio dei sintomi. Tuttavia tali studi non hanno confermato i dati riportati da Finlay-Jones e Brown, i quali indicarono che gli eventi pericolosi erano significativamente più rappresentati tra i pazienti con “ansia” piuttosto che tra i pazienti con “depressione”. Questa informazione ci porta ad attribuire agli eventi di vita un ruolo di fattori precipitanti l’esordio del DP, ma in una maniera piuttosto aspecifica. Il grado di associazione tra eventi stressanti e DP, tuttavia, non è in realtà molto elevato: il “population attributable risk”, che misura quanto del disturbo è effettivamente dovuto al fattore in esame, varia infatti tra il 30 e il 39 %. Molti pazienti con DP riportano che il loro primo AP si è verificato dopo piuttosto che durante, un periodo della loro vita considerato particolarmente stressante, e che essi comunque hanno gestito in maniera abbastanza adeguata. A parte il ruolo ovvio di meccanismi psicogenetici nel verificarsi di questi sintomi, un’altra possibile interpretazione è in termini di esaurimento o sensibilizzazione biologica o anche in termini di interruzione degli schemi cognitivi. Roy-Byrne e collaboratori hanno esaminato il decorso della malattia in pazienti con DP in funzione del fatto che l’inizio fosse o no preceduto da grosse separazioni o perdite. I loro risultati suggeriscono che il verificarsi di gravi perdite prima dell’esordio non è correlato con la severità dei successivi sintomi ansiosi, ma appare essere in relazione con il successivo verificarsi di episodi depressivi maggiori. Poiché agli eventi che precedono l’esordio del disturbo è generalmente attribuito un ruolo causale-precipitativo, è plausibile suggerire che lo stesso tipo di eventi potrebbe avere un ruolo nel mantenere o esacerbare il disturbo. Questo sarebbe in accordo con uno studio dimostrante che i pazienti agorafobici che continuano a sperimentare eventi di vita avversi dopo una terapia comportamentale hanno un esito peggiore.


DECORSO CLINICO


Esito a breve e a lungo termine

Dopo la riclassificazione ad opera del DSM-III dei disturbi d’ansia, molti studi si sono focalizzati sull’esito a lungo termine del DP. Descrizioni retrospettive fatte da individui visti in contesti clinici suggeriscono che il decorso della malattia è solitamente cronico, con remissioni e riacutizzazioni. Alcuni individui possono avere brevi episodi separati da anni di remissione, altri possono avere una sintomatologia grave continua. Studi specifici di follow-up confermano in generale la cronicità del DP, sebbene con una grande varietà di possibili esiti. Nonostante i primi studi, che includevano periodi di follow-up relativamente brevi, mostrassero una prognosi relativamente buona, con tassi di guarigione varianti dal 25 al 72 % dopo 1 o 2 anni, studi successivi riportarono esiti meno favorevoli. Dopo 5 anni di follow-up, solo il 10-12 % dei pazienti era completamente guarito (assenza di sintomi e di trattamento). Inoltre, in questi pazienti sono stati riportati rischi più alti di suicidio, episodi depressivi maggiori, malattie cardiovascolari, insieme ad un tasso aumentato di morbilità generale e di mortalità. Tuttavia, poiché il DP è frequentemente in comorbidità con altri disturbi di asse I o di asse II, l’esito a lungo termine potrebbe dipendere dalle condizioni in comorbidità piuttosto che dal DP stesso. Studi recenti sembrerebbero confermare questa posizione: le conseguenze peggiori in termini di mortalità, morbilità ed abuso di sostanze sembrano essere correlate con le condizioni associate. Noyes e collaboratori segnalarono che pazienti con evitamento fobico esteso o agorafobia avevano una forma più severa di DP, con una durata di malattia più lunga, sintomi più gravi e maggior maladattamento sociale rispetto ai soggetti senza o con limitato evitamento fobico. Breier e collaboratori, Lesser e collaboratori e Noyes e collaboratori trovarono che, tra i soggetti con DP, quelli con demoralizzazione secondaria (presente o passata) costituivano un gruppo caratterizzato da una maggiore gravità del disturbo: erano stati ammalati più a lungo ed avevano sintomi d’ansia più gravi, AP più frequenti ed evitamenti fobici più estesi, e più frequentemente avevano disturbi di personalità in comorbidità. Ci sono evidenze del fatto che i disturbi di personalità concomitanti influenzano l’esito dei pazienti con DP: la presenza di un disturbo di personalità predice infatti una risposta meno favorevole al trattamento. Faravelli e collaboratori riportano che, quando il DP è la condizione psicopatologica primaria, il tasso di guarigione è relativamente basso (12%) e il disturbo tende ad avere un andamento cronico; l’esito a lungo termine mostra una grande variabilità ed il risultato più comune è quello intermedio di un soggetto che non sta molto male ma non è completamente guarito. Tra i predittori presi in considerazione in tale studio, solo la durata del disturbo prima del trattamento mostrava una stretta relazione con l’esito: i pazienti trattati più precocemente sperimentavano più frequentemente una guarigione completa o una remissione e riportavano meno ricadute. In questo campione, il numero dei comportamenti suicidiari era piccolo. Usando i dati dello studio ECA, Markowitz e collaboratori mostrarono che il DP (con o senza agorafobia) era associato con un rischio più alto di scarsa salute fisica e psichica, abuso di alcol e altre sostanze, tentativi di suicidio, peggior funzionamento di coppia e maggior dipendenza dal punto di vista finanziario. Inoltre, molte delle variabili considerate, come l’abuso di alcol e la dipendenza dal punto di vista finanziario, erano associate con un rischio superiore di DP rispetto a quello di depressione maggiore. Secondo l’ECA, i tassi di suicidio per le diagnosi separate di DP e di depressione maggiore erano simili ed erano più alti dei tassi presenti nella popolazione generale. I pazienti con DP avevano livelli di salute mentale e di funzionamento nel proprio ruolo sostanzialmente più bassi di quelli dei pazienti con altre gravi condizioni mediche generali. Il DP è associato con una qualità di vita scadente. Sebbene i soggetti con AP sporadici riportino una qualità di vita peggiore rispetto ai controlli, i soggetti con DP hanno una maggior disabilità ed una qualità di vita peggiore rispetto ai soggetti con AP sporadici. I predittori di disabilità in ambiente lavorativo includono la frequenza degli AP, l’atteggiamento da malato e l’insoddisfazione familiare. Coryell, rivedendo precedenti studi pubblicati dal 1936 al 1986, conclude che i pazienti con stati ansiosi sembrano avere la stessa probabilità di suicidio dei soggetti con depressione primaria. Weissman e collaboratori descrivono tassi di tentativi di suicidio e di ideazione suicidiaria molto elevati, anche indipendentemente dalla copresenza di episodi depressivi maggiori o alcolismo. Lepine e collaboratori riportano che il 42 % dei pazienti ambulatoriali con DP aveva tentato il suicidio almeno una volta nel corso della propria vita: le caratteristiche demografiche associate a tentativi di suicidio erano simili a quelle presenti nelle altre popolazioni cliniche, ad esempio quella dei pazienti depressi. I tentativi di suicidio erano più frequenti in soggetti non sposati, divorziati o in donne vedove. In questo studio gli autori trovarono che la durata del DP era significativamente maggiore in coloro che avevano tentato il suicidio, mentre la gravità del peggior episodio non differiva tra quelli che avevano tentato e quelli che non avevano tentato il suicidio. Essi trovarono inoltre che i tentativi di suicidio nei soggetti con DP erano spesso associati con una diagnosi lifetime di depressione maggiore e di abuso di alcol e/o di altre sostanze. Warshaw e collaboratori riportano che il comportamento suicidiario nei soggetti con DP sembra essere più correlato con fattori non riguardanti il DP in sé: presenza di depressione, disturbo post-traumatico da stress, disturbi dell’alimentazione, abuso o dipendenza da sostanze, disturbi di personalità (in particolare borderline o antisociale) e fattori correlati con la qualità di vita (infatti essere sposati, avere figli e lavorare a tempo pieno sembrerebbero essere fattori protettivi).


Associazione con altre patologie

Il DP è spesso associato con altri disturbi d’ansia e con la depressione. Basandosi sui tassi lifetime, l’odds ratio di comorbilità del DP con l’agorafobia va da 7,5 nell’ECA a 21,4 a Porto Rico, e quello del DP con la depressione maggiore va da 3,8 a Savigny a 20,1 a Edmonton. Nel National Comorbidity Survey l’odds ratio è 10,6 per l’agorafobia e 5,7 per la depressione maggiore. La compresenza dell’agorafobia con il DP caratterizza un disturbo più severo e comporta una probabilità maggiore di una o più diagnosi in comorbidità. Goisman e collaboratori trovarono che il DP con o senza agorafobia coesiste con almeno un altro disturbo d’ansia nel corso della vita nel 37 % dei casi. Klerman e collaboratori mostrarono che il 33 % di 254 soggetti con DP aveva in comorbidità agorafobia e che il 72 % di questi 254 aveva in comorbidità agorafobia, depressione maggiore, abuso di alcol o di altre sostanze. Johnson e collaboratori indicarono che più dei due terzi dei soggetti dell’ECA con DP nel corso della vita soddisfacevano i criteri per almeno due fra le 10 altre diagnosi di asse I. Cassano e collaboratori trovarono che il 70 % di 302 pazienti con diagnosi di DP attuale secondo il DSM-III-R aveva in atto anche almeno una di sette altre sindromi, delle quali la più comune era il disturbo d’ansia generalizzata (DAG). C’è una maggior probabilità di trovare da solo il DP non complicato, ma anche tale eventualità si verifica in meno del 50 % dei casi. Anche in questo studio il GAD e l’agorafobia sono risultate essere le diagnosi più frequenti in comorbidità. Il DP con agorafobia si trova come unica diagnosi nel corso della vita nel 40 % dei casi. Le diagnosi in comorbidità, presenti a tassi simili (circa il 20 %) sono la fobia semplice, la fobia sociale e il GAD. Joyce e collaboratori trovarono che nel corso della vita la diagnosi di GAD secondo il DSM-III era più frequente nei soggetti con storia di AP con moderato evitamento fobico piuttosto che in quelli con storia di soli AP. I soggetti con agorafobia senza storia di AP avevano almeno due diagnosi addizionali ed almeno una frequenza doppia di disturbi in comorbidità rispetto ai soggetti con DP non complicato; il GAD era il disturbo più frequentemente associato, seguito dalla fobia sociale e dalla fobia semplice; il 32 % dei soggetti aveva l’agorafobia senza storia di AP come unica diagnosi. Una possibile spiegazione dell’alto tasso di comorbidità tra i disturbi d’ansia è che questi disturbi possono condividere alcune vie eziopatogenetiche. Barlow notò che l’esperienza di alcuni sintomi d’ansia può portare all’anticipazione di un’ansia maggiore: quest’anticipazione, infatti, è essa stessa sorgente di ansia, portando ad un’attesa aumentata, ad un riconoscimento del pattern e ad un’ulteriore attesa. Se così è, allora è probabile che avere un disturbo d’ansia possa abbassare la soglia da raggiungere per averne un altro. Gli studi indicano che la seconda diagnosi è spesso il GAD: questo dato potrebbe portare a considerare di abolire il GAD come entità separata e considerarlo solo come un prodotto non specifico, talvolta inevitabile, dell’avere uno qualsiasi di un gran numero di disturbi d’ansia cronici. Anche il DP appare più probabilmente essere preceduto da altri disturbi psichiatrici piuttosto che essere una condizione cronologicamente primaria. A parte i disturbi affettivi, ci sono relativamente poche altre condizioni psichiatriche che appaiono dopo l’esordio del DP. Questi dati sembrerebbero implicare che alcuni disturbi primari (ad esempio, fobia semplice, fobia sociale, abuso di sostanze) possano rappresentare una predisposizione specifica allo sviluppo del DP. Dal 35 al 91 % dei pazienti con DP soffre anche di depressione maggiore nel corso della propria vita129-131. Dati provenienti da studi familiari e su gemelli hanno suggerito che ansia e depressione sono presenti in forma pura nei parenti dei probandi, ma che un certo grado di sovrapposizione nella trasmissione di questi disturbi si verifica spesso: questi dati non sono in grado di concludere se una condizione predisponga all’altra o se ci sia un’eziologia comune. Leckman e collaboratori trovarono che i parenti di primo grado dei pazienti con doppia diagnosi di depressione maggiore e DP avevano un rischio marcatamente aumentato di comorbidità per depressione, panico, fobie e alcolismo. In molti casi, entrambi i disturbi si verificano contemporaneamente. In altri, il DP si verifica prima dell’esordio del disturbo depressivo o prima dell’inizio dell’abuso di sostanze. Breier e collaboratori rilevarono che pazienti con DP e/o agorafobia che avevano un episodio depressivo maggiore in atto o pregresso mostravano più sintomi gravi sia di ansia che di depressione rispetto a quelli che non erano mai stati depressi. In uno studio naturalistico, Van Valkenburg e collaboratori riportarono che pazienti con depressione secondaria avevano un’età d’esordio del DP più precoce, ma che non differivano dai pazienti con DP non depressi nella risposta al trattamento o nell’adattamento psicosociale. Sembrerebbe d’altra parte ragionevole aspettarsi che pazienti depressi abbiano sofferto di DP più a lungo rispetto a quelli non depressi, soggetti con e senza storia di depressione hanno avuto il DP per periodi di tempo simili. Inoltre, sebbene sarebbe concepibile che pazienti con evitamento agorafobico più grave sperimentino con maggior probabilità la depressione rispetto ai pazienti con evitamento meno grave, tale pattern non è supportato da evidenze empiriche. Dunque, ci sono pochi argomenti a favore dell’ipotesi che la depressione che frequentemente complica il DP sia eziologicamente secondaria agli effetti demoralizzanti a lungo termine dell’evitamento agorafobico cronico. La compresenza di fobia sociale e DP non è rara. In uno studio di Segui e collaboratori, i pazienti con fobia sociale e DP in comorbidità avevano un’età d’esordio del DP più precoce, presentavano più frequentemente il disturbo ossessivo-compulsivo e una maggiore gravità alla scala della fobia sociale del Fear Questionnaire di Marks and Mathews. Tuttavia, né la durata del DP, né la gravità dell’agorafobia erano correlate con una storia di depressione maggiore, la diagnosi concomitante di fobia sociale era associata con un rischio lifetime di depressione significativamente maggiore. Tali dati, tuttavia, non possono essere usati per supportare una relazione causale. È possibile che, nel fare la diagnosi di fobia sociale, si identifichi un sottogruppo di pazienti con DP con una costellazione di tratti di personalità che includono bassa autostima, estrema autoconsapevolezza e tendenza verso una considerazione di sé negativa. Tale sottogruppo potrebbe essere a notevole rischio di depressione sulla base di fattori psicologici, in particolare cognitivi. Inoltre, l’isolamento sperimentato come risultato dell’evitamento sociale potrebbe contribuire alla tendenza a sviluppare la depressione. Alternativamente, la fobia sociale concomitante potrebbe semplicemente essere un marker di una malattia più grave. La copresenza di sintomi ossessivo-compulsivi significativi aumenta il rischio di depressione nel corso della vita nei pazienti con DP. Un altro rischio nel DP è lo sviluppo dell’abuso di alcol, che alcuni vedono come un’automedicazione. Senza dubbio, l’assunzione di alcol inizialmente diminuisce l’ansia anticipatoria, ma successivamente l’alcolismo diventa una complicazione. Parecchi studi suggeriscono che il DP ha una prevalenza tra gli alcolisti più elevata di quella attesa, paragonata con la prevalenza nella popolazione generale. Marazziti e collaboratori trovarono che i disturbi d’ansia in atto, specialmente il panico e le condizioni correlate, erano i disturbi psichiatrici più comuni associati con la cefalea. Questi dati erano veri soprattutto per il sottogruppo dell’emicrania con aura; nei relativamente pochi pazienti con disturbi dell’umore, la depressione era quasi sempre in comorbidità con il DP e una storia passata di depressione era una caratteristica più tipica del sottogruppo della cefalea da tensione. Questi dati sono compatibili con l’ipotesi che l’emicrania, specialmente quella con aura, il DP e alcune forme della malattia depressiva siano parte di uno stesso spettro. La sindrome del colon irritabile è abbastanza comune in pazienti che ricercano un trattamento per DP: in uno studio di Kaplan, il 46,3 % dei pazienti con DP soddisfaceva i criteri per la sindrome del colon irritabile. I pazienti con DP e sindrome del colon irritabile riportavano con maggior frequenza dolore alla schiena e una storia di malattie intestinali rispetto ai pazienti con DP ma senza sindrome del colon irritabile. Nei soggetti con DP sono state riportate anomalie otoneurologiche; anomalie vestibolari sono più frequenti nei pazienti con DP con agorafobia moderata o grave. Disfunzioni vestibolari erano associate con disagio nello spazio e nel movimento e con una maggior frequenza di sintomi vestibolari negli intervalli tra, ma non durante, gli attacchi. Il pattern del test vestibolare più specifico per l’agorafobia era quello indicante una disfunzione vestibolare periferica compensata. Quindi una disfunzione vestibolare subclinica potrebbe contribuire alla fenomenica del DP, in particolare allo sviluppo dell’agorafobia nell’ambito del disturbo. Il DP e il panico subsindromico sono relativamente comuni e possono non essere riconosciuti e trattati in maniera inadeguata in pazienti che si presentano con sintomi respiratori. Non ci sono significative differenze tra i pazienti con e senza panico nella gravità delle anomalie funzionali polmonari o nella risposta ai broncodilatatori. Tuttavia, i pazienti con AP riportano più frequentemente dispnea a riposo e sintomi di colon irritabile e tendono a riportare difficoltà nel deglutire. Bouwer e Stein trovarono una specifica associazione tra il DP e una storia di soffocamento traumatico, che risultò essere significativamente più frequente tra i pazienti con DP rispetto ai soggetti di controllo. Tra i soggetti con DP, i pazienti con una storia di soffocamento traumatico avevano una probabilità maggiore di manifestare principalmente sintomi respiratori in AP notturni, mentre i pazienti senza tale storia avevano una probabilità più alta di manifestare principalmente sintomi cardiovascolari, otovestibolari e agorafobia.


Terapia

Farmacoterapia: antidepressivi triciclici o SSRI ed eventualmente benzodiazepine, ma solo all’inizio del trattamento antidepressivo oppure utilizzate al bisogno durante l’attacco.
Psicoterapia: terapia cognitivo-comportamentale.
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