sussurri scordati d'emozioni

La Setta Dei Poeti Estinti.
Poesie, racconti, libri, letteratura, miti, leggende barzellette... Condividiamo le creazioni dei Grandi e... anche nostre!

sussurri scordati d'emozioni

Messaggioda io sono Nessuno » 03/11/2016, 15:00



Domani 4 novembre è la Giornata commemorativa delle Forze Armate.
Un mio piccolo tributo qui, inserendo il decalogo, l'inno e il motto della Decima Flottiglia Mas.
L'Onore delle armi (un particolare tipo di riconoscimento militare, un onore cavalleresco
che si conferisce in ambito militare per rendere ossequio al valore dell'avversario sconfitto)
reso dagli Americani a questa unità nell'aprile 1945, e la celebre dichiarazione del suo peggior nemico,
Winston Churchill, ("Un pugno di italiani, equipaggiati con attrezzature di costo irrisorio, hanno rischiato seriamente di ribaltare le sorti della guerra nel Mediterraneo) basteranno da soli a testimoniane
l'eroismo e il valore.


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Il "decalogo"


1) Stai zitto
E' indispensabile mantenere il segreto anche nei minimi particolari e con chiunque, anche con gli amici e parenti cari. Ogni indiscrezione è un tradimento perché compromette la nostra opera e può costare la vita a molti dei nostri compagni.

2) Sii serio e modesto
Hai promesso di comportarti da Ardito. Ti abbiamo creduto. Basta così. E' inutile far mostra della tua decisione con parenti, amici, superiori e compagni. Non si fa, di una promessa così bella, lo sgabello per la tua vanità personale. Solo i fatti parleranno.

3) Non sollecitare ricompense
La più bella ricompensa è la coscienza di aver portato a termine la missione che ci è affidata. Le medaglie, gli elogi, gli onori rendono fieri chi li riceve per lo spontaneo riconoscimento di chi giudica, non chi li sollecita o li mendica.

4) Sii disciplinato
Prima del coraggio e dell'abilità ti è richiesta la disciplina più profondamente sentita: dello spirito e del corpo. Se non saluti, se non sei educato, se non obbedisci nelle piccole cose di ogni giorno, se il servizio di caserma ti pesa e ti sembra indegno di te, se non sai adattarti a mangiare male e dormire peggio: non fai per noi.

5) Non aver fretta di operare, non raccontare a tutti che non vedi l'ora di partire
Potrai operare solo quando il tuo cuore, il tuo cervello e il tuo corpo saranno pronti. Se sei impaziente, non sei pronto. Devi imparare a conoscere perfettamente la tua arma e ad impiegarla in ogni contingenza in maniera perfetta. L'addestramento non è mai eccessivo. Devi appassionarti ad esso. Devi migliorarti ogni giorno. Solo chi ti comanda è giudice insindacabile delle tue possibilità.

6) Devi avere il coraggio dei forti, non quello dei disperati
Ti sarà richiesto uno sforzo enorme, solo al di là del quale sta il successo. Per compierlo, hai bisogno di tutte le tue energie fisiche e morali. La tua determinazione di riuscire ad ogni costo deve perciò nascere dal profondo del tuo cuore, espressione purissima del tuo amore per la Patria, e non deve essere il gesto di un disperato di un mancato o di un disilluso. La tua vita militare e privata deve essere perciò onesta , semplice e serena.

7) La tua vita è preziosa. Ma l'obbiettivo è più prezioso
Devi ricordartelo nel momento dell'azione. Ripetilo a te stesso cento volte al giorno e giura che non fallirai la prova.

8) Non dare informazioni al nemico
Non devi far catturare le armi ed il materiale a te affidato. Se dopo aver operato cadi prigioniero, ricordati che al nemico devi comunicare solo le tue generalità e il tuo grado.

9) Se prigioniero, sii sempre fiero di essere italiano, sii dignitoso
Non ostentare la tua appartenenza ai Mezzi d'Assalto. Cerca, nelle tue lettere ai familiari, di comunicare come meglio potrai e saprai, tutto quanto conosci dell'azione a cui hai partecipato e sul nemico in genere. Cerca sempre, se possibile, di fuggire.

10) Se cadrai mille altri ti seguiranno: da gregario diventerai un capo, una guida, un esempio



Guarda su youtube.com






L'inno, che fu scritto da donna Daria Olsoufiev Borghese,
la principessa russa moglie del Comandante della Decima,
il principe Junio Valerio Borghese.


Quando pareva vinta Roma antica
sorse l'invitta Xª Legione;
vinse sul campo il barbaro nemico
Roma riebbe pace con onore.
Quando l'ignobil otto di settembre
abbandonò la Patria il traditore
sorse dal mar la Xª Flottiglia
e prese l'armi al grido "per l'onore".

Decima Flottiglia nostra
che beffasti l'Inghilterra,
vittoriosa ad Alessandria,
Malta, Suda e Gibilterra.
Vittoriosa già sul mare
ora pure sulla terra
Vincerai!

Navi d'Italia che ci foste tolte
non in battaglia ma col tradimento
nostri fratelli prigionieri o morti
noi vi facciamo questo giuramento.
Noi vi giuriamo che ritorneremo
là dove Dio volle il tricolore;
noi vi giuriamo che combatteremo
fin quando avremo pace con onore.

Decima Flottiglia nostra
che beffasti l'Inghilterra,
vittoriosa ad Alessandria,
Malta, Suda e Gibilterra.
Vittoriosa già sul mare
ora pure sulla terra
Vincerai!


Guarda su youtube.com






La locuzione latina: Memento Audere Semper (Ricorda di osare sempre) coniata dal Vate
Gabriele D'Annunzio, era il motto identificativo adottato dalla Decima.


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Infine, nel 1954 l'unità fu ricostituita con il nome di Comsubin (Comando Subacquei ed Incursori).
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Messaggioda io sono Nessuno » 10/11/2016, 14:55



C'era una volta (in questo paese, visto che da qualche parte è ancora viva e vegeta) la Patria,
che ispirò lunghissimi poemi a gente come Manzoni, Leopardi, Pascoli, e D'Annunzio da ultimo.



All'Italia, di Giacomo Leopardi, solo il breve inizio del poema.


O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.


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Messaggioda io sono Nessuno » 12/11/2016, 14:33



Ieri a Los Angeles è scomparso il grande poeta (perchè tale è stato a pieno titolo, assai più e prima ancora che cantautore) Leonard Norman Cohen, ebreo canadese nato a Montréal, Québec nel 1934. Solo in Italia ha molto influenzato gente come De Andrè e De Gregori, solo per fare degli esempi. Cohen (e prima di lui il suo mèntore Louis Dudek) era stato invece profondamente influenzato, nel suo stile poetico e quindi musicale, da Ezra Pound.


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Metto qui una sua poesia (Questo è per te) triste ma molto bella.


Questo è per te
è il mio intero cuore
è il libro che ti avrei letto
quando fossimo stati vecchi
Adesso sono un'ombra
Sono senza pace come un impero
Tu sei la donna
che mi ha reso libero
Ti ho vista guardare la luna
Non hai esitato
ad amarmi con essa
Ti ho vista onorare gli anemoni
colti tra le rocce
mi hai amato con essi
Sulla sabbia liscia
tra i ciottoli e la spiaggia
mi hai accolto nel cerchio
meglio ancora di come
si accoglie un ospite
Tutto ciò è accaduto
nella verità del tempo
nella verità della carne
Ti ho vista con un bambino
mi hai portato al suo profumo
e alle sue visioni
senza chiedermi sangue
Su tantissimi tavoli di legno
adornati con cibo e candele
mille sacramenti
che hai portato nel tuo cesto
Ho visitato la mia creta
Ho visitato la mia nascita
fino a quando sono tornato piccolo
ed impaurito abbastanza
da nascere di nuovo
Ti ho voluta per la tua bellezza
mi hai dato più di te stessa
Hai condiviso la tua bellezza
questo è tutto ciò
che ho appreso stanotte
mentre ricordo gli specchi
dai quali sei scomparsa
dopo che hai donato loro
ciò che essi ti chiedevano
per la mia iniziazione
Adesso sono un'ombra
desidero ardentemente
giungere alla fine
del mio peregrinare
e vado avanti
con l'energia della tua preghiera
e procedo
in direzione della tua preghiera
poiché tu sei inginocchiata
come un mazzolino di fiori
in una grotta di ossa
dietro la mia fronte
e mi muovo
in direzione di un amore
che hai sognato per me.
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Messaggioda io sono Nessuno » 14/11/2016, 14:39



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L'automobile (poi "la macchina" per antonomasia), non è nata femmina, anzi ai suoi albori a cavallo
fra '800 e '900 aveva il genere maschile, si diceva IL automobile, e fu il Vate D'Annunzio, scrivendo
una lettera a Giovanni Agnelli quasi un secolo fa, a coniare il termine al femminile. Così si espresse
il sommo patriota, militare e letterato Italiano: "Caro Senatore, in questo momento ritorno dal mio campo
di Desenzano, con la Sua macchina che mi sembra risolvere la questione del sesso già dibattuta.
L'Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d'una seduttrice;
ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza.
Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza.
Inclinata progreditur!"

E, da allora, femmina fu…
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Messaggioda Eos » 14/11/2016, 15:48



[quote="olderguy"]

"ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza."

What's... obbedire??? Mai !!!! :duello: :linguaccia: :hypocr:
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Messaggioda io sono Nessuno » 16/11/2016, 14:49



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Nel libro “L’arte di essere fragili” edito da Mondadori, da cui ora è stato tratto anche un lavoro teatrale, Alessandro D’Avenia racconta del suo incontro con Giacomo Leopardi e della scoperta di un ragazzo e poi di un uomo del tutto diverso dallo sfortunato pessimista descritto dai libri di scuola.
Queste che seguono sono solo alcune delle ragioni, secondo l'autore, per amare l'eccelso recanatese.




Perché ha lottato tutta la vita per tenere insieme verità e bellezza.

Perché al grande intellettuale che gli consigliava di esercitarsi per almeno 20 anni sulla prosa prima di cominciare a far poesia rispose: “Quando io vedo la natura in questi luoghi che veramente sono ameni, mi sento così trasportar fuori di me stesso, che mi parrebbe di far peccato mortale a non curarmene, e a lasciar passare questo ardore di gioventù e a voler divenire buon prosatore e aspettare una ventina d’anni per darmi alla poesia“.

Perché amava nascondersi in soffitta e giocare con l’ombra e la luce sin da bambino, consapevole che la vita è tenerle insieme.

Perché fu il primo a dedicare un verso a un creatore di gelati, di cui andava pazzo: “l’arte onde barone è Vito”.

Perché quando da bambino lo portavano via da una festa o dai giochi con gli amici cominciava a piangere come un forsennato.

Perché ha scoperto che la Moda è la sorella minore della Morte.

Perché ci ha fatto capire che la malinconia è molto di più del pessimismo e non possiamo sbarazzarcene ma solo imparare ad abitarla.

Perché a 21 anni aveva già scritto l’Infinito.

Perché a 21 anni aveva già scritto che non c’è siepe senza infinito e infinito senza siepe.

Perché nessuno come lui ha inveito contro un cuore che non riesce a far a meno di amare e cercare la felicità e perché nessuno come lui ha inveito contro una ragione assetata di verità.

Perché nessuno come lui sapeva che l’immaginazione non è fuga dalla realtà, ma penetrazione e comprensione della realtà.

Perché ha tentato di fuggire di casa scrivendo la lettera che ogni ragazzo dovrebbe scrivere in questi casi.

Perché alla piccolezza preferì sempre l’ardore scomodo della bellezza.

Perché nel 1836 definì l’uomo un “viatore confuso” nella sua poesia penultima.

Perché voleva scrivere una “Lettera ad un giovane del XX secolo”, ma non fece in tempo. O forse sì.

Perché riuscì nella poesia del pensiero e non si accontentò mai del solo pensiero.

Perché creando versi andò oltre le sue stesse conquiste razionali e superò le amare conquiste delle sue Operette morali.

Perché si aggrappò all’amicizia come l’amore più grande.

Perché “Dolce e chiara è la notte, e senza vento” è un endecasillabo capace di allontanare la tristezza.

Perché la sua Luna è quel che resta della Luna a noi che l’abbiamo conquistata.

Perché quasi cieco continuò a comporre e a farsi leggere versi e libri.

Perché tutti gli italiani sono dolcemente naufragati nel suo mare.

Perché nascondeva i dolci vietati dal medico sotto il guanciale e li divorava di nascosto.

Perché scrisse un sonetto alla cuoca Angelina di cui amava sorrisi e lasagne.

Perché come tutti i poeti fu anche ciò che non era: fu Silvia, Nerina, pastore errante, Cristoforo Colombo, passero solitario, ginestra… e lo è tutt’ora.



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Messaggioda io sono Nessuno » 21/11/2016, 14:44



Il Dalai Lama (il quattordicesimo della storia) a causa della brutale occupazione del Tibet da parte cinese, da 58 anni vive esule in India, dove si prodiga per combattere il genocidio culturale contro la sua patria.



I "18 principi di vita e felicità" del Dalai Lama.


1) Tieni sempre conto del fatto che un grande amore e dei grandi risultati comportano un grande rischio.

2) Quando perdi, non perdere la lezione.

3) Segui sempre le 3 “R”: Rispetto per te stesso. Rispetto per gli altri. Responsabilità per le tue azioni.

4) Ricorda che non ottenere quel che si vuole può essere talvolta un meraviglioso colpo di fortuna.

5) Impara le regole, affinché tu possa infrangerle in modo appropriato.

6) Non permettere che una piccola disputa danneggi una grande amicizia.

7) Quando ti accorgi di aver commesso un errore, fai immediatamente qualcosa per correggerlo.

8) Trascorri un po’ di tempo da solo ogni giorno.

9) Apri le braccia al cambiamento, ma non lasciar andare i tuoi valori.

10) Ricorda che talvolta il silenzio è la migliore risposta.

11) Vivi una buona, onorevole vita, di modo che, quando ci ripenserai da vecchio, potrai godertela una seconda volta.

12) Un’atmosfera amorevole nella tua casa dev’essere il fondamento della tua vita.

13) Quando ti trovi in disaccordo con le persone a te care, affronta soltanto il problema attuale, senza tirare in ballo il passato.

14) Condividi la tua conoscenza. E’ un modo di raggiungere l’immortalità.

15) Sii gentile con la Terra.

16) Almeno una volta l’anno, vai in un posto dove non sei mai stato prima.

17) Ricorda che il miglior rapporto è quello in cui ci si ama di più di quanto si abbia bisogno l’uno dell’altro.

18) Giudica il tuo successo in relazione a ciò a cui hai dovuto rinunciare per ottenerlo.


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Messaggioda io sono Nessuno » 22/11/2016, 14:19



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Tacita un giorno a non so qual pendice
Salia d’un fabbro nazaren la sposa;
Salia non vista alla magion felice
D’una pregnante annosa;

E detto: “Salve” a lei, che in reverenti
Accoglienze onorò l’inaspettata,
Dio lodando, sclamò: Tutte le genti
Mi chiameran beata.

Deh! con che scherno udito avria i lontani
Presagi allor l’età superba! Oh tardo
Nostro consiglio! oh degl’intenti umani
Antiveder bugiardo!

Noi testimoni che alla tua parola
Ubbidiente l’avvenir rispose,
Noi serbati all’amor, nati alla scola
Delle celesti cose,

Noi sappiamo, o Maria, ch’Ei solo attenne
L’alta promessa che da Te s’udia,
Ei che in cor la ti pose: a noi solenne
È il nome tuo, Maria.

A noi Madre di Dio quel nome sona:
Salve beata! che s’agguagli ad esso
Qual fu mai nome di mortal persona,
O che gli vegna appresso?

Salve beata! in quale età scortese
Quel sì caro a ridir nome si tacque?
In qual dal padre il figlio non l’apprese?
Quai monti mai, quali acque

Non l’udiro invocar? La terra antica
Non porta sola i templi tuoi, ma quella
Che il Genovese divinò, nutrica
I tuoi cultori anch’ella.

In che lande selvagge, oltre quei mari
Di sì barbaro nome fior si coglie,
Che non conosca de’ tuoi miti altari
Le benedette soglie?

O Vergine, o Signora, o Tuttasanta,
Che bei nomi ti serba ogni loquela!
Più d’un popol superbo esser si vanta
In tua gentil tutela.

Te, quando sorge, e quando cade il die,
E quando il sole a mezzo corso il parte,
Saluta il bronzo, che le turbe pie
Invita ad onorarte.

Nelle paure della veglia bruna,
Te noma il fanciulletto; a Te, tremante,
Quando ingrossa ruggendo la fortuna,
Ricorre il navigante.

La femminetta nel tuo sen regale
La sua spregiata lacrima depone,
E a Te beata, della sua immortale
Alma gli affanni espone;

A Te che i preghi ascolti e le querele,
Non come suole il mondo, né degl’imi
E de’ grandi il dolor col suo crudele
Discernimento estimi.

Tu pur, beata, un dì provasti il pianto,
Né il dì verrà che d’oblianza il copra:
Anco ogni giorno se ne parla; e tanto
Secol vi corse sopra.

Anco ogni giorno se ne parla e plora
In mille parti; d’ogni tuo contento
Teco la terra si rallegra ancora,
Come di fresco evento.

Tanto d’ogni laudato esser la prima
Di Dio la Madre ancor quaggiù dovea;
Tanto piacque al Signor di porre in cima
Questa fanciulla ebrea.

O prole d’Israelo, o nell’estremo
Caduta, o da sì lunga ira contrita,
Non è Costei, che in onor tanto avemo,
Di vostra fede uscita?

Non è Davide il ceppo suo? Con Lei
Era il pensier de’ vostri antiqui vati,
Quando annunziaro i verginal trofei
Sopra l’inferno alzati.

Deh! a Lei volgete finalmente i preghi,
Ch’Ella vi salvi, Ella che salva i suoi;
E non sia gente né tribù che neghi
Lieta cantar con noi:

Salve, o degnata del secondo nome,
O Rosa, o Stella ai periglianti scampo,
Inclita come il sol, terribil come
Oste schierata in campo.
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Messaggioda io sono Nessuno » 27/11/2016, 11:16



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Purificazione di Maria

di Giovanni Pascoli

Questa poesia praticamente sconosciuta ha una genesi molto particolare, l'autore la scrisse di getto (nel 1901) sul libro degli ospiti di una famiglia nobiliare sua amica di Messina (aveva una cattedra di latino e greco nella locale università) e tale libro fu sepolto (non solo metaforicamente) dal devastante terremoto del 1908. Il poterla apprezzare oggi lo dobbiamo ad Anna Maria Andreoli: la studiosa l’ha scoperta a Messina e l’ha pubblicata in La Rivista Pascoliana, una piccola pubblicazione accademica, nel settembre 1996. A un pubblico più ampio è stata proposta soltanto dal critico e letterato Giorgio Calcagno, che su un giornale nazionale così la commentò: "Poesia semplice, volutamente ingenua. Eppure l'unghiata del maestro si sente nella sicurezza metrica, nel controcanto musicale, che si arricchisce dei suoni fonici
a lui cari"...


Odi. Compiuti i giorni erano e monda
era secondo il rito di Mosè.
Ella ascenderà con umiltà profonda
Vergine e madre, alla città dei re.

Avea negli occhi un dolce ardor di madre,
mentre passava tra le siepi in fiore;
ma le due bianche tortori leggiadre
piangean vicino al suo virgineo cuore.

Quand’ella entrò nel tempio, un bianco vecchio
dimenticato dalla morte, udì...
Venne stridor di cardini all’orecchio
Suo ... Mosse. Elí, dicendo, Elí.

Anche una vecchia era nel tempio nata
Da Fanuel, della tribù d’Aser.
Ed ella udì sotto la grande arcata
Venir quei passi ed un fruscio legger.

E mosse, Elí, dicendo, Elí, pur ella:
or la mia vita prendere puoi tu!
E videro ambedue la verginella
che aveva in collo il pargolo Gesù.

Che avea negli occhi il dolce ardor di madre
mentre movea nel tempio del Signore
e le due bianche tortori leggiadre
piangean vicino al suo virgineo cuore.



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Due lavori sul Vate di Annamaria Andreoli
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Messaggioda io sono Nessuno » 30/11/2016, 14:46



"Stamattina mi sono alzato e ho trovato l'invasor...

Si emozioni pure chi vuole, purchè si precisi che nessun "resistente" ha mai cantato così, per invalicabili ragioni cronologiche. Le parole furono inventate nel 1948 per un congresso comunista, a Praga, dei "partigiani della pace" (la pace di Stalin) e furono adattate alla melodia di un presunto canto ottocentesco delle mondine padane. Presunto perchè anche quello fu probabilmente inventato a tavolino da qualche demagogo marxista che le risaie non le aveva mai viste,almeno non nel ruolo di lavoratore..."


Cito alla lettera dal saggio della serie Vivaio: Emporio cattolico, di Vittorio Messori, pagine 215 - 216.
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