Ho l'ansia, non sono in pace con me stessa, ho paura di usare parole troppo grandi e non averne poi per quando usciranno i problemi seri. Penso che questo sarà uno sfogo inutile.
Sono più di quattro giorni che non esco di casa, tra poco ricomincerò ad andare a scuola, lei dovrebbe preoccuparmi di più.
Mi alzo e penso sia mattina, presto, forse le sette, magari le nove. In realtà sono le undici e mi brucia lo stomaco per il troppo cibo, o troppo poco. Non riesco a capire quando ho fame o quando non ne ho. Nè crampi, né altro. Vengo accompagnata dal bruciore che reagisce alle serrande rigorosamente serrate delle mia camera. Adoro il sole sulla faccia, in questi giorni di reclusione sono arrivata al punto di rantolare per terra nel buio chiuso della mia stanza. Quando poi decido di alzarmi e spalancare le finestre ho voglia di piangere per la luce e per il tepore delle mattine invernali. Trascino il libro di diverse materie in giro per casa, leggo un paio di righe, affondo le unghie nel polso e poi sono costretta a fermarmi perché le vene si contorcono sotto la pelle e mi fanno paura. Cammino per casa ascoltando musica come un coniglio privo della sua pelle. Ho voglia di gridare di tanto in tanto, mentre le ore passano e consumo il pavimento a forza di trascinarci i piedi. Spreco momenti importanti della mia vita, pensando a tutti voi che affollate la mia vita, a come sembrare meno stupida ai vostri occhi, a come non farmi odiare. - Se devono odiare, odieranno in ogni caso. - Non penso al mio futuro, non penso a come staccarmi dalle cuffie. Poi penso a quanta luce ci sia e a quanta poca me ne serve per essere felice, per nascondere il mino aspetto fisico, trasandato ed insicuro. Penso che potrei fare qualsiasi cosa, piangere dopo, con gli anni, e invece piango ora. Dentro di me, l'unica cosa che accade davvero dentro di me.
Dovrei studiare, dovrei, dovrei, dovrei, come si spengono queste cuffie?
Ho provato a spegnerle e ho sentito il bruciore aumentare con il senso di mancanza. Ho letto altre due righe su Galileo, un paio di formule basiche di chimica, cosa sono le formule basiche? Probabilmente è un termine che mi sono inventata in questi giorni di apparente perfetta reclusione. Ho i romanzi, potrei leggerli. Una pila di carta che sovrasta la mia scrivania, tanti pixel che rendono utile il mio iPad. Voglio morire. Oppure voglio leggere il mio libro di poesie. Domani lo faccio, mi dico. Mi vesto in modo carino, mi trucco, afferro il libro e non lo mollo finché non trovo un posto con tanta luce e nessun rumore, tengo le cuffie vicino a me, ma non le accendo. Ascolto l'aria e tocco i pensieri di qualcuno, che infondo sono anche i miei. Lo faccio da sola e faccio finta di essere autonoma. Poi rimetto le cuffie e continuo a rantolare nella mia stanza, perché a quanto pare, non ho il coraggio di far gravare i miei pensieri su qualcuno. Dovrei parlare di più con me stessa, così da non sentirmi in colpa. Oppure vorrei che qualcuno rantolasse con me sul pavimento. Scrivo ai miei amici, dieci minuti dopo, me ne pento. - Dovresti smetterla di farti questi problemi.- No, non hai capito, è che non voglio perderti, è per questo che mi faccio questi problemi. - Glie lo dirai? - Ovvio che no.
Glie lo farò leggere.
-Ti attacchi alle persone, gli rendi la vita impossibile.-
Lei capirà, lei scrive lettere a gente morta.
- Gli farai senso -
No, gli farò pena.
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Tempo fa non le chiesi aiuto, le feci un riepilogo dei miei sentimenti in contrasto. Agii secondo nostalgia, senso di vuoto, dovuto al nostro rapporto che si evolveva nel giro di pochi mesi, e come sempre mi portai il telefono ovunque aspettando una sua risposta.
Quando finalmente arrivò, lei scrisse: - non posso aiutarti. - Mi accorsi che il mio telefono era impostato su 'senza audio' e non provai nemmeno il brivido che mi procurava il fischio del messaggio. Come la nostalgia che andavo cercando. Più come l'abbraccio che anche ora cerco.