L’educatore professionale e l’abuso sessuale minorile

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L’educatore professionale e l’abuso sessuale minorile

Messaggioda Royalsapphire » 24/09/2014, 21:33



Relazionarsi con le minori in questione implica capacità di ascolto, osservazione, accoglienza, ma anche, la capacità di assumere atteggiamenti di tutela, che comprendano la possibilità di offrire dei limiti, dei vincoli.
Una delle difficoltà dettate dal fatto di considerare le ragazze come vittime, può divenire quella di essere portati a mettersi totalmente dalla loro parte, rischiando di passare da una situazione di accoglienza, ad una situazione di accondiscendenza su tutto.

Riguardo a tale aspetto, può essere utile riflettere sull’idea di non considerare le utenti immesse solo in un periodo di crisi o in una fase patologica, cercando di impostare gli interventi secondo un modello pedagogico più che psicoterapeutico, tendendo cioè a sollecitare le potenzialità, anziché cercare di compensare o ridurre le carenze.

Considerare un sistema relazionale disfunzionale permette agli operatori di non individuare solo una vittima e un colpevole, permette di non giudicare ed estromettere l’abusante, permette di tenere insieme i pezzi di una storia dolorosa che è già sufficientemente frammentata.

Valorizzare i punti di forza, le prospettive positive non significa sminuire ciò che è stato e le sofferenze presenti, vuol dire riuscire a superare quello stato di impotenza e di vittimismo che attanaglia sia le ragazze che gli adulti competenti. Per far questo è necessario nominare e rielaborare le proprie paure, i limiti, le incertezze, i sentimenti.

Trattenere sentimenti di stanchezza, di intolleranza, può diventare una bella copertura sulla carta, ma può compromettere l’aiuto reale necessario; qui, più che mai, l’epoché (sospensione del giudizio) sembra diventare protagonista e rilevatore di problematicità.  “Gli educatori delle comunità hanno il difficile compito di accogliere e identificare le esigenze e i problemi complessi di questi minori per poi elaborare adeguati interventi di cura e protezione, aiutandoli così a ricostruire una personalità che la violenza subita ha di solito frantumato.

La quotidianità e la familiarità ordinata, corretta e affettivamente investita, vissute dai minori abusati nel rapporto con gli educatori, sembrano avere in questo senso una particolare valenza terapeutica.” [2]

Il cuore dell’azione educativa sta nella capacità di dare un senso a ciò che avviene, a gesti comuni e consueti. Il vivere insieme permette un esercizio continuo di esplorazione, ascolto, comprensione e riconoscimento, momenti che acquistano una valenza educativa se l’educatore riesce a condurre la minore ad una crescita (maturazione), alla scoperta di sé e degli altri.

Ripensare e attribuire significato agli eventi della giornata, può aiutare la rielaborazione di esperienze presenti e passate, al fine di favorire una maggiore capacità di affrontare gli avvenimenti ed i dati del presente e del futuro. “Abitare insieme” fa emergere diversi fattori che caratterizzano l’intreccio tra la propria storia e quella degli altri; il sentimento di appartenenza, l’autonomia di ognuno, la collaborazione, il bisogno ed il dovere di rispettare delle norme, i limiti dati dai bisogni di altri, il rispetto nella sua più larga accezione (della persona, dell’ambiente, di sé, delle regole….).

La giornata in comunità è scandita da eventi tradizionalmente familiari, la colazione, il pranzo, la cena… Sta proprio nella relazione con gli altri e con gli educatori la differenza, condizionata dalla capacità di far rispettare le regole e, al contempo, di sviluppare quella parte di cura e accoglienza utile a ricostruire relazioni significative.
Al mattino l’operatore sveglia le ragazze e prepara loro la colazione, si va a scuola, al lavoro, si pranza e si cena tutti insieme, mangiando ciò che l’educatore con alcune ospiti hanno cucinato, si provvede agli acquisti, alle faccende domestiche, si studia, si ascolta la musica e si balla, si guarda la televisione, alle volte ci si innervosisce e si tirano calci, si rompono vetri, si piange, si cercano coccole…

Questa semplice vita ordinaria, con i suoi gesti, con i suoi rapporti, con la sua organizzazione, costituisce la prima occasione per imparare a governare il dato di realtà, introducendo la dimensione relazionale e progettuale nel proprio agire e nella propria esistenza.
Questa tipologia d’utenza ha delle difficoltà ad addormentarsi e a dormire serenamente, la notte risveglia pensieri, angosce, paure, solitudine; a tal proposito risulta importante l’accompagnamento al sonno, attraverso chiacchiere e coccole.


Ciò mette in gioco elementi quali la vicinanza, l’accoglienza, implicando anche un alto coinvolgimento emotivo ed affettivo. L’obiettivo a questo punto è quello di accompagnare i minori a superare i traumi che impediscono di vivere serenamente il momento specifico.
Al minore abusato vengono offerte occasioni concrete e quotidiane di condivisione dei propri sentimenti di rabbia, dolore, collera, impotenza, prodotti dal trauma dell’abuso, con un adulto capace di tollerarli mentalmente e di aiutarlo a compiere i primi passi verso la rielaborazione costruttiva dell’esperienza subita.


Quanto detto fino ad ora avvale la tesi che le funzioni dell’educatore si esercitano quasi essenzialmente nelle strutture residenziali. La quotidianità da risorsa e strumento diventa l’unico ambito di esplicazione del lavoro dell’educatore. Simona Barberis [3], educatrice professionale di Torino, per la progettazione d’interventi educativi di prevenzione dell’abuso sessuale rivolti ai minori, a tal proposito scrive: “Nell’ambito delle attuali esperienze ed iniziative sulle problematiche dell’abuso sessuale, l’educatore professionale sembra essere una delle figure meno presenti, sia a livello di ricerca teorica e di ipotizzazione degli interventi, sia a livello della loro realizzazione concreta sul territorio”.

Finora è prevalsa l’opinione che questo operatore non fosse capace di lavorare con tutto il nucleo familiare abusante e la tendenza comune è quella di delegare questo aspetto del lavoro ad altre categorie professionali. È indubbio che un argomento quale l’incesto necessiti di un lavoro di équipe.
La provocazione e il rischio che nasce da questa scelta operativa, però, sembra basarsi sulle difficoltà degli educatori nel riconoscere e gestire il proprio disagio emozionale di fronte alla prospettiva di relazionarsi con adulti verso i quali si nutrono sentimenti di rabbia, repulsione, mescolati a commiserazione e senso di impotenza e ritenuti responsabili della distruzione dei minori con i quali giornalmente si costruisce una relazione forte.

È alto il rischio che sia proprio l’educatore a ritrarsi di fronte alla possibilità di affrontare altri aspetti oltre a quello descritto precedentemente del lavoro in comunità. Gli educatori si trovano ad affrontare la vita quotidiana della comunità come unico loro strumento, contenitore e obiettivo.

Quale ruolo ha l’educatore nell’incesto? Perché l’educatore non ha un ruolo predominante? La quotidianità quale importanza ha? Sono tutte domande che portano a ricercare il significato di determinate scelte operative e delle esigenze che spingono a giocarsi un ruolo con determinate caratteristiche.




Note

[1] Simona Barberis, “Le emozioni dell’ascolto”, Edizioni Unicopli, 2001 Milano,  pag. 102
[2]  Izzo Amelia, “Non Toccate le farfalle”, SIE, Firenze
[3] Simona Barberis, “Minori”, in Prospettive Sociali e Sanitarie, n°3 - 2001
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