Il tuo racconto ha fatto venir voglia anche a me di scrivere di una compagna di classe speciale, la prima ragazza (su un totale di 3) per la quale abbia cominciato a provare un sentimento d’amore. Dalla prima alla quinta superiore eri il mio personale punto di riferimento. Potevano incombere interrogazioni o compiti per i quali non mi ero particolarmente preparato, ma ogni mattina era bella per il fatto di poterti vedere. E, al contrario, il solo fatto di non trovarti la mattina alla fermata dell’autobus mi gettava in uno stato di sconforto.
Non è stato difficile innamorarsi dei tuoi occhi così grandi e del tuo sguardo che riusciva a scavarmi dentro, del tuo sorriso che mischiava innocenza e malizia, del tuo modo di muoverti, di come giocavi con i capelli, della tua dolcezza, della tua forza e della tua simpatia. Nonostante mi vedessi come un rospo, vicino a te riuscivo a sentirmi figo anch’io… quando mi prendevi per mano e passeggiavi con me nel corridoio, quando nell’atrio durante l’intervallo venivi a sederti sulle mie gambe o quando durante le gite scolastiche camminavi abbracciata a me. Ricordo alla fine del secondo anno che dovevamo mettere in scena una commedia di Pirandello. Spostavamo i banchi e assistevamo alle prove e tu venivi sempre a sederti sul banco accanto a me; ricordo che ti divertivi a scrivere il tuo nome sui miei pantaloni… io quei jeans non li avrei mai lavati.
Dopo la maturità ci vedemmo un paio di volte alle cene di classe, dopodiché ti scrissi una lettera per cercare di sentirti ancora vicina e per provare ad esprimere quello che sentivo. Iniziò uno scambio di corrispondenza. Ma erano parole lasciate a mezz’aria, non ebbi mai il coraggio di aprirmi del tutto, anche se da quello che mi scrivesti tu qualcosa l’avevi intuito. Le ho conservate tutte le tue lettere e cartoline di quei 2/3 anni e quando ho voglia di farmi del male, come in questo periodo in cui tutto sembra andare a rotoli nella mia testa, le tiro fuori e me le rileggo. Fino all’ultima cartolina quando scrivesti “I tuoi scritti son sempre più radi, il tono meno intenso e il ricordo sempre più vago. Mi stai dimenticando o forse mi hai semplicemente ridimensionato per poter più serenamente guardare avanti?”. No, non ti avevo dimenticata, stavo solo cominciando a farmi prendere da quel mal di vivere che mi costringeva nell’apatia e mi faceva sentire destinato al nulla. In realtà eri ancora ben piantata nella mia testa e nel mio cuore.
In seguito ti ho poi rivista su Facebook ma anche lì non ho avuto il coraggio di lasciare messaggi, mi sarei sentito ridicolo.
Qualche mese fa, ero in pausa pranzo con un collega e ci siamo recati in uno di quei self-service di cucina cino/giapponese. Ad un tratto ti ho riconosciuta nella figura di quella donna che si stava sedendo con il figlio ad un tavolino non lontano dal nostro. 4/5 metri di corridoio mi separavano dalla possibilità di rivolgerti nuovamente la parola, anche solo per un veloce saluto. Ma la mia solita paura, che mi ha sempre fatto fare passi indietro di fronte ad ogni scelta, mi ha inchiodato alla sedia lasciandomi solo la possibilità di osservarti, non visto.
Mi sono sentito uno stupido, e mi sono tornate alla mente tutte le emozioni provate allora. La sera, poi, rientrato a casa mi sono buttato sul letto e ho pianto pensando a tutto quello (esperienze, amicizie, emozioni, amori) che mi sono negato a causa della mia debolezza e delle mie paure e a quello che ancora mi aspetta.
Io però non ti ho mai dimenticata.
E stasera ti mando un bacio grande, Sara.
Marco